LA ZERIBA SUONATA – è finita

Il Giro è finito e anche la scuola sta per finire, e non sentirò la mancanza degli studenti che all’uscita si radunano chiassosamente qua sotto. Sarà l’età, sarà scorretto, ma a sentire le risate sceme, le urla animalesche, chissà perché mi viene da canticchiare questa canzoncina.

I PREMI SENZA I PREMI

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In passato ricordo che al Giro d’Italia, oltre a quelli ufficiali, lungo la strada si assegnavano dei premi, spesso in natura, salumi formaggi vini, messi in palio da privati e associazioni. Ora non ne sento più parlare, ma non so dire con certezza se la crisi ha tagliato anche questi. Così a fine corsa la Zeriba Illustrata, invece di maglie o voti in pagella, quest’anno ha deciso di assegnare dei premi in natura, però rigorosamente virtuali, solo i nomi senza le cose, come direbbe uno scrittore parmigiano. E qualche premio è andato anche a qualche ciclista assente, poi vedrete. Eccoli qua, senza altre chiacchiere:

Tappi d’oro per le orecchie a Stefano Allocchio. Mentre nella patria del ciclismo continuano gli incidenti gravi e le moto indisturbate fanno il brutto e il cattivo tempo, in questo paese altrove approssimativo incidenti seri non ce ne sono stati, e un paio di tappi sono opportuni perché il direttore di corsa non senta chi dice che è severo e chi eventualmente gli chieda di chiudere uno due o tre occhi.

Mortificatore personale a Vincenzo Nibali. Vista l’esperienza degli ultimi due anni, quando Nibali non riesce a esprimersi come vorrebbe e il morale è un attimo a zero, interviene un attimo il mortificatore personale a stimolarne l’orgoglio.

Pietra ciclofilosofale a Johan Esteban Chaves Rubio. Il ciclista che prende le cose con filosofia perché nella vita ci sono cose più importanti, che sorride sempre, al punto che a volte sembra il Joker, che dice tranquillamente agli italiani che il suo sogno è vincere il Tour de France, che se l’avesse detto un ciclista iperboreo l’avrebbe condannato a dannazione eterna o, in alternativa, a scendere dal Gavia sotto la neve a ruota di Geniez, meriterebbe una sostanza alchemica che trasformasse qualsiasi maglia, rosa compresa, in maglia gialla.

Due biglietti per il teatro a Alejandro Embatido Valverde Belmonte. E’ un po’ come voler fare un regalo a uno che ha tutto. Valverde cos’altro può chiedere? In quella decina di giorni all’anno in cui non gareggia potrebbe andare a teatro, e siamo sicuri che Aspettando Godot sia il suo genere.

Cesoie per acciaio a Tom Dumoulin e Roy Curvers. Con i tanti spot dello shampoo magico i loro capelli si sono così rinforzati che per tagliarli non basta una semplice forbice da barbiere.

Una fornitura di quello shampoo lì a Matteo Trentin, e i suoi pochi capelli rimasti, per vedere se ha anche valore retroattivo.

Un viaggio in Italia per Marcel Kittel, sulle orme di Goethe e degli altri settecenteschi viaggiatori del Grand Tour. Partenza da Belfast, tappe a Londra, Copenhagen, Amburgo, Liegi e arrivo ad Amsterdam.

Corso di guida della bici a Ilnur Zakarin. Per migliorare lo stile, affrontare meglio curve e discese ed evitare cadute. Resta da decidere il docente: già scartata l’ipotesi Geniez.

100 Kg di Riso Scotto a Mikel Landa Meana, per preparare pasti nutrienti a base del famoso riso triste che scuoce subito, e così integrarsi, anche con l’alimentazione, nel gioioso stile di vita della Sky.

Un albero portatile a Rigoberto Ciccio Uran Uran, in modo da poterlo sempre abbracciare all’occorrenza, anche al rifornimento, e ricavarne beneficio psicofisico, così da ritornare ai vertici delle classifiche e dare vita a spassose scenette con la De Stefano.

Un manubrio con protesi a uncino ad Arnaud Démare, per potersi appigliare all’ammiraglia senza usare le mani.

Edizione rilegata in rosa di L’origine delle specie di Charles Darwin a Darwin Atapuma, per studiare come può evolversi un escarabajo.

Un memo a Liam Bertazzo e Marco Coledan. Un semplice promemoria: avete visto Keisse e Kluge? Venite anche voi dalla pista? Ecco, ci siamo capiti.

Abbonamento per 5 anni al National Geographic a Mauro Vegni, così da poter scoprire tanti meravigliosi posti del pianeta da cui poter far partire il Giro nei prossimi anni, dopo il Giappone nel 2018. Dall’Isola di Pasqua alla Lapponia, dalla Mongolia alle Isola Fær Øer, dove chi prende una curva un po’ larga finisce in mare, ogni proposta è degna di essere vagliata.

Bastone e cappello a Mario Cipollini. Non fatevi ingannare dalle apparenze. Anche se può sembrare un vitellone che si mantiene ancora in forma, Cipollone è l’ umarell del ciclismo italiano. Ciclista pensionato, si avvicina al cantiere del Giro e inizia a criticare tutto e tutti, a insinuare dubbi, a dire che non ci sono più i velocisti di una volta e che si stava meglio quando si stava peggio, e che quando c’era Lui (il Cipolla) i treni (dei velocisti) arrivavano in orario.

Pendolino e sfera di cristallo a Beppe Conti. Non avessero mai corso insieme Gilbert e Hushovd! Da quando si verificò tale congiunzione cicloastrale, annunciata da Beppe Conti tra lo scetticismo di tutti, la profezia viene sempre ricordata come curriculum a dimostrare l’attendibilità delle sue indiscrezioni sempre più inattendibili. Il giornalista si è fatto prendere sempre più dalla foga divinatoria, e ormai siamo al punto che o qualche amico vero gli fa capire che è diventato una macchietta, la caricatura di sé stesso, o va fino in fondo e si porta pure gli attrezzi del mestiere, come un novello Mago Otelma. Secondo le sue indiscrezioni Contador si ritirerà nel 2017 nel 2018 e nel 2019 (forse a rate), l’anno prossimo Diego Rosa correrà in tre squadre, l’organico della Lampre comprenderà 82 ciclisti, e ci sarà la fusione di tutte le 18 squadre del World Tour a due a due, così da restare solo in 9.

Un paio di pantofole a Filippo Pozzato, per incitarlo a fare la cosa giusta, cioè ritirarsi, anziché trascinarsi in giro per il Giro ed essere preso in giro, appunto, anche dai colleghi. Per l’unico ciclista che nello staff, oltre a preparatore e massaggiatore, ha anche il tatuatore, le pantofole andrebbero meglio se in pelle umana, così almeno avrà di nuovo qualcosa da tatuare. Secondo un indiscreto di Beppe Conti l’anno prossimo potrebbe esserci la fusione di Pippo Pozzato.

Maglia nera alla RAI. La cronaca della corsa è continuamente interrotta, da giustificabili (per il bilancio) spot pubblicitari, anche se non sempre al momento opportuno, alle cartoline turistiche, anch’esse con una loro logica, dai cambi di rete o di studio alle varie sigle, dalle rubriche fuori luogo allo scrittore inutile, che sarà meno inutile se come editore ora vorrà pubblicare qualche libro sul ciclismo. Imbarazzanti gli intervistatori stradali, retorico Pancani, soporifero Garzelli (che si merita un premio a parte), sempre in cerca di storie drammatiche AdS, Fabretti ci si chiede perché non si interessi invece di sport di squadra e porti lì le rubriche “culturali”, collegamenti dalla moto disturbati e spernacchianti. Immagini rallentate utili solo a leggere il labiale Va ffa ncu lo di Modolo al Nizzolo deviato. Tanto rumore per le telecamerine sulle bici, dimenticate dopo poche tappe perché non ci mostrano niente di che. E tanta insistenza sul braccio destro non completamente funzionale di Chaves, anche se lui per primo minimizza. Mica ci dispiace se in realtà può fare tutto col braccio, anzi, se insistono, il simpatico (l’hanno detto mille volte che è simpatico) colombiano finirà per scocciarsi ed emulare Tonkov e Pirazzi con quel braccio lì.

Un paio di occhiali neri a Stefano Garzelli, che gli permettano di dormire senza che gli altri se ne accorgano, non solo in trasmissione ma anche quando va in ricognizione sul percorso della tappa successiva e ce la illustra col brio di un cambio rotto.

Uno scatolone di bottiglie di Vecchia Romagna ad Alan Marangoni. Che il gregarione più tifato d’Italia gareggi in California anziché in Italia è una specie di bestemmia, anche se qui forse avrebbe avuto poche opportunità di andare in fuga, dovendo poi lavorare per il capitano Hesj…, no Form…, no Uran…, no Dombr…, ma chi era il capitano della Cannondale?

Niente a Steven Kruijswijk, per discrezione, un po’ per il ribaltone (in tutti i sensi) in corsa e un po’ per il suo carattere riservato. Sapete, questi nordici sono chiusi, non come gli italiani che sono aperti, socievoli, calorosi, salutano, gridano, schiamazzano, con una mano ti danno una pacca sulla spalla e con l’altra, se è il caso, una pugnalata. Solo una domanda: si sono tutti interrogati su come si pronuncia il suo cognome, ma lui come pronuncia quello di Battaglin?

Niente a Giovanni Visconti, zitto zitto secondo italiano in classifica, sia perché per la convocazione per Rio deve provvedere Cassani, sia perché gli abbiamo già dedicato un racconto, che, più che una favoletta, sembra iperrealistico:

https://lazeribaillustrata.wordpress.com/2015/10/21/le-avventure-di-giovannino-perdicorse/

Centomenouno vasetti di budino Elah gusto cacao al blog Schiantavenna, che segue il giro in allegria e che ogni tanto ci fa ricordare cose buone e semplici del passato. Sempre attento agli ultimi, agli extracomunitari, cioè Cheng Ji e Yamamoto. L’unico appunto che gli si può fare è che, come certi ciclisti, prepara un solo appuntamento a stagione e dopo il Giro scompare. Cipolla insinua il dubbio che l’autore del blog abbia un motorino nascosto nel pc. Secondo Beppe Conti l’anno prossimo potrebbe esserci la fusione tra la redazione di Schiantavenna e la redazione di Tuttosport.

i cavalieri che fecero (finta di aver visto) l’impresa

Certi ciclisti sono l’esatto opposto dei politici: mantengono promesse che non hanno fatto.

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Un giorno quest’impresa di cui siete stati testimoni potrete raccontarla a quei drogati dei vostri nipoti, a cui non gliene importerà niente.

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Tutti orgogliosi, basta che poi Nibali si sposti e gli faccia vedere la finale di Champions.

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L’ultima neve di primavera

L’ultima neve di primavera era un film strappalacrime degli anni 70, un drammone come la tappa di oggi, in cui ne sono successe tante. E l’ultima neve di primavera, accumulata a bordo strada per pulire la carreggiata, ha forse evitato danni gravi a Kruijswijk, caduto in discesa, e un giorno qualcuno dirà che è caduto per cercare di tenere dietro a Nibali che, essendosi accorto di sue incertezze in discesa, ha attaccato; e forse quel giorno è già oggi, per accettare meglio quello che è successo e credere che non sia stato solo per sfortuna della maglia rosa. L’olandese però non ha ceduto completamente e, anche se non ha trovato un alleato per strada manco a pagarlo (chi ha detto Savoldelli 2005?), ha contenuto il distacco e ha dimostrato che il suo momento, a meno di un’impresa domani, può essere prossimo, anche al Tour, perché no, visto anche che la sua squadra dovrebbe puntare solo su Gesink che, in quanto a sfiga, non teme rivalità interne. Di sicuro all’Impronunciabile è andata meglio che a Zakarin, quasi sfracellatosi in un dirupo: questo russo in bicicletta è brutto come pochi, cade volentieri (per modo di dire) e sarebbe meglio studiare correttivi perché di un nuovo Soler non sentiamo il bisogno. Scarponi passa per primo in Cima Coppi ma poi si ferma per aspettare Capitan Nibali e dargli una mano, rinunciando alla possibilità di vincere la tappa. Personalmente non credo che avrebbe tenuto fino all’arrivo, ma va bene lasciare il dubbio, per dare più merito a Scarponi, e poi nel drammone ci vuole pure il sacrificio personale. PsicoNibali, dal canto suo, dopo un momento di difficoltà all’inizio del colle dell’Agnello, fa l’impresa che non ti aspetteresti se non ci fosse già stato il Tour dell’anno scorso, solo che in più questa volta ha riaperto la classifica. Sul traguardo infine c’è una dedica al ragazzo della sua squadra giovanile morto qualche giorno fa. Lacrime per Nibali, lacrime per Kruijswijk. Del film non ci fu un seguito, di questa tappa lo vedremo domani, tra uno spot e una curiosità storica o artistica. Del resto anche al cinema c’erano i documentari e i “prossimamente”.

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Lo schiaffo morale

Lo squadrone ceco-belga Etixx nelle classiche di primavera ha raccolto solo le briciole, ma qui al Giro sta andando davvero forte con maglie e tappe. Sembra quasi che quando c’è in ammiraglia Bramati la squadra corra molto meglio che quando c’è Lefevere. Oggi, per dire, Matteo Trentin, con una rimonta spettacolare che si potrebbe paragonare a quella di Argentin alla Liegi 1987, ma ci sono delle differenze, quella era tutta un’altra storia, allora non lo facciamo questo paragone e andiamo avanti, dicevo Trentin ha vinto in uno dei finali più entusiasmanti di questo Giro, e all’arrivo ha detto: In cima avevo l’acido lattico che mi usciva dai pochi capelli che mi sono rimasti. Tenendo conto anche che tra gli uomini in fuga c’era Arndt della squadra dello shampoo magico, questa cosa dei pochi capelli del vincitore è stato uno schiaffo morale per la squadra con i capelli rinforzati. E a proposito di schiaffi, è un caso che ogni volta che va in fuga Brambilla c’è anche Rovny e viceversa?

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Sarà contento lo sponsor di questa foto con la maglia aperta?

una prova di democrazia

Nibali ha detto di essere dispiaciuto perché non riesce a esprimersi come vorrebbe. In effetti ha detto: Quando il morale è un attimo a zero bisogna anche un attimo capire la persona che si ha di fronte. E noi gli diamo un attimo ragione ma avrebbe potuto esprimersi meglio. Però basta con questo drammone Nibali. Voglio dire, siate democratici, accettate l’esito di questo Giro che che si sta prospettando. Alla partenza c’erano quelli che, secondo me, sono stati i migliori ciclisti di questi anni, insieme a Cadel Evans, e con tutto il rispetto per Contador. Valverde, ciclista che sembra di un’altra epoca perché corre tutto l’anno, ieri ha potuto alzare i braccini corti in segno di vittoria anche al Giro e credo che un podio lo possa accontentare. Tappe e podi in tutti i Grandi Giri, piccole corse a tappe, corse in linea in quantità e anche classiche monumento, infine mai tiratosi indietro ai mondiali. Nibali anche lui correva molto prima di passare con i terribili kazaki. E’ stato uno dei pochissimi a vincere tutti i 3 i Grandi Giri, e non aveva bisogno dell’Astana per riuscirci, ha vinto molte corse in linea e a ottobre ci ha aggiunto la “monumento” che gli mancava, e spesso ha corso anche ai mondiali. I fissati per il Tour, Contador Quintana Froome, cosa hanno vinto in linea? La Milano Torino il primo, il Giro dell’Emilia il secondo e il terzo manco a parlarne. Degenerazione recente, perché pure Indurain, Rominger, Riis e l’Innominato hanno vinto prove dell’allora Coppa del Mondo. Per cui direi che per quei due quello che verrà è tutto in più. Invece ‘sto Kruijswijck che sta per vincere il Giro, che se fosse roba italiana avrebbero già inventato il dualismo con Tom Bellicapelli, ha vinto due corse in vita sua, una tappa al Giro di Svizzera e la classifica della corsa glaciale artica, e poi piazzamenti vari, di cui tre beffardi secondi posti consecutivi qui e ora; allora ben venga una vittoria anche per lui, che sta così bene in bicicletta che sembra non fare sforzo. E allo stesso modo non lamentatevi che tutti i velocisti escursionisti esteri si siano ritirati: così ne viene un po’ di gloria anche per Nizzolo o Modolo. Se poi vince ancora un tedesco, e quel tedesco è Kluge, non è un problema, perché lui ha vinto ancora meno dei due italiani, che, tra l’altro, se noi abbiamo difficoltà a pronunciare il nome della maglia rosa, loro  due, per venire incontro ai commentatori stranieri, potrebbero concordare gli accenti, e chiamarsi o Mòdolo e Nìzzolo oppure Nizzòlo e Modòlo. Tornando a Kluge, solo un paio di mesi fa, sfruttando il controllo incrociato di Gaviria e Viviani, stava vincendo il mondiale dell’Omnium, è un pistard di lungo corso e se quest’anno vince lui, e l’anno scorso toccò al miglior seigiornista in attività, Iljo Keisse, ora che lo sappiamo, tante volte l’anno prossimo dovessero schierarsi al via Lampater, o Morkov che già vinse alla Vuelta, li terremo d’occhio. Ma oggi forse si celebrava la Giornata Mondiale della Multidisciplinarietà, visto che il cronoprologo del Giro del Belgio è stato vinto dal fenomeno del cross Van Aert che ha battuto anche Herr Panzerwagen. Tornando ancora a Kluge, secondo me Martinello fa finta di dispiacersi per l’ennesima occasione persa dagli sprinter italiani, ma sotto sotto è contento per la vittoria di un pistard, un fatto corporativistico. E se questo risultato servisse a far restare nel ciclismo il suo sponsor IAM, saremmo contenti tutti. E se dite di no, che non vi importa, forse avete sbagliato blog.

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Kluge e Pollack, non so se ve lo ricordate.

2 cose che vorrei capire

Come tanti che stanno seguendo il Giro vorrei capire che cosa succede a Nibali, qua tutti fanno congetture. Di sicuro è stato troppo precipitoso Martinelli a Roccaraso a prendersi la responsabilità della prima tappa andata male, ma forse quello è un segno del clima che si respira nell’Astana, una squadra che deve vincere e deve rendere conto al governo. E poi dicono la Sky. Nibali dovrebbe pensare bene al suo futuro, se vuole correre per divertirsi e vincere o la priorità è l’importo dell’ingaggio. In tal caso va bene anche il misterioso sceicco del Bahrain. Ma continuando così lo Squalo rischia di essere preso più come uomo immagine che come ciclista con cui puntare seriamente a vincere.

Ma soprattutto vorrei sapere chi, e perché, alla RAI pensa che quando c’è il traguardo volante ci interessa piuttosto ascoltare di altre fughe, del recordman di evasioni dal carcere. Vorrei sapere se c’è qualcuno che davvero pensa che quando nel finale di tappa ci sono attacchi e contrattacchi e distacchi ci faccia piacere sapere di quel tale Pincherle che, con lo pseudonimo di Moravia, ha scritto un libro che comincia con la frase “Entrò Carla”, l’incipit tanto preso in giro da Cavazzoni, Celati, Nori e Benati.

valverde

Centrò Alejandro

Amplessi per complessi

Sapete qual è il reparto più triste in una libreria diciamo media? Dopo i settori economia-politica-attualità, ovviamente, che quelli sono hors-catégorie? Il settore più triste è quello musicale. Ci trovate gli intoccabili italiani, santoni o finti trasgressori, i nomi li sapete, poi il gruppo per ragazzine del momento, per Jim Morrison e Kurt Cobain c’è sempre una pubblicazione nuova, ma non capisco cos’altro c’è da sapere, uno si drogava e poi è morto, l’altro si è suicidato e poi è morto, amen. Ancora la biografia ingiustificata di qualche rapper tatuato, un po’ di jazz serioso, qualche cantautore che potrebbe essere incolpato per istigazione al suicidio, e non per quello che dice, ma per la musica, se la possiamo chiamare così, e poco altro. Aggiungete che la musica che la libreria mette in sottofondo è conseguente, e nelle librerie campane può capitare perfino la versione jazzata di canzoni napoletane. Allora mi farebbe piacere se ad allietare e ravvivare questo settore, in quante più librerie d’Italia possibile, arrivasse il libro che ora vi dico: Orgasmo Song. Sesso, Musica e Sospiri di Fabio Casagrande Napolin, edito da Vololibero Edizioni e in libreria dal 24 maggio. Penso che quasi tutti hanno avuto occasione di sentire Je t’aime… moi non plus, la canzone incisa da Serge Gainsbourg con Jane Birkin che, per la prima volta nella storia della musica, mette esplicitamente in scena un amplesso. Ma, come direbbe un famoso ed imitato settimanale, forse non tutti sanno che la canzone, pubblicata nel 1969, fu incisa dapprima con Brigitte Bardot, e che ha dato il via a un filone variopinto di canzoni, cover, parodie ed emulazioni sull’argomento, nei generi più disparati, dalla lounge music alla sexy disco, per non parlare di un presunto precedente di un complesso rock inglese. Questo volume, che ha richiesto anni di ricerca, si allarga al contesto storico, al clima sociale e all’industria musicale, per capire sia come nasce e si sviluppa il genere, sia perché d’altro canto queste canzoni vengono censurate, bandite, condannate dal Vaticano, devono circolare sottobanco, e, nonostante o forse proprio per questo, hanno un grande successo. Il tutto è insaporito con interviste a personaggi di culto (Benito Urgu, Detto Mariano, Giancarlo Giomarelli, Riz Samaritano, Tiziano Fonsi, Toni Santagata) e molte illustrazioni. E quindi buona lettura, o buon ascolto, o buon o…, insomma fate voi.

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