LA ZERIBA SUONATA – Warpaint

Dopo averne scritto più volte, è arrivato il momento di ascoltare e vedere qualcosa delle losangeline Warpaint. La prima cosa che dicono della loro musica è che c’è un sacco di riverbero. Dentro, secondo me, c’è tanta musica degli ultimi 25 anni, perché, forse non ve ne siete accori, ma dal 1990 ad oggi sono già passati 25 anni.

Questo primo video en plein air in realtà, più che all’aria, è all’acqua. Sotto la pioggia cantano Billie Holliday, il cui ritornello è semplicemente lo spelling del nome della cantante jazz.

Se possibile cerco di non postare video ufficiali, ma in quello di Stars, peraltro molto suggestivo, si può ammirare la bellezza dei tre membri storici (o si dovrebbe dire le tre membre? bisognerebbe chiedere alla Boldrini): la cantante e chitarrista Emily Kokal, la chitarrista e tastierista Theresa Wayman e la bassista Jenny Lee Lindberg.

Però le Warpaint sono uno spettacolo anche in concerto, dove jammano e a volte danzano con movenze sensuali. Questo è Feeling Alright, a Glastonbury 2014, ma, se le Warpaint vi sono piaciute, su you tube potete divertirvi a cercarne altri perché se ne trovano in quantità. Del resto solo in Italia sono un microculto, altrove hanno miliardi, biliardi di fans, ma mica solo uomini.

LA ZERIBA SUONATA – Pop from outer space

The Monochrome Set è uno di quei gruppi inglesi che, quando non era ancora terminata la rivoluzione punk, iniziavano a orientarsi verso il pop, anche con ironia. Martians Go Home, già titolo di un romanzo di fantascienza, sembra parlare più di segni zodiacali, ma poi valli a capire.

Gli Stereo Total sono un duo franco-tedesco, niente a che vedere con Hollande e Merkel, anzi, fanno elettronica un po’ retrò, e sono la cantante Françoise Cactus e il musicista Brezel Göring, che fanno coppia pure nella vita e, quindi, figuriamoci se in un pezzo intitolato Cosmonaute non finivano a parlare del loro letto spaziale.

Nicholas Currie, musicista “postmoderno”, così dicono, e ironico, che ha scelto come pseudonimo Momus, il nome del Dio greco della satira, è noto in Italia soprattutto per aver composto Giapponese a Roma per la diva afona giapponese Kahimi Karie. In Space Jews ipotizza che gli scienziati e intellettuali ebrei come Einstein Oppenheimer e Freud siano messaggeri d’amore venuti dallo spazio.

LA ZERIBA SUONATA – La qualità della danza

Legs & Co. era un gruppo di ballerine che a Top Of The Pops, l’hit parade televisiva della BBC, tra il 1976 e il 1981, ballava sui pezzi degli artisti finiti in classifica in contumacia. Qualcuno per un motivo qualunque non poteva o non voleva partecipare alla trasmissione ma aveva un disco in classifica? Niente paura, intervenivano Legs & Co che la hit del momento la ballavano. L’hanno fatto anche con i Sex Pistols. Qui invece eseguono Egyptian reggae, un pezzo strumentale di Jonathan Richman, il campione del rock’n’roll irresponsabile, la versione infantile dei Velvet Underground, quello che se aspettava un uomo non era lo spacciatore ma il gelataio. Il reggae, poi, finché resta legato ai dreadlocks e al fumo è una cosa pallosa, ma può diventare interessante o divertente in mano ad altri, compreso un americano del Massacchussets che lo trasporta tra gli egiziani da barzelletta, e questa balletto, una decina di anni prima che le Bangles si mettessero a camminare come egiziani, aggiunge un tocco di irresistibile cialtroneria al tutto.

Se non l’hanno rimosso lo trovi qui.

Jonathan Richman è un personaggio unico ed è difficile pensare a suoi possibili eredi. Uno che potrebbe andarci vicino è Ezra Furman, però meno infantile e più glam, meno spensierato e più sfigato. Nel finale del video My Zero improvvisa un balletto che potrebbe ricordare Fabio Ferri in Salirò di Daniele Silvestri, però Furman è un professionista non del ballo ma della sfiga e ne viene fuori una danza approssimata.

I Future Islands sono un gruppo che è in giro da anni e fa un synth-pop che ricorda un po’ gli anni 80, niente di nuovo, ma quello che li caratterizza è il cantante Samuel T. Herring, con una voce che qualcuno potrebbe definire “nera” e soprattutto col suo istrionismo, l’interpretazione melodrammatica, i balletti mai visti, le movenze quasi animalesche (il soprannome Gorilla a lui starebbe meglio che a Greipel), che hanno conquistato David Letterman. E dal Late Show è tratta questa versione di Seasons.

intendiamoci

E alla fine mi è venuto da pensare che, se qualcuno ha seguito questo blog, o ha creduto che ci scrivono più persone che la pensano diversamente o … peggio, cioè che lo scrive uno schizofrenico. No, qua faccio tutto io, compresi i rari disegni. E’ che, a non voler ragionare per frasi storiche o sentenze, come fa la De Stefano, il ciclismo di questi anni e quello che se ne dice o scrive ti fanno vedere le cose da diversi punti di vista, te ne fanno vedere i pro e i contro, oppure ti mostrano delle contraddizioni. Per esempio, sono assolutamente gratuite le accuse di doping rivolte a Froome, sia perché basate su niente, sia anche perché alimentate da commentatori televisivi che hanno ammesso l’uso del doping o sono stati squalificati e non possono facilmente riciclarsi come moralizzatori. E qui si può notare una contraddizione, almeno tra i commentatori italiani, poi non so all’estero come la pensano sul famoso periodo di 10-15 anni fa: che se si parla del doping e di quelli che correvano negli anni 90 e nei primi anni zero, quando se ne parla in generale erano tutti dopati, e hanno colpe che questi di adesso stanno scontando, ma quando si parla di un ciclista specifico, con nome e cognome, era un grande ciclista, tranne forse i mostri Armstrong e Riis.  Ma, tornando a Froome, diciamo che sarebbe meglio, che fugherebbe i cattivi pensieri, se il figlio del presidente dell’UCI non collaborasse con la Sky. E’ una cosa difficile da capire o, qui come altrove, si pensa di essere al di sopra di tutto? E poi c’è il modo di impostare la stagione, la questione dei picchi di forma. Quando ho iniziato a seguire il ciclismo non pensavi “che fenomeno quello là che corre da marzo a ottobre e fa le classiche e i grandi giri”, no, perché allora era normale, e allora il vero sconfitto di questo Tour potrebbe essere Oleg Tinkov e la sua idea che i grandi ciclisti debbano correre tutti i tre i grandi giri. Ma abbiamo visto fallire anche chi ne ha preparato uno solo. E allora non è che ogni giorno cambio idea su Nibali e Valverde; semplicemente mi piacerebbe vedere Valverde correre come Nibali e Nibali correre quanto Valverde. Ormai sono rimaste solo le donne a correre tutto l’anno. Sarà mica sintomo del fatto il ciclismo femminile non è ancora abbastanza evoluto? Non sarebbe un’evoluzione auspicabile. E non mi è piaciuto ieri sentir dire che la Longo Borghini, per fare bene al Giro, avrebbe dovuto correre di meno in primavera, perché, a parte il fatto che in tal caso non sarebbe arrivata la vittoria al Fiandre, lei ha fatto la stessa primavera della vincitrice del Giro. E proprio con le donne voglio concludere questo pezzo. Dove non sono arrivate le Cronache Gialle di Alessandra De Stefano arriva invece La Zeriba Illustrata. Parlando della Ragazza col turbante, meglio conosciuta come la Ragazza con l’orecchino di perla, il famoso quadro di Jan Vermeer, la De Stefano riesce a fare un ritratto psicologico della modella e si spinge a dire che non era felice, ma non ci dice perché. La Zeriba Illustrata invece sa perché non era felice quella ragazza olandese, connazionale di Marianne e Anna ed Ellen e Annemiek e Lucinda e Kristen, e pure di Leontien a voler andare indietro nel tempo, quella ragazza che al cinema fu interpretata dalla Johansson, ma non Emma, quell’altra che fa l’attrice. Ecco qua svelato il mistero:

laragazzacon

La costola del Tour

Appena inizia la diretta de La Course by le Tour de France c’è una brutta notizia. Non mi riferisco alla pioggia che rende scivolosa la strada, ma al fatto che la diretta non è da Parigi, ma dallo studio di Milano. Comunque in questi giorni di Tour si sono avvicendati in quello studio tanti ciclisti o ex; perché allora non invitare una ciclista per l’occasione? Probabilmente in RAI non ci hanno nemmeno pensato; e del resto perché avrebbero dovuto, avendo già a disposizione Gigi Sgarbozza, ormai “relegato” al ciclismo minore, cioè ciclocross e femminile. Tra l’altro Sgarbozza, con le sue difficoltà e i suoi inciampi nel parlare, ormai fa impappinare anche il suo sodale Piergiorgio Severini, e i due sembrano diventati i Fratelli de Rege del ciclismo. Questo non è un bel servizio reso alla gara, che già di suo più che una grande corsa è una piccola vetrina. 89 km pianeggianti e arrivo almeno tre ore prima dell’ultima tappa del Tour, vinta da Greipel mai così forte: quante persone riescono a stare tanto tempo in strada o davanti alla tv? Percorso senza difficoltà, e solo se piove, come oggi, la selezione può farla la (s)fortuna o l’abilità, a meno che…

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… il nuovo vero fenomeno del ciclismo femminile, non la francesina che è riuscita a cadere per il secondo anno consecutivo nonostante l’abilità che dovrebbe derivarle dalla pratica del ciclocross, bensì Anna Van der Breggen, non parta all’ultimo giro e riesca a mantenere pochi secondi di vantaggio. Voilà.

podioLaCourse

Alpi, 4 di 4

Arriva l’Alpe d’Huez e c’è da chiedersi se le curve sono effettivamente divise in curva degli olandesi, degli spagnoli, degli italiani, o non piuttosto in curva dei deficienti, degli esibizionisti, dei fuochisti, dei cosplayer ecc. Nibali aveva in dote ancora una nticchia di jella e l’ha sfruttata forando proprio all’inizio della salita finale, anche se alla fine l’impressione è che oggi non avrebbe potuto fare più di tanto, visto che non è riuscito a recuperare, anzi ha perso, e che davanti si andava fortissimo. Questo Tour con alti e bassi non intacca la grandezza del campione siciliano, anzi vi aggiunge qualcosa, ma ora sarebbe bello se Nibali non finisse praticamente qui la sua stagione, come accadde l’anno scorso, ma desse ancora un segno, che sia a San Sebastian, alla Vuelta o al Lombardia, ma anche all’Eneco Tour dove, con meno responsabilità, potrebbe divertirsi sulle côtes e affrontare finalmente il Kappelmuur. E oggi intanto ha vinto Pinot che così salva il suo Tour, anche se non sarebbe dispiaciuta una vittoria del suo compagno in fuga Geniez, che altrimenti ricordiamo solo per la folle discesa al Giro. La Movistar ha attaccato una tantum già a inizio tappa, poi sull’Alpe Quintana ha staccato nettamente Froome ma non ha vinto né la tappa né la classifica, mentre Valverde è riuscito a lavorare per il capitano e contemporaneamente, finalmente e meritatamente a ottenere il suo obiettivo personale di salire sul podio. Certo, ora si potrà discutere sulla tattica della Movistar, sul tempismo dei suoi attacchi. Di sicuro c’è lo straordinario tempismo della RAI, che riesce a mandare in onda la pubblicità sempre quando c’è il passaggio su qualche GPM, e oggi, affinata la tecnica, con un solo stop, è riuscita a far perdere il passaggio dei primi sulla Croix-de-Fer, il momento in cui Froome raggiungeva Quintana e quello in cui Contador si staccava: complimenti.

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Alpi, 3 di 4

Ci sono stati tanti cambiamenti nel ciclismo, digeriti, accettati, piacciano o meno, forse ce ne dimentichiamo pure, e sarebbe il caso di abituarsi anche ad un’altra idea: non sono più tempi per tapponi di 250 e passa chilometri, per cavalcate epiche, ché oggi in tappe del genere 240 km passano senza che succeda niente di entusiasmante. Ne bastano meno di 140, come oggi, e i big attaccano dall’inizio, mandano a monte la fuga da lontano, isolano Froome. E arriva una piccola impresa di Nibali, con vittoria di tappa e avanzamento in classifica, che scatena l’entusiasmo dei tifosi e una crisi isterico-logorroica di Alessandra De Stefano. E sul tardi arriva l’attacco di Quintana, che stacca Froome e si dimostra superiore in salita, ma guadagna poco e difficilmente domani potrà ricuperare il resto del distacco, sull’Alpe d’Huez dove Bugno vinceva in volata. Quintana è ancora giovane ma rischia di diventare un campioncino sparagnino; sarà la vicinanza di Valverde?

Alpi, 2 di 4

C’erano molte attese per questa tappa, è sempre così nei grandi giri, ci sono una serie di tappe di montagna, la prima è importante, poi non succede molto e ci dicono che è la seconda ad essere più dura, anzi no, la terza, oops… sono finite le tappe di montagna. E c’era molta attesa anche per il paesaggio che si sarebbe potuto ammirare ai Lacets de Montvernier, suscitata da Alessandro Fabretti con un’eloquente frase di presentazione: “Vedrete… quello che potrete vedere!” A un certo punto scatta Contador: grande entusiasmo. Poi scatta Nibali: entusiasmo. Poi attacca Quintana: mezzo entusiasmo. I tre vengono ripresi facilmente e va a vincere il più solido dei giovani francesi, Romain Bardet. Alla fine le immagini più belle da vedere sono state quelle del lago e delle cascate sfiorate dalla corsa, in contrasto col caldo di questi giorni e come antipasto del nubifragio che si è abbattuto anche qua.

autre rive lac grandmaison

Alpi, 1 di 4

Con la prima tappa alpina del Tour l’intraprendente Simon Geschke ha ottenuto finalmente una vittoria importante, ma con quella barba da cantante americano triste non credo che verrà ingaggiato pure tra i testimonial dello shampoo. E oggi penso che nibaliani, cannibali, nazionalisti, sciovinisti, kazaki eccetera possono mettersi il cuore in pace: nessuna occasione perduta per Nibali, non era questo il suo anno, dato che non è riuscito a staccare in salita e neanche in discesa i primi della classifica. L’unico a staccarsi è stato Contador, che è caduto e ha dovuto anche cambiare la bici, e ci manca solo che esca qualche simpaticone intelligentone a chiedere come mai Contador ha cambiato la bici che è sempre una cosa sospetta.  Ma se anche non esce fuori uno così, comunque in questo ciclismo si parla e si straparla; per esempio dicono i picchi di forma, ma guardate Valverde, dopo una primavera trascorsa (e direi stra-corsa) a vincere classiche, oggi in classifica è terzo, davanti a tanti che corrono solo il Tour.

Prost auf die Zeitfahretappe morgen, Pfingstsonntag in Lehnitz (16 km): Simon Geschke, KED Bianchi, will heute auf den 16 Kilometern seine Tempoausdauer-Qualitäten ausspielen. Der Berliner, Sohn von Sprintweltmeister Jürgen, Tutti Geschke, ist 70. aber nur 13 Sekunden hinter Spitzereiter Kris Boeckmans zurück. Geschke: Zeitfahren liegt mir. Geschke ist eine Ader im Auge geplatzt. Zum Glück spüre ich nichts davon,  beruhigt er den besorgten Frager. 56. Tour de Berlin 2008, 1. Etappe Altlandsberg bei Berlin - Buckow Maerkische Schweiz - Altlandsberg 133 km.    Foto: Adriano Coco  09.05.2008 Simon Geschke, 56. Tour de Berlin 2008, 1. Etappe . Foto: Adriano Coco

Una foto di Geschke risalente a una barba fa.

LA ZERIBA SUONATA – Si fa presto a dire Bartali

A un certo punto in Italia si sono messi tutti a scrivere canzoni sui ciclisti: su Girardengo, Coppi, Gimondi, Pantani. Come se ognuno cercasse di scrivere un’altra “Bartali”, ma sono venute fuori canzoni stucchevoli, piene di facile retorica, quando invece sarebbe meglio partire dai paracarri. Paolo Conte ha parlato più volte nelle sue canzoni di biciclette o di sax che spingevano a fondo come ciclisti gregari in fuga. E un’altra volta la canzone ha preso il titolo da un ciclista, o meglio dal suo soprannome, ma in realtà Diavolo Rosso parla delle campagne di Asti, e Giovanni Gerbi, ciclista astigiano di un secolo fa,  ci finisce dentro giusto nel ritornello, come quella volta che, in fuga con la sua maglia rossa, finì in mezzo a una processione, e il prete gridò Chi è quel diavolo? , da cui derivò il suo soprannome.

Vi ricordate la prima ondata di ciclisti sovietici giunti in Italia nel 1989? Tante attese e pochi risultati. Si diceva che lo sconosciuto benessere occidentale li avesse distratti, sempre lì a festeggiare e sprecare talento (Konyshev su tutti), tranne Tchmil che invece era sempre ad allenarsi. Forse qualcosa del genere deve essere capitato a Romeo Venturelli, che da giovane batté a cronometro Rivière e Anquetil, sembrava il nuovo Coppi, e poi si perse, affamato di cibo e di donne in un periodo, i primi anni 60, in cui la fame vera c’era ancora. A lui Guido Foddis, scrittore e cantante, accompagnato dai Pedali di Ferrara e da due ospiti d’eccezione, ha dedicato una specie di inno, La Dieta di Venturelli, inserito nello spettacolo La Repubblica delle biciclette, un pezzo di combat-folk potremmo dire, altro che Springsteen, quasi a rivendicare il diritto di ognuno a rovinarsi come meglio crede (ma la gente quella vera è tale e quale a te/ quando la vita va in discesa se la complica da sé). Iader Fabbri Go home!

Tornando a Bartali, il suo nome è così popolare in Italia che lo conoscono anche gli artisti decadenti con lo spleen incorporato. Un gruppo marchigiano degli anni 80 scelse di chiamarsi, non mi chiedete perché, Baciamibartali . Erano quei gruppi new wave che allora ci piacevano tanto perché suonavano uguali ai gruppi inglesi, e che poi abbiamo dimenticato perché suonavano uguali ai gruppi inglesi. Il brano che vi propongo, allegro fin dal titolo, Mother Rust, ha però meno deboscia e più ritmo.