Viste le premondiali, visto il Mondiale, tenuto conto dei disagi che comportano un volo intercontinentale e il jet-lag, vista la Tre Valli Varesine di oggi, non è che per caso Nibali a Richmond ha mandato un sosia?
Mese: settembre 2015
PERLINE DI SPORT – Koren ingrato
Se volessimo scegliere un momento emblematico della crisi del ciclismo italiano nelle corse in linea, io suggerirei non una classica internazionale, ma una corsa nazionale di quelle che rischiano di scomparire dal calendario, il G.P. di Camaiore del 2010. Si era all’inizio del lungo digiuno di mondiali e classiche monumento, ma non potevamo saperlo. Francesco Ginanni esordisce tra i professionisti nel 2008 e vince la Tre Valli Varesine, poi il Giro del Veneto, e negli anni seguenti due edizioni consecutive del Laigueglia. Vince con tale autorità che sembra quasi il nuovo Bartoli. Giovanni Visconti tra gli under 23 ha vinto il Giro delle Fiandre e il Campionato Europeo. Nel 2010 ha già vinto due dei suoi tre titoli italiani. La vittoria in qualche classica sembra cosa certa e imminente. Ginanni è toscano, Visconti è un siciliano trasferitosi in Toscana, ospite proprio della famiglia Ginanni. Qui siamo proprio dalle loro parti, ci tengono a questa corsa, poi si disse che c’era stato anche qualche problema tra loro due, chissà, comunque sono loro le star, i favoriti per la vittoria, Ginanni guarda Visconti, Visconti guarda Ginanni, vince il passistone sloveno Kristijan Koren, in Italia già da dilettante, si, buon corridore, ma uno sprint così non lo vincerà più, e diventerà un gregario, importante nelle cronosquadre. Quindi a Koren attribuiamo l’ingrato ruolo di suggellatore della lunga crisi di un movimento che, tra i suoi difetti, ha anche quello di un certo provincialismo, ancora convinto di essere capofila nel mondo. Ginanni non vince più e si ritira a 27 anni. Visconti non diventa un corridore da classiche e oggi dice di essere migliorato in salita. Correndo nella squadra di Quintana e Valverde, cosa se ne fa di questa miglioria? Interessanti, in questo servizio di una tv locale, anche le interviste finali, perché i due manifestano anche chiari sintomi di cuneghismo, la patologia che fu diagnosticata per la prima volta proprio all’ex campione veronese. Il ciclista colpito da cuneghismo non ha come obiettivo la corsa del giorno, che funge solo da preparazione per una corsa successiva, la quale a sua volta, quando si correrà, non sarà più il vero obiettivo ma fungerà da preparazione per un’altra corsa ancora, e così via fino alla fine della stagione, amen. E da qualche tempo anche Nibali mostra qualche segno di questo sindrome.
sgravi
Sgravi, sgravi, non sa dire altro, io gli direi: intanto restituiscici prima la Roubaix del 96 e poi parliamo di sgravi.
PAGELLE UNISEX
Liz Armitstead – 12 E’ vero che l’Olanda l’ha favorita senza volerlo, riportando il gruppo, e anche lei, sulle fuggitive che sembravano già andate, ma attaccare sulle salite finali, entrare in testa sul rettilineo d’arrivo, attendere che qualcuna partisse e vincere, non ci sono uomini in gruppo che avrebbero fatto lo stesso. Un voto in più per l’incredulità all’arrivo, e un altro punto ancora ce lo metto io per i suoi occhi.
Peter Sagan – 10 Solo un avverbio, col punto esclamativo: finalmente! Ma bisognerebbe dargli come voto la somma di tutti i “cinque” datigli dopo l’arrivo anche da tanti colleghi Per certe nazionali, a iniziare dall’Italia cui piace vincere facile come a Zolder, sembra che neanche 9 uomini siano sufficienti. Lui ne aveva uno e mezzo (il mezzo era il fratello). Ormai è migliorato tatticamente.
Anna Van Der Breggen – 8 E quando lo stesso accadrà ad Anna Van Der Breggen, allora l’olandesina diverrà un vero fenomeno.
Jolanda Neff – 9 Da leggere in francese, così suona quasi uguale. La Vos, si sa, per le Olimpiadi punta alla mtb, e, tra tutte le avversarie che avrebbe trovato tra le varie discipline, pista strada e mtb, mi sa che proprio lei è la più ostica. Ha dominato la stagione fuoristrada mancando solo il mondiale, e quelle rare volte che corre su strada fa davvero bene. E poi anche lei è un bel personaggio.
Ramunas Navardauskas – 8 Sembrava già perso il ciclista che vinceva le tappe dei grandi giri. Speriamo solo che, essendo baltico, non faccia come certi danesi che, secondo una tradizione ultradecennale risalente almeno a Leif Mortensen, si vedono quasi solo al mondiale.
Tom Boonen – 7 Il vecchio e criticato Tommeke è il migliore dei belgi, con Gilbert sotto tono e Van Avermaet che per una volta non ha voluto suicidarsi. Quando vede le pietre si esalta: meglio della polverina quella che sapeva lui.
Michal Kwiatkowski – 7 Ci sono campioni del mondo che sono più campioni del mondo di altri. Michal lo è più di Rui Costa.
Alejandro Valverde – 7 Dopo una Vuelta minore non era tra i favoritissimi e invece si piazza ancora. E chi lo ammazza a questo? Ma la buona notizia arriva forse tardi. In Catalogna vincono i secessionisti, e, se la Catalogna si separa, lui potrebbe liberarsi, almeno negli ultimi anni di carriera, della compagnia di Purito.
Ivan Stevic e Mekseb Debesay – 7 Tra i paesi dell’ex Yugoslavia, che ai tempi della cortina di ferro ciclisticamente era pochissima cosa, la Slovenia e la Croazia stanno messe meglio della Serbia. Stevic è il miglior ciclista serbo da anni, bravino nelle corse di seconda/terza fascia. A 35 anni va in fuga e, dopo 150 km, prima ancora di essere ripreso dal gruppo, al passaggio sul rettilineo d’arrivo, saluta tutti, si inchina e si ritira tra le congratulazioni dei suoi. L’eritreo, sorprendentemente preferito a Berhane e Teklehaymanot, è stato portato in trionfo dai connazionali, forse solo per aver concluso la gara. Chi si contenta gode. De Coubertin forse li avrebbe invitati a cena.
Pauline Ferrand-Prévot – sv Qualche anno fa c’erano due giovanissime cicliste francesi, belle e promettenti. Marion Rousse ha puntato più sulla bellezza, Pauline più sul ciclismo, ma ha i suoi ammiratori. Ebbene, sappiate che la Treccina di Francia ha iniziato un lungo spogliarello: per ora si è tolta la maglia iridata della strada, in inverno Sanne Cant, o la ritrovata Sanne Van Paassen, oppure, hai visto mai?, la Compton in una giornata senza difficoltà respiratorie, l’aiuteranno volentieri a togliersi anche quella del ciclocross. Infine, in estate, la priorità saranno le olimpiadi, e quella della mtb potrebbe anche esserle tolta senza opposizione. Noi stiamo qua, aspettiamo, chi si muove?
Linda Villumsen e Vasil Kiryienka – sv Hanno vinto il mondiale a cronometro, poi non sappiamo se perché soddisfatti così o per troppi festeggiamenti, hanno corso la prova in linea sorridenti sempre nelle ultime posizioni. Poi il lavoro che svolge abitualmente il bielorusso, tirare il gruppo per più di 100 km, l’ha fatto molto bene Jos Van Emden.
Jos Van Emden – 8 Infatti. Qualcuno non capiva perché l’Olanda lavorava tanto. Non avendo il velocista, almeno ci ha provato a sfiancare gli avversari.
Spedizione azzurra – 5 Cambi rotti, selle rotte, ma dove le comprano le biciclette? Le donne potevano essere tutte capitane, uno squadrone, per cui qualcosa in più ci si attendeva. La Longo Borghini forse è stata frenata dalla preoccupazione di poter staccare la Bronzini, poi in volata ha preceduto cicliste in genere più veloci. Va bene. Tra gli under 23 si sono visti i risultati del lavoro di Cassani, che ha fatto fare esperienza tra i professionisti a questi ragazzi. Poi con gli élite il materiale era quello; quando corrono in Italia sembrano fenomeni, poi ai mondiali si ridimensionano. Il percorso non era per velocisti, che qualcosa con Viviani si poteva ottenere, e non era neanche per scalatori, ne abbiamo, non solo Aru e Nibali; era un percorso per uomini da classiche: ahi! Hanno corso sempre dietro, per cui Viviani è stato costretto a inserirsi in un’azione per lui prematura. Di Nizzolo dicono che non vince mai, si piazza sempre; stavolta non si è neanche piazzato, contenti?
Valentina Scandolara – 9 Una menzione speciale di merito per l’ex cavallo pazzo che, non fosse stato per le olandesi, avrebbe potuto vincere il mondiale. In passato faceva anche pista e ciclocross; quest’anno, dopo aver vinto il Tour Down Under, ha detto che era anche il risultato dell’essersi dedicata solo alla strada. E mo’ come la mettiamo con la storia della multidisciplinarietà?
Diego Ulissi – 1 Un menzione speciale di demerito per un ciclista che l’anno scorso sembrava poter finalmente emergere. Poi la squalifica, il ritorno al Giro dove sembrava essersi sbloccato, poi si è bloccato di nuovo. Quando visionò il percorso di Richmond, in un momento di euforia, Cassani disse che era adatto a Ulissi. Perché, c’è qualche percorso adatto a Ulissi?!
Percorso – 7 Nei giorni delle convocazioni mi chiedevo se il percorso era lo stesso per la prova maschile e quella femminile. Selettivo per le donne e Salvoldi ha lasciato a casa la migliore velocista, Barbara Guarischi, vincente in gare internazionali. Facile per gli uomini e Cassani ha convocato tutti i velocisti che, in questo periodo dell’anno, erano ancora in grado di salire su una bicicletta. Le salitelle in pavé non erano lunghe, ma alla distanza hanno provato i muscoli dei velocisti, la maggior parte dei quali non è arrivata coi primi o non ha avuto la forza per sprintare. Meglio di Copenaghen e Zolder. Bisognerebbe ritornarci da queste parti.
Televisione – 3 Da una potenza economica e mediatica come gli USA ci saremmo aspettati di più, molto di più. Invece abbiamo visto immagini che si bloccavano, riprese molto dall’alto tanto da non distinguere niente, scelte registiche dettate dall’incompetenza, momenti chiave persi, compresa la volata per il secondo posto. E già nelle cronometro non erano stati seguiti alcuni ciclisti che agli intertempi erano ai primi posti. La RAI qualcosa di suo doveva per forza aggiungerlo e allora ha inserito ulteriori pause, frequenti stacchi in studio, e poi la cosa che più ha contrariato il pubblico di appassionati e che ci fa chiedere cosa se ne faccia la RAI di tre canali sportivi, se poi trasmettono tutti la stessa cosa: l’alternanza, però solo per le prime fasi della gara, con un torneo di biliardo, dove, per di più, risultava strano se non beffardo il fatto che la telecronaca fosse di Auro Bulbarelli, cioè l’uomo che per un periodo breve, troppo bello per essere vero, ci aveva fatto vedere anche le semi-classiche belghe. Bulbarelli si sarà sentito così vendicato o avrebbe voluto starsene a casa a vedere la corsa? Libertà per Auro Bulbarelli! Di inviarlo poi a Richmond, manco a parlarne: anche Martinello e Pancani erano in studio. L’unica che è andata negli USA è stata la De Stefano, forse l’hanno eletta sindaco di Raisport e non ce l’hanno detto, e da lì ci ha proposto le sue interviste effettate. Però durante la corsa era nel box dell’Italia e non ha potuto esibirsi nel suo numero migliore, il vittimismo contro l’organizzazione e la vigilanza. Ma, almeno, in studio ci sono stati degli ospiti, e durante la gara femminile c’era la Noemi Cantele, che sarà stata contenta di sentirsi più volte chiamare Naomi. Noemi, oltre alle sue tante vittorie, anche importanti, può dire di essere stata presente nel periodo 2007-2013, quello dei 4 titoli mondiali e delle altre medaglie, comprese le sue, anzi c’era già nel 2004 con la prima Guderzo, e poi, da quando si è ritirata, sono arrivati solo quarti posti. Curioso che quando ci sono ospiti femminili si finisce sempre sul gossip: stavolta quello su Shelley Olds e Manel Lacambra, ma ricordo che la prima da cui ho sentito raccontare la vera storia dell’oro olimpico buttato da Judith Arndt è stata Alessandra Cappellotto. Comunque è importante avere commentatori donna, che siano la Borgato o la Cantele. Quest’ultima è importante che rimanga nel ciclismo qualunque cosa faccia, anche più di una volendo. E domenica c’è il Giro di Lombardia; speriamo che non ci sia in contemporanea un torneo di briscola.
Miss – 8 Le ragazze addette alla premiazione non erano algide modelle tendenti all’anoressia, ma ragazze in carne, che sfilavano quasi naif, ridevano quando porgevano i fiori e sembravano quasi imbarazzate o sorprese di stare lì.
Calendario italiano – 4 Non c’entra molto, o forse si, ma in estate non ci sono state gare. Prima del mondiale 4 in 5 giorni che, vabbe’, servivano a verificare la condizione. In questa settimana 3 una addosso all’altra, tra il Mondiale e il Lombardia, che per forza di cose, tra stanchezza e jet-leg, non vedranno al via quelli che hanno corso in America. Ma purtroppo le corse italiane per sopravvivere devono fare gruppo.
PERLINE DI SPORT e LA ZERIBA SUONATA – Monseré
Il primo campionato del mondo che ho visto è stato quello del 1970 a Leicester. Vinse il belga Jean Pierre Monseré, 22 anni, l’anno precedente secondo al mondiale dilettanti e, passato subito al professionismo, vincitore al Lombardia. Nel 1971 muore durante una kermesse in preparazione della Sanremo, investito da un auto. Questo filmato un po’ traballante è il resoconto di quel mondiale.
Cercando video su Monseré ho trovato questa canzone, di autore ignoto, spero precedente la morte, altrimenti sarebbe di autore igno…bile.
Troppo forte
Se vince la più forte, embe’, ha vinto la più forte. Ma se la più forte vince come ha vinto oggi, con autorità e prendendosi la responsabilità della corsa, attaccando e iniziando il rettilineo finale in testa a un gruppetto con le migliori cicliste del mondo e partendo al momento giusto giustissimo preciso, allora vuol dire che è troppo forte.
sillogismo
Alessandra De Stefano dice che chi sta col ciclismo non sbaglia mai.
Il capo degli industriali sta col calcio.
Infatti.
Attendere, grazie
Eccolo quindi il percorso dei mondiali in linea di Richmond, con quelle salitelle in pavé che a noi filo-fiamminghi ricordano il Kappelmuur, il Koppenberg o il Paterberg, tratti di strada che basta cercarli e vedi che non esistono solo nelle Fiandre, vedi il Taino ribattezzato Tainenberg nella Coppa dei Laghi. Però queste salite sono brevi e il percorso non sembra molto selettivo, e allora potrebbe esserci attendismo, tatticismo, qualcuno potrebbe filarsela e ringraziare chi invece di inseguirlo ha indugiato a guardare le mosse degli altri. Potrebbero essere determinanti le rivalità. Oggi quella tra le treccine famose, Armitstead, che dovrebbe essere la grande favorita, e Ferrand-Prévot, che potrebbe soffrire il caldo per le troppe maglie iridate indossate contemporaneamente, e domani quella tra Rodriguez e Valverde e tra Valverde e il Resto del Mondo. Però intanto ieri tra gli under 23, anche se un po’ di esitazione è stata irrecuperabile per gli azzuri, i francesi arrivati primo, Ledanois, e terzo, Turgis, non sono due a caso, sono due professionisti, e non erano certo gli unici in gara, per esempio c’era anche Kudus che ha corso il Tour. E questa cosa ha fatto storcere il naso a molti. Quando c’era il mondiale dilettanti, nel quale già per decenni hanno corso e vinto maturi corridori dell’Est ufficialmente dilettanti, accadde che per due anni consecutivi vinsero degli ex prof, Pedersen nel 94 e Nelissen nel 95. Allora si disse così non va bene, facciamo il mondiale under 23. E nessuno ha avuto da ridire, soprattutto gli italiani finché si vinceva. Poi nel 2006 vinse Ciolek che l’hanno prima aveva battuto Zabel al campionato tedesco; nel 2007 fu la volta di Peter Velits fresco di vittoria a Fourmies, e gli italiani ripresero a storcere il naso, finché non decisero di provarci pure loro con Felline, che due anni prima aveva corso il Tour. Ecco, non a tutti i professionisti è andata bene, pure Gallopin ha fallito. Ma io queste lamentele non le ho mai capite, non mi pare che negli altri sport, tipo il calcio con gli under 21, si facciano questi problemi. E allora sta lavorando bene Cassani, facendo fare esperienza tra i professionisti a giovani come Consonni e Moscon con la nazionale, quest’anno presente in tutte le corse italiane. Perché Cassani ne capisce di ciclismo, Bettini non saprei.
No, viaggiare
Il ciclismo si diffonde sempre più nel mondo, tutti parlano di globalizzazione, poi arrivano i mondiali negli USA e il viaggio si rivela troppo oneroso per molte federazioni, e così molti paesi, soprattutto africani, rinunciano alla partecipazione o la limitano. Eppure si sono visti ciclisti di nazioni diciamo inconsuete. Lasciamo stare i paesi centroamericani per i quali andare un po’ più a nord è meglio che volare in Europa, ma nella crono di ieri c’erano per esempio un macedone e un mongolo. E quest’ultimo non è arrivato ultimo, se permettete il gioco di parole, ma 57esimo lasciandosi dietro una decina di corridori. Comunque, per la prova in linea élite maschile, non si corre il rischio di avere meno di 100 partecipanti, come accadeva negli anni 70 e 80, quando il ciclismo era meno diffuso, all’est non c’era il professionismo, negli USA i ciclisti erano pionieri, che a loro piace esserlo, le nazioni non si erano frazionate, e per rimpolpare il gruppo si portò a 12 il numero di partecipanti per nazionale. E se anche ci fosse questo rischio basterebbe invitare la nazionale dei sindaci, che loro non hanno problemi a viaggiare.
LA ZERIBA SUONATA – I casini di St. Vincent
Ha inaugurato la rubrica Perline di Sport, prima o poi era il caso di dedicarle, più opportunamente, una puntata de La Zeriba Suonata. Annie Erin Clark è una cantante chitarrista e, già che c’è, polistrumentista, nipote di Tuck quello del duo Tuck and Patti. Ma avendo suonato con il corposo ensemble Polyphonic Spree, con Sufjan Stevens, ed essendo stata una delle 100 chitarre di Glenn Branca, quando si è messa in proprio col nome d’arte St. Vincent ha composto canzoni che hanno a che fare più con la musica orchestrale e corale che con le lagne new age, e non è facile trovare qualcosa che la ricordi nell’ambito del pop. Forse questo è uno dei motivi dell’apprezzamento da parte della critica, che si spera non si faccia distrarre dalla sua avvenenza. E, dato che il suo primo disco, del 2007, si intitolava Marry Me , alzi la mano chi vorrebbe sposare St. Vincent. Eh, però mi sa che molti erano anche tra quelli che negli anni 80 volevano sposare Suzanne Vega. Per non tirarla per le lunghe, dal primo album ascoltiamo Jesus Saves, I Spend.
Musica quasi religiosa, ma comunque la ragazza quando c’è da schitarrare schitarra. Eccola in Year of the tiger dal secondo album Actor, in una versione dal vivo, quando era meno famosa e poteva suonare in un angolo da qualche parte.
I critici parlano di felicità che si trasforma in follia, di equilibrio tra crudeltà e gentilezza, del contrasto tra la sua voce celeste e i testi che parlano di violenza e caos. Lei stessa dice di sublimare con la musica quello che prova con gli attacchi di ansia o di panico, e di avere raccontato ogni cosa, dalle più traumatizzanti alle più belle. Questa Cheerleader, ad esempio, non è proprio una canzone allegra.
Tra il terzo album, Strange Mercy, e il quarto, St. Vincent, ha inciso Love This Giant con David Byrne. E da quando ha avuto a che fare con quella sagoma dello scozzese, ha iniziato a fare delle coreografie, diciamo anomali. Ecco per esempio Digital Witness.
Nei suoi testi parla anche di sesso, e, al proposito, avrebbe dichiarato di essere omosessuale, per cui se qualcuno ci aveva messo il pensiero e voleva sposarla, si metta l’animo in pace, se ne faccia una ragione, si ascolti i dischi, si veda altri video, che dal vivo St. Vincent è uno spettacolo.