Non so perché ho comprato Vita con Lloyd di Simone Tempia, forse perché non sapevo che era un fenomeno del web, altrimenti l’avrei guardato con sospetto, forse per averne letto un dialogo che astratto dal contesto sembrava promettente, forse perché è illustrato da Tuono Pettinato alias Andrea Paggiaro buonanima. Poi a leggerlo già le illustrazioni si rivelano poco più che segni grafici per separare paragrafi e capitoletti, ma dicevo le frasi astratte dal contesto, il problema è che qui il contesto non c’è, c’è solo il vuoto, discorsetti astratti col sospetto che dietro la parvenza di libretto umoristico si nasconda un manualetto pure snob di quelli che hanno la presunzione di insegnare a vivere per raggiungere la serenità se non la felicità, come tanti che asfissiano le librerie. Nei dialoghi tra Sir e il suo maggiordomo Lloyd alcune molto generiche situazioni della vita vengono paragonate con il giardinaggio o l’economia domestica, ma tutto campato in aria senza un minimo accenno di concretezza. Insomma giochini di parole, un divertissement con cui l’autore si è divertito e i lettori pure, così parrebbe, però c’è una cosa che forse non si nota se le scenette vengono centellinate sul web ma diventa presto fastidiosa se esse vengono lette di seguito, e mi riferisco alle riverenze con cui si chiudono i singoli dialoghi, “Grazie, Lloyd” “Prego, Sir” con piccole variazioni sul tema, che lasciano il rammarico che i due tizi non esistano davvero per poterli solennemente ma non educatamente mandare a fare in culo.
Di Tuono Pettinato cercate Apocalypso! e leggete “Papa Placebo”.
Quel signore che hanno intervistato stasera a Radiocorsa, che dicono è il coordinatore delle nazionali o qualcosa del genere, sì, quello che ha detto che il problema degli scarsi risultati del ciclismo italiano, uomini e su strada chiaramente ché il resto conta poco, il problema è la mancanza di una squadra world tour italiana, dicono tutti così, perché gli italiani forti vanno nelle squadre foreste a fare i gregari e se c’era una squadra italiana forte li ingaggiava lei tutti i ciclisti italiani forti, e ha fatto l’esempio di Caruso che corre per una squadra straniera e le squadre straniere si sa che fanno quello che gli pare e alla squadra di Caruso è parso di non portarlo al Giro ma fargli fare il Tour, e se invece Caruso correva in una squadra italiana veniva a correre il Giro d’Italia, ecco, sì, proprio quel signore lì, non è lo stesso che faceva il manager della Liquigas dove il giovane e promettente Caruso è diventato gregario? A me pare proprio lui.
Sono passati più di 30 anni e non ricordo più niente della fine del mondo, cioè non proprio quella vera che dovrebbe essere questione di tempo a sentire Putin e i suoi antagonisti, ma intendevo Until The End Of The World, film di fantascienza di Wim Wenders del 1991, di cui ricordo solo per i miei occhi Solveig Dommartin, che era la sua musa in quel periodo, e per le mie orecchie la colonna sonora piena di roba buona tra cui spiccava una versione dub di un brano di Neneh Cherry poi incluso nell’album Homebrew del 1992.
Al Festival di Cannes il regista Michel Hazanivicius presenta un film intitolato Z (Comme Z). La Z del titolo è dovuta al fatto che il film è una commedia sugli zombies, e inoltre secondo il regista i film di questo genere horror vengono ritenuti di serie z. Ma quei zuzzurelloni dell’Ukraine Institute hanno chiesto al festival di cambiare il titolo del film perché la Z è il simbolo apposto sui carri armati di Putin e ha assunto un significato bellicoso, e il regista ha detto che avrebbe fatto quello che poteva. La notizia, come direbbe qualcuno, si commenta da sola, anche perché io non riuscirei a commentarla senza usare parole con la “z”.
Quando non ho novità musicali da sentire vado ad ascoltare cose vecchie, semmai di quelle che avevo messo troppo presto da parte, e stavolta è toccato agli islandesi Sigur Rós, ancora attivi, ma che hanno avuto il loro momento migliore tra i novanta e gli anni zero quando la musica islandese e più in generale del freddo nord Europa dilagava con Bjork, Torrini, Cardigans e tanti altri che a me piacevano più dei britannici coevi. Invece ai Sigur Rós avevo dedicato meno tempo, e invece non erano per niente male, sia quando suonavano psychoambient sia quando andavano più sull’enfatico, meglio di tanti tromboni che c’erano in giro. E a proposito di giro, qui suonano nel canyon Ásbyrgi, uno spettacolo supplementare.
Aigle, abbiamo un problema. Qualcuno da voi, nel quartier generale dell’Uci, pensava alla possibilità di infiltrare spie nel gruppo per verificare se qualcuno si dopa, ma forse in questo momento sarebbe meglio vedere cosa prendono i meccanici e gli altri passeggeri delle ammiraglie. A Pasqua Wout Van Aert doveva cambiare bici proprio nella foresta di Arenberg e il meccanico ha avuto la bella pensata di portargliela pedalandoci sopra ma, essendo quello il settore più difficile e scivoloso, dopo un paio di pedalate è crollato a terra. Poi ieri un suo collega dopo aver cambiato la ruota a Brodie Chapman le ha dato una spinta così brusca che quasi la faceva sfracellare contro un muro. Gesti goffi e sgraziati, ma non è molto più aggraziata in bicicletta la splendida quarantenne Annemiek Van Vleuten che però, dai e dai, ha staccato tutte le avversarie e a Liegi ha finalmente vinto una classica in questa stagione in cui aveva collezionato solo piazzamenti. Per stavolta le italiane non sono salite sul podio, in particolare Marta Cavalli che dopo aver fatto la sua corsa alla fine ha tirato la volata alla compagna Grace Brown, la più veloce nel gruppo di testa composto dalle atlete che, con la vincitrice, presumibilmente si contenderanno Giro e Tour.
Quando la intervistano AVV deve avvicinarsi al giornalista, forse l’udito inizia a calare con l’avanzare dell’età.
E così i ciclofili italiani misogini per questa volta avranno tirato un sospiro di sollievo, dato che trovano indelicato che le cicliste italiane vincano tanto in un periodo di magra per i connazionali maschi, però alla fine neanche hanno avuto di che essere contenti perché i primi tre italiani si sono piazzati tra la 22esima e la 30esima posizione, si tratta di Ulissi Pozzovivo e Nibali e la loro età media è di più di 36 anni. La corsa maschile è stata condizionata da una grande caduta che se fosse capitata nella gara femminile per qualcuno sarebbe stata la dimostrazione che le donne non sanno andare in bici. Il favoritissimo Julian Alaphilippe sembrava quello messo peggio e il primo a soccorrerlo è stato il connazionale ma non coéquipier Romain Bardet, che gli italiani definiscono l’arcivale e nemesi di Thibaut Pinot. Ma l’altro giorno, quando hanno vinto il primo la classifica del Giro delle Alpi e il secondo l’ultima tappa, Bardet si è detto contento per Pinot perché sono coetanei e si conoscono e corrono insieme da una vita: brutti tempi per i seminatori di zizzania e i beppeconti. Caduto Alaphilippe, il compagno Remco Evenepoel è stato libero di fare la sua corsa e avendo a sua disposizione tutta una Redoute, opportunamente collocata più avanti nel percorso rispetto alle recenti edizioni, ha attaccato solo allo scollinamento ed è partito così forte da sbandare con la ruota posteriore. Nessuno è stato in grado di seguirlo, né Valverde che come Gilbert era alla sua ultima Liegi ed è compagno di club di Van Vleuten e di due anni più vecchio, né i Bahrain che fino a lì avevano fatto un sacco di tentativi inconcludenti. Così abbiamo finalmente visto l’Evenepoel tanto atteso, ed erano talmente e inopportunamente alte quelle aspettative su di lui che il ragazzo, che in fondo ha 20 anni meno di Valverde, non aveva ancora tagliato il traguardo e già piangeva. I due vincitori hanno in comune la testa dura e un passato problematico in quanto entrambi da ragazzi erano caduti nel tunnel del gioco del calcio. Alle spalle di Evenepoel abbiamo rivisto un manifestante parassita che aveva invaso il rettilineo d’arrivo pure al Fiandre e portava una maglietta invocante giustizia per il clima, ma la sua non è stata l’unica invasione pericolosa in una giornata in cui pure Mohoric era molto più prudente del solito, al punto che quando l’hanno intervistato ha indossato la mascherina. E con le corse nel Belgio francofono finiscono le classiche del Nord, resta solo l’appendice mezza snobbata di Francoforte. Queste ultime due gare ci hanno fatto apprezzare le attrattive turistiche della Vallonia, dalla centrale nucleare di Huy al parco con zebre e giraffe, animali tipici della savana vallona, ma in questa regione ci sono anche luoghi e monumenti che ricordano gli eventi tragici della Storia più o meno recente, dalle guerre mondiali all’invasione degli architetti catalani.
Però anche il clima avrebbe potuto trovarsi un avvocato difensore migliore di questo tizio.