Perline di sport – Crossista per caso

A 85 anni è morto Renato Longo che vinse 5 mondiali di ciclocross, cioè quanti ad oggi ne ha vinti Mathieu Van Der Poel, e anche 2 gare su strada, una più di Sven Nys. Longo raccontava che si era tesserato a ottobre e a quel punto della stagione le prime corse in cui poter gareggiare erano in mezzo ai campi. Ho cercato qualche video ma non pensavo di trovarne uno ancora in buono stato come questo relativo al suo primo titolo mondiale.

Mondiale 1959

Una faccenda di cani e gatti

Il Giro attraversa tanti luoghi, compresi quelli comuni. Un sottocane nordnorvegese praticamente artico prende la maglia rosa e i giornalisti scrivono che lui vive tra aurore boreali e orsi polari, anche se ora risiede a Oslo. E il veneto Zoccarato, campione italiano gravel, va in fuga nella tappa di Salerno e sotto la pioggia si rivolge alla moto lamentandosi: “Venite al Sud dicevano, troverete il sole…” E invece i ciclisti si troverebbero più a loro agio se fossero davvero girini, ma nel senso anfibio, perché c’è pioggia fresco e anche tanta nebbia, al punto che Rizzato per fare promozione turistica dice: “Probabilmente c’è un bel panorama ma non lo sapremo mai”. La pioggia rende la strada scivolosa e i ciclisti cadono, anche i pezzi grossi, Evenepoel fa addirittura una doppietta ma la prima caduta è causata da un cagnolino randagio, e i commentatori si scatenano in indagini etnico-sociologiche, più di tutti si distinguono il giornalista masochista Gatti (un nome che nel caso è quasi in conflitto di interessi) che su un sito molto seguito si diverte a fare polemiche al limite dell’offensivo e in risposta si becca un sacco di improperi, e anche Lefevere, il boss di Remco, che paragona le strade del sud a quelle della Colombia (chissà come sono le strade colombiane) e che si è messo a contare i cani per strada, per la precisione 15, specificando anche quanti erano i randagi, quanti i bastardi, quanti quelli sfuggiti ai padroni e di che razza. Di sicuro dall’identikit diffuso dalle forze dell’ordine si può chiarire che il cane che ha fatto cadere Evenepoel non è quello di Tom Pidcock. Lefevere è anche collaboratore di Het Nieuwsblad, e meno male che il sito fiammingo, invece di piangere sul Remco versato, ricorda vari casi analoghi in Francia Spagna Australia e ancora Italia con cani gatti gabbiani e anche cavalli (compreso quello senese che spaventò Demi Vollering), e si è pure dimenticato le mucche francesi. Qualcuno ricorda che nel 1997 da queste parti Pantani cadde a causa di un gatto e tutta la squadra lo scortò all’arrivo, compreso il giovane Garzelli che compromise la sua classifica, ma almeno stavolta nessuno ha detto che la tappa la vinse Manzoni ma nessuno se ne ricorda, con la conseguenza che Manzoni viene continuamente ricordato come quello che ottenne quella vittoria che nessuno ricorda. Salerno è anche la città dello scrittore Alfonso Gatto che causò uno scandalo clamoroso perché parlava di ciclismo senza saper andare in bicicletta. Questa cosa mi colpisce perché è l’obiezione che ogni tanto mi fanno i colleghi, e precisiamo che non basta aver fatto qualche giretto da bambino, perché poi la potente lobby dei cicloamatori pretende che possa parlare di ciclismo solo chi si fa decine di km al giorno e valichi i valichi più famosi. Questa è una delle tante assurdità che si riscontrano solo nel mondo del ciclismo. Sì, immagino che i vecchi panzoni che negli studi televisivi commentano il calcio, dando un’occhiata anche alle scollature o scosciature delle conduttrici, da ragazzi abbiano dato dei calci a un pallone, e che gli appassionati della Formula 1 in città e sulle autostrade superino facilmente il limite di velocità. Ma quelli che hanno la febbre da cavallo e puntano su Camillo Benso IV che è figlio di Pier Varenne ed è forte sul terreno pesante hanno tutti cavalcato o guidato un sulky? Ridendo e scherzando il gruppo arriva a Salerno e in gruppo cascano due volte, la seconda caduta è causata da Remco che si distrae e poi se la prende con i trekkini che lo stanno pure a sentire. Vince l’australiano Kaden Groves che dicono forte velocista, ma in primavera mi ha impressionato vincendo nel Limburgo sotto la pioggia dopo essere rimasto in testa con due Lotti e uno l’ha staccato, l’altro se lo è portato dietro senza chiedergli neanche un cambio e poi lo ha disperso in volata. Segnatevelo: Kaden Groves, potrebbe diventare più forte di Matthews, anche se non è difficilissimo.

Il giorno dopo si parte e si arriva a Napoli e si temono non i gatti ma le sagome dei calciatori per strada e altri elementi di arredo inurbano. Alla partenza due big si contendono la classifica della ruffianeria: Evenepoel palleggia con un pallone con i colori del Napoli e Ganna ne esibisce la sciarpa, direi che visti i trascorsi pallonari del belga la tappa se l’aggiudica Simpatia Ganna. Poi in realtà sul percorso ci sono solo bandiere e striscioni, il pubblico è composto come già l’anno scorso, e quando l’aspirante sceriffo Evenepoel fa segno alla gente di allargarsi è solo perché è la strada ad essere stretta. Insomma si temevano troppe chiacchiere sul Napoli, e non avevamo pensato a Un posto al sole. E da quando la RAI trasmette questa soap opera il suo attore più famoso Patrizio Rispo all’attività di attore ha affiancato quella di presenzialista, e così con alcuni sodali si è presentato sia nella postazione cronaca, con una finestra aperta mentre la corsa ribolliva, e dopo al Processo a parlare a vanvera anche perché hanno avuto più spazio loro di quanto ne abbiano concesso in questi giorni a Marta Bastianelli invitata a partecipare ma poi praticamente mai coinvolta, e poi Fabretti si lamenta dello spettacolo. Durante la tappa si è ricordato che Coppi era legato a questi luoghi perché lì faceva il prigioniero attendente, là viveva l’artigiano che gli diede una bicicletta, da lì partì per tornare a Castellania, e tutti questi posti ricordano in qualche maniera il Campionissimo. Coppi fu costretto a partire per fare la guerra in Africa ma fu subito fatto prigioniero dagli inglesi, che lo riportarono in Italia, ed era attendente di un ufficiale inglese a Caserta nella frazione Ercole, dove da un paio di anni c’è un sobrio monumento che alla fine più che altro ci ricorda che questa è stata sempre una città e una provincia militarizzata, come disse anche Stendhal ai tempi del Grand Tour. Infatti, al contrario di Goethe che soggiornò qui mentre si costruiva la Reggia e forse a priori stava bene perché lontano da Lotte, a Stendhal Caserta non piaceva e disse che Caserta è una Caserma. Magari una sola! Però diciamo pure che il tipo era incontentabile e lo scrittore parmigiano Paolo Nori a proposito de La Certosa di Parma dice che non è che avesse una buona idea neanche di quella città. Ma tornando alla corsa due vecchie conoscenze delle fughe, Alessandro De Marchi e Simon Clarke, resistono all’inseguimento del gruppo e stanno per giocarsi la tappa, poi non per cattiveria ma per generosità iniziano a dire Prego, passa prima tu e Ci mancherebbe, prima tu, e dietro parte sparato Gaviria con la sua fissa per le volate lunghe e li supera ma viene battuto da Mads Pedersen, mentre i due, che visto l’esito non si possono definire vecchie volpi, facciamo vecchi polli, si abbracciano e si consolano a vicenda, e tutti i giornalisti applaudono e tutti i socialisti criticano. Il giorno dopo si parte da Capua e attraverso l’alto casertano si va in Molise, e allora bisogna stare attenti non ai cani ma ai cinghiali randagi. Lo scrittore parlante cita Spartacus ma non precisa che l’Anfiteatro si trova non a Capua ma nella vicina Santa Maria che non a caso si chiama anche Capua Vetere. Speriamo non abbiano creato dei problemi di campanili, come pure più tardi quando una didascalia ricorda che l’incontro storico tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II avvenne a Vairano mentre altri ritengono che sia stato a Teano. Poi si passa per Calvi Risorta e si ricorda il ciclista Luigi Mele scomparso di recente, più che altro perché dopo il ritirò lavorò in RAI come ora uno dei figli. Ma nel suo piccolo Mele si contendeva con il maddalonese Alberto Marzaioli il titolo di miglior ciclista casertano della storia. Ma al di là delle chiacchiere questa non è terra di ciclismo, e prima di lasciare il casertano spunta uno striscione inneggiante a Einer Rubio, probabilmente quei tifosi vengono dal beneventano dove il colombiano corse da under 23 con la locale Vejus che poi si fuse con l’abruzzese Aran e addio squadre campane. Ma bando alle tristezze perché questo è un tappone con la salitona di Campo Imperatore che farà sfracelli in classifica e dopo tanto attendere lo spettacolo è assicurato. Infatti vanno in fuga tre disperati e il campione africano. Quest’ultimo si stacca per il freddo e gli altri tre arrivano, perché in gruppo nessuno azzarda un mezzo attacco. Vince Davide Bais, fratello di Mattia, che disperava di vincere mai una gara, battendo Karel Vacek, fratello di Thomas, che l’anno scorso pensava di ritirarsi, e solo terzo è Petilli, favorito se non altro perché da giovane era una promessa in salita poi non mantenuta e come gli altri due era a zero vittorie. Nel 2017 al Lombardia Petilli e altri ciclisti finirono nello stesso dirupo dove tre anni dopo finì Evenepoel, ma gli italiani compatti, per salvare la faccia dell’organizzazione, dimenticarono il precedente e dissero che il belga era un ex calciatore e quindi non sapeva andare in discesa, anche perché come è noto i campi di calcio sono piatti. E questa è l’unica lancia che potevamo spezzare a favore di Remco, perché lui, perseguendo anche l’obiettivo della classifica della simpatia, va dicendo che Roglic e i jumbi sono nervosi e che lui medesimo è il più forte. Sarà, ma Roglic una volta è caduto l’altra ha forato e non si è scomposto, Evenepoel è caduto due volte e gli sono venute almeno quattro crisi isteriche e il suo boss sta ancora contando i cani randagi.

Fake Bike Pink Edition

Rubrica di notizie vere e veramente false a cura dell’OMS

La corsa più pazza del Mondo nel paese più verybello del Mondo

Finalmente si parte. Finalmente con la partenza del Giro si dà un taglio all’assurdo spreco di fiato penne carta bit e byte costituto da annunci proclami interviste impossibili (è possibile che dicano tutti le stesse cose?) e articoli inutilissimi, senza un guizzo o una fantasia, con analisi e anamnesi, riassunti delle puntate precedenti e prevedibili previsioni, da parte di critici e giornalisti che si trasformano in algoritmi viventi pur di vedere in anticipo per filo e per segno tutto quello che accadrà in corsa. Vagliano e dettagliano, tale salita sarebbe stata decisiva se inserita al km 100 ma piazzarla al km 90 non ha senso, e talaltra scalata se fosse di 19 km al 18% di pendenza favorirebbe Caio ma è di 18 km al 19% di pendenza e allora favorirà Tizio. Io mica c’ho tempo da perdere dietro a queste cose e ormai ci saltellavo sopra leggevo due parole capivo di cosa parlavano e saltavo avanti, ma determinante potrà essere ciò di cui non parlavano, il cavallo imbizzarito che galoppa sul percorso, il cane randagio o sfuggito al padrone, il tifoso o il fotografo che si sporge troppo, e l’auto che abbatte i ciclisti, non c’è bisogno di un guidatore sbadato che entri nel percorso, basta un’ammiraglia o con più autorevolezza l’auto della giuria. E poi cadute sfuse o a pacchi, malanni vari, allergie, riacutizzarsi di vecchi acciacchi, reumatismi e infine epidemie. La Jumbo ne sa qualcosa: due ciclisti positivi sostituiti e poi positivo anche un sostituto. Non bastasse questo, uno dei sopravvissuti, lo sloveno Tratnik, è stato colpito da un auto e anche lui sostituito all’ultimo secondo. Ma ci sono stati positivi anche in altre squadre e quindi fino alla partenza, beneficiando della normativa italiana in tema di lavoro, le squadre che avessero esaurito i ciclisti a libro paga potranno assumere dei disoccupati pagandoli con i voucher.

Capre, capre, capre!

Voglia di stupire o malefico influsso dei cicloamatori? Si sa che i pedalatori per diletto possono trasformarsi in sadici spettatori e quando scovano una mulattiera sterrata e strettissima con pendenze oltre il 30%, in cima alle quale si possono incontrare stambecchi e orsi chiamati con codici alfanumerici come se fossero figli di Elon Musk, condividono la scoperta con il mondo dicendo che sarebbe il posto ideale per farci arrivare una tappa del giro con 170 ciclisti, almeno 50 auto, dozzine di moto, più di 20 motorhome, palchi palchetti e tavolini e con un po’ di sforzo, se ci stringiamo, ci va pure la carovana pubblicitaria. Ma gli organizzatori non sono cicloamatori e conoscono anche i precedenti, per cui forti di questa esperienza e del fatto che sul monte Lussari ci si deve andare per forza, non ci si arriverà con una volata ma con una cronoscalata, uno alla volta. Sì, ma l’ammiraglia non ci passa. Allora i ciclisti saranno seguiti da moto. Moto non ce ne sono a sufficienza. Allora i meccanici monteranno su una bici, ma poi non ce la fanno a stare dietro al professionista, allora su muli, su capre. Ci sono capre a sufficienza? Eh, hai voglia!

Squadra che perde non si cambia.

Dimenticate le acerrime polemiche del Processo alla Tappa. La RAI ne affida di nuovo la conduzione a Fabretti che tra un elogio e una sviolinata inviterà tutti a volersi bene. E pure in cronaca Pancani e lo scrittore parlante saranno ancora una volta affiancati da Petacchi che è una persona conciliante, infatti i suoi commenti conciliano il sonno.

Imparare da piccoli

Ma in questi giorni si è pensato anche al futuro ed è stato presentato il Giro Under 23, che non si chiama proprio così perché sarebbe troppo facile. In Italia il problema dei nomi o dei titoli non riguarda solo il cinema. E’ vero che il film di Truffaut “Domicile conjugal” che qui fu distribuito come “Non drammatizziamo… è solo questione di corna” rimane qualcosa di ineguagliabile, ma il ciclismo soprattutto negli ultimi anni si è difeso bene: “Roma Maxima” o “Granpiemonte” lo dimostrano, ma queste cose bisogna impararle fin da piccoli. Il Giro dei giovani in passato è stato chiamato “Giro Baby” o “Girobio” e ora diventa “Giro Next Gen”. Se a qulcuno questa denominazione fa storcere il naso sappia che tra le alternative scartate c’erano “Giro millenial”, “Giro piccino picciò” e “Alternanza Giro-Lavoro”.

Se andasse tutto bene e facesse la neve sul Monte Lussari verrebbe una bella tappa epica eroica e pure mitica

La Zeriba Suonata – Sì, viaggiare

Il weekend santo e la settimana in albis sono una buona occasione per viaggiare e nessuno ci rinuncia. In Italia sono attesi miliardi di turisti, forse vogliono vedere i luoghi in cui sono ambientate le serie criminali e sperano semmai di assistere a qualche omicidio dal vivo. Per il resto, l’imprenditore vuole tirarsi su di morale dopo essere stato costretto a licenziare una comitiva di suoi dipendenti, il percettore di reddito di cittadinanza vuole raggiungere un’altra cittadina a bordo della sua divano-mobile, l’ambientalista vuole immergersi nella natura incontaminata di un lontanissimo spicchio di paradiso terrestre accessibile a pochissimi e solo con un viaggio aereo supersonico intercontinentale. E poi ci sono certi musicisti che si ostinano a voler andare in vacanza in Cambogia.

Primus – Holiday in Cambodia

Dead Kennedys‘s not dead.

Fake Bike

Rubrica di fake news a cura dell’U.C.I. (e questa è già la prima fake)

Sabato 4 marzo. Durante la Strade Bianche Donne l’olandese Demi Vollering, che inseguiva Kristen Faulkner in testa alla corsa, si è spaventata a causa di un cavallo imbizzarrito intrufolatosi nel percorso. Vollering alla fine ha vinto la corsa ma solo un’ora dopo la premiazione è arrivata la notizia della sua squalifica per aver sfruttato la scia del cavallo.

Il cavallo indossava sfacciatamente i colori della nazionale orange.

Domenica 5 marzo. Al G.P. Monseré c’è stato l’arrivo in volata con Caleb Ewan e Gerben Thijssen appaiati sulla linea. La giuria ha assegnato la vittoria al belga, ma le immagini del fotofinish si sono rivelate molto sfocate e l’australiano ha postato delle foto scattate dai tifosi nelle quali sembra che sia lui a tagliare per primo il traguardo. Chiamata in causa, la giuria ha dichiarato che il verdetto è stato emesso sulla base di un disegno realizzato dal figlio di uno dei giurati che di recente ha compiuto 5 anni.

Il disegno è pure a colori, cosa volete di più?

Mercoledì 8 marzo. Due tappe consecutive del Trofeo Ponente in Rosa sono state annullate perché alcuni comuni liguri non hanno dato il permesso al passaggio della corsa. Dato che in passato in Liguria ci sono stati problemi anche per la Sanremo e che la città di Milano non si è mostrata interessata a ospitare né la partenza della classicissima né l’arrivo del Giro d’Italia, gli organizzatori hanno annunciato che l’edizione 2024 della Milano Sanremo si disputerà in Provenza.

C’è pure la fontana: tutto regolare.

Giovedì 9 marzo. Primoz Roglic, dopo essersi messo a posto da solo la spalla lussata almeno 20/30 volte, si era deciso ad operarsi. Il suo ritorno alle gare era previsto per fine marzo in Catalogna, ma poi con la squadra hanno cambiato programma e anticipato il rientro alla Tirreno Adriatico. Roglic è stato costretto a fare le cose di fretta ed è venuto così come si trovava, insomma il capitano dell’ipertecnologica Jumbo non si è depilato. Dopo la sua prima vittoria di tappa, di tre consecutive più classifica, le più ricche squadre del world tour hanno già prenotato le varie gallerie del vento disponibili sulla piazza per studiare l’aerodinamicità di peli su gambe e braccia e anche del naso, di barbe baffi e capelli afro.

Perline di sport – A caso

Nel primo weekend di febbraio ci saranno i campionati mondiali di ciclocross e allora sono andato a cercare a caso una vittoria del belga Roland Liboton, e a caso ho trovato la prima delle sue quattro tra i professionisti precedute da una tra i dilettanti, come si usava dividere lo sport prima della caduta del muro. Era il 1980, si correva a Wetzikon in Svizzera e guarda caso c’erano la neve e anche il ghiaccio molto scivoloso, ma allora non si pensava a chiedere di inserire questo sport nel programma delle Olimpiadi invernali.

Mondiale 1980

C’erano tempi in cui i belgi correvano per squadre italiane pure nel cross.

Statistiche illustrate – Numeri classici

Qualche giorno fa è morto Ercole Baldini, e si è scritto che è stato l’ultimo rappresentante del ciclismo classico italiano, quello che dominava il mondo. Ma chi dice queste cose sa bene la consistenza di quel mondo, però io che sono curioso ho provato a quantificarlo un po’. Ovviamente non voglio sminuire Baldini né gli altri che hanno corso nelle loro epoche, tanto più che Ercole, a dispetto del nome, era stato sempre un tranquillo pensionato che tendeva pure a sminuirsi definendosi una meteora. Ma in pochi anni vinse Olimpiadi, Giro, Mondiale e stabilì il record dell’ora togliendolo ad Anquetil. Sembra che non fosse molto benvisto da Coppi, in coppia col quale vinse il Trofeo Baracchi a cronometro nel 1957, in cui si dice che Baldini andasse molto più forte. E si maligna che Coppi al mondiale del 1958 gli consigliò di andare in fuga presto prevedendo che poi sarebbe scoppiato, ma invece Baldini arrivò. Fu soprannominato “il treno di Forlì” e Secondo Casadei gli dedicò una canzone, come poi fece qualche anno dopo anche con l’altro corregionale Pambianco. Ma veniamo ai numeri che dicevo. Nel 1958 Baldini vinse il Giro d’Italia e il Mondiale. Al Giro arrivarono 77 dei 120 partenti, i due terzi dei partecipanti alle edizioni recenti, dei quali solo 36 erano gli stranieri, per lo più ingaggiati da squadre italiane, in rappresentanza di 6 nazioni: Francia, Spagna, Belgio, Germania, Lussemburgo e Svizzera, neanche un olandese o un danese. Ai mondiali parteciparono 14 nazioni per un totale di 75 ciclisti, contro le 45 nazioni del mondiale 2021 in Belgio e le 50 del mondiale 2022 in capo al mondo. Il quale mondo, a quanto pare, rispetto ai tempi del ciclismo classico tanto rimpianto, è aumentato a dismisura.

Cartolina di Ercole Baldini.

Ci sono un fumetto buono e uno cattivo.

Di quello cattivo ne scrivo stasera, ché se nel frattempo dovesse finire il mondo almeno state informati su quello che ne vale la pena. Tobias Tycho Schalken è un artista nato a ‘s-Hertogenbosch, e chissà cosa c’è nell’aria da quelle parti visto che ci sono nati Hyeronimous Bosch e Marianne Vos. Schalken ha pubblicato quattro volumi a fumetti realizzati a 4 mani, non però una per volume, insieme al suo concittadino Stefan Van Dinther. Quando poi ha pubblicato il primo libro a suo nome poteva starci che si trattasse di una raccolta di cose fatte qua e là o inediti, tipo un’antologia, come per esempio fu Apocalypso di Tuono Pettinato. Però Schalken non è solo fumettista ma un artista visivo completo, pittore scultore e installatore, e così nel librone intitolato Eldorado e pubblicato in Italia da Coconino troviamo storie a fumetti ma anche dipinti sculture e foto di installazioni all’insegna di un iperrealismo surrealista o di un surrealismo iperrealista. L’autore ci dice che l’Eldorado è il luogo ideale dei nostri desideri, irraggiungibile e mutevole, e che il filo rosso che unisce le sue opere è la malinconia. Sono tutti degni di nota i fumetti: Pete’s Blues è una divertente presa in giro di un cowboy che dà la colpa di tutto agli indiani. In Le luci di casa seguiamo due racconti contemporaneamente, uno dato dalle didascalie che parlano di eventi passati e uno dai disegni, racconti che si congiungono per poi separarsi di nuovo. Altre storie dicono molto con poche parole (Eldorado) o anche senza (That Bright Land). Tredici è raccontato da un ragazzino inquieto che non vedremo mai, i disegni mostrano i paesaggi attraversati, edifici, cantieri, interni, pianure che ricordano quelle del Limburgo dove passa l’Amstel Gold Race, ma c’è anche un cumulo di rifiuti che sta per diventare una montagnola, come il VAMberg nel Drenthe, ma queste ultime sono solo mie suggestioni ciclistiche e poi il fumettista è del Brabante, e in più c’è anche la frase finale della storia che gli amanti degli aforismi potrebbero mettere in repertorio e citare spesso, anche a sproposito come sono soliti fare. Eldorado è un libro che mi sento di consigliare solo a chi può permettersi la spesa di 29 euro e ha lo spazio in libreria, perché è un bel tomo anche se non cartonato come da recente brutta tendenza, ma è un libro praticamente epocale, e io, che per indisponibilità economica ai tempi ho perso una pietra miliare della grafica come Griffin & Sabine che ancora sto a rimpiangere, non volevo perdere pure questa pietra miliare dell’antologismo (e penso che i 29 euro spesi mi diano diritto a creare un neologismo).

Una tavola di “Tredici”.