Cartolina da Laval

La quinta tappa del Tour è la prima fuori dalla Bretagna ed è una cronometro che fa contenti alcuni e scontenti altri. Sono contenti a prescindere gli enigmisti, i giocatori di parole, perché la città d’arrivo è palindroma: LAVAL, e basta girare in orizzontale la seconda “L” per ottenere un palindromo anche visivo. Fa contento Pogacar che vince e rinfresca la memoria a quelli (in genere sono i testoni italiani) che pensavano dovesse difendersi lui che il Tour precedente lo vinse proprio a cronometro. E fa contento Van Der Poel che arriva quinto e mantiene la maglia gialla dimostrando che se gli gira può andare forte anche a cronometro. Il ragazzo è poliedrico, cosa altro deve fare per dimostrarlo: pista, downhill? Ecco, il downhill lasciamolo stare che al ciclismo su strada ha suggerito qualcosa di cui si poteva fare a meno: la hot seat. La sedia calda è uno strumento di tortura, non nel senso che il ciclista viene fatto sedere con la forza su una sedia bollente e costretto a confessare di fare uso di doping o di essere stato ingaggiato perché si è portato lo sponsor da casa, no, ma è una tortura che il primo nella classifica provvisoria, che semmai vorrebbe andare in giro a rilasciare interviste, a baciare miss prima che sia troppo tardi, a mangiare un gelato, ma anche a fare una pedalata defaticante sui rulli, invece è costretto a stare seduto lì, inquadrato dalla telecamera nei momenti cruciali, cioè quando arriva quello più forte che lo beffa, e oggi è capitato a Kung di stare seduto tanto tempo finché non è arrivato Pogacar a farlo scontento. Un altro che può essere contento è il Supercittì Cassani perché l’italiano Cattaneo è andato davvero forte con un ottavo posto inatteso. Chi invece non sarà contento è sempre Cassani perché Cattaneo non è stato convocato per le Olimpiadi. Un altro scontento è lo scrittore parlante perché le cronometro non gli piacciono, ma ha voluto parlare lo stesso, peccato, poteva approfittarne per prendersi un giorno di riposo, non ci saremmo lamentati del suo assenteismo e anzi ci avrebbe fatti contenti.

Frasi dimenticate – La straziante Bellezza

Questa volta la dimenticanza è meno grave, perché la frase di oggi, una frase senza verbi, più che altro un’esclamazione, ricordo benissimo di averla sentita in televisione in chiusura di qualche trasmissione, e l’unica cosa che non ricordo è se si trattava dell’episodio Che cosa sono le nuvole del regista cattolico Pier Paolo Pasolini o di un documentario di National Geographic. Però il primo aggettivo nella frase mi fa pensare che si trattasse della seconda.

Lui neanche ci doveva venire

Al Tour ci sono state tante cadute e purtroppo anche tante teorie sulle cadute. Gli ex ciclisti, compresa Giada Borgato, si lamentano che i giovani d’oggi in gruppo non hanno rispetto e che era meglio 15 anni fa. Mah, a me pare di ricordare che 15 anni fa c’erano i vecchi che si lamentavano dei giovani che in gruppo non avevano rispetto e che era meglio quando loro avevano iniziato a correre ed erano dei giovani, che però a questo punto viene il sospetto che non avessero rispetto per i vecchi. Bugno invece sembra che seguendo la pista etnica abbia trovato dei colpevoli, e non si tratta di Toni Martin ma degli australiani, mentre decenni fa erano gli statunitensi, e buon per gli eritrei che sono sempre pochi in gruppo perché come capro espiatorio andrebbero bene. Il problema è che la gente dà ascolto a Garzelli, che oggi era rilassato perché Schelling non è andato in fuga, ma il bello (si fa per dire) è che, con il ritorno a casa di alcuni capitani, cambiano gli obiettivi delle squadre e la Bahrain, che ha perso Jack Haig che poteva puntare anche a un 11esimo posto in classifica, ora dovrebbe mirare alla maglia verde con Colbrelli, e allora Garzelli tomo tomo auspica che Sonny vada in fuga anche nelle tappe difficili per prendere punti ai traguardi volanti, cioè dovrebbe fare proprio come Schelling per i GPM, solo che quando lo fa l’olandese a Garzelli gli viene il nervoso come all’Ispettore Capo Dreyfus quando sentiva nominare l’Ispettore Clouseau della Sûreté. Però oggi i corridori in gruppo si sono rispettati, pure troppo: “Oh Maglia Verde, ha perso la ruota del suo compagno? Prego, si infili qui allo scopo di usufruirne della scia e non prendere aria in faccia” “Grazie, molto gentile”, e non si preoccupavano del fatto che davanti, oltre a Périchon che è sempre il solito e va in fuga ma non arriva mai, c’era il giovane Van Moer che è pericoloso soprattutto se non lo mandano fuori strada, e infatti con grande sforzo l’hanno ripreso a 200 metri dal traguardo, e così la volata l’ha vinta Mark Cavendish, che dopo i risultati delle scorse settimane non è in fondo una sorpresa ma all’inizio dell’anno nessuno l’avrebbe detto. Cavendish non riusciva più a vincere, neanche con Ubuntu, e non trovava più squadra, si era fatta avanti solo una continental. Poi all’improvviso l’annuncio dell’ingaggio da parte di una delle squadre più vincenti, la Deceuninx, che tra l’altro aveva già attaccato il cartello con la scritta “Personale al completo”, anche se Evenepoel e Jakobsen erano in malattia. E a quel punto tutti a elogiare la bontà d’animo del vecchio patròn Lefevere che aveva vinto tante belle gare con Cav. Ma la favoletta è durata poco perché poi si è saputo che Mark si era portato lo sponsor da casa, una cosa per cui in Italia c’è stato un processo. Però prima sono arrivati i piazzamenti e poi le vittorie sempre più importanti, ma il Tour non era in programma perché il velocista doveva essere Bennett, che però ha avuto dei problemi a un ginocchio, non sappiamo se il boss gli abbia tirato un calcio di nascosto, ed è stato sostituito all’ultimo momento. Lefevere, che è pure columnist di Het Nieuwsblad, ha scritto che dopo la vittoria al Giro del Belgio aveva chiesto a Cavendish dove era stato in questi anni, insomma cosa aveva fatto in tutti questi anni, e non sappiamo se Mark ha risposto di essere andato a letto presto, ma avendo sposato una modella della terza pagina di The Sun ne avrebbe avuto ben donde.

Garzelli ripreso mentre Schelling è in fuga.

La Zeriba Suonata – Cadute

Al Tour ci sono troppe cadute, e le cadute in generale sono spesso rovinose. Sarà per questo che gli anglofoni per parlare dell’innamoramento usano l’espressione “fall in love”. Ma a una certa età, come nel caso di quello che restava del mio gruppo punk preferito prima della morte di Pete Shelley, invece di stare a discutere di innamorato o mai innamorato sarebbe meglio preoccuparsi delle cadute in senso letterale, perché un femore non è per sempre.

Buzzcocks – Ever Fallen In Love – live 2018

Uomini contro

Ci sono uomini coraggiosi che non hanno paura di esprimere opinioni controcorrente. Prendete quel mattacchione di Oliver Naesen, non avendo di meglio da fare perché dalla fine del 2019 non sale su un podio qualunque, l’altro ieri, quando per la prima caduta c’era un colpevole in flagranza di reato, la Signora Idioot, e un’arma del delitto, un cartone che doveva essere rigido come neanche le copertine delle cosiddette graphic novel, il nostro Oliver lancia un’accusa alternativa dicendo che sono sempre gli stessi a cadere, ma non fa allusioni, fa proprio un nome: Toni Martin. Beh, oggi appena inizia la diretta ecco che cadono proprio Martin e Geraint Thomas, uno che se ci fosse l’esame per la patente di guida per bici non lo supererebbe, e sarebbe stato proprio il gallese a provocare la caduta di cui ha pagato le conseguenze soprattutto Fortunello Gesink. Ma questa è solo la prima di una lunga serie, perché nel finale tra gente che va per i prati e un percorso che sembra una pista per il bob, e tutto questo per arrivare al paesello natale di Monsieur Le Président Lappartient, cade tra gli altri Roglic, che sta prendendo anche lui questo vizio ma in fondo non dimentichiamo come terminò la sua carriera da saltatore con gli sci, e altri tra cui Pogacar restano solo attardati, per cui finisce che Thomas arriva anche prima di alcuni avversari. Il percorso è pericoloso ma i ciclisti ci mettono del loro come Ewan che in volata sgambetta Sagan, e Colbrelli per evitarli prende la circonvallazione esterna e si ferma all’autogrill a prendere un gelato gusto fragola e barretta di Cassani. Così vince Tim Merlier con un apripista d’eccezione come Van Der Poel. Merlier però sciupa la foto della vittoria facendo il gesto antipatico e sempre più diffuso del dito davanti alla bocca e per di più per futili motivi: stamattina gli avevano detto che stava male. Quell’altro burlone di Philippe Gilbert aveva vaticinato le cadute e se pensate che sia uno jettatore cosa direste di Marc Madiot che oggi ha detto che qui ci scapperanno i morti?

Ma in questo Tour ci sono anche uomini contro nel senso dei duelli che caratterizzano la gara, come quello sloveno tra Pogacar e Roglic e quello tra Van Der Poel e Van Aert degno del racconto di Conrad, o del film di Scott, ma per ora il più acerrimo contrappone il ciclista ex olandese Ide Schelling e l’ex ciclista Stefano Garzelli sempre pronto a criticare ogni mossa del primo: ormai è una faccenda personale. Oggi Garzelli sembrava stesse cedendo, facendo dei complimenti a questo corridore che è andato in fuga tre volte in tre tappe, ma quando Schelling si è rialzato dopo aver vinto il GPM, che è il suo obiettivo, Garzelli l’ha accusato di scorrettezza nei confronti dei compagni di avventura che gli hanno lasciato il traguardo e non sono stati ripagati con un ulteriore contributo alla fuga. Beh, a parte che Schelling non ha fatto niente di nuovo perché in tanti negli anni sono andati in fuga per un traguardo parziale e poi si sono rialzati per conservare le energie per il giorno successivo, dubito che uno come Jelle Wallays, che se va all’attacco è per vincere, si sia dispiaciuto di aver perso senza sforzo supplementare un avversario pericoloso che al G.P. di Gippingen ha battuto due vecchie glorie come Rui Costa e Chaves. E a questo punto credo che il giorno in cui Garzelli non avrà niente a cui aggrapparsi dirà che a Schelling gli puzzano le ascelle.

Oliver Naesen chiacchiera con il fratello Laurel, pardòn, Lawrence.

La Zeriba Suonata – Diamo un inno a tutti

E’ un periodo di grandi eventi sportivi e gli inni dilagano, ma il problema di questo genere musicale è che spesso gli inni nazionali sono stati scritti in altre epoche e i testi rispecchiano un altro modo di pensare, come rileva un blog che ha proposto un’analisi del testo dell’Inno di Mameli, e un po’ mi ha sorpreso perché credo proprio di non averlo saputo integralmente neanche alle elementari e comunque ne ricordavo solo gli highlights: “Che schiava di Roma Iddio la creò”, “Stringiamoci a coorte siam pronti alla moorte”, e “Zan Zan”, e devo dire che quest’ultima è la parte che preferisco, forse perché sa un po’ di avanspettacolo e di teatro di rivista, un tipo di spettacolo che quando sono nato probabilmente già non c’era più ma quella cultura è filtrata attraverso i varietà televisivi e i film comici coevi, soprattutto quelli con Totò. Tornando agli inni, essi rappresentano delle comunità e questo concetto oggi molto usato delle comunità è davvero comodo perché pensare per contro che là fuori ci siano miliardi di singoli individui che pensano ognuno a modo suo fa venire le vertigini, non se ne parla proprio, meglio pensare per gruppi, categorie, comunità. Ma alcune di queste non mi risulta che abbiano un inno e allora questa rubrica interviene a suggerire delle canzoni che potrebbero fungere allo scopo. Ad esempio ci sono i taccheggiatori che nel periodo delle chiusure hanno reso un grande servigio al Paese perché quando qualcuno veniva sorpreso a rubare nei supermercati forniva ai media una preziosa opportunità di fare dei lacrimosi servizi in cui si denunciava l’impoverimento della gente e di conseguenza la necessità di ridurre le tasse ai ricchi.

Shoplifters Of The World Unite

Altra categoria vituperata è quella degli stalkers di cui diciamo tutto il male possibile ma poi per loro fortuna intervengono i Giudici che hanno studiato e con la loro autorevolezza li mandano liberi per il mondo, e questo è l’inno da cantare con la mano sul petto, preferibilmente quello della persona perseguitata.

The More You Ignore Me The Closer I Get

Al pari delle bandiere gli inni sono divisivi, come solo il tifo nel calcio, e allora ben venga un inno trasversale che può unificare la comunità uligana.

Sweet And Tender Hooligan

E infine ci vorrebbe un inno per tutti i fans sparsi per il mondo di un famoso gruppo degli anni 80, un inno da cantare con la mano non sul petto ma sul fianco.

The Boy With The Thorn In His Side

Enrico Baj – “Generale”

Van Der Poel scatenato vince pure la Coppa del Nonno

L’Interpol è sulle tracce della donna che ieri con un solo cartello ha fatto cadere 100 corridori. Sembra che la misteriosa scritta sul cartello sia un saluto a nonni e nipoti, ma questo non sarà d’aiuto nelle ricerche perché se anche si riuscisse a contattarli, dopo la figura di m**** in Eurovisione questi parenti farebbero finta di non conoscere la donna che Het Nieuwsblad ha definito “idioot” (chissà cosa vorrà dire in quella lingua ostica che è il nederlandese/fiammingo). Ma se ieri il bollettino medico è stato più lungo della cronaca della tappa non vuol dire che non sia stata almeno a tratti spettacolare e ciò per merito anche di Ide Schelling che oggi ci ha riprovato e a quanto pare si diverte a vincere traguardi parziali subito dopo qualche critica di Garzelli, il quale dovrebbe piuttosto stare attento a quello che dice perché non sbaglia solo le vocali ma anche le consonanti e definire Schelling “estroso” può essere rischioso. Ma tornando allo spettacolo, quello principale è stato per le vittorie, quella di Alaphilippe ieri dedicata al figlio e quella odierna di Van Der Poel dedicata al nonno. E ci accorgiamo che il fatto di essere un predestinato per Mathieu si sta rivelando pesante, perché ci si aspetta che vinca i trofei nel ciclocross e le classiche che vinse papà Adrie e le corse che vinse il nonno Raymond, più la Sanremo che la Vuelta, ma soprattutto che conquisti quella maglia gialla che il nonno non ha mai indossato neanche per un giorno, e forse per questo Mathieu si diverte di più in mtb perché è più libero dato che vi si dedicò un po’ il padre a fine carriera. Ora che Van Der Poel in un colpo solo ha vinto una tappa e preso la maglia gialla non per questo smetteranno di ricordarci due/tre volte al giorno che nonno Pou-Pou non l’ha mai vestita eccetera, ormai è un classico, anzi un tormentone come il massacro dei Catari e la vittoria di Manzoni nella tappa in cui cadde Pantani, e De Luca raccontando di quando il nonno seguiva il nipote anche sui campi del cross ha detto che Mathieu vinse la Coppa del Nonno. Oggi il secondo dei grandi che risponde all’appello, in attesa che Van Aert si faccia vivo, è partito dopo un tentativo di Colbrelli mentre Nibali ha lasciato che i ragazzi che avevano fretta andassero avanti che lui veniva dopo, e così in queste prime tappe l’italiano che ha avuto più visibilità è stato il toscano Kristian Sbaragli, compagno di squadra di Van Der Poel e migliore degli italiani nelle classiche delle Ardenne, perché lo shampoo magico ha fatto uno spot specifico per l’Italia in cui Sbaragli dice che usa quello shampoo perché ci tiene a’ hapelli, e questa sembra la caratteristica principale richiesta ai ciclisti per essere ingaggiati in quella squadra.

Kristian Sbaragli e Mathieu sbaraglia gli avversari.

La breve vita della coppia più bella del mondo

Le esigenze del ciclismo femminile cambiano in fretta, almeno a sentire Giada Borgato, e io mi trovo spesso d’accordo con questa ex ciclista cui predissi su questo blog un futuro da commentatrice appena scese dalla bici. Infatti oggi appena ho visto il primo passaggio sulla salitella finale del percorso sia de La Course che della prima tappa del Tour ho pensato al Cauberg e Borgato ha poi detto che ricordava il finale dell’Amstel: ecco. E Giada ha detto che il ciclismo femminile, che negli anni scorsi ha cercato la versione per le donne delle classiche maschili, ora deve andare per conto suo e puntare alla sua visibilità, e io aggiungerei che non so quanta visibilità abbiano dato al settore queste corse mattutine e, a parte il fatto che non so quanti stamattina abbiano messo la sveglia come ho fatto io, hai voglia a dire che il pubblico si trova sul percorso e può vedere anche … ma può vedere anche cosa? Forse questo succede in Belgio ma alla Course l’arrivo è sempre stato ore prima di quello maschile e quanta gente possa bivaccare sul percorso non so. In Belgio va meglio, e un’altra delle cose che mi piacciono di Borgato è che appena ne ha l’occasione parla della bellezza delle classiche del nord, spesso riferendosi al pubblico che in Italia lei avrà visto davvero poche volte, ma dicevo pure nelle Fiandre ci sono stati problemi organizzativi con le due prove che si sono incrociate. E questo è il problema del ciclismo su strada, l’impatto sulla mobilità, la durata delle gare, mentre nel ciclismo su pista e nell’atletica e nel pattinaggio di velocità e pure in quello sport che si disputa nelle piscine di cui mi sfugge il nome, la relativa brevità delle gare consente la convivenza. Forse anche per questo il Tour de France pour les Dames che partirà, o riprenderà a seconda del copyright, dal 2022 non si sovrapporrà alla gara maschile ma ci sarà una staffetta. E quindi quella di oggi è stata l’ultima edizione de La Course in linea by le Tour ed è stata anche la prima e l’ultima in cui si è potuta ammirare la coppia più bella del mondo, che in realtà si è rivelata al mondo medesimo solo in primavera quando le due che vedremo si sono aiutate e divise la Freccia Vallone e la Liegi. Lo dicono tutti, il ciclismo è uno sport di squadra, con rare parziali eccezioni come Sagan e Vainsteins che però qualche amico in gruppo l’avevano, e questo vale anche per un fenomeno come Marianne Vos. Le ragazze della Jumbo in realtà hanno lavorato per riprendere una fuga neanche troppo convinta ma poi nel finale Marianne ha dovuto fare da sola, viceversa Demi Vollering ha avuto una gregaria eccezionale come la campionessa del mondo che ha ripreso un altro tentativo di fuga e invece di tirare dritto ha aspettato la compagna e poi ha lanciato la volata e sembrava tutto troppo facile per Vos, ma in realtà era una trappola per la Volpe che è saltata sulla ruota di AVdB, e del resto non aveva alternative, ma Demi Vollering si è dimostrata più veloce. E insomma la nuova stella del ciclismo ex olandese è forte in salita e in volata, ma bisognerà vederla in azione l’anno prossimo quando Van der Breggen non sarà più in bici ma in ammiraglia e mancherà non solo alla Vollering ma anche agli spettatori.

Poi per la corsa maschile in RAI cambiano i ruoli e Giada passa alle ricognizioni delle tappe, a volte in auto e a volte addirittura in bici come ai bei tempi (e le tocca faticare), e anche ai commenti del dopo-tappa inevitabilmente noiosi in cui lei, l’esangue Ballan, a cui sono sempre convinto che la sparata negli ultimi km del mondiale 2008 abbiano tolto alcuni anni di vita, e il terribile Orlando sono capaci di ripetere sempre le stesse cose quando sarebbe meglio restare in diretta e seguire interviste premiazioni e urla varie. Altra brutta notizia è la conferma in squadra dello scrittore parlante, ma il commentatore principale è Garzelli con le sue vocali in libertà. E il varesino, teorico del minimo sforzo col minimo rendimento, dimostra subito di capirne. Infatti c’è un gruppetto di 6 uomini in fuga, ma Ide Schelling li stacca per proseguire da solo con grande disapprovazione di Garzelli che se potesse lo metterebbe sotto con l’auto, semmai di quelle che sponsorizzano qualcosa. Ma dove va da solo? Dovrebbe fare una cronometro di 30 km solo per arrivare al prossimo GPM. E invece il ciclista col cognome da filosofo quella crono la fa e per strada raccoglie GPM traguardi volanti e applausi in quantità e alla fine avrà pure il premio della combattività. Chi invece ne capisce davvero è Philippe Gilbert, altrimenti dobbiamo pensare che porta male, perché ieri a Het Nieuwsblad aveva dichiarato di temere cadute, o forse era una facile previsione, sta di fatto che di cadute ce ne sono state due totali. La prima caduta è stata causata da una donna che si era sporta sulla sede stradale con un grosso cartello, una tipa che cercava l’inquadratura e l’ha avuta e pertanto dovrebbe essere identificabile e incriminabile, anche se potrebbe cavarsela con l’infermità di mente. L’altra caduta è stata di produzione propria del gruppo ed è stato il pubblico a rischiare grosso. Per la vittoria erano attesi i tre grandi ma non c’è stata grande lotta perché Julien Alaphilippe, motivato per una volta da una nascita, quella del figlio, e non da una morte come da tragica tradizione ciclistica, ha fatto il vuoto e gli altri grandicelli, che nelle ultime settimane hanno giocato a nascondino, sono rimasti a guardarsi. E già alla prima tappa si potrebbe chiudere l’antipatica discussione sulla partecipazione di Vincenzo Nibali alle Olimpiadi. I tastieristi in questi giorni si sono abbondantemente espressi contro la convocazione di Nibali e a favore del suo ritiro definitivo, e oggi l’arrivo non era neanche adatto alle sue caratteristiche, ma Vincenzo è arrivato primo degli italiani nel primo gruppetto inseguitore. Il finale era più adatto al campione italiano Sonny Colbrelli, che è in grande forma e peccato che il percorso olimpico sia troppo duro per lui ma qui può vincere la tappa e prendere la maglia gialla, e invece è arrivato a una 50ina di secondi, vero che è caduto ma chi non è caduto oggi? Ma al Tour gli italiani sono solo 9, gli altri probabili olimpici giovedì erano al Giro dell’Appennino in cui sono stati strabattutti da Ben Hermans, onesto 35enne belga che non è neanche sicuro di andare a Tokyo, e allora di cosa parliamo quando parliamo di Nibali?

Ide Schelling mostra il numero rosso il cui sponsor ha una sola vocale nel nome ma Garzelli sbaglierebbe anche in questo caso.

un vecchio modo per non vincere il Tour

L’amico artista R.F., che non usa internet e non leggerebbe queste righe, sapendo del mio interesse per il ciclismo, qualche mese fa mi ha inviato un periodico francese con estratti da vecchi giornali e in quarta di copertina c’era questa storia illustrata del 1903, un protofumetto intitolato Perché non ho vinto il Giro di Francia.

L’Astana Liberata

All’alba di ieri le truppe di terra e di sottoterra della Premier Tech hanno liberato Astana e deposto lo Zar Alexander Vinokourov, prontamente sostituito da Giuseppe Martinelli, l’abile stratega apprezzato al Giro 2004 quando guidò con autorità Cunego e Simoni che si correvano contro, e affiancandogli Steve Bauer a sua volta apprezzato al Mondiale 1988 quando fece cadere Claude Criquelion e fu squalificato per la goduria del terzo che diventò primo: Maurizio Fondriest. Vinokourov temeva la congiura già da quando il suo braccio destro Alexander Shefer fu allontanato e costretto a trovare riparo nella Gazprom, come del resto si può constatare dai disastrosi risultati della squadra russa. Ora si pensa che Vinokourov lasci il Kazakhistan che tanto ha illustrato con le sue vittorie e le sue squalifiche e vada in esilio in Francia, dove potrà seguire il Tour nelle taverne nei bar e nei bistrot, purché si beva, semmai in compagnia di qualche altro grande decaduto, come il danese dalla fronte fin troppo spaziosa Bjarne Riis con cui ricordare i bei tempi andati (in prescrizione).