Questa stagione del ciclocross, anche se non ancora finita e c’è ancora il Mondiale, è stata nel complesso meno spettacolare di quella scorsa, soprattutto perché in campo maschile Van der Poel è stato nettamente superiore agli altri, compreso il Van Aert che pensa alla strada, e gli organizzatori delle Strade Bianche non l’hanno invitato forse proprio perché non si distraesse troppo, mettiamola così. Ma pure le gare femminili hanno risentito delle frequenti assenze di Marianne Vos, non compensate dal ritorno di Pauline Ferrand-Prévot e dall’ascesa di Jolanda Neff, che comunque sono ancora nello stato di inseguitrici e, ieri che stavano disputando la loro gara migliore, nella foga dell’inseguimento, si sono toccate in discesa e sono rovinate a terra con la francese dolorante e la svizzera, che ha provocato il disastro, dolorante per sé e addolorata per la collega. Anzi bi-collega, perché entrambe sono anche bikers, e tenuto conto che anche Jolanda ogni tanto corre su strada, facciamo tri-colleghe e non se ne parli più. Ma dicevo la Vos; ieri si gareggiava in Olanda e alla partenza inquadrano solo la prima fila, e una sola saluta verso la telecamera sorridendo, indovinate chi. La tv olandese non va a cercare Marianne nelle altre file, vuol dire che non c’è, figurati se non la inquadravano. Beh, Marianne non ha corso i campionati nazionali, non ha corso l’altra domenica a Nommay, forse avrò chiuso la stagione, come ha fatto già la connazionale De Boer, quest’ultima sostituita egregiamente dalla Neff agli occhi degli estimatori di virtù non prettamente agonistiche. Ma non ci distraiamo, dicevo la Vos, eppure mi sembra che abbiano fatto il suo nome. C’è? Valla poi a riconoscere, non ha più la maglia di campionessa olandese, il suo club ha cambiata casacca, da nera è diventata verde, troppe maglie verdi, no, non c’è, forse ho sentito male, avranno detto Worst. E a proposito di commentatori bisogna dire che Luca Bramati migliora in questo secondo lavoro, mentre per quello di preparatore atletico parlano i risultati di Eva Lechner. L’altoatesina fa la migliore gara della stagione: il primo terzo in fuga, il secondo terzo alternandosi in testa con la Cant, l’ultimo terzo all’inseguimento della fortissima belga e in difesa dal ritorno della giovane Evie Richards. Dietro ci sono tra le altre la Keough che vuol difendere il secondo posto in classifica e la Arzuffi che avrà rimontato decine e decine di posizioni. Ma dicevo la Vos, in vista del finale esce una maglia verde e quella maglia verde è lei in una volata delle sue, di questi tempi spesso sono solo per i piazzamenti, ma domenica chissà. Chissà, e chissà a chi interessano queste cose, ora il grosso del pubblico è interessato alle dichiarazioni programmatiche dei pochi big della strada, maschile ovviamente, e forse non gli interessa neanche tanto degli australiani che vincono in Australia la prima corsa in linea del World Tour, delle due vittorie di Degenkolb a Maiorca e di quella di Geniez a Marsiglia che così comincia il 2018 in discesa, cioè no, per carità, volevo dire lo comincia bene, e ancora dei corridori dei nuovi paesi che vincono in corse UCI, questa settimana un kenyano e un laothiano, e se quest’ultimo ha un nome ostico per i giornalisti italiani che possono limitarsi a un copia e incolla, i telecronisti sauditi sono stati costretti a pronunciare quello di Mareczko che è diventato qualcosa tipo Giacob Marcisco, e allora non è meglio il cross femminile, che Cant, Neff e Vos sono più facili da pronunciare?
Mese: gennaio 2018
Perline di Sport – Skating to the Sky
Gli anni 90 sono stati il trionfo delle cose finto alternative e, tra tutte, quella che più mi infastidiva era l’accostamento del punk allo skate, però in fondo coerente con i gruppi cazzoni del tempo come Green Day e Blink cento e dispari. Ma alla fine per fortuna Cristo è venuto a liberarci anche da questo turpe connubio che aveva infangato il buon nome del punk, costruito grazie a gentaglia come Johnny Rotten e Mark E. Smith buonanima (buonanima si fa per dire).
l’amaro stil novo
Non sto seguendo quello che dicono i politici per convincere gli elettori a votarli, però sarei curioso di sapere se quel fiorentino che diceva di voler rinnovare e rottamare, ma poi non mi pare abbia fatto granché, nonostante tutto dica ancora di essere un politico stilnovista.
The Fall of the House of Smith
E’ morto Mark E. Smith, il leader dei Fall. Poco tempo fa gli ho dedicato un post. Già non sono propenso alle commemorazioni, ma cos’altro postare della sua sterminata produzione, cosa scegliere? Se si fa una ricerca di immagini la metà lo ritraggono mentre beve, fuma o fa smorfie, però ho trovato un fumettino, pubblicato su Viz magazine, in cui si fa riferimento proprio al brano di quel post, ma soprattutto si fa riferimento alla sua litigiosità, all’enorme numero di musicisti che sono passati nel suo gruppo e che ha poi mandato via. Adesso diminuirà il numero dei licenziati nel Regno Unito.

Lottie chiede alla madre chi è quel gruppo pop in tv, e la madre, che non è una massaia che ascolta “Cantando Ballando”, ma una che mentre stira ammira i Fall, le da tutte le informazioni come se fosse una fanzinara. Lottie dice che vuole suonare nei Fall perché sembra una cosa divertente. Alla sua finestra appare Mark E. Smith in carne ossa e capelli arruffati e le spiega le poche semplici cose da fare per entrare nel suo gruppo. Così Lottie è accolta nei Fall ma un secondo dopo Mark le dice che si è stufato di lei e la licenzia.
E mi ricordo quando nei primi anni 90 leggevo Latte, solfato e Alby Starvation, il primo romanzo dello scozzese Martin Millar, il cui protagonista era un appassionato dei Fall, e mentre leggevo questa cosa pensavo “bene!”
La Zeriba Suonata: un’alt-meteora
Funziona così: le generazioni si succedono e quando una di esse occupa manu militari tivvù radio e altri media cerca di convincere quelli delle altre generazioni che il decennio della propria fanciullezza o adolescenza o giovinezza è stato il migliore. In fondo si può scegliere; io per esempio mi rifiuto di considerare favoloso un decennio in cui c’era politica dappertutto, ci si inciampava, e tutto doveva essere classificato di destra o di sinistra, secondo le precise disposizioni derivanti dalle idee confuse dei figli di papà di destra o dei figli di papà di sinistra. Tutto questo finché non arrivarono le truppe alleate a liberarci, con in testa i carri armati punk seguiti da reggimenti new wave, no wave, pop, in particolare pop scozzese, ska. Diciamo che questa è una descrizione un po’, un po’ troppo, romanzata. Quello che è sicuro è che in questi revival si punta troppo sull’effetto nostalgia, e che al di là di orgogli e “scontri” generazionali, si cerca anche di dare un po’ di ossigeno, se non di riesumarli, a personaggi del passato ormai dimenticati. Ora è il turno dei fans dei 90, e in Italia è pieno di ammiratori di un gruppo chiamato come una moto, che presentò la novità di un cantante muto. Ci sono tanti cantanti ciechi, questo è normale, uno che ha difficoltà a leggere, che non può dedicarsi alle arti visive, facile che si butti sulla musica, ma un cantante muto? Ok, qualcuno dirà che era in realtà un ballerino, però pure i Prodigy avevano i ballerini, ma quelli cantavano. Venendo alla musica normale, gli anni 90 sono stati il decennio della migliore Bjork, e delle musiche nuove più o meno elettroniche, tutte con la loro etichetta, che spesso veniva rifiutata dagli stessi musicisti: provate a dire a Tricky che faceva trip hop e state poi attenti che non vi morda. E la critica ha privilegiato questi generi e questi personaggi. Oppure preferiva il tedio dei Manic Street Preachers, o lo sperimentalismo dei Radiohead, anche se il loro successo nacque con brani più pop, oppure il grunge, una musica sostanzialmente reazionaria, che fu un passo indietro nella musica. Un gruppo un po’ dimenticato, che pure io avevo messo da parte, era irlandese, si chiamava (o si chiama tuttora) Ash. Facevano musica semplice come il loro nome, un rock fulminante punk pop powerpop o a volte quasi hardcore, ed erano ritenuti più adatti ai singoli, eredi insomma di Ramones Buzzcocks e direi anche Husker Du, e avevano il coraggio di titoli semplici come Oh Yeah, sul genere di She Loves You e Alright. Erano popolari al punto che furono chiamati a incidere il brano principale, non a caso omonimo, della colonna sonora di A Life Less Ordinary.
Poi semmai sui lati B dei singoli si sbizzarrivano con titoli più articolati, come questo che manco mi ci metto a riscriverlo (è morto un coltello?).
Nel video di A life eccetera vediamo una chitarrista da poco entrata nel gruppo, Charlotte Hatherley. E’ lei la meteora del titolo del post, che dagli Ash uscì poco dopo per iniziare una carriera solista non molto fertile, al punto che nel 2017, dopo anni, è tornata a fare un disco e senza label. Ma l’esordio Grey Will Fade non andò male. Dentro c’era Summer, un pezzo che forse stona in questo periodo, ma pensate ad Adelaide, ai canguri, al Giro del Giù Sotto.
senza meta
E poi, non bastassero le celebrazioni, ci toccano pure le elezioni.
una generazione di violenti e corrotti
Sono anni duri: i 100 anni dall’inizio della Grande Guerra, poi i 100 anni dal durante della Grande Guerra, poi ancora i 100 anni dalla fine della Grande Guerra, i 100 anni della Rivoluzione d’Ottobre, che non era ottobre, almeno non in tutti i calendari, e i 40 anni del punk, e quest’anno ci tocca i 50 anni dal 68, che non è neanche iniziato l’anno e già ne stanno parlando e scrivendo. E’ dura.
Il vento caldo dell’estate
Il vento freddo dell’euroinverno ha danneggiato il velodromo di Apeldoorn dove prima che arrivi il vento tiepido di primavera si disputeranno i mondiali della pista. Niente di grave ma gli olandesi possono sempre consultare gli italiani su come fare attività in un velodromo bucato, per di più continuando a fare collezione di medaglie come a Minsk. E il vento in senso metaforico spira verso la specializzazione: uno come Luca Bramati, che ai suoi tempi, 20 anni fa come se fosse un secolo, primeggiava sia nel cross che nella mtb, oggi dice che Bertolini deve decidere cosa fare da grande. Dato che però lui è anche il nuovo preparatore atletico di Eva Lechner, sono curioso di vedere come gestirà l’altoatesina che è fortissima in entrambe le discipline. Ma il bello è che questa cosa Bramati l’ha detta mentre Mathieu Van Der Poel stava dominando anche la prova di Nommay di Coppa del Mondo, dopo un’estate trascorsa ad alternare strada e mtb per passare subito a una lunghissima e vittoriosissima stagione di cross. Ma MVdP è un fuoriclasse, quello che vale per gli altri non può valere per lui. Eppure oggi, con un errore al box e salendo a piedi dei tratti che Van Aert faceva in bici, sembrava ci fosse finalmente lotta allo stesso livello tra i due, e invece niente, a un certo punto ha allungato e se n’è andato, e per le sportellate se ne parla un’altra volta. Forse questa giornata non è molto indicativa, perché in vista del Mondiale c’è chi ha fatto grossi carichi di lavoro e chi, come Jolanda, si è tagliata i capelli. E infatti proprio nella gara femminile i valori sembravano quasi sconvolti, con la Compton finalmente vincente, Arzuffi e Lechner sesta e settima e la Cant solo dodicesima. Intanto in Italia il vento continua a soffiare contro la Nippo Fantini che per il terzo anno consecutivo non è stata invitata al Giro. Invitata di diritto l’Androni perché vincitrice della Coppa Italia, che uno dei posti fosse sicuro per la squadra israeliana era chiaro dopo la presentazione della partenza da Gerusalemme. E quasi sicuro era l’invito per la Wilier a causa dello sponsor che è la cosa più forte della squadra. Ma si pensava che a restare fuori dovesse essere la Bardiani, sia per un’annata scarsa di risultati, sia per la vigilia del Giro dell’anno scorso, col doppio botto delle due positività all’antidoping. Cosa avrà contato alla fine da fuori è difficile saperlo, ma qualcosa ci sfugge. Certo la Nippo ha Cunego che continua a essere uno dei ciclisti più popolari, ma si è indebolita puntando su ciclisti giapponesi, mentre la Bardiani si è rinforzata. Però difficilmente è tutto qui. Comunque anche la stagione su strada è ampiamente partita. I giovani italiani vincono in Venezuela e il vecchio Nocentini vince e bivince in Gabon, dove comunque non ha vinto facile, perché correvano anche professionisti. E poi in Australia c’è stata una edizione democratica del Tour Down Under perché, tranne l’insaziabile Greipel che ha voluto doppia razione, c’è stata una tappa cadauno per Ewan, Viviani, Sagan e Porte, e soprattutto la vittoria finale è andata a Daryl Impey. Impey, quando correva nella Barloworld insieme al giovane Froome, vinse il Giro di Turchia ma non poté festeggiare perché l’allora ex pistard Bos (oggi ex ex pistard, cioè tornato a correre sul pino siberiano) gli fece un lancio sul rettilineo d’arrivo ma non proprio all’americana. E il sudafricano viene ricordato soprattutto per questo, eppure ha poi vinto tappe in corse world tour di una settimana e soprattutto è stato il primo africano in maglia gialla al Tour. La cosa curiosa di questa corsa australe è stata che i meteorologi annunciavano molto caldo e gli organizzatori accorciavano una tappa, anticipavano la partenza di un’altra e poi, cosa insolita per noi italiani, davvero faceva caldo, cioè i meteorologi australiani avevano previsto giusto. Ci sono molti ciclisti che si sono lamentati delle condizioni in cui correvano e chiedevano anche l’annullamento della tappa, e se la sono presa col loro rappresentante. Si potrebbe pensare che costui, cioè Adam Hansen, ricco e stakanovista, non sia l’uomo ideale per rappresentare un gruppo folto di famelici mestieranti, ma lui si è difeso dicendo che c’erano anche molti che volevano correre lo stesso, e che addirittura uno spagnolo gli ha detto che chi soffre il caldo non venisse giù in Australia. Poi forse Ewan ha esagerato a dare ascolto a qualche meteorologo, o l’ha frainteso, perché quando ha vinto Viviani lui ha detto di essere partito tardi perché temeva il vento contrario, ma questo non sminuisce la vittoria di Viviani, perché quando vince uno ci sono spesso altri che sbagliano (chiedete proprio a Elia). Però pensavo, dato che i giovani ciclisti australiani spesso vengono a correre e a imparare il mestiere in Italia, si potrebbe fare uno scambio e mandare i giovani meteorologi italiani a imparare il mestiere in Australia, capace che quando tornano non ci fanno portare l’ombrello col sole e bagnare quando prevedono sereno.

Un cartello avverte che a 3 km si può fare un selfie con un canguro.
un ritardo a cena
La foto e il ricordo
Quello con la pancia che gli gonfia la camicia, serio e impettito al centro della foto, abbracciato al democratico Principe Duca Conte, non è uno zio che per fortuna si frequenta poco ma che vuole assolutamente comparire nelle foto della cresima dei due ragazzi. I quali in realtà sono Sosa e Rivera, due giovani latinoamericani della squadra principesca, e lo “zio” è una delle tante scoperte del nobile prestato al ciclismo, uno di quelli che sembravano voler spaccare il mondo e invece rischiavano solo di spaccarsi le ossa in discesa. E chi seguiva il ciclismo a cavallo tra gli 80 e 90 ricorderà certamente, anche se stenterà a riconoscerlo qui, Leonardo Sierra, uno capace di vincere ad Aprica una tappa del Giro in salita nonostante le cadute in discesa. Un’altra sua memorabile impresa sportiva fu una scazzottata con Gonzales Arrieta. Insomma per arrivare ai suoi livelli Geniez ne deve mangiare di pane, anche a tradimento se necessario.