Non è ancora Pasqua ma già ci sono le sorprese, che però, a ben vedere, non sono poi così sorprendenti. Mathieu Van Der Poel, per esempio, è un fenomeno, si sa, e allora non ci dovremmo meravigliare più di tanto se, dopo neanche una settimana dalla fine della stagione del ciclocross, scende dalla bici da cross, sale sulla mountain bike e vince una tappa della Cyprus Sunshine Cup, contro avversari di livello internazionale, compresi Fontana e Braidot Luca che pure loro hanno vinto una tappa, poi alle Olimpiadi si potrà capire se i due hanno fatto bene a rinunciare in tutto o in parte alla stagione campagnola appena conclusa. E non ci deve sorprendere che Van Avermaet abbia finalmente vinto, alla Omloop Het Nieuwsblad, che per la forza dell’abitudine mi viene ancora Het Volk, e neanche che abbia battuto Sagan in uno sprint ristretto, che c’è già riuscito al Tour, solo che allora sembrava normale battere Sagan, sempre piazzato e non aveva ancora fatto il capolavoro mondiale. E non ci deve sorprendere neanche che, nella prova femminile, la veloce Liz Armitstead, che il mondiale l’ha vinto prima su pista e anni dopo su strada, invece di aspettare la volata, se ne sia andata a vincere da sola: è molto forte e ormai se ne sta accorgendo anche lei. O forse qualcuno si è meravigliato che la Southeast non sia stata invitata né al Fiandre né alla Roubaix? Citracca e compagnia pensavano fosse sufficiente aver ingaggiato il fantasma di Pozzato, ma in queste prime apparizioni sul pavé l’apparizione del fantasma non c’è stata e gli organizzatori di quelle corse possono dire di aver scelto bene. Altro carattere il vecchio e malandato Boonen: il suo patron Lefevere, quello della Roubaix 1996, gli ha consigliato di ritirarsi dopo le classiche, forse vedendolo solo come un peso per una squadra piena di corridori che possono vincere, un po’ come un famoso calciatore romano. Ma Boonen non ha apprezzato il consiglio e ha corso da protagonista. Però bisogna dire che la Etixx, tra quelle più ricche è un raro esempio di squadra diciamo democratica: vincono tutti, da Brambilla a Martinelli, da Kittel a Gaviria, da Vandenbergh a Vakoc, a differenza di altre squadre con gerarchie molto precise, come Astana e Sky, dove il leader viene tutelato, ma i giovani rischiano di non essere valorizzati, e quindi di finire a fare i gregari, come Puccio, o di vincere corsette per lo sponsor, come Guardini nel calendario esotico in cui l’asiatica Astana ci tiene a farsi vedere. Sarà anche questo a determinare la differenza dello stato di salute tra il movimento belga e quello italiano? Così mentre Benoot è ancora una volta protagonista all’Het Nieuwsblad e Stuyven vince a Kuurne, contro quasi tutti i migliori della specialità, il bullo della Bardiani vince a Lugano in pratica contro i soli italiani, tra i quali un Ulissi che sembra sempre più ridimensionato in questa seconda fase della carriera. Ma nelle corse in linea è storia vecchia, se gli italiani cercano soddisfazioni diciamo nazionalistiche devono guardare alle donne, tra le quali la tenace Marta Bastianelli, vincendo l’Omloop Van Het Hageland, si candida al titolo di mamma più veloce del mondo. Ma dicevo di sorprese, e allora la vera sorpresa sapete qual è? Non che un Sagan arrivi secondo in una corsa, ma che quel Sagan sia non Peter bensì il fratello Juraj: succede in Malesia, ci saranno altri capitoli non necessariamente salgariani? Mentre non sorprende, ma intristisce, che la Gazzetta continui a dare la non notizia dei controlli sulle bici, alla ricerca dei famosi motorini: non è una novità, non hanno trovato niente, che lo dicono a fare ormai lo sanno solo loro. Piuttosto il vero problema a motore del ciclismo oggi è sempre più quello delle moto al seguito. In belgio Broeckx è stato urtato da una moto ed è caduto fratturandosi, e il “bello” – si fa per dire – è che si trattava della moto del medico. E non si può neanche dire che si sono voluti solo procurare il lavoro o che seguono tutta la filiera incidentistica, perché la moto ha tirato dritta senza neanche fermarsi a fare il proprio lavoro. Insomma c’è un po’ di confusione, anche tra causa ed effetto, perché mi viene da chiedere se la crisi dei Lehman Brothers non sia stata causata, nessun analista ci ha pensato, semplicemente dal fatto che a un certo punto se ne andò dalla ditta una certa Evelyn Stevens (non sappiamo se sbattendo la porta o meno, ma, in tempi di poca fantasia di quelli che scrivono, chi se ne va sbatte sempre la porta), la quale lavorava per loro, ma poi iniziò a correre in bicicletta, e oggi è primatista dell’Ora e potrebbe rimanerlo per un bel po’, e mi chiedo pure se era sempre così ilare anche quando lavorava in quell’ambiente lì, e se, quando smetterà (in fondo è del 1983 e si potrebbe quasi dire che si è già fatta ora), tornerà a quel brutto genere di lavoro o rimarrà nel mondo del ciclismo, allegra come l’abbiamo conosciuta.
Mese: febbraio 2016
una seconda poltrona per due
Dopo le corse esotiche si è passati alle pietre di muri e pavé. Sagan e Van Avermaet hanno iniziato il 2016 come spesso negli ultimi anni, con molti piazzamenti e nessuna vittoria. In realtà nella seconda metà dell’anno scorso Sagan ha vinto un gran mondiale e Van Avermaet è diventato più efficace e ci sono volute una moto a San Sebastian e una foratura a Tours per impedirgli di vincere una classica. Comunque i due oggi si sono trovati in testa alla Het Nieuwsblad e uno doveva vincere: ci è riuscito Van Avermaet.
LA ZERIBA SUONATA – arrivano i posteri
Ci sono dei casi, neanche pochi, in cui la cosiddetta fortuna critica di un artista, nello specifico di un gruppo, cambia col tempo. Per esempio i Cocteau Twins, che iniziarono a fare dischi nel 1982 con la storica etichetta 4AD, agli inizi erano considerati seguaci del cupo post punk di Siouxsie and the Banshees.
Poi nel rock si sono succeduti altri generi e sottogeneri musicali, e allora i giornalisti hanno iniziato a dire che però questi Cocteau Twins sono stati anticipatori o iniziatori del dream pop, una musica eterea e sognante, e del suo rumoroso fratello, lo shoegaze, detto così perché sembrava che i musicisti sul palco si guardassero le scarpe, in contrasto con l’atteggiamento istrionico di gruppi come gli U2. E forse basterebbe già questo per dirne bene.
n-o-e-m-i c-a-n-t
Scrivete piano piano il suo nome sul motore di ricerca. Fino a n-o-e-m-i c-a-n-t google vi rimanda a “Noemi cantante”. Forse perché non ha vinto il mondiale, ma, a parte un argento a cronometro e un bronzo in linea, ha avuto un ruolo fondamentale nelle vittorie iridate di Bastianelli Guderzo e Bronzini. O forse perché qualcuno, come Savoldelli, pensa che si chiami Naomi. Ma le sue vittorie di prestigio le ha ottenute, e poi si è ritirata ancora giovane e forte. Era auspicabile che rimanesse nel ciclismo, con un ruolo più importante e decisivo che episodica commentatrice tv. E ora è stata nominata presidente della Be Pink, l’ultima squadra con cui ha corso. Ah, dimenticavo le ultime lettere da digitare: e-l-e.
il ritorno dei comici, quelli bravi
L’avevo scritto qui solo pochi giorni fa: i comici una volta dicevano “Andreotti” e tutti ridevano, ora dicono “la Salerno-Reggio Calabria” e tutti ridono. E infatti quel comico toscano che hanno messo a capo del governo provvisorio ha detto alla stampa straniera che inaugurerà quell’autostrada lì e la stampa straniera tutti a ridere. Allora vuol dire che anche lui è bravo, come comico.
PERLINE DI SPORT – Nys e basta
Undici anni fa, ciclisticamente un’era fa. Bartoli si era appena ritirato. Bettini, fresco campione olimpico, aveva vinto 3 Coppe del Mondo ma non poteva continuare la serie vincente perché l’unica cosa buona del regno di Verbruggen era stata sostituita da un poco attraente UCI Pro Tour. Armstrong avrebbe vinto il settimo Tour de France, anzi no, non aveva vinto neanche i precedenti. Petacchi era il velocista più forte al mondo e Cunego, dopo il clamoroso 2004, si pensava dovesse fare sfracelli. Basso era ancora una speranza e Simoni già aveva iniziato a tramontare, e al Giro l’avrebbe battuto Savoldelli, quello che quando correva con Armstrong non s’era mai accorto di niente, ad esempio che l’americano il Tour non l’aveva mai vinto, era solo una diceria. In Belgio avevano trovato in Boonen l’erede di Museeuw, ma c’erano anche altri giovani promettenti, Gilbert, Nuyens, Devolder, Vansummeren, qualcosa avrebbero potuto vincere pure loro. E in Belgio c’era anche il mattatore del ciclocross, Sven Nys, che dominava la stagione ma non riusciva a vincere il mondiale. Ci riuscì nel 2005, quando vinse anche Coppa del Mondo, Superprestige, Trofeo della Gazzetta di Anversa (oggi Trofeo Bpost Bank) e campionato nazionale. Solo nel 2013 avrebbe rivinto il mondiale. E, ora che a 39 anni si è ritirato, qualcuno addirittura pensa che potrebbe esserci un calo di interesse in Belgio verso questa specialità. Ma forse arriva al momento giusto Wout Van Aert, che nel 2016 ha fatto la stessa cinquina di Nys 2005 e può riuscire dove ha fallito il suo ds Niels Albert. Poi una rivalità con l’Olanda, soprattutto nella persona del più giovane Van Der Poel, può tenere vivo l’interesse. Intanto vedetevi queste bellissime immagini di Nys che vince il suo primo mondiale nella neve di St Wendel, con le riprese di fianco come le abbiamo poi viste sui Campi Elisi nell’ultima tappa del Tour. Uno dei tanti mondiali dominati dai belgi: ma figuriamoci se possono mai perdere l’interesse per il ciclocross.
interviste davvero impossibili
Le interviste impossibili sono state un programma radiofonico e un esercizio letterario in cui si sono divertiti vari scrittori, da Eco a Manganelli. E se un giorno anche Franco Bragagna, il telecronista di atletica, sci nordico e pattinaggio di velocità, scrivesse le sue, mi chiedo se anche in quelle interviste solo fantasticate, scritte con calma, con un interlocutore solo immaginato, anche in quel caso interromperebbe l’intervistato, anche allora inizierebbe la domanda successiva senza attendere la fine della risposta alla domanda precedente. Forse si, anche lì.
Indignarsi è giusto, ed è gratis
Cartolina dall’Oman
cominciamo bene
Non bastasse la nomina a direttore di Raisport di un appassionato di calcio, forse per rilanciare uno sport bistrattato, ecco che inizia la nuova stagione di Radiocorsa, la rubrica settimanale sul ciclismo, e almeno la prima puntata dura solo mezzora. Ma direi che anche quella mezzora potevano risparmiarsela, visto che hanno parlato quasi solo delle bici col motorino, e per stare sull’attualità hanno proposto un servizio di Cassani del 2010, quando mostrò la bici truccata col pulsante che azionava il motorino grande quanto un alluce, per cui parlare di motorino “nascosto” è come pretendere che Pozzovivo in corsa copra Vansummeren per non fargli prendere vento. Beh, allora se ci fosse qualche serio caso di doping (non questi disperati sudamericani dopati fai da te), per rimanere all’attualità ci starebbe bene un bel servizio su Theunisse al Tour del 1988. Ma in fondo gli orfani del doping di qualcosa devono pur parlare. Però su Raisport c’è anche il ciclismo pedalato: la prossima settimana trasmetteranno l’ultima prova del Master Cross, un po’ in ritardo, ma che volete che sia un mese rispetto ai 6 anni del servizio di Cassani.