La Cineteca di Bologna ha pubblicato il dvd del film animato Principi e Principesse di Michel Ocelot. L’animatore francese a ottobre di quest’anno, con calma, compirà 80 anni, e sembra strano pensando che il suo primo lungometraggio, Kirikù e la strega Karabà, è del 1998. Ma Ocelot era attivo già negli anni 70, con artigianali cortometraggi realizzati con la tecnica delle silhouettes, sbizzarrendosi nell’uso delle carte più varie, tra cui i centrini da pasticceria, per realizzare le sue figurine, e quasi potremmo definirlo un Luzzati delle ombre cinesi. Poi con Azur e Asmar è arrivato anche alla computer grafica ma l’effetto magico è sempre lo stesso. Qualcuno potrebbe definire “etnico” il suo cinema, ma non c’è niente di modaiolo, Ocelot da bambino ha vissuto e frequentato le scuole in Guinea ed ha sempre avuto grande voglia di conoscere. Nella sua filmografia c’è anche un video musicale, e per uno che nei suoi film ha sempre disegnato (o ritagliato) positivamente le streghe è quasi consequenziale che abbia girato un video per quella strega di Björk: si tratta di Earth Intruders, tratto dall’album Volta del 2007, in cui figurine diciamo tribali danzano davanti al volto stravolto della cantante islandese. Poi ne ho approfittato per riascoltare tutto il disco, prodotto da Timbaland e con un featuring di Antony che al tempo si portava molto, ed è un gran bel disco, ma tenete presente che per me parlare di Björk è come parlare delle Warpaint o di Marianne Vos, casi in cui dubito della mia capacità di essere obiettivo.
Sono riuscito finalmente a vedere su Raiplay La famosa invasione degli orsi in Sicilia, il film animato di Lorenzo Mattotti tratto dal racconto di Dino Buzzati, un bel film in cui i disegni sono più mattottiani che buzzatiani. E mi verrebbe da fare una domanda che però sarebbe retorica. Cioè uno potrebbe fare finta di chiedersi se, quando si parla e pure molto di proteggere e valorizzare il madeinitaly, ci si riferisca solo all’olio e al parmigiano. Altrimenti non capisco perché qualsiasi fesseria animata della Disney o della Dreamworks, di quelle che i giornalisti dicono ooo che bellooo!, viene pubblicizzata mille volte più di quanto è stato fatto per questo film.
L’Editoriale Cosmo ha iniziato a pubblicare la raccolta completa di Nick Carter e nelle poche pagine introduttive del primo numero raccontano che l’autore Bonvi, tra le tante cose realizzate nella sua breve vita, per Carosello partecipò alla realizzazione del famoso spot animato Salomone il pirata pacioccone, ricordato ancora oggi (forse) per la frase tormentone del pirata Mano di Fata. L’ideazione del personaggio fu di Ebro Arletti, autore di molte pubblicità animate dell’epoca, e alle storie collaboravano Bonvi e Francesco Guccini, che insieme realizzarono anche il fumetto fantascientifico Cronache del dopobomba.
Kaitlyn Aurelia Smith è una musicista americana, ma non una che si riuniva con gli amici e strimpellavano un paio di accordi giusto per bersi qualche birrozza, no, lei la musica l’ha proprio studiata. Kaitlyn Smith suona musica elettronica tendente all’ambient, ha collaborato con musicisti affini, tra cui il compositore Emile Mosseri, candidato all’Oscar nel 2021, e un nome storico della musica elettronica, quella Suzanne Ciani che durante gli anni 90 fu buttata nel calderone new age. Di recente è uscito il nuovo album di Aurelia Smith intitolato Let’s Turn It Into Sound (Ghostly International) e, mi sbaglierò, le illustrazioni in copertina del marito Sean Hellfritsch, che di mestiere fa l’animatore nel senso dei video animati, mi ricordano un po’ le cose di Fortunato Depero che per un breve periodò lavorò a New York. Ah, ma voi vorrete sapere se poi mi è piaciuto il disco? Sì, più gira il ciddì, più lo ascolto e più mi piace.
I Tame Impala di Kevin Parker sono un gruppo australiano che iniziò rifacendosi pesantemente alla psichedelia anni 60 ed ebbero successo con il singolo Feels Like We Only Go Backwards, tratto dal loro secondo album Lonerism del 2011. Il video altrettanto psichedelico era della coppia di animatori Becky And Joe, ovvero Joe Pelling e Becky Sloan che hanno diretto anche serie tv e spot pubblicitari. Se la musica cita Beatles Byrds e Pink Floyd barrettiani la clip cita video storici, almeno a me così sembra. Forse agli inizi i giovani Tame Impala non sapevano bene che strade musicali percorrere, ma poi nel 2020 hanno realizzato The Slow Rush che si ispira agli anni 70 e non c’è niente da fare, quando ci si rifà al decennio maledetto è difficile che ne venga fuori qualcosa di buono, lo stesso è accaduto anche con l’ultimo – per ora – album di St. Vincent, faccio un’eccezione per Get Lucky dei Daft Punk ma lì ci si son dovuti mettere in quattro.
Nel periodo d’oro del cosiddetto french touch ebbe il suo momento di popolarità il dj Etienne De Crécy con l’album Tempovision del 2000. In tivvù passavano i video di alcuni suoi brani, opera del fratello Geoffroy che fa l’animatore come l’altro fratello Hervé, mentre la sorella Béatrice ha creato un marchio di abbigliamento. Ma il fratello più apprezzato nel suo campo è il fumettista Nicolas, disegnatore visionario di cui ho letto Il celestiale Bibendum. Insomma in questa famiglia nessuno lavora?
Preparando i post sull’Eurofestival mi sono imbattuto in un video degli olandesi Teach-In che vinsero la competizione nel 1975 con Ding-A-Dong. Nel 1979, quando in Italia avevano successo i Rockets e si diffondevano i cartoni con i robottoni, il gruppo olandese incise The Robot, e a pensarci è un peccato che non gli abbiano commissionato di scriverne qualche sigla. Ma loro erano molto più avanti perché il robot che appare nel video è così futuribile che neanche un brainstorming tra Elon Musk e Grimes avrebbe potuto concepirlo.
In libreria ho trovato un numero di Linus dedicato a Umberto Eco e a leggere i suoi scritti mi è tornata la voglia di leggere i fumetti, non intendo quelli in volumoni, pure cartonati forse perché hanno un complesso di inferiorità, ma quelli da albo o giornaletto e magari ce ne fossero di decenti in edicola. Ci sono state molte clip realizzate con l’animazione, ne ricordo soprattutto nei favolosi anni zero, ma ci sono stati anche alcuni video che si rifacevano al linguaggio dei fumetti, dellle bandes dessinées, dei comics.
Il Giro d’Italia stabilisce subito un piccolo record: per il terzo anno consecutivo è il simbolo della ripartenza e del ritorno alla normalità, e visto l’andazzo della pandemia e della guerra è facile prevedere che si potrà migliorare questo primato.
Mucche e buoi dei paesi tuoi
Si parte dall’Ungheria, be’? Qualcosa da ridire? Se si volesse essere severi e boicottanti allora il Giro d’Italia non dovrebbe partire neanche dall’Italia dato che ammazza i suoi lavoratori. Qualche differenza tra i due paesi in realtà c’è: loro solo governati da un sovranasso, un sovranista satanasso, mentre qui siamo così avanti che il Capo dello Stato non è una persona ma un software, tu gli dai un input qualunque, è morto un lavoratore o un artista che non conosceva nessuno o è la ricorrenza di un accidente, e quello ti da la risposta esatta con un messaggio corretto preciso. Poi qui non siamo sovranisti, difendiamo solo le cose italiane come il formaggio e i bambini. Il formaggio è buono perché le mucche mangiano questo qua che cresce qua e c’ha il batterio e non quello là che cresce là e il batterio non ce l’ha, e non sia mai che un giorno le mucche vanno a pranzo fuori poi il formaggio viene una schifezza che devi solo buttarlo di là. Però si tratta solo di proteggere il settore trainante dell’economia patria, che in Italia è appunto il cibo mentre in Ungheria è il porno, e non so chi ci fa la figura peggiore. Poi i bambini, ci sono tanti bambini lungo le strade ungheresi, e con i bambini si può fare tanta retorica, però quelli italiani sanno cos’è il Giro, glielo avranno raccontato i nonni, quei vecchi ubriaconi, mentre questi sono ignoranti, e poi non è il caso di far appassionare al ciclismo pure gli ungari ché un domani ci ritroviamo anche loro come avversari non bastassero gli eritrei. Eppure il paese della giovane fenomena Kata Blanka Vas non me la conta giusta, perché prima di darsi al porno l’Ungheria ha fatto la storia dell’animazione con gli studi Pannonia che tra l’altro realizzavano il famoso Gusztav, personaggio non molto divertente che in un episodio partecipa a una gara ciclistica.
Una mandria di ciclisti
Alla partenza ci sono sempre quelli che piangono, ma stavolta non sono lacrime d’addio, sono gli italiani che praticano il vero sport nazionale, il vittimismo, e si lamentano perché le squadre foreste hanno dirottato sul Tour i migliori ciclisti connazionali, Caruso Ganna Bettiol, e pure Colbrelli se non avesse avuto problemi sarebbe andato al Tour, e si lamentano anche perché le squadre foreste danno molta più importanza al Tour che al Giro, ma basterebbe incrociare i dati per verificare che se quelle squadre danno più importanza al Tour e ci portano gli italiani vuol dire che li hanno in grande considerazione. Comunque sia c’è il via, anche qui con partenza differenziata, si inizia a pedalare qui nel salotto buono ma la partenza ufficiale è qualche km più avanti dove si sta più larghi, il risultato è che si allunga il brodo con un po’ di acido lattico in più e non serve avere un amico che conosce una scorciatoia, il percorso è obbligato. La tappa viene più noiosa di quelle del Tour, due (an)droni in fuga e le altre squadre minori che neanche si scomodano, è facile pensare che la fuga non arriverà perché la posta in palio è grossa: tappa e maglia, è matematico. Ma se la tappa è piatta il finale è in salita, e le squadre ci arriveranno senza essersi spremute quindi in piena efficienza, e Giada Borgato, che in RAI è l’unica che capisce di ciclismo ma non è felicissima nell’esprimersi, dice che i ciclisti saranno “carichi come una mandria, assatanati”. Può vincere quello, può vincere pure quell’altro, attacca questo poi attacca quest’altro, ma se c’è Mathieu Van Der Poel vince lui, no? Anche se ha dovuto sudare sette camice e otto bavaglini per battere Biniam Girmay che senza il fattore sorpresa va forte lo stesso. E sulla lunga lista di cose da conquistare il figlio e nipote può cancellare tappa al Giro e maglia rosa.
Strade scombussolate
Sta talmente in forma il Matteino che per poco non vince pure la seconda tappa che è una breve cronometro con curve acciottolato e salita finale, al punto che Petacchi di lui dice: “Più è scombussolata la strada, più forte riesce ad andare.” Forse Alessandro voleva rivaleggiare con la collega Giada in quanto ad immagini esuberanti, certo è che oggi si stenta a credere che questo esangue commentatore sia stato un velocista quasi imbattibile e un abile cubista di rubik, e comunque è più portato all’autobiografismo che al commento delle cose presenti. Tornando alla crono, vince lo scalatore gemello e, anche se in RAI ricordano che già una volta vinse contro il tempo alla Parigi-Nizza, qualcuno si insospettisce e altrove commenta che dà da pensare il fatto che uno così leggero abbia battuto Dumoulone, ma il segreto di Simon Yates non è segreto perché l’ha detto lui stesso: con la Bike Exchange, che ha ottenuto pure il quarto posto con Matteo Sobrero, collabora l’Ingegner Marco Pinotti, ex ciclista diventato docente di cronometrologia.
Meno male che domani si va via
La terza tappa è lunga e noiosa, ma se vogliamo essere all’altezza del Tour bisogna fare così. In fuga gli stessi droni più il kometino Rivi, distratti o tenuti svegli dai tanti cicloamatori…, vabbe’, facciamo solo “ciclisti” ché vista l’attività principale del paese ospitante è meglio non parlare di “amatori”, dicevo i tanti ciclisti che sulle ciclabili parallele al percorso affiancano i girini e a volte scambiano anche qualche battuta. Troppe ciclabili lassù, non crederete mica di essere un paese civile? In Italia queste cose non succedono. Oltre al pubblico praticante c’è anche quello laico, davvero tanta gente che a volte improvvisa coreografie come quelle del Tour. Il gruppo va piano, non hanno fretta perché l’aereo per tornare in Italia c’è il giorno dopo, forse vogliono solo abbreviare lo spazio a disposizione del Processo. In compenso c’è spazio in abbondanza per lo scrittore parlante che almeno dà modo a Petacchi di riscattarsi alla grande. Infatti Genovesi racconta la storia macabra della Contessa Dracula, il cui cadavere non fu trovato nella tomba, e Petacchi lapidario (ops) commenta: “Meno male che domani si va via.” Alla fine si arriva allo sprint e vince Cavendish con una volata lunga davanti a Démare Spostatutti che fa a spallate con tutti gli avversari nei paraggi e forse, se non fosse stato impegnato, avrebbe spostato pure le transenne. Quest’anno l’UCI ha concesso l’ormai tradizionale deroga e tutti i lunedì saranno festivi, cioè è previsto il giorno di riposo. Si ripartirà dall’Etna dove in queste tre giornate ungheresi gli infreddoliti commentatori della RAI hanno celebrato per la prima volta il Processo alla tappa a distanza. A differenza di altre partenze dall’estero, quando si poteva tornare in Italia in bicicletta, cioè con tappe di avvicinamento, quest’anno il trasferimento avverrà con voli charter, e poi dicono la transizione ecologica.
Negli anni 90 e anche agli inizi del nuovo millennio il manga e anime Urusei Yatsura era molto popolare nonostante fosse già terminato e l’autrice Rumiko Takahashi fosse passata ad altre storie, sempre meno ridenti. Allora c’erano ragazzi che erano cresciuti con quella serie e adulti che lo recuperavano, io lo facevo in maniera frammentata e disordinata, tanto che solo adesso scopro che la traduzione del titolo è oggetto di dibattito tra i cultori e non è da tutti accettata la versione Gente chiassosa della stella (o pianeta) Uru, come io pensavo, ma in Italia comunque era Lamù. E dicevo era così popolare che nel 2001 il gruppo pop romano Velvet nella canzone Tokyo Eyes citava i protagonisti della storia, ma nei 90 un gruppo scozzese scelse di chiamarsi come il titolo della serie, anche se per questioni legali in alcuni paesi dovettero chiamarsi solo Yatsura. Gli UY si rifacevano esplicitamente agli americani Pavement, ma in sostanza rientravano nella tradizione scozzese Postcard/Creation delle melodie rumorose, e a volte somigliavano ai coevi irlandesi Ash. Non sono stati un gruppo storico, solo in Scozia ci sono stati decine di band più significative, ma qualche ascolto lo meritavano.