
estrangeiros

Il Giro appena finito è stato un giro scremato nel quale stranamente si sono verificate molte delle cose che avevo previsto alla vigilia, però la mancanza di un dominatore ha portato spettacolo oltre che soddisfazioni per qualcuno che, almeno fino a ieri, era in seconda linea, e poi tanti “finalmente” per le vittorie di tappa di ciclisti che non erano ancora riusciti in questa impresa. Ed è stato anche il Giro delle commemorazioni dantesche nei 700 anni dalla morte del poeta, per cui azzardo delle considerazione finali in terzine.
Le tre cose da non ripetere
Il Processo di AdS, le inopportune e retoriche intrusioni dello scrittore parlante e i traguardi volanti a pochi km dall’arrivo.
Le tre più belle vittorie di tappa
Il cocciuto Campenaerts, il travolgente Bettiol e l’invisibile Bernal. Di quest’ultima abbiamo visto solo l’inizio dell’impresa decisiva sul Giau, ma se la tappa non fosse stata tagliata, come sarebbe piaciuto a AdS perché una volta ha visto Nibali vincere sotto la neve, non avremmo visto neanche come ci si è arrivati.
Le tre più belle volate
La volata liberatoria di Nizzolo, la prima di Ewan come solo lui sa, e quella di Narvaez a un traguardo volante combattutissimo tra Bernal ed Evenepoel. E quelli che hanno criticato Ewan, Merlier e gli altri velocisti che si sono ritirati, chissà cosa direbbero se andassero a commentare l’atletica e in particolare l’ex uomo più veloce d’Italia, ammesso e non concesso che ci fosse una sua gara da commentare.
Le tre speranza per il futuro
Ci sono stati tanti giovani che in passato hanno vinto una tappa e poi più niente. Ci sono stati tanti giovani che in passato hanno fatto una buona classifica e poi più niente. Fortunato ha fatto entrambe le cose, ma ci sono stati tanti giovani che in passato hanno fatto entrambe le cose e poi più niente. Sì, però ogni tanto qualcuno poi si conferma. Ora Fortunato lo vedrei bene al Giro dell’Emilia, se nella sua Bologna non si farà distrarre da amici e parenti.
Consonni ha già 26 anni però è diventato più consapevole delle sue capacità e quando si sarà tolto il pensiero delle Olimpiadi su pista potrà puntare alle tappe e alle classiche.
Ponomar non ha neanche 19 anni ed è arrivato 67esimo. Il suo team manager Principe Duca Conte si è sempre vantato di non aver voluto mandare allo sbaraglio in un grande giro il troppo giovane Bernal, e ora con Ponomar sembrerebbe aver cambiato idea, ma il suo braccio destro Ellena dice che a differenza del colombiano il fisico del ragazzino ucraino è già formato. Ma chissà che sotto sotto invece Savio non rimpianga di non averci provato a vincere il Giro con Bernal.
L’ultima tappa del Giro è una cronometro e si comincia con un momento neorealista: il superfavorito Ganna di chi o di cosa può realisticamente aver paura? Di una foratura, e nel finale fora, è realistico, può succedere, e così perde tempo per cambiare la bici, ma vince lo stesso. Infatti Remi Cavagna può fare un tempo migliore ma ha un momento slapstick, a una curva va dritto e finisce contro le transenne, e una critica va fatta all’organizzazione che in quel punto non ha previsto la classica bancarella di frutta che viene sempre travolta in queste scene. Ma c’è spazio anche per la commedia all’italiana con Matteo Sobrero che resta imbottigliato in un ingorgo di ammiraglie che girano in cerca di un parcheggio. Alla fine il vincitore generale totale è Egan Bernal che intervistato non ha parole e del resto se l’è prese tutte AdS che le butta fuori alla rinfusa in un finale che più che cinema sembra teatro dell’assurdo.
Quello che dicono gli esperti prima della tappa quello succede in corsa. Gli esperti prevedevano un’alleanza tra la Deceuninx per una vittoria di tappa con Almeida e la Bike Exchange per la vittoria di tutto il Giro con Yates, e puntualmente hanno attaccato la DSM per Bardet e la Bahrain per Caruso. Il siciliano alla fine è stato l’unico che ha provato a ribaltare il Giro, è partito da lontano in discesa, ha staccato Bardet, non è riuscito a vincere il Giro ma almeno ha vinto la tappa, e in fondo oggi con Bernal non c’era molto da fare, stava bene e pure la sua squadra. Più di tutti è stato eccezionale Martinez che ha fatto un ritmo notevole nel finale, ha staccato man mano gli avversari, pure Yates e proprio nel tratto più duro dove si attendeva un suo attacco, a 2 km dall’arrivo ha avuto la prontezza di riflessi di arretrare un attimo a due millimetri dal traguardo volante per lasciare l’abbuono al capitano, ha ripreso subito a tirare e quando i due Ineos rimasti soli sono apparsi alle spalle di Bardet mi è sembrato di sentire ciuff ciuff, poi all’ultimo chilometro si è fatto da parte come se avesse finito le energie ma ha solo respirato un attimo ed è ripartito per mantenere il terzo posto di tappa. Certo che la novità dei traguardi volanti con abbuono a pochi km dalla conclusione della tappa è una genialata che ci dovrebbero spiegare, ma farebbero prima e meglio a non riproporla in futuro. Tornando a Caruso, nei giorni scorsi aveva detto che non barattava il podio per una vittoria di tappa ma ha ottenuto entrambe le cose, e sono tanti gli apprezzamenti sulla sua professionalità, ma sulla faccenda del gregario che ha lavorato sempre per gli altri si sfiora quasi il pietismo, e allora rassicuriamo chi non segue molto il ciclismo, non è che lo tenevano chiuso in uno stanzino per farlo uscire solo per la corsa e minacciandolo di fargli vedere le puntate del Processo di AdS se non si fosse comportate bene. Caruso alle Olimpiadi di Rio è stato l’unico italiano a correre sia la prova in linea che la cronometro, ha più volte avuto la possibilità di fare la sua corsa e al Giro di Svizzera del 2017 è arrivato secondo dietro Spilak, lo sloveno che faceva il fenomeno solo in Svizzera, sarà una questione di campi magnetici, boh. Insomma gli mancava solo la vittoria importante che è finalmente arrivata e, a detta del suo diesse Pellizzotti, è la ciliegia grande su una torta piccola. Da gregario di lungo corso Caruso ha ringraziato in gara il suo gregario di giornata Bilbao e poi nelle interviste tutta la squadra, dicendo che se hanno fatto tutto questo in 5 (3 si sono ritirati) si chiedeva cosa avrebbero fatto al completo. Cioè pure con Lando, pardòn, Landa? Meglio non saperlo.
Nel 1999 una bellissima cantante dal nome italiano, che però non è italiana ma islandese, è il padre che è italiano ma lei sembra che non conosca neanche una parola della linguapadre, pubblica un disco di canzoni trip-hop con un fascino tutto loro. L’album si intitola L’amore al tempo della scienza ma in inglese e lei si chiama Emiliana Torrini, che per gli islandesi immagino sia difficile da pronunciare come per noi lo è Bjork Gudmundsdottir. E insomma quando uscì questo disco di fronte a tutta questa bellezza si poteva solo esclamare Tombola!, anzi no, Bingo!
Il Giro del Paese Più Ridicolo del Mondo gira al largo dal Mottarone ma non abbastanza, i ciclisti donano in beneficenza i premi della tappa, non so a chi, forse all’unico sopravvissuto, né quanto volontariamente, perché i premi divisi tra squadra e staff aiutano i molti che vivono del loro stipendio, come diceva Rodari nella filastrocca del gregario che Cassani recita a memoria, e Rodari è morto nel 1980 ma per i gregari non è cambiato molto. Pare che i ciclisti stiano ancora facendo penitenza per gli errori del passato quando ufficialmente erano gli unici sportivi che si dopavano. E a questo proposito oggi ho fatto lo sbaglio di dare un’occhiata a Villaggio di partenza dove c’era una sciatrice degli anni 90 accusata a suo tempo dal cacciatore di dopati Sandro Donati, ma quest’ultimo è il classico personaggio che si tira in ballo solo quando fa comodo, e comunque sia la sciatrice oggi è in politica e pertanto ha avuto la capacità di parlare a valanga senza dire niente di concreto, ed era preferibile ascoltare i lavori stradali col martello pneumatico sotto casa mia. Tutto questo mentre i responsabili del disastro del Mottarone si rimpallano le colpe, e allora una donazione benefica dovrebbero farla tutti quelli che credono che affidare tutto ai “privati” risolverebbe i problemi del paese: eccoli i vostri privati. Ma i soldi circolano a senso unico, la Corte dei Conti dice che il prelievo fiscale è concentrato sui dipendenti ma il Capitano e la Sorella d’Italia, e non solo loro, vorrebbero abbassare le tasse agli altri, quelli che già contribuiscono poco. Ma è meglio tornare ai gregari, che cercano di andare in fuga appunto per racimolare premi vari, ma ieri è stato multato Sagan perché ha frenato con un comportamento intimidatorio alcuni di loro comportandosi come un vecchio sceriffo o l’Innominato. Nella stagione in cui sono tornati a vincere arzilli vecchietti come Cavendish e Greipel è un po’ prematuro parlare di declino agonistico e fisico di Sagan, tanto più che una tappa l’ha vinta e pure per la maglia ciclamino è quasi fatta, ma è tramontato il Sagan burlone in gruppo, su cui qualcuno si è addirittura inventato una generazione mai esistita davvero, e poi quando uno è pagato tanto da avere difficoltà a trovare una nuova squadra disposta a fare lo stesso e la sua attuale è una delle più ricche ma al Giro ha raccolto poco non c’è da stupirsi che sia più nervoso di quando tutto veniva facile.
Oggi arrivo in salita e come l’altro ieri di nuovo Yates attacca e poi gestisce il poco vantaggio, e di nuovo Almeida si decide tardi a inseguirlo, ma stavolta per sua fortuna Yates non ha più nessuno davanti e almeno vince la tappa, e per sua sfortuna Almeida ha di nuovo Yates davanti, ma non deve demordere perché, come hanno dimostrato in questi giorni Bettiol Campenaerts Nizzolo e Vendrame, prima o poi la vittoria arriva, forse. Alle loro spalle Bernal non insegue ma prosegue col suo passo e con una straordinaria freddezza. Alla fine si fa la conta dei gregari e ci si lamenta perché il povero Yates ha perso il povero Schultz, dimenticando che da subito il povero Bernal ha perso il povero Sivakov. In RAI sembrano tifare per Yates, ma augurarsi la vittoria dell’inglese o di Caruso, per quello che si è visto finora, significa augurarsi che a Bernal torni il mal di schiena. E chissà per chi tifa Adam Yates, se per il gemello o per il compagno di squadra Bernal. Caruso è ancora secondo e a crono va meglio di Yates, non corre per vincere ma per prendere un podio insperato e clamoroso, gregario partito come gregario arriverebbe dove non è mai arrivato il suo capitano in seconda Bilbao e dove il più capitano Landa arrivò ma quasi in un’altra vita. In chiusura di trasmissione lo scrittore parlante ricorda una scena di Down by law in cui Benigni dice: E’ un mondo triste e bello, frase che stava canticchiando Tom Waits, però questi gli dice di togliersi di torno, sante parole se rivolte a Benigni, santissime se estese ad AdS e allo stesso scrittore parlante.
Da quel poco che ho visto dell’ex Eurofestival mi pare che continui un’omologazione globale al di là di qualche pittoresca e superficiale versione elettro-dance di una canzone agricola. Anche i canoni di bellezza cui mirano le cantanti mi sembrano uniformi, come la tendenza a essere sopra le righe, non solo del pentagramma. Ma se i giovani rappresentano una speranza è giusto che abbiano vinto questi quat(t)ro che a loro modo rappresentano una speranza, la speranza di un mondo vecchio, suonando e muovendosi come 45 anni fa, e se, come ha ruffianato il cantante, rock’n’roll never dies, beh, questo loro r’nr mi pare pieno di acciacchi, e poi io sono contro l’accanimento terapeutico. Ma gli unici che mi facevano simpatia neanche rappresentavano una novità e anzi mi sembravano delle vecchie glorie un po’ fuori luogo, che però potendo contare su una canzone vera non avevano bisogno di effetti speciali, un gruppo fiammingo smarrito, un po’ come capitò nel loro paese all’eritreo Mekseb Debesay che, quando da neoprofessionista andò a correre a Harelbeke, si perse nelle campagne e fu ristorato da una persona del posto.
Hooverphonic – Inhaler (1996)
In questa primavera, che non è ancora finita né ufficialmente né climaticamente, c’è stato il ridimensionamento dei grandi, dei giganti, dei tenori, dei fenomeni, tre quattro cinque, quanti sono, non è stato fatto un censimento, che continuano a essere campioni e fare spettacolo in corsa ma si sono dimostrati battibili, umani, hanno mostrato difetti e limiti e di non potersi permettere tutto: Van Der Poel, Van Aert, Pidcock, Alaphilippe, Bernal, e pure Pogacar che Roglic è riuscito a battere, ma più di tutti ha mostrato grossi limiti Evenepoel soprattutto nella guida, ma per ben due volte è stata la sua squadra che ha sbagliato affrettando i tempi, sia nel recupero fisico che nel ritorno alle gare. Tante aspettative erano riposte su di lui anche dai media, e a un certo punto tutti hanno iniziato a dargli tanti e disparati consigli: ritirarsi, andare avanti, fare esperienza, puntare alla crono finale, finché ieri non è arrivata l’ennesima caduta stavolta con taglio al braccio ad “aiutarlo” nella scelta e già ieri sera ha annunciato il ritiro, come Ciccone che ha deciso quando già era al foglio firma, mentre Nibali continua.
La Deceuninx ha puntato tutto su Evenepoel, però senza mettergli pressione, si aspettavano solo che vincesse con un quarto d’ora di vantaggio, ha sacrificato Almeida per la causa, e ora si trova senza neanche una vittoria di tappa, e di un podio neanche a parlarne. E allora nella megafuga di giornata si infila il megapassistone Remi Cavagna e a meno di 30 km, quando i fuggitivi si controllano e tutti guardano Bettiol che è il più in forma, lui parte e, dato che dietro continuano a guardarsi, guadagna decine di secondi e forte com’è sul passo sembra aver già vinto, con l’ammiraglia che presumibilmente gli grida: Forza Remi! Ci sono corridori che sono spesso sfortunati e hanno continui contrattempi e problemi fisici che diventano quasi strutturali e si finisce a pensare che, anche se di potenziale ne hanno tanto, una tappa non la vinceranno mai, e invece quest’anno Nizzolo per dire c’è riuscito. Un altro è Alberto Bettiol, che oggi non ci sta, vuole vincere a tutti i costi, prova più volte ad attaccare ma gli altri disperati non lo mollano e a un certo punto se li toglie di ruota, rimonta su Cavagna, viene raggiunto da Roche ma lo stacca di nuovo, guadagna soprattutto sulle salitelle e sull’ultima sorpassa il francese e se ne va, è straripante in tutti i sensi, chiama la standing ovation, e alla fine cerca di salire sul palco della RAI con la bicicletta violando tutti i protocolli, e dubito che Von Der Leyen e le altre cariche europee stessero guardando, e sarebbe un peccato perché avrebbero imparato qualcosa.
Dicevano che saremmo usciti migliori e invece siamo usciti con i migliori. Presto sarà tutto come prima e torneremo a respirare come prima.