Nel 1993, o era il 1994, ora è difficile ricordarlo con certezza, vidi il film The Snapper, tratto dal secondo romanzo dell’irlandese Roddy Doyle. Anche dal primo, The Committments, era stato tratto un film, ma quella era una ruffianata, affidata ad Alan Parker specialista in furbate. Quest’altro invece era diretto da Stephen Frears che una dose di cattiveria più o meno genuina riesce sempre a mettercela. A un certo punto del film c’era una cosa che solo i ciclofili potevano notare: un ragazzino correva in bicicletta – e fin qui niente di strano, l’Irlanda veniva dal suo periodo migliore con Roche e Kelly – e indossava la maglia di una piccola squadra italiana, l’Amore e Vita di Ivano Fanini. In realtà poi, a pensarci, quella maglia era tutt’altro che fuori luogo, perché il film, e il romanzo, raccontano l’imprevisto concepimento “etilico” di un marmocchio (snapper) da parte di una ragazza nubile, appartenente ad una numerosa famiglia caciarona e, soprattutto, cattolica, nella quale l’ipotesi di un aborto non viene minimamente presa in considerazione da nessuno. E appunto l’Amore e Vita ha sempre portato, già nel suo nome, un messaggio a favore della vita, contro l’aborto, per “valorizzare attraverso lo sport, i valori e gli ideali cristiani”, vantando anche un record, difficilmente eguagliabile, di presenze in Vaticano. La squadra all’epoca partecipava al Giro d’Italia e svolgeva anche un importante ruolo di recupero di ciclisti reduci da stagioni deludenti. Poi Fanini si è dato al recupero di ciclisti con problemi di doping, a polemiche poco convincenti sull’argomento, allo sbandieramento di amicizie politiche di cui agli appassionati non interessa niente. L’agiografia di Fanini su wikipedia parla di lui come “il personaggio simbolo della lotta al doping nel ciclismo (…) vittima dell’isolamento dell’ambiente professionistico che continua a stare nell’omertà“, ma comunque egli è ancora in giro (però non d’Italia), con la sua squadra, che oggi è una continental ucraina, anche se ci si sarebbe aspettato, semmai, che, traendo le conseguenze da questo stato di cose, avesse mandato a quel paese (poi dopo poteva andare a confessarsi per aver detto le parolacce) tutto questo ambiente colluso omertoso eccetera. Poi quest’estate ho letto il libro di Doyle, una vecchia edizione Guida, un romanzo fitto di dialoghi tra i tanti chiassosi personaggi proletari, e vi ho cercato quella maglia vista nel film, ma non l’ho trovata. I fatti sono ambientati nel 1987, perché si parla di speranze di Roche al Tour dopo aver vinto il Giro, si parla anche di Kelly (guai se non l’avesse citato), e solo una volta si parla della maglia indossata da Darren Rabbitte, il fratello della ragazza incinta, aspirante ciclista, ed è la maglia della squadra in cui Roche militò in quell’anno per lui irripetibile, ma che lasciò per incompatibilità con Visentini dopo i fatti di Sappada, e insomma quella era la maglia della Carrera.
