Sei mesi

Non so se realmente esistono, tra gli appassionati del punk, due schieramenti: chiamiamoli i filoamericani e i filobritannici. Se esistono, il principale argomento dei primi è che i punk statunitensi erano spontanei, genuini, realmente anarchici e menefreghisti, mentre quelli inglesi erano una creazione di Malcolm McLaren con la complicità di Vivienne Westwood, una cosa poca spontanea. Allora per i secondi è una bella soddisfazione, una rivincita, sapere che Johnny Ramone, nella sua autobiografia, ha scritto che loro, i Ramones, ci misero 6 mesi per decidere la loro uniforme”, quello che di lì a poco si sarebbe chiamato look. I miei preferiti, i Buzzcocks, da Manchester, mi sa che ci hanno messo molto meno, visto che la divisa non ce l’avevano.

buzzcocks

Le pagelle degli azzurri.

Anche la Zeriba illustrata, per darsi importanza, pretende di dare le pagelle alla Nazionale italiana di ciclismo, alla squadra tutta nuova, col nuovo commissario tecnico e nuovi corridori, alla Giovine Italia dall’età media di 38 anni. Siamo sicuri che la cosa non dispiacerà a Cassani, il quale anzi saprebbe raccontarci il suo commovente ricordo della prima volta che ha visto una pagella.

DAVIDE CASSANI. In attesa di entrare nella Storia del Ciclismo, può già entrare nella Storia del Pensiero. La sua teoria del Caos Organizzato ha suscitato l’interesse di scienziati, filosofi e studiosi di religione, e già si organizzano (caoticamente) convegni sull’argomento. Cassani ci ha raccontato della prima volta che ha visto un convegno e si è commosso. 10 e lode

FABIO ARU. E’ scattato in salita anche quando le salite non c’erano. Per Aru solo l’augurio che qualche altra squadra lo sottragga all’Astana. In mancanza va bene anche una missione ONU, purché Aru non sia in futuro costretto, come Nibali, a dire di sì ai grotteschi inviti dei potenti kazaki (corse di paese, battute di caccia e chissà cos’altro). 9

DANIELE BENNATI. Uomo pio, è stato convocato per il suo buon rapporto con l’Eccelso (ma che avete capito? Non stiamo parlando di Jovanotti), perché la vittoria dell’Italia sarebbe stata possibile solo con un miracolo. Inoltre Bennati avrebbe dovuto scatenare qualche ventaglio per spezzare il gruppo, ma l’inopportuna collocazione geografica di Ponferrada lontano dal mare non glielo ha consentito. Cassani gli ha raccontato di quando ha fatto la prima comunione. Senza voto (perché non equivochi il termine “voto” e vada a chiudersi in un convento)

DAMIANO CARUSO. All’inizio ha suscitato perplessità la convocazione del più rappresentativo dei ciclisti né carne né pesce, ma Cassani l’ha motivato col fatto che Damiano sa correre senza radioline. Per questo è stato preferito a Daniel Oss, che invece aveva chiesto di correre almeno con un i-pod o un ghetto blaster. Così Caruso, correndo senza radio, ha svolto in pieno il suo ruolo, canticchiando allegri motivetti degli anni ’40 e ’50 e dando anche il segnale orario, le notizie sul traffico (strade bloccate per passaggio corsa ciclistica) e le previsioni del tempo. Fino alla fine delle trasmissioni. 10

GIAMPAOLO CARUSO. L’unico gregario, il vero uomo di fatica della Nazionale. La sua giornata è iniziata presto, per lavare l’ammiraglia di Cassani. Poi, in corsa, oltre ad assistere Visconti in fuga, ha portato le borracce d’acqua ai compagni e una bottiglia di whisky al vicesceriffo Quinziato. Cassani gli ha raccontato con commozione della prima volta che è andato all’ammiraglia a prendere le borracce. 10

SONNY COLBRELLI. In anni recenti la nazionale ha puntato, per eventuali arrivi in volata, su Pozzato e Gatto; perché non puntare allora pure su Sonny Colbrelli? Gli appassionati di cabala hanno ritenuto di buon auspicio il fatto che gli sia stato assegnato il numero 20, dato che il bresciano è notoriamente nostalgico del ventennio. Ha corso con freddezza e lucidità, non facendosi distrarre dalla provocatoria presenza in gruppo di molti, troppi ciclisti extracomunitari. Alla fine, senza voler cercare attenuanti, è stato sfortunato, perché, se nel finale, invece di Kristoff, Degenkolb e quel francese mezzo marocchino, ci fossero stati Viganò e Pasqualon, avrebbe potuto vincere almeno la volata degli inseguitori. 7

ALESSANDRO DE MARCHI. Voleva andare in fuga già la sera prima della gara. Alla fine era dispiaciuto per non essere riuscito ad andare dietro a Kwiatkowsky e contemporaneamente tirare la volata a Colbrelli e fare la volata lui stesso. Forse, quando Cassani ha assegnato i compiti, lui era già in fuga e gli è sfuggito che i compiti erano divisi per tutti e 9 gli uomini. Pozzato gli ha fatto i complimenti twittando: Viva la fuga! Cassani gli ha ricordato, commosso, della prima volta che ha visto una fuga. A sera si è finalmente calmato, e per distrarlo i compagni si sono messi a parlare di cinema. Sembra che i suoi film preferiti siano 1997 Fuga da New York, Fuga per la vittoria, Fuga da Alcatraz e Fuga di mezzanotte. 90 (=10 x 9)

VINCENZO NIBALI. Che non fosse in forma si sapeva. Ma si sperava nella sua fantasia, e infatti Nibali è riuscito a cadere dove nessuno se lo sarebbe aspettato. Poi, da autentico leader del movimento ciclistico italiano, ha accompagnato il giovane Colbrelli a vedere i grandi che facevano lo sprint. Alla fine ha dedicato la sconfitta a un suo ex compagno di squadra, l’indimenticato Valentin Iglinsky. 8

MANUEL QUINZIATO. Il compito del vicesceriffo era quello di controllare che tutto fosse tranquillo nella prima parte della gara, che non ci fossero né risse né sparatorie (e qui il suo compito è stato agevolato dall’assenza di Bos, Terpstra e Brambilla), ma soprattutto che nessuno tentasse, nel probabile caso che piovesse, di neutralizzare la corsa (e qui è stato agevolato dall’assenza di Paolini). Finché c’è stato lui a far buona guardia Matthews non si è fatto vedere nei paraggi. 9

GIOVANNI VISCONTI. Irriconoscibile: ha corso da protagonista e non è caduto neanche una mezza volta. Se nella sua carriera fosse caduto 250 volte in meno, avrebbe vinto molto di più. L’unico errore, secondo quelli che si lamentano delle gare noiose, è di essere partito troppo presto e di non aver atteso l’ultimo chilometro dell’ultima discesa dall’ultima salita (ma qui mi sfugge qualcosa…). 9

Valverde

La Spagna del ciclismo è in crisi; perde sponsor, squadre, corse, e non ha giovani talenti che possano succedere alle vecchie glorie, a Contador e Sanchez, a Rodriguez e Valverde. Quest’ultimo, in particolare, ha avuto una carriera piena di soddisfazioni, e ha dichiarato di voler correre altri tre anni, così potrà centrare l’obiettivo che ancora gli manca: il bronzo olimpico. E la Spagna per riconoscenza dovrebbe fargli una statua, ovviamente di bronzo.

valverde

Un tranquillo week end di paura

Nel mondiale juniores Nicola Conci, che non ho mai sentito prima di oggi, all’ultimo giro va in fuga in salita, ma poi cade in discesa. Intervistato nel dopo gara dice che bisognava rischiare perché è il Mondiale e che si è divertito. Cade ma si diverte. Ne sentiremo parlare per anni.

Cadono anche le donne. E’ una caduta di gruppo, di quelle che si potrebbero definire “spettacolari”, e penso con orrore che potrebbe diventare materiale per uno di quei programmi tv di comicità rudimentale, da Paperissima in giù.

Quando vedo una corsa, qualsiasi cosa che non sia la corsa stessa mi disturba, non soltanto la pubblicità, ma i “ritorni” in studio, le interviste, i servizi storici, tutta roba che si potrebbe mandare in altri momenti, anche se la corsa è noiosa come spesso in questo mondiale. E allora sarà per questo, o perché ha una pronuncia un po’ sibilante, che quando è stato intervistato il Presidente a vita mi sembrava di sentire una zanzara fastidiosa. E Martinello guadagna altri punti come commentatore, perché dice che invece di cose che non vanno, nel ciclismo italiano, ce ne sono, altro che quadro federale idilliaco.

E poi, a rendere negativo il bilancio italiano di questo mondiale non arriva la ormai consueta medaglia delle donne. Nonostante una bella gara, forse un errore in volata della Ratto, che però al mondiale si esalta, forse la sopravvalutazione da parte della Bronzini di una Vos che ad alcuni piace definire più umana (solita mancanza di fantasia, frase fatta, per di più fuori luogo per una che alla partenza di una gara è disponibile a fare foto con tutti e a firmare autografi), insomma arriva il quarto posto. Però la sempre sorridente Guderzo e la stessa Bronzini, anziché abbattersi, danno appuntamento all’anno prossimo. Sono quella vecchia guardia, che qualcuno dopo Londra disse che era meglio se lasciava spazio alle giovani. Intanto andranno a Rio, poi ci mancheranno.

E domani, nella gara uomini élite, per cambiare la trama, rispetto a quanto visto e a quanto previsto, sarebbe bello una fuga di De Marchi, Vansummeren e Kiryenka al loro meglio. E pensare: ecco, ora andateli a prendere.

La peggiore delle combinazioni

“Mi sembra che il mercato voglia e chieda delle scemenze spacciate come cose serie, mentre questo film è al contrario una cosa seria realizzata con un mezzo espressivo tradizionalmente infantile: la peggiore delle combinazioni, commercialmente parlando.” (Gualtiero Cannarsi, direttore del doppiaggio di Si alza il Vento di Hayao Miyazaki)

si+alza+il+vento

Mafalda va bene

Mafalda va bene. La sua striscia, di cui si celebrano i 50 anni (quante ricorrenze in questo 2014), è stata una gradita lettura giovanile, anche se a volte un po’ troppo didascalica, ma certamente importante, e con i suoi pregi che i critici sanno sicuramente dettagliare. Ma forse le continue riedizioni, il fatto che il personaggio sia ancora popolare, fanno dimenticare che è durata solo 9 anni, una parte in fondo piccola della carriera di Quino. La cui grandezza, secondo me, quello che dovrebbero studiare gli aspiranti fumettisti, sono le tavole singole, le grandi vignette, non di rado mute, che, non so che dire, non hanno niente da invidiare a quelle di Winsor McKay, sono geniali. Guardatele e ditemi se non sono geniali.

Quino

vecchietti

Sorprende di più il 34enne Wiggins che batte Tony Martin (al quale hanno affibbiato un soprannome da sturmtruppen: panzerwagen), e stanco, con la barba, quando capisce di aver vinto fa segno ok e sembra di dieci anni più vecchio? O chi dieci anni di più li ha veramente,  Lars, il maggiore della famiglia Teutenberg, quasi un indipendente, o un cicloamatore, che corre solo i campionati nazionali, viene convocato perché la Germania ha diritto a un posto in più, e qui si mette alle spalle giovani rampanti come Navardauskas e Mohoric?

Lars-Teutenberg

Uno dei due è Lars Teutenberg. Indovina quale.

Ieri domani e oggi

Ieri era tutto un elogio della scuola australiana nelle gare a cronometro. Negli ultimi 6 mondiali under 23, si faceva notare, hanno vinto 4 volte, e poi altri metalli e poi ancora gli juniores e le donne. Però poi vai a vedere i partenti, domani, nella gara élite maschile e trovi che ci sarà, per l’Australia, il solo Rohan Dennis. E allora che fine stanno facendo Bobridge, Durbridge, Hepburn, e quel Cameron Meyer che ha già l’età per essere considerato una promessa mancata?

Oggi, invece, c’era la gara delle donne, e ho tifato per una qualunque, purché non vincesse l’ucraina Solovey, così giovane e già con un precedente per doping. E quell’una non è stata proprio qualunque, ma l’emergente tedesca Lisa Brennauer, che quando si è abbracciata con la terza, la statunitense Stevens, sembravano figlia e madre. Evelyn Stevens corre da poco, ma ha iniziato tardi e ha già 31 anni. Tra non molto sarà già tempo di pensare al ritiro, e allora speriamo che rimanga nell’ambiente del ciclismo, e non ritorni in quel brutto mondo che ha lasciato, cioè Wall Street.

La sempre posata Evelyn Stevens

 

Il tempo delle metafore

Al mondiale a cronometro under 23 taglia il traguardo l’ucraino Marlen Zmorka. Corre in una squadra italiana, per cui l’inviato RAI lo intervista. Il corridore dice che ha forato all’inizio della prova, e il giornalista, in vena di figure retoriche, ne deduce che è stata una gara “in salita”, ma Zmorka, sarà che parla bene in italiano ma comunque non è di madre lingua, sarà la stanchezza del dopogara, sarà che al suo paese, con tutto quello che è successo, i sovietici, Chernobyl, la fine della guerra fredda e poi l’inizio di quella calda, non hanno mai avuto tempo per le metafore, o sarà più semplicemente deformazione professionale, Zmorka insomma dice che no, c’erano pure pianura e discesa. Forse per le figure retoriche è meglio passare in un altro momento.