Qualche giorno fa ho azzardato un immaginario urbano per il drum’n’bass (azzarda qui), ma nel 1998 i 4 Hero, l’ultimo grande gruppo della prima fase di quel genere musicale che ogni tanto fa sentire la sua influenza, pubblicarono l’album Two Pages che conteneva il brano Star Chasers in cui si parlava di cacciatori di stelle, ma era solo in senso figurato, cantavano di faccende esistenziali e sentimentali. Il video infatti inizia che sembra di essere ancora in Inner City Life di Goldie o in Brown Paper Bag di Roni Size/Reprazent, poi la cantante featurista Face esce a prendere una boccata d’aria in mezzo alla natura, ma la città è sempre incombente. Per quello che mi riguarda il video è di autore ignoto, nel senso che non sono riuscito a scoprire chi l’ha diretto.
Prima era jungle poi divenne drum’n’bass, e altro che giungla, era una musica molto urbana. Già vi proposi il video metropolitano di Brown Paper Bag di Roni Size/Reprazent, ma un paio di anni prima una pietra miliare del genere intitolata non a caso Inner City Life, singolo anticipatore dell’album Timeless, era accompagnata da un video molto suggestivo con una città ripresa ora dal basso ora dall’alto (in quel caso un carrello cadeva da un palazzo) e con una luce solare resa più intensa dai colori virati in seppia e indaco. Il brano è di Clifford Joseph Price, in arte Goldie, dj che è stato compagno Bjork che gli fece conoscere la musica di Henryk Gorecky, e una volta, con una battutina, o gaffe, lasciò intendere che Banksy sia il collega Robert Del Naja. Canta Diane Charlemagne, una delle formidabili cantanti che in quegli anni hanno avuto più gloria nei brani altrui. Dirige (il video) Mike Lipscombe che ha lavorato anche per Des’ree, Tori Amos, Tricky e Jamiroquai.
Gli aspiranti Omèri del pc, alla fine di un Giro poco combattuto dai big, per avere qualcosa di epico da scrivere attendevano ormai solo il tappone con l’arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, troppa montagna pregna di troppa epica, qualcosa accadrà. La fuga dei peones e semipeones va lo stesso perché i big alla tappa non ci tengono, vince il redivivo/recidivo Santiago Buitrago, e dietro proprio negli ultimi km Primoz Roglic fa un attacchino ma Gerainthomas risponde e fa un rilancino, però Roglic fa un recuperino e guadagna 3 secondini. Delusi? Ma questi due hanno 34 e 37 anni, sono stati sempre dei regolaristi e corrono come gli conviene, sono gli altri che dovrebbero tentare sfracelli. Dove sono i giovani? Già, Evenepoel è a casa, Hart ancora in ospedale, Almeida non è ancora pronto se mai lo sarà e Dunbar è quasi sicuro che mai lo sarà. Speranze per il futuro possono essere Arensman gregario di Thomas e Leknessund a cui l’anno prossimo nessuno gli lascerà più prendere la maglia. Vabbe’, l’ultimissima speranza per gli Ariosti di provincia è la discussa cronoscalata di Monte Lussari. Una mulattiera lastricata di cemento non continuo ma interrotto dalle canaline per far scorrere l’acqua, anche i Cantastorie del ciclismo che non seguono la mtb se la faranno piacere. Chi invece la definisce una farsa è il boss Lefevere, e subito l’accusano di volersi rifare della vicenda del suo pupillo Evenepoel, ma bisognerebbe ricordare che la sua squadra negli anni 10 vinceva la Paris-Tours ma da quando nel percorso hanno inserito gli chemins de vigne la squadra non l’ha più mandata nonostante avesse elementi in grado di vincere ancora, quindi non è una posizione nuova, solo ci sarebbe da chiedergli: e allora la Roubaix e tutte le altre corse sul pavé? Lefevere dice che il sindacato avrebbe dovuto opporsi perché la presenza di una moto al posto dell’ammiraglia non è un buono standard professionale, e infatti un meccanico ha detto che sperava di non colpire nessuno con la bici di riserva. E poi nessuno ha pensato a un altro aspetto: nelle crono ai ciclisti superati da qualche avversario è proibito prenderne la scia, ma in una strada così stretta come si fa a stare dall’altra parte della carreggiata? Essendo il percorso diviso in due con una prima parte piattissima e la seconda su per la mulattiera con l’ultimo km tipo ottovolante, il cambio di bici a metà percorso diventava praticamente obbligato, ma a quel punto sembrava proprio di vedere un altro sport, tipo duathlon se non Giochi senza frontiere. E alcuni hanno affrontato la gara con spirito giocoso, da Gloag che chiamava la standing ovation a Rex che impennava mentre Cavendish, pur venendo dalla pista e non dalla mtb, dava il 5 al pubblico come se fosse davvero fuoristrada. Ma chi puntava alla vittoria non si poteva distrarre, e in un ciclismo in cui si può vincere per meno di un secondo le squadre più ricche, manco a farlo apposta quelle dei due contendenti, lavorano molto sui cosiddetti “marginal gains” cioè i vantaggi derivanti dai dettagli, come l’alimentazione o tutti i componenti della bici e delle divise, e in gara c’è stato anche chi, come Thomas, ha cambiato il casco insieme alla bici per togliere quello aerodinamico e mettere quello normale più leggero e quindi più adatto alla salita.
Non a caso il suo sponsor principale si chiama “Circus”.
With A Little Help From My Friends
Se avessi dovuto simpatizzare per uno dei due avrei avuto difficoltà, troppe sfortune per entrambi, troppi infortuni, qualcuno dovuto a loro errori qualcun altro assurdo come la borraccia che alla partenza della prima tappa del Giro 2020 scappò a un ciclista e rotolò fino alla ruota di Thomas, e poi questa potrebbe essere la loro ultima occasione di vincere un grande giro, forse questo vale soprattutto per il 37enne gallese perché il 34enne sloveno ha ancora tempo. Rogla il tempo può averlo tanto più perché alla fine vince lui, nonostante un problema e anche un falso allarme. Prima c’è il panico seminato da Petacchi perché da buon commentatore RAI non conosce il regolamento e non sa (lo sapevo io che non sono del mestiere) che la posizione con gli avambracci sul manubrio, quella che l’anno scorso costò una squalifica alla Vos in una gara dominata, è vietata solo per le gare in linea e non per le cronometro, e quando Roglic, che proprio di Marianna è compagno di team, per pochi secondi assume quello posizione, Petacchi si desta dal suo torpore e fa notare la “posizione vietata”. Che occhio di lince, strano che non abbia notato, né lui né gli altri della RAI, due bidon collé di Zana nella tappa da lui vinta. E secondo me se chiamavano Giada Borgato lei avrebbe saputo la risposta, ma hanno raccolto informazioni nei dintorni e hanno fatto finta che si tratti di una “posizione tollerata” dall’UCI. La trasmissione tivvù in generale è stata un vero disastro, funestata da scelte registiche infelici e continue interruzioni pubblicitarie, ma neanche di riferimenti cronometrici ce n’erano molti, e solo a pochi km dall’arrivo, dopo che Roglic ha avuto un problema meccanico, si è saputo che era in vantaggio. In quel momento c’è stata l’ennesima gaffe della Jumbo perché il meccanico è corso con la bici in spalla e ha colpito Roglic mentre gli dava una spinta, ma per fortuna a quello ha provveduto uno spettatore che poi L’Equipe ha riconosciuto come un suo compagno di squadra, ma dei tempi in cui faceva salto con gli sci.
“Anche tu da queste parti?”
Però lo sloveno non è andato nel pallone come al Tour del 2020 e ha ripreso a pedalare fitto fitto col suo rapportino, mentre Thomas col rapportone era in evidente difficoltà. Alla fine Roglic ha scavalcato l’avversario di 14 secondi, un vantaggio risicato ma che non costituisce il record. C’è poco da fare, questa non è stata un’edizione da record. O forse no, perché c’è pur sempre quello dei ritiri: 51 ritirati su 176 partenti (29 per cento), rispetto ai 44 su 180 del 2001 (24%) e ai 58 ma su 198 del 2002 (29idem%). Ma conoscendo i precedenti dei primi due in classifica con la loro propensione a cadere, non si può pensare che il Giro sia chiuso quando l’ultima tappa, passerella per modo di dire, si corre a Roma. Milano, con il sindaco che pianta grane ma non alberi, non è più interessata, già ha delocalizzato la partenza della Sanremo, ma a Roma si va a finire sempre nel centro storico con i sanpietrini. Eppure c’è l’EUR, un quartiere che ha strade ampie e serve a poco, e servirà ancora a meno quando i Direttori e Presidenti si renderanno conto dei mille benefici dello smartworking. Certo che la scenografia è quello che è, può piacere oppure no, un po’ di pompa magna fascista, ma in futuro con questo governo potrebbe essere gradita se non obbligata. Dicono che questo paese è il più bello del mondo, e volendo di lungomari ne abbiamo tanti, ma gli Champs-Elisées non ce li abbiamo, però in compenso c’è il Colosseo, questo maestoso rudere a perenne ricordo dell’avidità dei cardinali che l’usavano come magazzino di materiali per le loro sfarzose dimore e per le chiese.
E un arrivo sotto i pini della Cristoforo Colombo no?
Alla fine il percorso non fa troppi danni, qualche foratura, una caduta nella volata finale, ma ancora una volta gli occhi di lince vedono ma non capiscono. Cercano le imprese epiche ma anche le storie cosiddette “da libro Cuore”, ma se non gliele spiegano con i disegnini non se ne accorgono. Succede che a 2 km dalla fine Gerainthomas si mette in testa a tirare e in RAI si chiedono se non sta cercando di creare un buco per recuperare il distacco e ribaltare il Giro. Sì, come no, un buco di 14 secondi in 2 km. Invece il capitano della Ineos quando passa in testa fa un cenno al capitano dell’Astana, Thomas allunga il gruppo e lascia Cavendish in buona posizione, poi da vecchio pistard Cav riesce a cavarsela da solo e vince per distacco, e ringrazia tutti i compagni di squadra facendo i loro nomi e i vecchi amici, e finalmente anche in RAI capiscono, dài che non era difficile.
Il momento in cui Thomas si porta dietro gli Astani.
Intanto sulla città si è posato uno stormo di Presidenti, quello della Repubblica, quello della FCI, quello di RCS, ma la scena se la prende Monsieur Le Président. Lappartient con le sue parole dimostra il suo spessore intellettuale, perché afferma che Roma è una bella città e che questa è la festa del ciclismo, neanche Fabretti e Genovesi messi insieme. Finisce così un Giro che forse è stato più duro da seguire che da correre, Pancani a volte diceva “apriamo una finestra” ma in realtà era la corsa una finestra o solo una finestrella aperta sporadicamente in una lunga sequenza di spot di ogni genere, turistici, istituzionali, politici, amministrativi e soprattutto commerciali. Ed è quindi un sollievo sapere che da oggi non ci sarà più lo spot dell’auto fatta apposta per me, non ci saranno più commenti spenti, scrittori parlanti, cantanti irritanti e altre cose che ho già rimosso.
E in attesa del prossimo giro trasmettiamo musica da ballo
Il Giro attraversa tanti luoghi, compresi quelli comuni. Un sottocane nordnorvegese praticamente artico prende la maglia rosa e i giornalisti scrivono che lui vive tra aurore boreali e orsi polari, anche se ora risiede a Oslo. E il veneto Zoccarato, campione italiano gravel, va in fuga nella tappa di Salerno e sotto la pioggia si rivolge alla moto lamentandosi: “Venite al Suddicevano, troverete il sole…” E invece i ciclisti si troverebbero più a loro agio se fossero davvero girini, ma nel senso anfibio, perché c’è pioggia fresco e anche tanta nebbia, al punto che Rizzato per fare promozione turistica dice: “Probabilmente c’è un bel panorama ma non lo sapremo mai”. La pioggia rende la strada scivolosa e i ciclisti cadono, anche i pezzi grossi, Evenepoel fa addirittura una doppietta ma la prima caduta è causata da un cagnolino randagio, e i commentatori si scatenano in indagini etnico-sociologiche, più di tutti si distinguono il giornalista masochista Gatti (un nome che nel caso è quasi in conflitto di interessi) che su un sito molto seguito si diverte a fare polemiche al limite dell’offensivo e in risposta si becca un sacco di improperi, e anche Lefevere, il boss di Remco, che paragona le strade del sud a quelle della Colombia (chissà come sono le strade colombiane) e che si è messo a contare i cani per strada, per la precisione 15, specificando anche quanti erano i randagi, quanti i bastardi, quanti quelli sfuggiti ai padroni e di che razza. Di sicuro dall’identikit diffuso dalle forze dell’ordine si può chiarire che il cane che ha fatto cadere Evenepoel non è quello di Tom Pidcock. Lefevere è anche collaboratore di Het Nieuwsblad, e meno male che il sito fiammingo, invece di piangere sul Remco versato, ricorda vari casi analoghi in Francia Spagna Australia e ancora Italia con cani gatti gabbiani e anche cavalli (compreso quello senese che spaventò Demi Vollering), e si è pure dimenticato le mucche francesi. Qualcuno ricorda che nel 1997 da queste parti Pantani cadde a causa di un gatto e tutta la squadra lo scortò all’arrivo, compreso il giovane Garzelli che compromise la sua classifica, ma almeno stavolta nessuno ha detto che la tappa la vinse Manzoni ma nessuno se ne ricorda, con la conseguenza che Manzoni viene continuamente ricordato come quello che ottenne quella vittoria che nessuno ricorda. Salerno è anche la città dello scrittore Alfonso Gatto che causò uno scandalo clamoroso perché parlava di ciclismo senza saper andare in bicicletta. Questa cosa mi colpisce perché è l’obiezione che ogni tanto mi fanno i colleghi, e precisiamo che non basta aver fatto qualche giretto da bambino, perché poi la potente lobby dei cicloamatori pretende che possa parlare di ciclismo solo chi si fa decine di km al giorno e valichi i valichi più famosi. Questa è una delle tante assurdità che si riscontrano solo nel mondo del ciclismo. Sì, immagino che i vecchi panzoni che negli studi televisivi commentano il calcio, dando un’occhiata anche alle scollature o scosciature delle conduttrici, da ragazzi abbiano dato dei calci a un pallone, e che gli appassionati della Formula 1 in città e sulle autostrade superino facilmente il limite di velocità. Ma quelli che hanno la febbre da cavallo e puntano su Camillo Benso IV che è figlio di Pier Varenne ed è forte sul terreno pesante hanno tutti cavalcato o guidato un sulky? Ridendo e scherzando il gruppo arriva a Salerno e in gruppo cascano due volte, la seconda caduta è causata da Remco che si distrae e poi se la prende con i trekkini che lo stanno pure a sentire. Vince l’australiano Kaden Groves che dicono forte velocista, ma in primavera mi ha impressionato vincendo nel Limburgo sotto la pioggia dopo essere rimasto in testa con due Lotti e uno l’ha staccato, l’altro se lo è portato dietro senza chiedergli neanche un cambio e poi lo ha disperso in volata. Segnatevelo: Kaden Groves, potrebbe diventare più forte di Matthews, anche se non è difficilissimo.
Il giorno dopo si parte e si arriva a Napoli e si temono non i gatti ma le sagome dei calciatori per strada e altri elementi di arredo inurbano. Alla partenza due big si contendono la classifica della ruffianeria: Evenepoel palleggia con un pallone con i colori del Napoli e Ganna ne esibisce la sciarpa, direi che visti i trascorsi pallonari del belga la tappa se l’aggiudica Simpatia Ganna. Poi in realtà sul percorso ci sono solo bandiere e striscioni, il pubblico è composto come già l’anno scorso, e quando l’aspirante sceriffo Evenepoel fa segno alla gente di allargarsi è solo perché è la strada ad essere stretta. Insomma si temevano troppe chiacchiere sul Napoli, e non avevamo pensato a Un posto al sole. E da quando la RAI trasmette questa soap opera il suo attore più famoso Patrizio Rispo all’attività di attore ha affiancato quella di presenzialista, e così con alcuni sodali si è presentato sia nella postazione cronaca, con una finestra aperta mentre la corsa ribolliva, e dopo al Processo a parlare a vanvera anche perché hanno avuto più spazio loro di quanto ne abbiano concesso in questi giorni a Marta Bastianelli invitata a partecipare ma poi praticamente mai coinvolta, e poi Fabretti si lamenta dello spettacolo. Durante la tappa si è ricordato che Coppi era legato a questi luoghi perché lì faceva il prigioniero attendente, là viveva l’artigiano che gli diede una bicicletta, da lì partì per tornare a Castellania, e tutti questi posti ricordano in qualche maniera il Campionissimo. Coppi fu costretto a partire per fare la guerra in Africa ma fu subito fatto prigioniero dagli inglesi, che lo riportarono in Italia, ed era attendente di un ufficiale inglese a Caserta nella frazione Ercole, dove da un paio di anni c’è un sobrio monumento che alla fine più che altro ci ricorda che questa è stata sempre una città e una provincia militarizzata, come disse anche Stendhal ai tempi del Grand Tour. Infatti, al contrario di Goethe che soggiornò qui mentre si costruiva la Reggia e forse a priori stava bene perché lontano da Lotte, a Stendhal Caserta non piaceva e disse che Caserta è una Caserma. Magari una sola! Però diciamo pure che il tipo era incontentabile e lo scrittore parmigiano Paolo Nori a proposito de La Certosa di Parma dice che non è che avesse una buona idea neanche di quella città. Ma tornando alla corsa due vecchie conoscenze delle fughe, Alessandro De Marchi e Simon Clarke, resistono all’inseguimento del gruppo e stanno per giocarsi la tappa, poi non per cattiveria ma per generosità iniziano a dire Prego, passa prima tu e Ci mancherebbe, prima tu, e dietro parte sparato Gaviria con la sua fissa per le volate lunghe e li supera ma viene battuto da Mads Pedersen, mentre i due, che visto l’esito non si possono definire vecchie volpi, facciamo vecchi polli, si abbracciano e si consolano a vicenda, e tutti i giornalisti applaudono e tutti i socialisti criticano. Il giorno dopo si parte da Capua e attraverso l’alto casertano si va in Molise, e allora bisogna stare attenti non ai cani ma ai cinghiali randagi. Lo scrittore parlante cita Spartacus ma non precisa che l’Anfiteatro si trova non a Capua ma nella vicina Santa Maria che non a caso si chiama anche Capua Vetere. Speriamo non abbiano creato dei problemi di campanili, come pure più tardi quando una didascalia ricorda che l’incontro storico tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II avvenne a Vairano mentre altri ritengono che sia stato a Teano. Poi si passa per Calvi Risorta e si ricorda il ciclista Luigi Mele scomparso di recente, più che altro perché dopo il ritirò lavorò in RAI come ora uno dei figli. Ma nel suo piccolo Mele si contendeva con il maddalonese Alberto Marzaioli il titolo di miglior ciclista casertano della storia. Ma al di là delle chiacchiere questa non è terra di ciclismo, e prima di lasciare il casertano spunta uno striscione inneggiante a Einer Rubio, probabilmente quei tifosi vengono dal beneventano dove il colombiano corse da under 23 con la locale Vejus che poi si fuse con l’abruzzese Aran e addio squadre campane. Ma bando alle tristezze perché questo è un tappone con la salitona di Campo Imperatore che farà sfracelli in classifica e dopo tanto attendere lo spettacolo è assicurato. Infatti vanno in fuga tre disperati e il campione africano. Quest’ultimo si stacca per il freddo e gli altri tre arrivano, perché in gruppo nessuno azzarda un mezzo attacco. Vince Davide Bais, fratello di Mattia, che disperava di vincere mai una gara, battendo Karel Vacek, fratello di Thomas, che l’anno scorso pensava di ritirarsi, e solo terzo è Petilli, favorito se non altro perché da giovane era una promessa in salita poi non mantenuta e come gli altri due era a zero vittorie. Nel 2017 al Lombardia Petilli e altri ciclisti finirono nello stesso dirupo dove tre anni dopo finì Evenepoel, ma gli italiani compatti, per salvare la faccia dell’organizzazione, dimenticarono il precedente e dissero che il belga era un ex calciatore e quindi non sapeva andare in discesa, anche perché come è noto i campi di calcio sono piatti. E questa è l’unica lancia che potevamo spezzare a favore di Remco, perché lui, perseguendo anche l’obiettivo della classifica della simpatia, va dicendo che Roglic e i jumbi sono nervosi e che lui medesimo è il più forte. Sarà, ma Roglic una volta è caduto l’altra ha forato e non si è scomposto, Evenepoel è caduto due volte e gli sono venute almeno quattro crisi isteriche e il suo boss sta ancora contando i cani randagi.
Ai margini della Foresta Grigia viveva il taglialegna Urs con la moglie Ursula. I due non erano più giovani e volevano avere almeno un figlio ma non riuscivano ad averne neanche mezzo. Così si rivolsero pure a Padre Hans per avere un conforto spirituale, una benedizione, e il prete, dando per scontato che in quel contesto ci si riferisse alle preghiere, li invitò a insistere e a darci dentro. Ma i due, non avendo colto il sottinteso, ci diedero dentro non solo a letto ma pure in cucina, in cantina, in soffitta, sull’aia, nel pollaio, dietro le fratte, sotto gli alberi e anche sopra, e infine, per essere più vicini a Dio, anche dietro il convento delle carmelitane scalze che da parte loro vollero contribuire incitandoli dalle finestre. Furono giorni intensi e faticosi, ma alla fine il grande sacrificio fu premiato e il figlio arrivò e fu chiamato Hans in omaggio al prete che li aveva rettamente instradati. I primi anni trascorsero tranquilli, ma quando il piccolo Hans stava per entrare nell’adolescenza problematica i genitori erano diventati anziani e non avevano più né la testa per insegnargli i valori e l’educazione né l’energia per prenderlo a calci in culo. E così Hansel divenne maleducato svogliato e famelico. Quando la situazione divenne insostenibile, Urs, saggiamente consigliato da Ursula, pensò di portarlo con sé nell’intricata foresta e lasciarlo lì a cavarsela da solo, in balia di lupi orsi cinghiali e magari anche di qualche orco se tutto andava bene. Ma i due sventurati genitori ignoravano come era cambiata la foresta negli ultimi anni. Urs aveva lasciato il lavoro di taglialegna, ormai troppo faticoso per la sua età, e si era dedicato alla pollicultura, ma erano più le uova e i polli divorati dal figlio che quelli che riusciva a vendere. Inoltre presi dalla crescita del figlio, i due genitori non erano informati sulle decisioni prese negli ultimi anni dal borgomastro Boer per il quale la foresta doveva essere una risorsa per la comunità e non un vincolo, e di conseguenza tagliò tutte le limitazioni imposte dal precedente borgomastro al taglio degli alberi e alla caccia degli animali del bosco. Dal balcone del palazzo del governo Boer tenne un solenne discorso in cui disse che chi amava gli alberi poteva benissimo farli crescere sul proprio balcone e per dare l’esempio piantò dei semi di basilico sul suo e tacitò i pochi mormorii tra la folla dicendo che sempre di vegetali si trattava. Ma Urs trascinò Hansel nel bosco prima dell’alba quando era ancora buio e tutti dormivano e non ci si poteva accorgere dei tanti cambiamenti avvenuti. Il vecchio aveva svegliato Hansel con l’aiuto di una vecchia cornamusa e l’aveva convinto a seguirlo chiedendogli di aiutarlo a cercare l’albero della cioccolata, ne sarebbero bastati pochi semi per farne crescere tre o quattro nel loro orto desolato. Hansel era così vorace che non c’era neanche bisogno di raccontargli una balla o distrarlo, una volta giunti nella foresta il padre poté allontanarsi tranquillamente mentre il figlio ingurgitava fragoline e frutti di bosco sempre cercando con l’altro occhio l’albero della cioccolata. Intanto si faceva giorno e iniziava il viavai di taglialegna e cacciatori, di lì passava così tanta gente che da qualche tempo in una radura si piazzava il carrettino di Gustav pieno di cose da mangiare, dolci e salate, ma la sua specialità era quella che gli valse il nomignolo con cui tutti lo chiamavano: Pretzel. Dopo qualche ora anche uno stupido come Hansel si accorse di essere stato abbandonato, non si spiegava perché ma la cosa che più gli importava era trovare da mangiare e allora assaltò il carretto di Pretzel afferrando di tutto e dicendogli di essere il figlio di Urs il pollivendolo e di farsi pagare da lui. A fine serata con l’aspetto di uno che era stato assalito dagli orsi Pretzel bussò alla casa di Urs e raccontò tutto. Ursula iniziò a guardare il soffitto fischiettando mentre il marito disse che non aveva intenzione di pagare, l’aveva abbandonato apposta quel mostro lì. Per un altro paio di giorni si ripeté la stessa scena e iniziarono a lamentarsi anche i lavoratori del bosco che al punto di ristoro non trovavano più niente da mangiare. Gustav allora propose di impiccare il ragazzo al ramo più alto di qualche albero ma il boscaiolo Alberich rispose che di rami alti non ne erano rimasti, tutti tagliati, andrebbe bene impiccarlo a una radice? Allora Gustav propose di farlo mangiare da un orso, ma il cacciatore Leon rispose che non ce n’erano più, tutti già cacciati. Allora da un lupo? Idem, tutti sterminati. Dagli scoiattoli? Niente, tutti kaputt. Allora, pensò Gustav, bisogna prenderlo con le buone: mentre sta lì a sgranocchiare gli rifiliamo da leggere questo libro, “La fabbrica del miele zuccherato”, nel quale i bambini che mangiano molto diventano grassi e schifosi e prima vengono bullizzati e poi uccisi, tritati e caramellati. Vediamo se questa lettura lo convince a smettere di divorare tutto. E così fecero e Hansel incuriosito accettò di leggere il racconto, ma arrivato a metà del libro iniziò a strillare e a piangere in una maniera che a molti dei presenti ricordò con nostalgia il rito dell’uccisione del maiale. Casualmente si trovò a passare da quelle parti una carrozza della Loggia dei genitori isterici, che, sentite quelle grida orrende, accorse in soccorso del maiale ma trovarono invece il bambino e gli chiesero cosa fosse successo, e lui iniziò a raccontare tutto. I membri della loggia lo fecero salire sulla carrozza per fargli terminare il racconto e per decidere quali forti iniziative intraprendere, ma nella carrozza Hansel si accorse che la petulante Signora Petula nascondeva nella sua grande borsa delle merendine ai quattro frutti che la donna regalava ai bambini vittime di qualcosa ma che soprattutto divorava lei per prima, essendo rimasta bambina dentro. Il bambino allungò le zampe e afferrò le merendine, la Signora Petula prima gli intimò di smetterla poi iniziò a contendergliele ma con scarso successo. A tarda sera la carrozza arrivò alla sede della Loggia e ne scesero la Signora Petunia, anzi no Petula perché era così confusa che non ricordava neanche come si chiamava, con il vestito in disordine, la faccia graffiata e la borsa vuota, ma con un’espressione soddisfatta sul volto, e con lei gli altri genitori. Del piccolo Hansel non si seppe più nulla.
Nelle librerie più volte mi è capitato, soprattutto con i fumetti o con quei libri esposti vicino alla cassa, di trovarne pubblicati già da qualche anno ma che non avevo mai visto da quelle parti. Forse quando si tratta di catene un libro si sposta da una libreria all’altra in cerca di acquirenti? O qualcuno l’aveva ordinato e non era più andato a ritirarlo? Boh. Il caso più recente è quello di Pelle d’uomo (or. Peau d’homme), un fumetto pubblicato nel 2020 e tradotto in Italia da Bao nel 2021, poco dopo la morte dello sceneggiatore Hubert cui il volume è dedicato. La storia è ambientata nel rinascimento ma è a suo modo fantastica perché, oltre alla pelle del titolo, ci sono personaggi che pensano in maniera molto più moderna rispetto a quel periodo storico, e infatti abbiamo la protagonista Bianca che non ha piacere di sposare un uomo che non conosce e che scoprirà essere omosessuale. Ma per poter conoscere gli uomini si traveste indossando la pelle d’uomo che la famiglia si tramanda da generazioni. In quella famiglia c’è anche il fratello di Bianca che è un monaco (insomma un bi-fratello) e che trascina la cittadina nell’oscurantismo. Poi se vi piacciono le opere con i temi, o meglio ancora con le tematiche, avete solo l’imbarazzo della scelta fra temi “imbarazzanti”: la condizione delle donne, quella dei/delle/de* LGBTQXYZ*+ (spero di non aver dimenticato nessun carattere), il fanatismo religioso. La storia è stata disegnata da Zanzim in maniera apparentemente semplice, si fanno apprezzare soprattutto alcune tavole, quelle cosiddette splash page (insomma una o due con un unico disegno), in cui i personaggi si muovono tra architetture rese in maniera essenziale. Il libro da alcuni è ritenuto il capolavoro di Hubert, ma io preferisco Bellezza di cui scrissi qui, poi fate voi.
Nel mondo in continua evoluzione dell’intelligenza artificiale rientrano dei programmi per creare immagini come Midjourney. Per quel poco che ne so c’è poco da fare, nel senso che basta fare una richiesta con un testo e il programma crea un’immagine attingendo all’immenso archivio di internet. Si può chiedere di immaginare “un suv nero parcheggiato in seconda fila vicino a una pizzeria nella Città ideale di Piero della Francesca” oppure “una ragazza come l’avrebbe disegnata Picasso mentre passava dal periodo blu a quello rosa e contemporaneamente correva dietro alla modella con i pantaloni abbassati”. Il programma può essere utile o divertente, ma per chi vuole fare il disegnatore non credo dia soddisfazione creare così. Comunque l’Uomo, avendo un’alta considerazione di sé stesso, non gradisce che si dica in giro che ci sono robot o software o programmi più intelligenti di lui, e allora ne parla sempre male ed è convinto di essere più intelligente, anche se a vedere la gran parte dei personaggi che vivono in tivvù o sui social si direbbe proprio l’esatto contrario. Però nessuno vieta di lanciare una sfida a questi programmi, ma non la solita partita a scacchi. Ecco, si potrebbe sfidare Midjourney a fare il percorso inverso: guarda questa immagine e dimmi cosa ti sembra. Ad esempio, prendiamo la copertina di Pocket Revolution, album del 2005 della band belga dEUS, ricordato di recente dal blog myspiace, un disco che io manco conoscevo perché ho solo The Ideal Crash.
L’immagine è di Don Lawrence, fumettista inglese che disegnò Storm, il tipico fumetto adatto a Lanciostory. L’illustrazione non si capisce bene cosa rappresenti, un edificio gigantesco, una città, un centro direzionale, un rione popolare, un centro commerciale, che ne so. Ma appunto per quello la mostriamo al programma intelligente e gli chiediamo questa cos’è e vediamo cosa ci risponde. Io per contro direi che è “uno di quegli edifici, spesso fabbriche abbandonate, che si possono vedere in Belgio lungo il percorso delle corse ciclistiche, come l’avrebbe dipinto Hieronymus Bosch se fosse vissuto ai tempi di Métal Hurlant”.
La Milano Sanremo gli italiani la chiamano la Classicissima ma, non paghi, la definiscono pure il mondiale di primavera, come del resto è per tutte le corse italiane che si svolgono in primavera: il Binda per le donne, il Liberazione per gli under 23 e il Binda junior, cioè il Da Moreno, per le juniores, a cui aggiungono le Strade Bianche che è la “sesta classica monumento”, un monumento abusivo. E cotanto monumento lombardo-ligure ha dovuto subire l’affronto del comune di Milano che non ha voluto ospitare la partenza, tutti si sono scandalizzati, capisco gli ignoranti (in materia ciclistica) ma i giornalisti dovrebbero ricordare che Parigi-Roubaix Parigi-Nizza e Parigi-Tours da decenni non partono più da Parigi. E poi è meglio partire da Abbiategrasso piuttosto che vedere i grattacieli milanesi stile Dubai a iniziare da quello ipocrita di Boeri con gli alberi affacciati ai balconi. Corsa storicissima ma noiosissima, fuga scontatissima di ciclisti sfigatissimi, rincorsa precisissima del gruppo. Infatti le uniche cose degne di nota sono le cadute, di cui una gravissima non per le conseguenze ma perché causata da una rastrelliera, di bici manco a farlo apposta, mal segnalata, che se fosse successo nel Benelux, nell’odiata Francia o in questi paesi emergenti che a furia di emergere sono già emersi, si sarebbe invocata una sanzionissima per gli organizzatori, invece così la sanzione la rischia il telecronista che l’ha notata mentre gli altri facevano finta di niente. E il telecronista era Pancani, forse anche perché De Luca, non avendo l’occasione di elogiare gli architetti milanesi, non era interessato. Dicevo la noia, che però è propedeutica all’esplosiva esplosione del finale poggiesco. Gli UAE fanno le cose in grande: Wellens tira per Pogacar e Trentin in settima posizione fa il buco, Pogacar fa un solo attacco ma buono, o quasi, si porta dietro solo pochissimi ma buonissimi, e l’attacco successivo è di Van Der Poel che se ne va e vince, mentre dietro Ganna sfugge a Van Aert e Pogacar che non sale neanche sul podio. Nelle scorse settimane due amiconi belgi sempre meno simpatici, Tom Boonen e il suo ex diesse Patrick Lefevere, criticavano Van Aert perché perde tempo con il ciclocross che non interessa nessuno (di sicuro non interessa a loro che se andassero sui circuiti campestri vedrebbero invece quanti sono gli spettatori paganti, non solo le birre ma anche il biglietto), invece di concentrarsi sulla strada, ma la Sanremo vinta da un crossista davanti a un pistard e un altro crossista speriamo li abbia zittiti.
Anche la Sanremo è stata oggetto di spending review e in attesa delle premiazioni i protagonisti si sono divisi una poltrona per tre.
Ma Lefevere è un tipo serio che non cambia idea facilmente, infatti solo due anni fa aveva detto che non gli interessava una squadra femminile, poi l’anno scorso ne ha comprata una usata e quest’anno, sempre fermo nelle sue convinzioni, ha detto che nel 2023 non ha senso che non ci sia la Sanremo femminile. Pure Annemiek Van Vleuten si augura una Sanremo femminile, anzi rilancia dicendo che si dovrebbe superare il limite massimo di 170 km imposto dall’UCI alle gare femminili, e pian piano arrivare a 250. Immagino che lei la affronterebbe una sfida del genere, ma si da il caso che a fine anno si ritirerà e quindi i 250 km semmai se li fa per fatti suoi, mentre le cicliste che continuano a correre dubito che la ringrazieranno. Del resto si dice che Annemiek nel plotone non sia molto popolare, al contrario della sua ex capitana che si è battuta perchè anche le donne potessero avere il Tour la Roubaix e altre corse fino a pochi anni fa riservate solo agli uomini ma senza questionare sul chilometraggio, e poi quelle corse le hanno organizzate ma forse un po’ tardi, perché la Vos di 8/10 anni fa le avrebbe vinte tranquillamente ma oggi ne beneficiano le altre compresa la Annemiek. L’ex gregaria ha 40 anni ma ha iniziato tardi ed è maturata ancora più tardi, quando Marianna, pure se più giovane, aveva già un po’ di stagioni a tutta in tutte le discipline, poi sono arrivati i problemi fisici, ultimissimo una restrizione dell’arteria pelvica che ha richiesto un’operazione. Ma Vos ha voluto rientrare per il Trofeo Binda che ha vinto appena 4 volte. Delle altre classiche monumento (Roubaix Fiandre e Liegi) c’è la versione femminile, delle classiche italiane no perché gli italiani sono sempre speciali, ma in fondo il Binda è una via di mezzo tra Sanremo e Lombardia, essendo stato vinto da scalatrici come Pooley e velociste come Balsamo. E quest’ultima era la favorita ma la sua squadra è a corto di personale, tra cicliste in malattia in maternità o infortunate. Nonostante ciò hanno fatto doppietta con la prima vittoria da élite della fuggitiva Shirin Van Anrooij, una delle tre ventenni ormai ventunenni che hanno dominato la stagione del ciclocross, e alle sue spalle Balsamo ha battuto Guazzini. Una vera disfatta per Boonen e Lefevere, ammesso che abbiano dato un’occhiata anche alla corsa femminile, perché sul podio sono salite una crossista e due che un mese fa correvano insieme l’inseguimento a squadre e la madison agli europei su pista, sono soddisfazioni.
Si può ben dire che il Contino Giocondo Innocentis De Ninnolis abbia portato a termine il lavoro iniziato dal padre. Il Conte Betto infatti era un giocatore d’azzardo tanto accanito quanto sfortunato: al tavolo da gioco aveva perduto la tenuta di Camposuino, la Paperaia, i gioielli della defunta Contessa, alcuni titoli e la culotte autografata della soubrette Antoinette La Toilette. Delle residue ricchezze che ereditò, il figlio dilapidò quasi tutto, vittima dell’alcool, del gioco e delle donne. Giocondo infatti era ossessionato dall’igiene, aveva una fobia per microbi e virus e per questo faceva un uso esagerato di soluzioni alcooliche che finivano per erodergli le finanze e le mani. Poi era un patito e collezionista di giocattoli, da quelli ottocenteschi a quelli elettronici, ne comprava alle fiere e su internet, e li accumulava nelle segrete del castello di famiglia. Infine le donne, anzi la donna, la Baronetta Selvaggina Coccarda De Lusis, conosciuta a un convegno dell’Associazione Giovani Nobili. Giocondo la corteggiava, la invitava al castello e le faceva proposte equivocabili, perché, come quel cavallino che aveva comprato da un bar fallito, le chiedeva: Vieni a giocare con me? E quando lei accettava non immaginava che l’attendeva una serata con la playstation. In realtà Selvaggina si divertiva in compagnia di Giocondo, al punto che il Contino pensò che ci fossero i presupposti per poterle chiedere di sposarlo. Lei arrossì perché non se l’aspettava e rispose con un secco no, al che lui, altrettanto sorpreso, le chiese il motivo del rifiuto: Voi donne dite sempre che vi piacciono gli uomini che vi fanno ridere. E lei, non volendo mortificarlo, rispose: Ma tu sei scemo in testa! Secondo te ci sposiamo e poi ci facciamo quattro risate. Ma non lo sai che in natura la femmina si accoppia sempre con il maschio più forte, quello che assicura la prosecuzione della specie? E questo tradotto in moneta corrente significa l’uomo che c’ha la grana. Tu invece c’hai i giocattoli e questo castello che cade a pezzi. Addio senza rancore. E così Giocondo rimase solo in quel castello, senza soldi, senza compagnia e senza rancore. Ed era invecchiato di colpo, non gli interessavano più i giochi e neanche l’igiene estrema, ora l’unica sua preoccupazione era quella di poter vivere senza ricorrere alla fastidiosa soluzione adottata da tutti, o quasi tutti, insomma da alcuni, cioè lavorare. A tale scopo ricavò una somma ingente, che non avrebbe più dilapidato in giochi e soluzioni alcoliche, dalla vendita del castello alla Locascio Location, una start up di giovani tamarri che sapevano alcune parole inglesi (comprese “start up”) e si occupavano di organizzazione di eventi. Il castello era molto grande, una parte fu trasformata in un locale così ampio da poter ospitare anche due eventi contemporaneamente, e la parte più vecchia e più lontana dal parcheggio fu lasciata com’era perché rimodernare tutto sarebbe costato troppo, ma i proprietari si ripromettevano di farlo se avessero avuto successo e soprattutto fondi statali. Giocondo per iniziare una nuova vita pensò di darsi allo sport, provò quelli praticati dai suoi amici nobili ma scartò subito polo e dressage perché montare a cavallo era già troppa fatica, e allora optò per il canottaggio iscrivendosi al Circolo Raro Nantes. Lì capì subito quale era l’armo che gli si confaceva: l’otto con, lui era “con”. Alla fine della stagione fu organizzata la tradizionale cena sociale con la partecipazione di tutti gli iscritti e, tra i tanti locali pure troppi, il Presidente scelse il Royal Low Cash. Gli invitati seguirono le indicazioni di Magna Maps, l’app per mangioni erranti, e arrivati a destinazione scoprirono prima che il locale era proprio il castello appartenuto a Giocondo e poi che il nome era fuorviante in quanto era solo una specie di anglicizzazzione di quello della ditta e non si riferiva ai prezzi. Ma non era il momento per le tristezze, bisognava festeggiare e divertirsi. La serata procedeva bene ma un certo punto si iniziarono a sentire urla e risate sguaiate, poi si sentì anche una voce lagnosa che cantava una canzone cacofonica, qualcuno chiese notizie a un cameriere che anche con una punta di orgoglio, come a sentirsi parte di un evento straordinario, rispose che c’era il matrimonio di Don Maddaleno Capasanta con la Baronetta De Lusis. Giocondo commentò: E così la bella Baronetta ha trovato un marito ricco e potente per il nobile fine della prosecuzione della specie: che specie di prosecuzione! Infatti Capasanta era il boss del mercato ittico e aveva scelto quella location fuori mano per evitare brutte sorprese. Qualche canottiere sbirciò nella sala per curiosare ma si ritrasse subito perché a cantare c’era la star del neomelodico Ariello Scannacefalo, sembrava ieri che aveva esordito a 12 anni con l’album “Guaglione prodiggio” e invece ora pareva un giovane invecchiato presto e male ed era già arrivato al quarantunesimo disco, intitolato solo “41” con grande sfoggio di semplicità, disco che aveva avuto così successo che ne era uscita pure la versione deluxe intitolata “41bis”. Il boss e gli invitati inoltre, accaldati eccitati e avvinazzati, si erano messi comodi togliendosi cravatta giacca e pure camicia e restando in canottiera. I raro nantes non ebbero neanche il tempo di tornare a sedere che iniziarono strilli e litigi tra i bambini della festa confinante, i quali a un certo punto iniziarono a rincorrersi sconfinando nell’area dei nobili e urtando invitati e camerieri, in particolare causando la caduta di quello che portava la torta con panna che finì in faccia al Bisconte Castore Polluce di Scilla e Cariddi. Visto che il personale non osava invitare i commensali degli sposi a contenersi e trattenere i bambini, i nobili si mossero personalmente per lamentarsi di tutto quel chiasso ma furono accolti in malo modo con strafottenza con pernacchie e con quelle parole che vengono definite “irripetibili” ma erroneamente perché i presenti in canottiera le ripetevano eccome e più volte. Insomma stavano per fronteggiarsi canottieri e canottiere e venire alle mani quando spuntarono alcuni revolver, e in quel momento Giocondo ebbe l’intuizione di invitare i suoi sodali a scappare dietro di lui. Non si trattava di una vera e propria fuga, Giocondo aveva notato che solo una metà del castello era stata ristrutturata e attirò tutti nella parte rimasta intatta. I canottieri riuscivano a correre più veloci perché più atletici mentre gli inseguitori erano lenti e goffi a causa dei panzoni e, quando i secondi furono al centro di un ampio salone, Giocondo tirò una leva segreta nascosta in un posto segreto e si aprì una botola segreta nel pavimento in cui gli inseguitori precipitarono come sacchi di patate e si sfracellarono su un pavimento polveroso rompendosi almeno un paio di arti cadauno. Quando arrivarono polizia carabinieri e ambulanze, che alla fine i ristoratori erano stati costretti a chiamare di malavoglia, gli agenti raccolsero i feriti e le testimonianze e già che c’erano rilevarono varie infrazioni alla normativa igienico-sanitaria contributiva e fiscale dello stesso locale. Per cui tra queste irregolarità e le denunce incrociate per minacce lesioni eccesso di legittima difesa danni materiali e morali e tutto quello che la fantasia degli avvocati poteva suggerire, tutti i coinvolti ebbero un bel po’ da fare negli anni seguenti e i loro legali vissero felici e contenti.