gelati

Il gelato è il mio conforto

mi ripaga di ogni torto

il gelato mi consola

e fa dolce la mia gola

Quando arrivo a fine mese

faccio il conto delle spese

in gelati ho speso tutto

e rimango senza un letto

I gelati sono buoni

ma costano milioni

I gelati sono buoni

ma costano milioni

(Skiantos, Gelati)

 

Lì sotto

Quando la gente sta lì sotto, e gli viene l’orgoglio di essere italiani, e pensa ma tu guarda cosa siamo capaci di fare noi italiani, tipo pure all’ultima tappa del Giro a Trieste, e vede quelle ardite acrobazie aeree, sopra le teste che stanno a guardare ammirate e orgogliose, e anche sopra le teste che non gli hanno chiesto niente a quelli che fanno le cosiddette evoluzioni, allora viene da chiedersi se è possibile che nessuno si ricordi di giusto 26 anni fa, che se uno di quegli aerei cade non serve a niente aprire l’ombrello.

ramstein

Il mistero della maglia che non c’era

Nel 1993, o era il 1994, ora è difficile ricordarlo con certezza, vidi il film The Snapper, tratto dal secondo romanzo dell’irlandese Roddy Doyle. Anche dal primo, The Committments, era stato tratto un film, ma quella era una ruffianata, affidata ad Alan Parker specialista in furbate. Quest’altro invece era diretto da Stephen Frears che una dose di cattiveria più o meno genuina riesce sempre a mettercela. A un certo punto del film c’era una cosa che solo i ciclofili potevano notare: un ragazzino correva in bicicletta – e fin qui niente di strano, l’Irlanda veniva dal suo periodo migliore con Roche e Kelly – e indossava la maglia di una piccola squadra italiana, l’Amore e Vita di Ivano Fanini. In realtà poi, a pensarci, quella maglia era tutt’altro che fuori luogo, perché il film, e il romanzo, raccontano l’imprevisto concepimento “etilico” di un marmocchio (snapper) da parte di una ragazza nubile, appartenente ad una numerosa famiglia caciarona e, soprattutto, cattolica, nella quale l’ipotesi di un aborto non viene minimamente presa in considerazione da nessuno. E appunto l’Amore e Vita ha sempre portato, già nel suo nome, un messaggio a favore della vita, contro l’aborto, per “valorizzare attraverso lo sport, i valori e gli ideali cristiani”, vantando anche un record, difficilmente eguagliabile, di presenze in Vaticano. La squadra all’epoca partecipava al Giro d’Italia e svolgeva anche un importante ruolo di recupero di ciclisti reduci da stagioni deludenti. Poi Fanini si è dato al recupero di ciclisti con problemi di doping, a polemiche poco convincenti sull’argomento, allo sbandieramento di amicizie politiche di cui agli appassionati non interessa niente. L’agiografia di Fanini su wikipedia parla di lui come “il personaggio simbolo della lotta al doping nel ciclismo (…) vittima dell’isolamento dell’ambiente professionistico che continua a stare nell’omertà“, ma comunque egli è ancora in giro (però non d’Italia), con la sua squadra, che oggi è una continental ucraina, anche se ci si sarebbe aspettato, semmai, che, traendo le conseguenze da questo stato di cose, avesse mandato a quel paese (poi dopo poteva andare a confessarsi per aver detto le parolacce) tutto questo ambiente colluso omertoso eccetera. Poi quest’estate ho letto il libro di Doyle, una vecchia edizione Guida, un romanzo fitto di dialoghi tra i tanti chiassosi personaggi proletari, e vi ho cercato quella maglia vista nel film, ma non l’ho trovata. I fatti sono ambientati nel 1987, perché si parla di speranze di Roche al Tour dopo aver vinto il Giro, si parla anche di Kelly (guai se non l’avesse citato), e solo una volta si parla della maglia indossata da Darren Rabbitte, il fratello della ragazza incinta, aspirante ciclista, ed è la maglia della squadra in cui Roche militò in quell’anno per lui irripetibile, ma che lasciò per incompatibilità con Visentini dopo i fatti di Sappada, e insomma quella era la maglia della Carrera.

AmoreeVita

…Martini…

Non voglio usare espressioni retoriche tipo “perle di saggezza”, perché proprio con lui sarebbero più che mai fuori luogo. Perché parlava con grande semplicità e non diceva mai cose banali, ma sempre cose belle e piene di significato. Noi spettatori l’abbiamo sentito parlare solo di ciclismo, ma sono sicuro che chi lo ha conosciuto di persona avrà ascoltato da lui altrettanti racconti, altrettanti pensieri significativi sulle cose della vita, e sulla miseria le prepotenze e la guerra che ha conosciuto e combattuto da giovane.  A leggere la storia – e soprattutto le storie – del ciclismo, viene da pensare che, da commissario tecnico della nazionale, avrebbe potuto vincere qualche mondiale in più se qualche volta non avesse prevalso la cazzimma di qualche primadonna, ma, del resto, di uomini come Alfredo Martini ce n’era giusto uno.

AlfredoMartini

Quelli che vincono la Sanremo

Inseriscano pure la Pompeiana, anzi, data la vocazione alle frane del litorale ligure, facciano una piccola deviazione in Val d’Aosta a cercare le salite che facciano la selezione, ma, secondo me, capiterà sempre l’occasione in cui storceranno il naso, davanti a un vincitore della Sanremo, quelli che vorrebbero veder vincere solo i campioni più campionissimi di tutti. Da quando è iniziata questa storia? Dimenticandosi, per esempio, del Gomez che vinse nel 1982, ai tempi di Moser Argentin Contini e Saronni, direi nel 2011. Goss aveva già vinto a Bruxelles e a Plouay, era in ascesa, non vinse una volatona a sorpresa ma se la giocò alla pari con i big e fu più abile tatticamente, oltre che più veloce. Quell’anno riuscì ancora ad arrivare secondo al mondiale, battuto solo dall’imbattibile marito di Peta Todd. Il problema è che semmai dopo non è stato più all’altezza e si è un po’ perso. L’anno dopo Gerrans è stato portato in carrozza da due corridori generosi come Cancellara e Nibali, nonostante si sapesse che l’australiano era più veloce. Ma mica un velocista qualunque; uno capace di vincere tappe in tutti i grandi giri, in volata o sulla dura salita di San Luca, e anche lui già vincente a Plouay (strano che questa corsa sia sempre sottovaluta dai media italiani, nonostante diverse vittorie di connazionali, compreso il giovane Nibali). Nel 2013, poi, si può dire che la gara sia stata un po’ falsata dalla neve e dal chilometraggio ridotto, ma Ciolek ha fatto, una volta tanto, quello che ci si aspettava da lui dalla remota e stracitata vittoria al campionato tedesco, lui manco 19nne ai danni della vecchia gloria Zabel. E infine quest’anno, invece di godersi una nettissima vittoria di Kristoff in volata, dopo 300 km, su tutti i favoriti, i commentatori e giornalisti sono rimasti delusi dalla scarsa risonanza del nome del vincitore. Ma poi, in pochi mesi, ecco che prima Gerrans vince la Liegi dimostrando una volta di più di essere un gran cacciatore di classiche, furbo se preferite, ma efficace. E Kristoff ha dilagato vincendo Francoforte, due tappe al Tour e Amburgo, e candidandosi come favorito per il Mondiale. Ma ci sono quelli a cui, in occasione delle classiche monumento, piace dire che lì vincono solo i grandi, dimenticando troppo facilmente, per citare a caso, Bal al Fiandre, De Mol alla Roubaix, Iglinsky (anche se quello buono, Maxim, non Valentin) alla Liegi e Zaugg al Lombardia. Ovviamente i nasi, ai commentatori e giornalisti italiani, gli si storcono solo per gli stranieri, non per il Colombo o il Faresin di turno.

Sanremo1982Gomez

Salvini e Mussolini

Forse il fatto in sé stesso di girare il mondo non serve. Ci sono tanti modi di farlo; in fondo, senza voler dire, lo fanno anche i mercanti d’armi, i turisti sessuali. E forse correre veloci, con un team ciclistico attorno, non è il massimo per conoscerlo il mondo, che già di suo non ti aiuta. E allora, non vorrei passare per nostalgico di bei tempi andati, che tanto belli forse neanche lo erano, ma quasi mi viene da pensare che era forse meglio quando i ciclisti la loro ignoranza la esprimevano semplicemente dicendo Ciao mama. E mi viene anche da pensare che Bottecchia, Bartali, Coppi, Merckx hanno dimostrato che, parafrasando una vecchia pubblicità, per far un grande campione ci vuole un grande uomo. Poi ci sono stati quelli come Maradona o Pantani, che forse sono stati solo clamorosi casi di allucinazione collettiva. E infine ci sono quelli che allora non dobbiamo meravigliarci se sono rimasti mezze calzette. Tipo quelle bianche che portava Armstrong, che erano pure brutte da vedere.

disprezzo

fusi

Uno dei problemi del calendario ciclistico è il sovrapporsi delle gare, con le squadre che non sanno come e dove dividersi (capita che a volte schierino solo 4 partenti), con ciclisti che si spostano da un continente all’altro scavalcando file di fusi orari, e poi con le vecchie gare con una storia e le nuove corse in cerca di prestigio che riescono ad avere un numero cospicuo di partecipanti solo grazie alle tante formazioni continental. Ebbene, un modo per risolvere questo problema (che sembra di abbondanza, ma finisce per far perdere importanza a corse storiche) lo suggerisce il preziosissimo televideo RAI: la fusione. Ieri in una sola notizia hanno pensato bene di mixare il Giro di Danimarca con quello di Polonia: la prima semitappa è quella danese, come seconda va bene la crono finale del Polonia, e il vincitore unico è il polacco Majka (che forse avrà prevalso sull’altro vincitore di giornata, l’italiano Boaro, per un maggior numero di occhiolini). In un tale rimescolamento di corse e corridori può capitare che venga danneggiato (succede nei traslochi) il cognome del pluricampione belga Vandewalle, il quale a casa ha pure due ori mondiali, a squadra ma pur sempre ori, e quindi non è l’ultimo arrivato a pedali.

televideo,09.08.14