Personaggi. Schlik e Schlok: una coppia in cerca di un utero da affittare; Ymo: rappresentante della comunità locale; Coro greco-romano.
Si apre il sipario
Schlik:Buenas dias, hombre.
Ymo:Buenas dias, gringos.
Schlik: Oh, no no. Noi non siamo gringos. Anzi siamo sempre stati contro gli yankees e a favore dei pellerossa.
Schlok:E’ vero, al cineclub abbiamo pure visto tutto un ciclo di film dalla parte degli indiani.
Schlik:E abbiamo pure firmato la petizione contro i palloni di calcio cuciti dai bambini.
Ymo:No ve gusta el futbol?
Schlok:Proprio no… (si interrompe notando che Ymo indossa la maglietta di una squadra di calcio).
Coro:Po popopo po po po!
Schlik:Entiende, noi siamo dei benefattori occidentali e vorremmo portare un po’ di ricchezza in questo posto povero e squallido.
Ymo: Disculpe, si tu me telefonava ve stendevo un tappeto rojo. E que volete fare, costruire una fabrica por dare trabajo?
Schlok:No.
Ymo:Un hospital?
Schlok:Neanche.
Ymo: Una escuela?
Schlok:Ma no.
Ymo:Una iglesia? No, gracias, ne habemos ya muchas.
Schlik:Niente di tutto questo. Noi cerchiamo una ragazza in buona salute per avere un figlio.
Ymo:Porque, al vuestro pais no se tromba?
Coro:Alé OO Alé OO!
Schlik:Ma no, cerchiamo una ragazza che faccia la fame ma sia in buona salute e sia disposta ad affittare il suo utero per fare un figlio per noi due, perché in Italia è vietato. Paghiamo bene, eh!
Ymo:Escucha, aqui vicino hay l’Orfanato donde estan mil niños abandonados. Porque non ne adoptate uno, dos, tres?
Schlok: Ma noi abbiamo molti soldi, possiamo spendere e il figlio lo vogliamo nuovo, non usato.
Coro: Money don’t get everything it’s true / What it don’t get, I can’t use /I want money / That’s what I want!*
Sipario pietoso
* Money (That’s What I Want) è una canzone di Berry Gordy e Janie Bradford
Dopo il giorno di riposo il Giro affronta le salite della famosa ultima settimana e gli spettatori si chiedono chi e come andrà in fuga, se attaccheranno i pesci piccoli o quelli grossi e quali saranno le dinamiche di queste fughe.
La gente vuole capire, però quello che ha già capito. La gente vuole sapere, però quello che già sa. E’ così anche per il “caso” Evenepoel, e se dicono che il modo in cui si sono svolti i fatti è sospetto vuol dire che mentono sapendo di mentire (o sapendo di mentina se si sono profumati l’alito) perché loro hanno già capito tutto: è una messinscena, un complotto ma soprattutto una mancanza di rispetto per la corsa, quel ciclista è stato accolto benissimo, l’avrebbero pure ben pagato, ma quando ha visto di non riuscire a distanziare gli avversari come si aspettava ha presentato il certificato medico e se n’è scappato, salpando all’alba manco avesse rubato il trofeosenzafine nascondendolo nella valigia, ma chi se lo comprerebbe? E finché queste cose le scrivono sui social niente di significativo, ma il punto è che ci si mettono pure le parti in causa, da una parte il giornale fiancheggiatore dell’organizzazione ha scritto più o meno quelle stesse cose, dall’altra il boss dei soudal-quick-step-e-pure-wolfpack ha accusato l’organizzazione di scarsa organizzazione ricordando la conferenza di presentazione tutti stretti in pochi metri quadrati. Strano però che nessuno abbia ricordato che il golden boy, che non è più il quasi minorenne degli esordi e al Giro ci sono ciclisti più giovani di lui, è sempre accompagnato dalla sua corte: Golden Lady, Golden Mother e Golden Father (saranno tutti percettori del reddito di cittadinanza fiammingo?) i quali durante la gara stavano in mezzo al pubblico, non il massimo della prevenzione. Comunque sia, forse i sospetti sono stati agevolati dal fatto che Remco è stato uno dei primi positivi, ma poi ci sono stati altri casi, e proprio della Soudal sono rimasti solo tre. Qualcuno dice che piove e fa freddo e ci sta che i ciclisti si ammalano, però nel 2020, in pieno covid, si corse a ottobre con freddo e pioggia e terminarono la corsa in 133, mentre quest’anno a metà giro sono rimasti in 140. E’ vero che si sono aggiunti i numerosi infortunati, tra cui anche Tao Hart che in una caduta che ha coinvolto i primi tre della classifica ha avuto la peggio, per non dire la pessima, peccato perché sembrava ormai il favorito, e di sicuro con il suo ritorno ad alto livello ha fatto rivalutare quel Giro 2020 che sembrava giocato tra due miracolati, e già l’altro protagonista, Hindley, ha vinto l’anno scorso. Ma l’incidente più assurdo è stato quello di martedì in cui un’ammiraglia ha colpito dei ciclisti, da un auto è sceso un meccanico per assistere uno dei caduti e stava attraversando la strada senza guardare, ma quando ha visto un corridore che arrivava a tutta velocità è rimasto pietrificato in mezzo alla carreggiata, e infatti quel corridore era Bettiol che ha il potere di trasformare pure gli incidenti seri in momenti slapstick e ha preso in pieno il meccanico e poi si è messo a sbraitargli contro. Però la giuria ha ritenuto quel meccanico incapace di intendere e di volere perché ha multato il direttore sportivo che gli ha incautamente aperto la portiera. In tutto questo ci sarebbero pure dei vincitori di tappa. Martedì ha vinto la volatina dei fuggitivi il baffo danese Cort Nielsen che così è entrato in quello che tutti, chissà perché, definiscono il “club” esclusivo dei ciclisti che hanno vinto tappe in tutti e tre i grandi giri, ma ormai i membri sono diventati talmente tanti che più che un clubbino questa compagnia può diventare una potente lobby. Mercoledì c’è stata una volata tra pochi intimi sopravvissuti, al punto che è tornato a vincere Pascalone Ackermann superando la concorrenza quasi agguerrita del vecchio Cavendish, terzo, e dell’ancora inesperto Milan, arrivato secondo dopo aver iniziato la volata in 141esima posizione sui 140 arrivati di cui sopra.
Il Giro attraversa tanti luoghi, compresi quelli comuni. Un sottocane nordnorvegese praticamente artico prende la maglia rosa e i giornalisti scrivono che lui vive tra aurore boreali e orsi polari, anche se ora risiede a Oslo. E il veneto Zoccarato, campione italiano gravel, va in fuga nella tappa di Salerno e sotto la pioggia si rivolge alla moto lamentandosi: “Venite al Suddicevano, troverete il sole…” E invece i ciclisti si troverebbero più a loro agio se fossero davvero girini, ma nel senso anfibio, perché c’è pioggia fresco e anche tanta nebbia, al punto che Rizzato per fare promozione turistica dice: “Probabilmente c’è un bel panorama ma non lo sapremo mai”. La pioggia rende la strada scivolosa e i ciclisti cadono, anche i pezzi grossi, Evenepoel fa addirittura una doppietta ma la prima caduta è causata da un cagnolino randagio, e i commentatori si scatenano in indagini etnico-sociologiche, più di tutti si distinguono il giornalista masochista Gatti (un nome che nel caso è quasi in conflitto di interessi) che su un sito molto seguito si diverte a fare polemiche al limite dell’offensivo e in risposta si becca un sacco di improperi, e anche Lefevere, il boss di Remco, che paragona le strade del sud a quelle della Colombia (chissà come sono le strade colombiane) e che si è messo a contare i cani per strada, per la precisione 15, specificando anche quanti erano i randagi, quanti i bastardi, quanti quelli sfuggiti ai padroni e di che razza. Di sicuro dall’identikit diffuso dalle forze dell’ordine si può chiarire che il cane che ha fatto cadere Evenepoel non è quello di Tom Pidcock. Lefevere è anche collaboratore di Het Nieuwsblad, e meno male che il sito fiammingo, invece di piangere sul Remco versato, ricorda vari casi analoghi in Francia Spagna Australia e ancora Italia con cani gatti gabbiani e anche cavalli (compreso quello senese che spaventò Demi Vollering), e si è pure dimenticato le mucche francesi. Qualcuno ricorda che nel 1997 da queste parti Pantani cadde a causa di un gatto e tutta la squadra lo scortò all’arrivo, compreso il giovane Garzelli che compromise la sua classifica, ma almeno stavolta nessuno ha detto che la tappa la vinse Manzoni ma nessuno se ne ricorda, con la conseguenza che Manzoni viene continuamente ricordato come quello che ottenne quella vittoria che nessuno ricorda. Salerno è anche la città dello scrittore Alfonso Gatto che causò uno scandalo clamoroso perché parlava di ciclismo senza saper andare in bicicletta. Questa cosa mi colpisce perché è l’obiezione che ogni tanto mi fanno i colleghi, e precisiamo che non basta aver fatto qualche giretto da bambino, perché poi la potente lobby dei cicloamatori pretende che possa parlare di ciclismo solo chi si fa decine di km al giorno e valichi i valichi più famosi. Questa è una delle tante assurdità che si riscontrano solo nel mondo del ciclismo. Sì, immagino che i vecchi panzoni che negli studi televisivi commentano il calcio, dando un’occhiata anche alle scollature o scosciature delle conduttrici, da ragazzi abbiano dato dei calci a un pallone, e che gli appassionati della Formula 1 in città e sulle autostrade superino facilmente il limite di velocità. Ma quelli che hanno la febbre da cavallo e puntano su Camillo Benso IV che è figlio di Pier Varenne ed è forte sul terreno pesante hanno tutti cavalcato o guidato un sulky? Ridendo e scherzando il gruppo arriva a Salerno e in gruppo cascano due volte, la seconda caduta è causata da Remco che si distrae e poi se la prende con i trekkini che lo stanno pure a sentire. Vince l’australiano Kaden Groves che dicono forte velocista, ma in primavera mi ha impressionato vincendo nel Limburgo sotto la pioggia dopo essere rimasto in testa con due Lotti e uno l’ha staccato, l’altro se lo è portato dietro senza chiedergli neanche un cambio e poi lo ha disperso in volata. Segnatevelo: Kaden Groves, potrebbe diventare più forte di Matthews, anche se non è difficilissimo.
Il giorno dopo si parte e si arriva a Napoli e si temono non i gatti ma le sagome dei calciatori per strada e altri elementi di arredo inurbano. Alla partenza due big si contendono la classifica della ruffianeria: Evenepoel palleggia con un pallone con i colori del Napoli e Ganna ne esibisce la sciarpa, direi che visti i trascorsi pallonari del belga la tappa se l’aggiudica Simpatia Ganna. Poi in realtà sul percorso ci sono solo bandiere e striscioni, il pubblico è composto come già l’anno scorso, e quando l’aspirante sceriffo Evenepoel fa segno alla gente di allargarsi è solo perché è la strada ad essere stretta. Insomma si temevano troppe chiacchiere sul Napoli, e non avevamo pensato a Un posto al sole. E da quando la RAI trasmette questa soap opera il suo attore più famoso Patrizio Rispo all’attività di attore ha affiancato quella di presenzialista, e così con alcuni sodali si è presentato sia nella postazione cronaca, con una finestra aperta mentre la corsa ribolliva, e dopo al Processo a parlare a vanvera anche perché hanno avuto più spazio loro di quanto ne abbiano concesso in questi giorni a Marta Bastianelli invitata a partecipare ma poi praticamente mai coinvolta, e poi Fabretti si lamenta dello spettacolo. Durante la tappa si è ricordato che Coppi era legato a questi luoghi perché lì faceva il prigioniero attendente, là viveva l’artigiano che gli diede una bicicletta, da lì partì per tornare a Castellania, e tutti questi posti ricordano in qualche maniera il Campionissimo. Coppi fu costretto a partire per fare la guerra in Africa ma fu subito fatto prigioniero dagli inglesi, che lo riportarono in Italia, ed era attendente di un ufficiale inglese a Caserta nella frazione Ercole, dove da un paio di anni c’è un sobrio monumento che alla fine più che altro ci ricorda che questa è stata sempre una città e una provincia militarizzata, come disse anche Stendhal ai tempi del Grand Tour. Infatti, al contrario di Goethe che soggiornò qui mentre si costruiva la Reggia e forse a priori stava bene perché lontano da Lotte, a Stendhal Caserta non piaceva e disse che Caserta è una Caserma. Magari una sola! Però diciamo pure che il tipo era incontentabile e lo scrittore parmigiano Paolo Nori a proposito de La Certosa di Parma dice che non è che avesse una buona idea neanche di quella città. Ma tornando alla corsa due vecchie conoscenze delle fughe, Alessandro De Marchi e Simon Clarke, resistono all’inseguimento del gruppo e stanno per giocarsi la tappa, poi non per cattiveria ma per generosità iniziano a dire Prego, passa prima tu e Ci mancherebbe, prima tu, e dietro parte sparato Gaviria con la sua fissa per le volate lunghe e li supera ma viene battuto da Mads Pedersen, mentre i due, che visto l’esito non si possono definire vecchie volpi, facciamo vecchi polli, si abbracciano e si consolano a vicenda, e tutti i giornalisti applaudono e tutti i socialisti criticano. Il giorno dopo si parte da Capua e attraverso l’alto casertano si va in Molise, e allora bisogna stare attenti non ai cani ma ai cinghiali randagi. Lo scrittore parlante cita Spartacus ma non precisa che l’Anfiteatro si trova non a Capua ma nella vicina Santa Maria che non a caso si chiama anche Capua Vetere. Speriamo non abbiano creato dei problemi di campanili, come pure più tardi quando una didascalia ricorda che l’incontro storico tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II avvenne a Vairano mentre altri ritengono che sia stato a Teano. Poi si passa per Calvi Risorta e si ricorda il ciclista Luigi Mele scomparso di recente, più che altro perché dopo il ritirò lavorò in RAI come ora uno dei figli. Ma nel suo piccolo Mele si contendeva con il maddalonese Alberto Marzaioli il titolo di miglior ciclista casertano della storia. Ma al di là delle chiacchiere questa non è terra di ciclismo, e prima di lasciare il casertano spunta uno striscione inneggiante a Einer Rubio, probabilmente quei tifosi vengono dal beneventano dove il colombiano corse da under 23 con la locale Vejus che poi si fuse con l’abruzzese Aran e addio squadre campane. Ma bando alle tristezze perché questo è un tappone con la salitona di Campo Imperatore che farà sfracelli in classifica e dopo tanto attendere lo spettacolo è assicurato. Infatti vanno in fuga tre disperati e il campione africano. Quest’ultimo si stacca per il freddo e gli altri tre arrivano, perché in gruppo nessuno azzarda un mezzo attacco. Vince Davide Bais, fratello di Mattia, che disperava di vincere mai una gara, battendo Karel Vacek, fratello di Thomas, che l’anno scorso pensava di ritirarsi, e solo terzo è Petilli, favorito se non altro perché da giovane era una promessa in salita poi non mantenuta e come gli altri due era a zero vittorie. Nel 2017 al Lombardia Petilli e altri ciclisti finirono nello stesso dirupo dove tre anni dopo finì Evenepoel, ma gli italiani compatti, per salvare la faccia dell’organizzazione, dimenticarono il precedente e dissero che il belga era un ex calciatore e quindi non sapeva andare in discesa, anche perché come è noto i campi di calcio sono piatti. E questa è l’unica lancia che potevamo spezzare a favore di Remco, perché lui, perseguendo anche l’obiettivo della classifica della simpatia, va dicendo che Roglic e i jumbi sono nervosi e che lui medesimo è il più forte. Sarà, ma Roglic una volta è caduto l’altra ha forato e non si è scomposto, Evenepoel è caduto due volte e gli sono venute almeno quattro crisi isteriche e il suo boss sta ancora contando i cani randagi.
Rubrica di notizie vere e veramente false a curadell’OMS
La corsa più pazza del Mondo nel paese più verybello del Mondo
Finalmente si parte. Finalmente con la partenza del Giro si dà un taglio all’assurdo spreco di fiato penne carta bit e byte costituto da annunci proclami interviste impossibili (è possibile che dicano tutti le stesse cose?) e articoli inutilissimi, senza un guizzo o una fantasia, con analisi e anamnesi, riassunti delle puntate precedenti e prevedibili previsioni, da parte di critici e giornalisti che si trasformano in algoritmi viventi pur di vedere in anticipo per filo e per segno tutto quello che accadrà in corsa. Vagliano e dettagliano, tale salita sarebbe stata decisiva se inserita al km 100 ma piazzarla al km 90 non ha senso, e talaltra scalata se fosse di 19 km al 18% di pendenza favorirebbe Caio ma è di 18 km al 19% di pendenza e allora favorirà Tizio. Io mica c’ho tempo da perdere dietro a queste cose e ormai ci saltellavo sopra leggevo due parole capivo di cosa parlavano e saltavo avanti, ma determinante potrà essere ciò di cui non parlavano, il cavallo imbizzarito che galoppa sul percorso, il cane randagio o sfuggito al padrone, il tifoso o il fotografo che si sporge troppo, e l’auto che abbatte i ciclisti, non c’è bisogno di un guidatore sbadato che entri nel percorso, basta un’ammiraglia o con più autorevolezza l’auto della giuria. E poi cadute sfuse o a pacchi, malanni vari, allergie, riacutizzarsi di vecchi acciacchi, reumatismi e infine epidemie. La Jumbo ne sa qualcosa: due ciclisti positivi sostituiti e poi positivo anche un sostituto. Non bastasse questo, uno dei sopravvissuti, lo sloveno Tratnik, è stato colpito da un auto e anche lui sostituito all’ultimo secondo. Ma ci sono stati positivi anche in altre squadre e quindi fino alla partenza, beneficiando della normativa italiana in tema di lavoro, le squadre che avessero esaurito i ciclisti a libro paga potranno assumere dei disoccupati pagandoli con i voucher.
Capre, capre, capre!
Voglia di stupire o malefico influsso dei cicloamatori? Si sa che i pedalatori per diletto possono trasformarsi in sadici spettatori e quando scovano una mulattiera sterrata e strettissima con pendenze oltre il 30%, in cima alle quale si possono incontrare stambecchi e orsi chiamati con codici alfanumerici come se fossero figli di Elon Musk, condividono la scoperta con il mondo dicendo che sarebbe il posto ideale per farci arrivare una tappa del giro con 170 ciclisti, almeno 50 auto, dozzine di moto, più di 20 motorhome, palchi palchetti e tavolini e con un po’ di sforzo, se ci stringiamo, ci va pure la carovana pubblicitaria. Ma gli organizzatori non sono cicloamatori e conoscono anche i precedenti, per cui forti di questa esperienza e del fatto che sul monte Lussari ci si deve andare per forza, non ci si arriverà con una volata ma con una cronoscalata, uno alla volta. Sì, ma l’ammiraglia non ci passa. Allora i ciclisti saranno seguiti da moto. Moto non ce ne sono a sufficienza. Allora i meccanici monteranno su una bici, ma poi non ce la fanno a stare dietro al professionista, allora su muli, su capre. Ci sono capre a sufficienza? Eh, hai voglia!
Squadra che perde non si cambia.
Dimenticate le acerrime polemiche del Processo alla Tappa. La RAI ne affida di nuovo la conduzione a Fabretti che tra un elogio e una sviolinata inviterà tutti a volersi bene. E pure in cronaca Pancani e lo scrittore parlante saranno ancora una volta affiancati da Petacchi che è una persona conciliante, infatti i suoi commenti conciliano il sonno.
Imparare da piccoli
Ma in questi giorni si è pensato anche al futuro ed è stato presentato il Giro Under 23, che non si chiama proprio così perché sarebbe troppo facile. In Italia il problema dei nomi o dei titoli non riguarda solo il cinema. E’ vero che il film di Truffaut “Domicile conjugal” che qui fu distribuito come “Non drammatizziamo… è solo questione di corna” rimane qualcosa di ineguagliabile, ma il ciclismo soprattutto negli ultimi anni si è difeso bene: “Roma Maxima” o “Granpiemonte” lo dimostrano, ma queste cose bisogna impararle fin da piccoli. Il Giro dei giovani in passato è stato chiamato “Giro Baby” o “Girobio” e ora diventa “Giro Next Gen”. Se a qulcuno questa denominazione fa storcere il naso sappia che tra le alternative scartate c’erano “Giro millenial”, “Giro piccino picciò” e “Alternanza Giro-Lavoro”.
Se andasse tutto bene e facesse la neve sul Monte Lussari verrebbe una bella tappa epica eroica e pure mitica
Ieri era la Giornata Mondiale dell’Ipocrisia. Infatti si celebrava la Giornata della Terra, un’occasione per i notiziari di mandare servizi con sottofondo musicale per dire che non si è fatto abbastanza, sono gli stessi che hanno celebrato la vittoria sulla Perfida Europa che voleva costringerci a gettare a mare, no, a mare no, a gettare le auto a combustibili fossili, di cui in apposite rubriche elogiano le prestazioni. Ed era la Giornata del Libro, questo coso che serve a conoscere il mondo o a fantasticarne altri, sì, ma questi sono argomenti per i fessacchiotti, soprattutto si ricordano i diritti d’autore, di cui si giovano chissà quanti eredi di parenti un po’ strani che stavano sempre in mezzo alle carte e almeno a qualcosa sono serviti. E infine c’è sempre un po’ di ipocrisia quando nello stesso giorno si corrono sia la versione maschile che quella femminile di classiche ciclistiche e la seconda si disputa prima. E’ il caso della Liegi Bastogne Liegi, si dice che le donne beneficiano della stessa attenzione, dello stesso pubblico, casomai quello della strada, ma di quello televisivo dubito se la corsa termina tre o quattro ore prima e preferibilmente a ora di pranzo. Ma questa non è l’unica conseguenza.
I sogni muoiono all’alba
Le cicliste sognano la parità di trattamento con gli uomini, ma il loro risveglio è brusco e soprattutto molto anticipato: si parte alle 8. La parità di trattamento c’è per le cose negative, come il commento anche della loro prova affidato a Garzelli. E Garzelli ci dice che la Liegi è una corsa difficile e bisogna correre risparmiando le energie, e ci rivela quanto valga la retro-poussette o bidon-collé, cioé quel momento in cui con il pretesto di prendere all’ammiraglia la borraccia tenuta dal direttore sportivo si beneficia di un lieve traino. Insomma lui è un esperto di queste cose perché in carriera è stato sparagnino, quasi un ciclista part-time: in 17 anni tra i professionisti ha corso 20 grandi giri e 13 classiche monumento, cioè quasi mai ha corso 2 grandi giri in un anno ma neanche compensava con le gare in linea, ecco perché non trascinava le folle ai bordi delle strade. Ieri si correva pure la Coppa Cobram, questa sorta di rievocazione della corsa fantozziana che rischia di essere una parodia dell’Eroica, o viceversa, e anche Garzelli ha voluto omaggiare Fantozzi quando in testa si trovavano Reusser e Longo Borghini e lui ha detto che è opportuno che Elisa rimanghi attaccata alla svizzera. Poi sulle due è rinvenuta Demi Vollering, la ciclista attualmente più forte e forse pure più emotiva, quasi melodrammatica, e la sua compagna Reusser si è staccata. A un certo punto la paesana tutt’altro che bassa si è toccata una gamba e Garzelli si è sportivamente augurato che avesse i crampi in modo che ELB potesse vincere la volata a due. Crampi o non crampi le due hanno rallentato negli ultimi km rischiando di fare la fine di Roche e Criquelion, ma crampi o non crampi la volata si è disputata, la Vollering in seconda posizione e tutti pensavano l’ideale, furba lei, ma Elisa stava cercando di tenerla al vento, e crampi o non crampi ha vinto la Vollering e poi l’ormai solito suo copione di incredulità pianti baci e abbracci, con le compagne lo staff la madre il padre il cane e ultimo il fidanzato. Noi ci siamo già abituati alle sue vittorie, speriamo che ci si abitui presto anche lei.
“Sob”
Tempo da cani
La Liegi è da tempo la meno appassionante delle classiche cosiddette monumento, soprattutto in campo maschile. Ma quest’anno, oltre alla pioggia che può mandare all’aria piani e tattiche, si annunciava il primo duello serio alla pari tra Tadej Pogacar e Remco Evenepoel. Però Bardet, che non è uno banale, ammoniva che è vero che le corse sono diventate più spettacolari ma se vince sempre lo stesso la gente finisce per annoiarsi. Nessun rischio, né che vincesse sempre lo stesso né che ci fosse l’atteso duello. Se le Fiandre hanno il pavé in Vallonia per non essere da meno hanno le strade rotte e nella prima parte di gara Mikkel Honoré ha preso una buca ed è caduto per lo scoppio delle due ruote, che se ne aveva tre ne scoppiavano tre, buttando a terra anche Pogacar che si è fratturato lo scafoide. Così Evenepoel ha provato ad attaccare come l’anno scorso sulla Redoute ma la ruota gli è scivolata su una delle mille scritte a vernice dei tifosi di Philippe Gilbert, che nacque ai piedi della salita ma si è leggermente ritirato e quindi non si capisce perché continuano a scrivere il suo nome. Allora Evenepoel ha attaccato sulla successiva salitella di Boulevard De Amicis e solo Pidcock ha cercato di seguirlo, ma l’inglese è giovane e non si conosce bene, e come la domenica precedente è andato fuori giri. Staccatosi, ha subito consumato dei gel, poi l’hanno raggiunto altri inseguitori, tra cui Ciccone che in assenza di arrosticini si è accontentato pure lui di un gel, insomma era tutto un magna magna, dal quale è fuoriuscito la rivelazione primaverile, il ciclista disegnato male Ben Healy, ma su di lui sono rientrati Pidcock e Buitrago che alla fine gli hanno sottratto il podio, il primo in una classica monumento per l’ancora giovanissimo Pidcock, che dopo l’arrivo è stato festeggiato dalla compagna e soprattutto dal cane che l’ha leccato a lungo, ma se le due corse fossero arrivate a poca distanza l’una dall’altra avrebbe potuto fare amicizia con il cane dei Vollering.
A Remco è toccato l’abbraccio del suo boss Lefevere. Ora sta pensando di prendersi un cane.
C’è una bella storia che ho scoperto leggendo una cartolina da Orléans di Zograf pubblicata su un numero recente di Internazionale. Lui l’aveva sentita da uno studioso e si dovrebbe procedere a ritroso, ma io preferisco raccontarla in ordine cronologico che poi in questo caso è anche alfabetico dao che finiamo con la zeta di Zograf.
Nella Francia del dopoguerra nella regione dell’Ile de France, che poi sarebbe la zona di Parigi, un ragazzo di nome Norbert George Moutier, precoce e di indole curioso assai, dall’età di 5 fino a 19 anni e con l’aiuto della madre Simonne disegna a mano oltre mille libretti a fumetti ispirati a quelli dell’epoca. Poi diventa grande e li archivia nel senso che li nasconde a casa sua e si dedica a un’attività seria, il contabile, ma dato che non era abbastanza seria – non sappiamo se si era fatto due conti – passa a cose ancora più serie e diventa libraio, editore, fanzinaro e collaboratore anche di riviste, direttore di un cineclub, sceneggiatore regista e anche attore di film “di serie Z” autopubblicati su vhs a base di alieni dinosauri e vampiri, ma non chiedetemi tutte queste cose in che ordine le abbia fatte. Nel 2012 si autopensiona e si trasferisce a Orléans dove muore nel 2020.
Dopo la sua morte le fanzine vennero ritrovate e vendute in blocco. Al locale mercatino delle pulci le comprò lo studioso Xavier Girard che, entusiasmato dalla scoperta, subito ha organizzato mostre e convegni, praticamente le porta in tournée, e quando ne ha parlato all’Università di Gent, dove non si vive solo di ciclismo, si trovò a passare da quelle parti il fumettista serbo Aleksandar Zograf, pure lui appassionato viscerale di queste cose futili, e ci ha disegnato due paginette. Fine della storia.
Mi sono tenuto lontano dal dibattito sulla ripulitura dei libri di Roald Dahl, però mi è capitato di leggere qualcuno che affermava che se l’idea è buona ma sviluppata in maniera offensiva è giusto trarne un’altra opera non offensiva. Il punto è che Dahl scriveva romanzi e non soggetti per quella fabbrica di zucchero che è Hollywood.
Diceva Groucho Marx che le donne sono l’altra metà del cielo, quella nuvolosa, io aggiungerei o molto nuvolosa con possibilità di pioggie e temporali. Infatti lunedì sotto la pioggia le sorelle Fidanza hanno vinto la Ronde de Mouscron e ieri sotto il temporale Silvia Persico ha vinto la Brabantse Pijl, che poi sarebbe la Freccia del Brabante.
Nel 2005 Floria Sigismondi dirige il video di O’ Sailor, singolo dal travagliato album Extraordinary Machine di Fiona Apple. Qui la regista non propone le sue caratteristiche immagini spezzettate e sfocate con serpenti e bacherozzi, ma immagini dondolanti quasi da mal di mare a metà strada tra Fellini e Fassbinder e con Fiona Apple allo zenit della sua bellezza.