We can be heroes just una mezza giornata

La mia allergia all’enfasi, alla retorica, non so se è normale, statisticamente forse no, visto che in genere la pompa magna è assai gradita, soprattutto nella musica ma anche nel ciclismo. Ho sempre trovato ridicolo inserire la parola “classic” nel nome di una corsa appena nata, e per una sansebastiana che è diventata davvero una classica, tante altre sono rimaste corsette o sono scomparse, non so se ricordate la Coors Classic negli anni 80. E mi ha fatto piacere che sia stata rinominata semplicemente Strade Bianche la corsa senese e che sia rimasta Eroica solo la gara amatoriale, corsa da appassionati del ciclismo eroico con abbigliamento e attrezzatura eroici dei tempi eroici dei ciclisti eroici, insomma come Fantozzi alla Coppa Cobram. Nella mountain bike neanche si scherza da questo punto di vista, dalla Capoliveri Legend Cup alla 3Epic alla Sellaronda Hero, che nel nome non sembra nasconda una pubblicità occulta. Ma quando poi si organizza una corsa a Plan de Corones già il nome sembra autorizzare il ricorso al genere fantasy. Apro una parentesi: lì è arrivato anche il Giro d’Italia, ma per questioni di spazio credo sia meglio lasciare la località alle cosiddette ruote grasse e lo stesso vale anche per il famigerato Crostis. Chiusa la parentesi, la corsa è denominata molto modestamente KronplatzKing e quest’anno, il giorno prima della gara, sono state consegnate delle corone, presumo di latta, ai vincitori delle precedenti edizioni, con il belga Roel Paulissen, che risiede nel Tirolo e a una tv italiana risponde in inglese, che non riusciva a calcarsela in testa. Quest’anno ha partecipato anche il veterano Francesco Casagrande e sentire il suo accento toscano già contrasta con l’atmosfera da narrativa fantasy. Ma poi in gara succede che i primi tre, in vista dell’arrivo, chissà se persi nella brughiera dietro un dragone, o ingannati da una congiura di corte o semplicemente dall’organizzazione, o più semplicemente come fossero tre Debesay nelle campagne del Belgio, insomma hanno sbagliato strada, facendo una figura leggendaria, e ha vinto il quarto nella linea di successione al trono, e quindi se l’anno prossimo abbassano i toni capace che viene tutto meglio.

Danmartinizziamo il Tour

Qui in fondo non ce l’abbiamo con nessuno, neanche con Arnaud Démare. Ricordiamo che il ragazzo ha avuto una fanciullezza difficile, perché la domenica, invece di restare a casa a guardare i cartoni, era trascinato con la famiglia a seguire il padre cicloamatore, e poteva restare traumatizzato, e da grande diventare serial killer o, peggio, calciatore in bianco e nero. E in fondo, ma molto in fondo, non ce l’abbiamo neanche con Etienne Roche, anche perché in fondo le beghe tra lui e Visentini sono appunto faccende loro, un po’ come quelle tra Froomey e Wiggo, e sembra che Gerainthomas riesca a restare equidistante, potrebbe avere un futuro da cittì della nazionale britannica, o gallese nel caso di scissione, perché se con il teppista mod ha condiviso tanti anni a inseguire sui velodromi quartetti avversari che non erano neanche attraenti come la moglie, col froollatore ha condiviso invece tutto il percorso su strada, e forse di quegli anni alla Barloworld i commentatori sospettosi farebbero bene ad andare a leggere i risultati, per vedere che qualcosa del futuro c’era già. Ma dicevo Stéphan Roche, certo ci sarebbe stato più simpatico se nell’87 avesse aiutato Robert Visentini a vincere il Giro o almeno Sean (come si dice Sean in francese?) Kelly a vincere il mondiale, ma comunque ci sta più simpatico il nipote Daniel (qui, anche se è uguale, fate conto che l’ho scritto in francese) Martin. A questo ciclista, stortignaccolo e sfortunello che per le cadute se la gioca con Richard Porte, ma che ha un piccolo palmares di vittorie importantissime, che i più osannati ciclisti nostrani attuali se lo sognano, al Tour hanno pensato bene, ma davvero, di premiarlo anche come supercombattivo totale di tutta la corsa, un premio che vorrebbe premiare e incentivare lo spettacolo, e tutti, dai sapientoni ai sapientini, si sono meravigliati, e purtroppo per loro non potevano neanche tirare in ballo lo sciovinismo. Secondo loro il premio avrebbe dovuto essere assegnato a chi ha totalizzato il maggior numero di km in fughe disperate, oggettivamente misurabili, oppure, per i sostenitori del ciclismo sadico, il maggior numero di microfratture totalizzate. Ora, con tutto il rispetto per il povero Lawson Craddock, rottosi alla prima tappa e arrivato comunque a Parigi, ha senso premiare come combattivo uno che è stato costretto a correre sempre in ultima posizione? Oppure premiare uno che si è inserito in più fughe che hanno poche speranze, e nel tira e molla col gruppo quasi mai fanno vero spettacolo, e semmai ha avuto quella furbizia, o furbettizia, di allungare per qualche altro metro quando il gruppo stava per arrivare, per percorrere effettivamente più metri davanti rispetto ai compagni di avventura? Dan Martin invece è uno che ha cercato di fare classifica, non ha mai pensato di uscirne per essere meno controllato nel caso di fughe, e ha attaccato spesso nelle fasi cruciali della tappa, e il Tour con questo premio ha dato un messaggio importante, soprattutto a sé stesso, perché ora dovrebbe inventarsi un sistema per incentivare gli attacchi veri e seri, voilà.

Perplex alla Reggia 

Il Palazzo Reale di Caserta e il Parco ospitano la mostra “Marco Lodola – Giovanna Fra. Tempus – Time”. Cito il comunicato stampa: “Il titolo della mostra è un voluto riferimento al trait d’union che Marco Lodola e Giovanna Fra, grazie alle loro opere, creano fra il Tempus, la dimensione temporale legata all’antichità, al classico, alla storica sede espositiva e il Time, sintesi del mondo contemporaneo.” Avete capito? No? Eppure è facile, quando una mostra di arte contemporanea è ospitata in un museo o in un complesso di un’altra epoca si dice sempre che dialoga con il sito che la ospita; o forse credevate che quest’ultimo si limitasse a fare solo da contenitore, che poi non ci sarebbe neanche niente di male? Il catalogo è pubblicato da Skira e, oltre agli interventi di critici di quelli più famosi e televisivi, ci sono anche i pareri di Renzo Arbore, Aldo Busi, Jovanotti, Piero Chiambretti, Roberto D’Agostino, Salvatore Esposito, Ciro Ferrara, Antonio Stash Fiordispino, Enzo Iacchetti, Max Pezzali, Andrea Pezzi, Red Ronnie, manca solo il Gabibbo, forse aveva da fare. Le tele di Giovanna Fra le trovate all’interno del Palazzo, le sculture luminose di Marco Lodola invece soprattutto nel parco, se lo visitate di giorno potete vedere solo la struttura, direi lo scheletro, ma di sera si illuminano come le luminarie delle feste patronali, solo che non ci sono pure le bancarelle che vendono torrone e zucchero filato. I soggetti ritratti direi che sono fondamentalmente pop, abbiamo atleti, ballerini, animali anche fantastici, Pegaso, Diabolus, Cocteau, Freddy Mercury (uno dei miti che meno digerisco. Se solo i fans dei Queen ascoltassero gli Sparks). Poi c’è raffigurato un chitarrista e il titolo dell’opera è Fausto. Fausto chi? Ah già, Mesolella: questa specie di dimenticanza mi fa sentire ancora più estraneo del solito al  cosiddetto territorio. E poi c’è l’immagine di una donna che sta per spogliarsi, chi sarà, Dita Von Teese, Edwige Fenech? No, il titolo è Serratura, e dato che poi c’è il Gobbetto l’impressione è di essere passati dal pop all’avanspettacolo. Il materiale con cui sono fatte queste sculture è il persplex, e infatti io rimango un po’ perplex (per restare alle battute da avanspettacolo) di fronte al tutto, ma va bene così.

Quale futour?

La vittoria di Geraint Thomas ha spiazzato molti, sia quelli che dicevano che era uno specchietto per le allodole ma il vero capitano era Froome, sia quelli che, come me, hanno sempre pensato che il gallese facesse meglio a dedicarsi alle corse in linea e che un domani si sarebbe potuto pentire di essersi intestardito sui grandi giri, e invece quando è riuscito a non cadere è riuscito anche a vincere il Tour, eppure oggi tra brindisi e bandiera gallese sembrava che facessero il possibile per farlo cadere. Dicevo le corse in linea, non si può certo pensare che Froome non abbia un futuro nelle corse a tappe proprio dopo l‘impresa del Colle delle Finestre, ma secondo me, dopo aver stabilito qualche record e averne mancato qualche altro, per dare un tono diverso alla sua carriera farebbe meglio a puntare a qualche corsa in linea, ce ne sono tante cui potrebbe mirare, a cominciare dalle Strade Bianche. In fondo Thomas ha già vinto una corsa importante come Harelbeke, Nibali solo di monumento ne ha vinte 3 più tante altre di ogni classificazione, pure Quintana e Contador si sono tolti lo sfizio di vincere una corsa importante anche se non world tour, il colombiano l’Emilia da neopro e lo spagnolo la Milano-Torino all’inizio della fine della sua carriera (entrambe queste cose nel giro di pochi giorni autunnali del 2012), e pure Miguelon, andando indietro nel tempo, vinse a San Sebastian. Beninteso, il discorso vale pure per Dumoulone. Nibali, invece, speriamo solo che con questa faccenda dell’operazione non debba accorgersi un giorno di essere stato circondato da personaggi interessati più al ciclista che all’uomo, vedremo. Infine i francesi hanno visto squagliarsi tutte le speranze per i grandi giri, prima Feillu Rolland e Sicard, poi Pinot Barguil e Bardet, tutti da verificarsi Gaudu Calmejane G. Martin e Latour, che ha vinto la classifica dei giovani ma sembra più maturo, mentre Alaphilippe non si interessa ancora delle classifiche generali (sembra gli interessino di più le miss), insomma ai francesi non resta che affidarsi a Démare visti i tempi che riesce a fare in salita, n’est-ce pas?

Last Kristoff

Corse contro il tempo

Oggi al Tour c’era l’unica cronometro individuale, una prova che i francesi chiamano contre-la-montre, cioè contro il tempo, che da l’idea di una cosa drammaticamente vitale, come in quei film dove l’eroe deve arrivare in tempo, prima che scoppi una bomba, o faccia effetto un veleno, o un sofisticatissimo timer apra una porta da cui fuoriescono delle letali vecchine pronte a raccontare tutti i dettagli della vita dei loro svariati maledetti nipoti. Ma qui ci sono state davvero delle corse contro il tempo, roba quasi da panico, a causa dei body, dimenticato quello di Dumoulin e non ritenuto adatto quello fornito dall’organizzazione ai Cielo. E così di notte sono state allertate fabbriche, sono state svegliate sartine misteriose, e tutto è andato bene, e Dumoulin ha vinto davanti a una vagonata di vagoni del trenino Sky, compreso il Froome che è risalito sul podio ai danni di un Roglic che hanno fatto appena in tempo in Slovenia a salutare come nuovo eroe sportivo, anzi seminuovo, avendo un passato in altro sport e un grave incidente alle spalle. Ma basta correre, rallentiamo un attimo, anzi fermiamoci, come se avessero sparato dei lacrimogeni, e pensiamo che in fondo è solo una corsa, ed è veramente fuori luogo fare dei drammi per gli aspetti sportivi, che siano il comportamento di un ciclista o di una squadra, i risultati o la mancanza dei, e le tattiche e tutto il resto, soprattutto da parte di chi sta sempre a commentare in negativo e non si capisce perché continua a seguire il ciclismo, e anche da parte di chi ha poca memoria e si chiede come è possibile che uno che ha fatto pista vince poi un grande giro, dimenticando l’inseguitore Hinault o il velocista Saronni, oppure dice che in altri tempi Froome, altro che 4, a stento avrebbe vinto un solo Tour, e mi chiedo in quali tempi, quando arrivava secondo Beloki? Sono ben altre le cose gravi, e già nell’ambito del ciclismo stesso, direi l’inquietante faccenda dell’operazione che dovrà subire Nibali.

Nuvole basse

L’ex saltatore Roglic vince la tappa dell’ex giro pirenaico della morte con Aspin Tourmalet e Aubisque e salta sul podio a scapito di Froome che è andato in crisi in salita ma se l’è vista brutta in discesa quando si è trovato davanti Zakarin che scendeva così male che Martinello sembrava arrabbiato come se si fosse offeso a nome del ciclismo e se avesse potuto gli avrebbe fatto una faccia di schiaffi.

 

La tappa più brutta

La tappa odierna del Tour è stata la più noiosa di una delle edizioni più noiose. C’è stata la solita fuga senza speranza con 5 fuggitivi tra cui 3 uomini da Roubaix, Nicolino Terpstra e i due mascelloni della Mitchelton, ma pavé per terra non ce n’era. C’è stato un intermezzo futurista interventista, ma non c’era un erede di Filippo Tommaso, era il Dottor Magni mediho di Nibali, che non sappiamo se è parente del ciclista repubblicano sociale, ma l’accento toscano ci stava tutto, e ci si preoccupa soprattutto della salute dell’uomo, ma siccome nel futuro prossimo ci sarebbero la Vuelta e il Mondiale meglio fare un interventino a cementare la vertebra, e speriamo che sappiano quello che fanno. Tornando al presente i fuggitivi vengono ripresi e la volata la vince, portato in carrozza da Guarnieri, l’ultimo che ci si augurava, quel Démare che in questi giorni appena iniziava una salita si staccava e andava in gran difficoltà e però poi a fine tappa lo ritrovavi sorprendentemente dentro il tempo massimo, al punto che il Gorilla, che si sarà pure ritirato ma in corsa è sempre molto più generoso del francese spesso anche come gregario, ha fatto ironia social alludendo a quegli aiutini che Démare avrebbe avuto anche nella Sanremo vinta, ma purtroppo poi ha ritrattato e si è scusato, mentre a fine gara Colbrelli ha confermato che in gruppo ci sono diversi ciclisti che dicono di questi traini ma le prove non ci sono e quindi niente. Il bello, nel senso di brutto, è che in volata Démare, quasi come a dimostrare la sua impunità, ha deviato, come già nella tappa vinta l’anno scorso, danneggiando Laporte; questa volta una deviazione ininfluente e che proprio per questo il bellimbusto si sarebbe potuto risparmiare, mentre Laporte l’ha mandato al bagno, e dato che notoriamente in Francia non ci sono i bidet, lo scopo poteva essere uno solo. Démare non vince molto, ma se di altri si dice che avrebbero potuto vincere di più, di lui invece si potrebbe dire che avrebbe dovuto vincere di meno.