Non i primi

E’ bello avere delle certezze. E’ ormai una certezza il fatto che l’Italia è un paese freddo: è l’unico a organizzare una gara di ciclocross deliberatamente sulla neve, e da anni, come nel freddo Belgio, e a differenza dei caldi paesi mediterranei come Spagna e Francia, la stagione su strada inizia solo a fine febbraio. Ed è una certezza che si vada a correre dove ci sono i soldi senza stare a fare gli schizzinosi: si corre su strada, pure sterrata, nell’Arabia Saudita, e pure nel ciclocross si bada più ai soldi che alla qualità dei percorsi. Vedendo ad esempio l’ultimo giro della gara maschile di Coppa del Mondo a Besançon, quando all’inseguimento di Van Der Poel c’era un gruppetto di una decina di uomini, ci si poteva chiedere se era cross o strada. Prevedibile che, con la Coppa del Mondo già assegnata matematicamente a Sweeck e Van Empel, i grandi favoriti per il mondiale si evitassero nel weekend, e così il sabato hanno vinto Van Aert e Van Empel nella challenge belga e la domenica hanno vinto Van Der Poel e Pieterse in Coppa. Come volevasi prevedere, nelle già numerose gare su strada hanno vinto tanti giovani aspiranti emergenti e ci sono state cadute a cascata. L’incidente più assurdo è avvenuto nell’ultima tappa della Vuelta a San Juan dove Fabio Jakobsen, proprio quello già miracolato al Giro di Polonia 2020, è stato colpito dal telefonino di uno spettatore che non era l’unico a sporgersi, era solo quello che si era sporto di più, e a vedere le immagini sembrava piuttosto che volesse passare una telefonata a Jakobsen. Dicevo le certezze, in Australia hanno tanti ciclisti che riescono a vincere gare più o meno importanti, a cominciare da Caleb Ewan quelle poche volte che inizia la volata da una posizione decente, ma i ciclisti più rappresentativi degli ultimi anni, Michael Matthews e Amanda Spratt, riescono sempre a trovare qualcuno che li precede, e dopo il Tour Down Under e la corsa dedicata a Cadel Evans torneranno in Europa a mani vuote. Ricordiamo che Matthews l’anno scorso vinse una tappa al Tour de France solo perché l’avversario di giornata era Alberto Bettiol che in quanto a secondi posti non è secondo a nessuno. O forse quella volta ebbe più coraggio del solito. A volte ce ne vuole molto, e la nuova squadra prof Corratec lo ha avuto due volte, prima per avere ingaggiato come diesse Fabiana Luperini in un ambiente ancora abbastanza maschilista, e poi per averla fatta esordire proprio in Arabia Saudita. La Luperini, che già ha lavorato con le donne e poi con i giovanissimi ed è sembrata spesso scettica riguardo ai riconoscimenti al ciclismo femminile, non è la prima donna sull’ammiraglia di una squadra maschile ma forse è la prima con un palmarès così ricco. Ma nel ciclismo non ci sono solo quelli che vincono tanto, o quelli che si piazzano spesso, ci sono pure quelli che non vincono mai o quasi. Uno di questi è il francese Geoffrey Soupe che è prossimo ai 35 anni e aveva vinto solo una tappa alla Tropicale Amissa Bongo nel 2011. A distanza di 12 anni nella stessa corsa non solo ha rivinto una tappa ma alla fine ha vinto pure la classifica generale. Lui è uno che in genere tira in testa al gruppo o tira le volate ai velocisti, insomma potrebbe passare inosservato tra i tanti che svolgono gli stessi compiti, ma da anni è ben riconoscibile perchè porta un folto barbone. Neanche in questa, che a un certo punto diventò una tendenza parzialmente rientrata, mi sembra sia stato il primo in questo periodo storico, probabilmente il primo è stato il tedesco Simon Geschke, ma la barba di Soupe lo fa sembrare un personaggio da fumetto, da bande dessinée, più precisamente ligne claire: Tintin o Blake et Mortimer o loro derivati.

Apologo – L’eremita e lo stilita

Un monaco vagava in una regione semidesertica in cerca di un posto adatto all’attività di eremita. Dopo giorni di vano cammino incontrò un viandante e gli chiese se ci fosse nei paraggi qualcosa che facesse al suo caso. Il viandante rispose che quello era un luogo abbandonato, povero di infrastrutture. Però a pochi passi da qui verso sud – aggiunse – ci sarebbe una nicchia tra i ruderi di un antico tempio crollato. Il monaco incalzò: Ci sarebbe o c’è? E il viandante precisò: C’è; solo che è rimasta in piedi anche una colonna e sopra c’è un monaco che fa lo stilita, quindi non so se fa al caso suo. Il monaco rallegrato disse: Che mi frega, quello sta là sopra, io sto sotto e non posso neanche guardare in alto altrimenti il sole mi acceca. Tenga buon uomo e grazie. E allungò un santino al viandante che perplesso se lo girò tra le mani chiedendosi il suo valore di scambio e riprese a viandare. Il monaco proseguì ed effettivamente dopo poco tempo giunse alle rovine del tempio, in vita sua non aveva mai visto rovine così rovinate, poche pietre, la nicchia in cui subito si infilò, e una colonna che non degnò di uno sguardo, né fu ricambiato dal collega di sopra il cui sguardo era rivolto verso l’alto. Però il giorno dopo l’eremita volente o nolente dovette fare i conti con la presenza dello stilita, il quale al risveglio svuotò la vescica in direzione della cripta. L’eremita urlò: Ehilà tu lassù, che fai? E lo stilita: Medito. L’eremita disse: Questi sono fatti tuoi, intendo che fai nel senso che devi stare attento a dove urini che quasi me la facevi addosso. Lo stilita imperturbabile: Io non mi preoccupo di queste cose terrene. L’eremita replicò: Io sì se mi arrivano addosso, stai attento. E non avuta risposta si dedicò alla meditazione e alla penitenza, che a fare solo penitenza uno finisce per annoiarsi. A metà giornata arrivarono i sostenitori dello stilita a portargli da bere e da mangiare e accortisi del nuovo arrivato dissero tra di loro a bassa voce: Qui ce n’è un altro: a questo niente. Mica possiamo farci carico di tutti i meditatori che vengono qui, che poi non lo so, che c’è di bello in questo posto che vengono tutti qui? Verso sera lo stilita ebbe di nuovo un’esigenza fisiologica e stavolta riuscì a centrare l’eremita che bestemmiò come un asiatico minore e minacciò lo stilita: Allora ce l’hai con me? Sei invidioso perché sto all’ombra? Lo stilita, con una faccia di bronzo non nel senso delle statue che si buttano a mare, replicò: Invidioso di te che te ne stai in quell’antro che sembra l’ingresso dell’inferno? Povero idiota che non sai quello che dici. Io sto qui su e sono più vicino al Cielo. L’eremita si arrabbiò ancora di più: E si vede che a stare lassù ti si è fritto il cervello. Ma io ti gonfio come un otre. Scendi giù! Lo stilita gli sputò in testa e disse: Sali tu, se hai il coraggio. E i due iniziarono a litigare ma nessuno andava verso l’altro. A un certo punto si trovarono a passare di lì due pastori erranti che prima si meravigliarono di quella lite tra uomini pii, poi si incuriosirono e alla fine iniziarono a parteggiare: – Secondo me l’eremita a quello gli spacca la faccia. – Tu erri, non a caso sei errante, lo stilita è più temprato dalla prova che si è imposto. Secondo me se scende lo fa a polpette. – Che cosa sono le polpette? – Non importa, insomma lo ammazza. -No, perché quello sulla colonna ha il cervello abbrustolito dal sole. Ne sono sicuro, guarda, ci scommetto una capra. – Vada per la capra. Però intanto i due contendenti rimanevano ognuno al suo posto, e allora i pastori pensarono di aizzarli, ma non ottennero niente. Passarono alcuni giorni, i due uomini pii continuavano a inveire l’uno contro l’altro, i pastori continuavano ad aizzarli e passarono di lì altri due pastori che prima si informarono di cosa stesse accadendo e poi scommisero una capra anche loro. Dopo un mese i pastori erranti che non erravano più ma scommettevano erano diventati almeno una ventina, a cui si aggiungevano quelli che portavano vivande allo stilita, tra le cui fila c’erano state alcune defezioni, insomma quelli erano quattro e ora due di loro sostenevano e alimentavano l’eremita. Dopo qualche altro giorno passò una carovana di nomadi e, poiché si erano accorti che, per eccesso di prudenza, si erano caricati di scorte di cibo molto abbondanti, pensarono di venderne parte ai pastori che ormai si nutrivano solo di latte di capra, quindi si accamparono lì e dissero: Il nomadismo può attendere. Solo due integralisti del nomadismo non riuscivano a stare fermi in un posto e proseguirono il viaggio. Giunti al villaggio più vicino raccontarono quello che avevano visto e in breve tempo la voce si diffuse e con essa anche l’interesse per la faccenda. Così sul luogo della disputa giunsero altri scommettitori e anche due meretrici che, saputo che lì girava del denaro, anche se sotto forma di capre, pensarono di guadagnarsene una parte intrattenendo gli uomini nelle fredde notti desertiche. Ma a un certo punto arrivò lo sceriffo che scosse il capo e con la sua autorità così parlò: Non va bene. Proprio per niente. Qui non può andare avanti così, con questo disordine. Bisogna organizzare le scommesse, c’è bisogno di qualcuno che sovrintenda tutto, e bisogna montare delle tende per il sovrintendente, scusate il bisticcio. E così fu, ma la proverbiale intraprendenza delle genti del deserto, rappresentata dal proverbio: Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi, perché comunque neanche domani pioverà e quindi non avrai scuse, dicevo l’intraprendenza dei locali portò alla costruzione di un casinò con annesso casino dove esercitavano le meretrici divenute nel frattempo una decina. Ma già che c’erano costruirono abitazioni anche per i pastori scommettitori e per i nomadi che, non essendo pratici, si rivelarono i più incontentabili in fatto di alloggi, al punto che qualcuno indispettito li invitò a tornare alle loro tradizioni nomadi, ma senza successo. Successe invece che la presenza nel casinò di altri giochi su cui puntare fece dimenticare ben presto la contesa iniziale che non aveva ancora avuto un esito. E quando l’eremita e lo stilita morirono a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro per un travaso di bile cadauno, sul momento nessuno se ne accorse, ma poi le autorità pensarono bene di dedicargli una targa con cui riconoscevano il loro ruolo nella nascita di quella fiorente città.
Questo apologo ci insegna che nella vita non si può mai dire.

Nel giorno del Signore

Il pistard Marshall Walter Taylor detto Major, il primo nero di colore a vincere un mondiale di ciclismo, combatteva contro gli avversari che non volevano correre contro di lui arrivando anche a farlo cadere, contro le associazioni ciclistiche americane, ma trovava conforto nella religione che gli vietava di correre di domenica. E dato che questo blog rispetta tutte le religioni (non ridete) questo post esce di sabato e non nel Giorno del Signore.

Leggendo gli articoli citati in questo libro si può constatare che già più di un secolo fa la stampa sportiva italiana adottava termini stranieri, soprattutto inglesi. Peccato allora che non ne abbiano trovato uno per “il bicicletto”.

Perline di sport – A caso

Nel primo weekend di febbraio ci saranno i campionati mondiali di ciclocross e allora sono andato a cercare a caso una vittoria del belga Roland Liboton, e a caso ho trovato la prima delle sue quattro tra i professionisti precedute da una tra i dilettanti, come si usava dividere lo sport prima della caduta del muro. Era il 1980, si correva a Wetzikon in Svizzera e guarda caso c’erano la neve e anche il ghiaccio molto scivoloso, ma allora non si pensava a chiedere di inserire questo sport nel programma delle Olimpiadi invernali.

Mondiale 1980

C’erano tempi in cui i belgi correvano per squadre italiane pure nel cross.

Visibìlia – Silhouettes

La Cineteca di Bologna ha pubblicato il dvd del film animato Principi e Principesse di Michel Ocelot. L’animatore francese a ottobre di quest’anno, con calma, compirà 80 anni, e sembra strano pensando che il suo primo lungometraggio, Kirikù e la strega Karabà, è del 1998. Ma Ocelot era attivo già negli anni 70, con artigianali cortometraggi realizzati con la tecnica delle silhouettes, sbizzarrendosi nell’uso delle carte più varie, tra cui i centrini da pasticceria, per realizzare le sue figurine, e quasi potremmo definirlo un Luzzati delle ombre cinesi. Poi con Azur e Asmar è arrivato anche alla computer grafica ma l’effetto magico è sempre lo stesso. Qualcuno potrebbe definire “etnico” il suo cinema, ma non c’è niente di modaiolo, Ocelot da bambino ha vissuto e frequentato le scuole in Guinea ed ha sempre avuto grande voglia di conoscere. Nella sua filmografia c’è anche un video musicale, e per uno che nei suoi film ha sempre disegnato (o ritagliato) positivamente le streghe è quasi consequenziale che abbia girato un video per quella strega di Björk: si tratta di Earth Intruders, tratto dall’album Volta del 2007, in cui figurine diciamo tribali danzano davanti al volto stravolto della cantante islandese. Poi ne ho approfittato per riascoltare tutto il disco, prodotto da Timbaland e con un featuring di Antony che al tempo si portava molto, ed è un gran bel disco, ma tenete presente che per me parlare di Björk è come parlare delle Warpaint o di Marianne Vos, casi in cui dubito della mia capacità di essere obiettivo.

Earth Intruders

Se A è uguale a B allora B è diverso da A

Si direbbe che il ciclocross vogliano infilarlo a tutti i costi nelle Olimpiadi. Si tenta la strada della gara sulla neve per un posticino nelle Olimpiadi invernali, ma vedendo la gara di ieri a Benidorm si potrebbe puntare anche alle Olimpiadi estive perché quelli che si definivano ciclopratisti hanno trovato sole, temperature relativamente alte, sabbia, ghiaia e tanto asfalto, e come prato giusto un po’ di erba spelacchiata. I commentatori RAI l’hanno definito un bel percorso, interessante, però poi hanno aggiunto che ricordava quello di Fayetteville dove si svolsero i mondiali del 2022, un percorso criticato da tutti compresi quelli della RAI. Ma il risultato alla fine è stato lo stesso, con gare combattute e spettacolari. Tra gli uomini hanno duellato i soliti Van Der Poel e Van Aert con la vittoria del primo, nel senso del primo citato perché poi è ovvio che vince il primo, non so se mi sono spiegato. Tra le donne hanno dominato le stesse tre che dominarono anche il mondiale americano, solo che all’epoca erano under 23, mentre le prime due del mondiale élite, Vos e Brand, quest’anno non hanno mai trovato la forma migliore, e Silvia Persico che fu terza è stata l’unica a tenere il ritmo di Van Empel Pieterse e Van Anrooij nell’ordine dell’ordine di arrivo, e quando nelle prime fasi di gara è stata l’unica ad agganciarsi alle terribili tre, il cronista RAI ha detto: “Silvia c’è” e menomale che non ha detto pure “menomale che”.