Non metterti la maglia ché fa freddo

Stanno ancora tutti lì a lamentarsi che al Giro mancano le azioni eroiche, e quelli che raccontano la corsa hanno ragione perché con gli attacchi sotto le intemperie verrebbe tutto più facile, sono bravi tutti, è raccontare l’infraordinario ciclistico, tipo Perec, che è difficile. E pure il pubblico si lamenta ma nessuno ne trae le conseguenze, nessuno si suicida, nessuno si alza dal divano e, approfittando del fatto che questa corsa non gli piace, prende una vanga e un paio di stivaloni e va a fare l’eroe in prima persona andando a spalare fango in Romagna, no, perché il problema del pubblico lamentoso è che vuole vedere gli altri fare quelle cose straordinarie che lui, il pubblico, mai si sognerebbe di fare, e il fango anziché spalarlo preferisce buttarlo addosso a qualcuno. E se si parla a vanvera arriva Cipollone, il precoce umarell del ciclismo, che finge di dare un modesto consiglio ai ciclisti ma in realtà attacca il capo del sindacato. Lui ha qualche problema con gli australiani, già l’anno scorso criticò Hindley solo perché si era lamentato di non aver visto i genitori per più di due anni a causa del covid, forse si ricorda ancora delle volate contro Mc Ewen che ha vinto un po’ di meno, era meno possente, ma era molto più spettacolare. A Cipollone non piace l’Australia, non capisce neanche come mai non cadono nel vuoto visto che stanno sottosopra. E ora invita i giovani a non dare retta a chi viene da lontano dove non c’è cultura ciclistica, cioè un paese che ha una squadra in prima serie mentre l’Italia no, ed è senza palmarès, che tradotto significa non date retta a un milionario che invece di starsene a casa a contare i soldi ha terminato 20 grandi giri consecutivi, e non pagava il biglietto per fare il passeggero ma stava in testa al gruppo a tirare, e una volta gli è sfuggito pure di vincere una tappa, ma ascoltate piuttosto chi non ha mai concluso un Tour perché dopo aver vinto le prime tappe se ne andava al mare, oppure chi vinceva i Giri piallati dal Sergente Torriani.

Garzelli è un altro che dice ai miei tempi, beh, di quanto corresse ho già scritto qui, ma aggiungiamo che in questo secolo solo due edizioni del giro hanno visto più ritirati, almeno per ora perché in quelle edizioni c’erano più partenti e alla fine calcolerò le percentuali, cioè quelle del 2001 e del 2002, in cui correva pure Garzelli, e i ciclisti andavano a casa per positività non al covid ma al doping, pure Garzelli, quindi questo è il suo ai miei tempi. Intanto si corre ancora sotto la pioggia, anzi sabato è una delle giornate peggiori e il belga Rex mima una nuotata, e vince ancora Nicodenz, ma esulta troppo presto, vince lo stesso ma alzando il braccio dà una manata a Gee, e non si capisce se vince al fotofinish o per K.O.T.. Bettiol arriva terzo e dice aver lanciato presto la volata perché il computerino diceva che era a 200 metri dal traguardo e invece era a 300, e non ha pensato di dare un’occhiata ai cartelli analogici che scandiscono l’ultimo km. Il giorno prima c’era stata la protesta perché le app preannunciavano un brutto tempo che poi non c’è stato, insomma i ciclisti sono vittime delle fake news. Però se lo spettacolino ha accontentato i criticonzi, comunque c’è stato spazio per un altro scandalo: tra i fuggitivi il migliore in classifica era Bruno Armirail e il gruppo dei big gli ha lasciato un vantaggio sufficiente a prendersi la maglia rosa e con essa tutte le interviste i protocolli e le perdite di tempo supplementari, che per un mezzo miracolato come Armirail, ottimo cronoman e basta, non sono un problema, quando gli capiterà più, ma per uno che punta alla classifica significano andare ai massaggi e al riposo molto più tardi e stare più tempo al freddo, e al Giro vale il contrario: per non prendere freddo non bisogna mettersi la maglia (rosa). Però così si configura il reato di “lesa maglia rosa” e anche chi non vuole farne un (melo)dramma trova strano che si lasci la maglia a poche tappe dalla fine.

La successiva tappa bergamasca riserva un’altra sorpresa: il sole, chi ci sperava più. Si fa il solito percorso con il pavé di Porta Garibaldi la salita della Boccola e la discesa fino all’arrivo, e si scatena Ben Healy. Il ciclista disegnato male si inserisce nella fuga, fa a spallate pure per i GPM, anche se nel caso di un ciclista storto come lui è difficile capire se davvero fa a spallate o è soltanto inclinato, nel finale si trova in testa con Brandon Mc Nulty e l’emergente Marco Frigo e perde dall’americano. Dietro i big si controllano e Armirail conserva la rosa.

In conclusione la Zeriba Illustrata vuole rendere un servizio al Giro, perché è meglio prevenire che lamentare. Se il problema di avere la maglia rosa sono le interviste e i protocolli bisognerebbe snellire la parte burocratica e non perdere tempo con le interviste, tanto più che le domande e le risposte sono sempre le stesse. Quindi, non potendo intervenire sulla parte procedurale, questo blog mette a disposizione un’intervista standard che si può sottoporre all’intervistato che si limita a sottoscriverla per la diffusione senza perdere ulteriore tempo. Ecco quindi l’intervista precompilata.

-Cosa provi?

-Sono molto contento.

-Hai realizzato cosa hai fatto?

-Ancora non mi rendo conto di quello che ho fatto, forse domani.

-Vuoi ringraziare qualcuno?

-Sì, voglio ringraziare la squadra, la mia famiglia e tutti quelli che mi sostengono.

Sventurato lo sport che ha bisogno di eroi

Il giro arriva a Rivoli, col solito grappolo di ritirati e con una tappa intermedia, di quelle che a metà giro va via la fuga e arriva così sicuro che ci si può pure scommettere. Sì, però ci si mettono in trenta come se qualcuno avesse detto Avanti c’è posto e infatti alla fine il vincitore Nico Denz, tedesco il cui cognome tradisce le origini lucane, non le tradisce? vabbe’, allora le tradisce il nome che sarebbe diminutivo di Domenico, dicevo che Nicodenz dice che alcuni non volevano tirare ma volevano fare i passeggeri, ma trenta fuggitivi è difficile farli andare d’accordo. Però la successiva fuga dalla fuga non è partita con scatti e controscatti ma con un’inconsapevole fagianata, a una rotonda in sei si erano trovati davanti di qualche metro senza accorgersene, poi quando se ne sono accorti hanno tirato dritto, e alla fine sono rimasti in tre e se la sono giocata loro la tappa, e per fortuna dei cronisti ha vinto questo tedesco col cognome facile, perché l’alternativa sarebbe stata il lettone Toms Skujins (al netto di segni grafici inattesi e misteriosi) che in carriera ha avuto tre fasi, quella in cui lo chiamavano Skùgins, poi la fase Squìnc e ora la fase Skùins. Nella fuga c’erano pure Bettiol e Formolo, ma come spesso gli accade stanno sempre a tirare o scattare per fare un’ulteriore selezione, poi litigano, poi attaccano di nuovo, ma quando parte la fuga giusta stanno sempre altrove. Altrove ma da quelle parti c’è il primo museo italiano di arte contemporanea, che non poteva sfuggire al servizio per il doposcuola, e hanno mostrato la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, e pensavo che quando, in linea con le politiche dell’attuale governo ma anche di quelli passati, ai poveri vorranno togliere pure l’arte povera per darla ai ricchi, che comunque ce l’hanno già, quell’installazione sarà ribattezzata Venere degli abiti vintage. E a proposito di Pistoletto, sul percorso sono comparsi tre pistola, tre attivisti climatizzati che non potendo buttare sostanze biologiche a km zero nelle fontane pregiate si sdraiano sul percorso di una corsa ciclistica. Già si è visto che personalizzare certe proteste, come nel caso di Greta, rende più agevole la propaganda a favore della tesi opposta, basta attaccare il personaggio cercando errori o ipotizzando manovratori, ma con questi individui mi verrebbe da fare il complottista e pensare che siano manovrati da chi vuole mettere in cattiva luce la causa ambientalista, perché mi sembrano molto stupide oltre che controproducenti queste azioni. Comunque gli darei lo stesso un consiglio: inutile fare azioni di protesta durante una corsa ciclistica che non la vede nessuno, sdraiatevi piuttosto su un circuito automobilistico durante un GP di Formula 1, e se le auto non riusciranno a frenare pazienza, anzi meglio, diventerete dei martiri dell’ecologismo e vi faranno pure un monumento, ovviamente biodegradabile.

E poi, sempre per gli attivisti sdraiati, si informino bene sui percorsi, che rischiano di rimanere in mezzo alla strada come dei pirla (dite che già lo sono?) in attesa di una corsa che non passerà mai, e se tutto andrà bene gli passerà addosso solo qualche motorhome. E’ quello che è successo nella successiva tappa di Crans Montana. I ciclisti dicono che la discesa dalla Croix de Coeur è pericolosa e appellandosi al weather protocol chiedono di evitarla prendendo la scorciatoia dopo il Gran San Bernardo. Vegni fa una controproposta: sopprimiamo il Gran San Bernardo e facciamo solo la Croix de Coeur e i ciclisti accettano convinti di aver fatto un affare. Apriti cielo (non nel senso meteorologico): non potendo disporre di una tappa epica i giornalisti la buttano sul melodrammatico e si strappano i capelli, soprattutto Fabretti che ne approfitta per ribadire che il prodotto che lui propone è una schifezza e all’arrivo dice che ha perso il ciclismo, però non dice contro chi giocava. E’ tutto un pianto e un’indignazione generale, dicono che al Tour non sarebbe successo, è vero, se ricordassero la tappa in cui Bernal praticamente vinse la corsa ebbene quella non fu segata prima ma durante, quando si resero conto che andavano a finire in una strada allagata. C’è sempre quel complesso di inferiorità, quella rivalità coi cugini transalpini, eppure l’Italia merita rispetto, se non altro per la faccenda dei bidet, che all’estero non ce l’hanno e noi siamo più civili e puliti, e il bidet dovrebbero metterlo pure sulla bandiera lì dove prima c’era lo stemma sabaudo, è uguale, anche se all’estero potrebbero cambiare discorso e parlare del water turistico-alberghiero che ha trovato Gerainthomas, ma noi in Italia non ci facciamo caso, niente che non si veda in bagni pubblici, stazioni, uffici e locali. E dicono che il ciclismo è uno sport da veri uomini, eppure immagino che la maggioranza di quelli che dicono queste cose nella vita vadano al lavoro, se lavorano, rigorosamente con l’auto privata e non prendano in considerazione nessun luogo che non sia dotato di ampio parcheggio e che vadano a prendere i figli a scuola entrando in aula con l’auto. E dicono che il ciclismo è così, con freddo pioggia neve terremoti e ossa rotte, ma sventurato lo sport che ha bisogno di eroi, pensate il calcio dove i tifosi sono i primi a dire che con il campo acquitrinoso bisogna sospendere la partita, soprattutto se stanno vincendo gli avversari, o il tennis dove nessuno si scandalizza se si smette di giocare con poche gocce di pioggia, che non sia mai si creano delle pozzanghere rischia di sporcarsi il completino.

Pare che Vegni abbia patteggiato una tappa breve purché si dessero battaglia, e invece manco quello, anzi il risultato è stata la dimostrazione che non è detto che le tappe brevi assicurano lo spettacolo. Gli uomini di classifica arrivano in gruppo, o gregge a seconda dei gusti, e un po’ di spettacolo lo fanno i fuggitivi, se non altro per i litigi tra Pinot e Cepeda. Pinot scatta e poi si lamenta che Cepeda non collabora, Cepeda fa finta di niente, mille attacchi mille battibecchi, Pinot dice, chissà in quale lingua, se non vinco io non vinci neanche tu, Cepeda continua a fare finta di niente e continua a succhiare le ruote a Pinot, ma a sua volta Einer Rubio succhia le ruote del succhiaruote, e quando i due litiganti attaccano lui perde terreno arranca e poi recupera, e nel km finale scatta Cepeda e mentre Pinot sta per rispondere Einer Rubio li passa in tromba e vince. Il colombiano ha fatto l’apprendistato a Benevento e da under 23 era una promessa, vinse pure il G.P. di Capodarco che si corre il 16 agosto. E la corsa agostana mi fa venire in mente l’estate ciclistica italiana, tutti stanno a lamentarsi quando si applica il weather protocol ma nessuno ne contesta l’applicazione preventiva organizzativa, cioè nessuno eccepisce niente sul fatto che in Italia non ci sono corse per professionisti a febbraio, che spesso è più mite di maggio, e a luglio e agosto manco a parlarne, corrono solo i dilettanti.

In conclusione, se molti sono delusi dal taglio della tappa, pure io sono deluso, perché giornalisti commentatori e tifosi l’hanno fatta così grave che mi aspettavo che qualcuno si suicidasse, buttandosi dalla Cima Coppi o sdraiandosi sui binari quando passa il treno rosa, invece niente, che vili.

Una faccenda di cani e gatti

Il Giro attraversa tanti luoghi, compresi quelli comuni. Un sottocane nordnorvegese praticamente artico prende la maglia rosa e i giornalisti scrivono che lui vive tra aurore boreali e orsi polari, anche se ora risiede a Oslo. E il veneto Zoccarato, campione italiano gravel, va in fuga nella tappa di Salerno e sotto la pioggia si rivolge alla moto lamentandosi: “Venite al Sud dicevano, troverete il sole…” E invece i ciclisti si troverebbero più a loro agio se fossero davvero girini, ma nel senso anfibio, perché c’è pioggia fresco e anche tanta nebbia, al punto che Rizzato per fare promozione turistica dice: “Probabilmente c’è un bel panorama ma non lo sapremo mai”. La pioggia rende la strada scivolosa e i ciclisti cadono, anche i pezzi grossi, Evenepoel fa addirittura una doppietta ma la prima caduta è causata da un cagnolino randagio, e i commentatori si scatenano in indagini etnico-sociologiche, più di tutti si distinguono il giornalista masochista Gatti (un nome che nel caso è quasi in conflitto di interessi) che su un sito molto seguito si diverte a fare polemiche al limite dell’offensivo e in risposta si becca un sacco di improperi, e anche Lefevere, il boss di Remco, che paragona le strade del sud a quelle della Colombia (chissà come sono le strade colombiane) e che si è messo a contare i cani per strada, per la precisione 15, specificando anche quanti erano i randagi, quanti i bastardi, quanti quelli sfuggiti ai padroni e di che razza. Di sicuro dall’identikit diffuso dalle forze dell’ordine si può chiarire che il cane che ha fatto cadere Evenepoel non è quello di Tom Pidcock. Lefevere è anche collaboratore di Het Nieuwsblad, e meno male che il sito fiammingo, invece di piangere sul Remco versato, ricorda vari casi analoghi in Francia Spagna Australia e ancora Italia con cani gatti gabbiani e anche cavalli (compreso quello senese che spaventò Demi Vollering), e si è pure dimenticato le mucche francesi. Qualcuno ricorda che nel 1997 da queste parti Pantani cadde a causa di un gatto e tutta la squadra lo scortò all’arrivo, compreso il giovane Garzelli che compromise la sua classifica, ma almeno stavolta nessuno ha detto che la tappa la vinse Manzoni ma nessuno se ne ricorda, con la conseguenza che Manzoni viene continuamente ricordato come quello che ottenne quella vittoria che nessuno ricorda. Salerno è anche la città dello scrittore Alfonso Gatto che causò uno scandalo clamoroso perché parlava di ciclismo senza saper andare in bicicletta. Questa cosa mi colpisce perché è l’obiezione che ogni tanto mi fanno i colleghi, e precisiamo che non basta aver fatto qualche giretto da bambino, perché poi la potente lobby dei cicloamatori pretende che possa parlare di ciclismo solo chi si fa decine di km al giorno e valichi i valichi più famosi. Questa è una delle tante assurdità che si riscontrano solo nel mondo del ciclismo. Sì, immagino che i vecchi panzoni che negli studi televisivi commentano il calcio, dando un’occhiata anche alle scollature o scosciature delle conduttrici, da ragazzi abbiano dato dei calci a un pallone, e che gli appassionati della Formula 1 in città e sulle autostrade superino facilmente il limite di velocità. Ma quelli che hanno la febbre da cavallo e puntano su Camillo Benso IV che è figlio di Pier Varenne ed è forte sul terreno pesante hanno tutti cavalcato o guidato un sulky? Ridendo e scherzando il gruppo arriva a Salerno e in gruppo cascano due volte, la seconda caduta è causata da Remco che si distrae e poi se la prende con i trekkini che lo stanno pure a sentire. Vince l’australiano Kaden Groves che dicono forte velocista, ma in primavera mi ha impressionato vincendo nel Limburgo sotto la pioggia dopo essere rimasto in testa con due Lotti e uno l’ha staccato, l’altro se lo è portato dietro senza chiedergli neanche un cambio e poi lo ha disperso in volata. Segnatevelo: Kaden Groves, potrebbe diventare più forte di Matthews, anche se non è difficilissimo.

Il giorno dopo si parte e si arriva a Napoli e si temono non i gatti ma le sagome dei calciatori per strada e altri elementi di arredo inurbano. Alla partenza due big si contendono la classifica della ruffianeria: Evenepoel palleggia con un pallone con i colori del Napoli e Ganna ne esibisce la sciarpa, direi che visti i trascorsi pallonari del belga la tappa se l’aggiudica Simpatia Ganna. Poi in realtà sul percorso ci sono solo bandiere e striscioni, il pubblico è composto come già l’anno scorso, e quando l’aspirante sceriffo Evenepoel fa segno alla gente di allargarsi è solo perché è la strada ad essere stretta. Insomma si temevano troppe chiacchiere sul Napoli, e non avevamo pensato a Un posto al sole. E da quando la RAI trasmette questa soap opera il suo attore più famoso Patrizio Rispo all’attività di attore ha affiancato quella di presenzialista, e così con alcuni sodali si è presentato sia nella postazione cronaca, con una finestra aperta mentre la corsa ribolliva, e dopo al Processo a parlare a vanvera anche perché hanno avuto più spazio loro di quanto ne abbiano concesso in questi giorni a Marta Bastianelli invitata a partecipare ma poi praticamente mai coinvolta, e poi Fabretti si lamenta dello spettacolo. Durante la tappa si è ricordato che Coppi era legato a questi luoghi perché lì faceva il prigioniero attendente, là viveva l’artigiano che gli diede una bicicletta, da lì partì per tornare a Castellania, e tutti questi posti ricordano in qualche maniera il Campionissimo. Coppi fu costretto a partire per fare la guerra in Africa ma fu subito fatto prigioniero dagli inglesi, che lo riportarono in Italia, ed era attendente di un ufficiale inglese a Caserta nella frazione Ercole, dove da un paio di anni c’è un sobrio monumento che alla fine più che altro ci ricorda che questa è stata sempre una città e una provincia militarizzata, come disse anche Stendhal ai tempi del Grand Tour. Infatti, al contrario di Goethe che soggiornò qui mentre si costruiva la Reggia e forse a priori stava bene perché lontano da Lotte, a Stendhal Caserta non piaceva e disse che Caserta è una Caserma. Magari una sola! Però diciamo pure che il tipo era incontentabile e lo scrittore parmigiano Paolo Nori a proposito de La Certosa di Parma dice che non è che avesse una buona idea neanche di quella città. Ma tornando alla corsa due vecchie conoscenze delle fughe, Alessandro De Marchi e Simon Clarke, resistono all’inseguimento del gruppo e stanno per giocarsi la tappa, poi non per cattiveria ma per generosità iniziano a dire Prego, passa prima tu e Ci mancherebbe, prima tu, e dietro parte sparato Gaviria con la sua fissa per le volate lunghe e li supera ma viene battuto da Mads Pedersen, mentre i due, che visto l’esito non si possono definire vecchie volpi, facciamo vecchi polli, si abbracciano e si consolano a vicenda, e tutti i giornalisti applaudono e tutti i socialisti criticano. Il giorno dopo si parte da Capua e attraverso l’alto casertano si va in Molise, e allora bisogna stare attenti non ai cani ma ai cinghiali randagi. Lo scrittore parlante cita Spartacus ma non precisa che l’Anfiteatro si trova non a Capua ma nella vicina Santa Maria che non a caso si chiama anche Capua Vetere. Speriamo non abbiano creato dei problemi di campanili, come pure più tardi quando una didascalia ricorda che l’incontro storico tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II avvenne a Vairano mentre altri ritengono che sia stato a Teano. Poi si passa per Calvi Risorta e si ricorda il ciclista Luigi Mele scomparso di recente, più che altro perché dopo il ritirò lavorò in RAI come ora uno dei figli. Ma nel suo piccolo Mele si contendeva con il maddalonese Alberto Marzaioli il titolo di miglior ciclista casertano della storia. Ma al di là delle chiacchiere questa non è terra di ciclismo, e prima di lasciare il casertano spunta uno striscione inneggiante a Einer Rubio, probabilmente quei tifosi vengono dal beneventano dove il colombiano corse da under 23 con la locale Vejus che poi si fuse con l’abruzzese Aran e addio squadre campane. Ma bando alle tristezze perché questo è un tappone con la salitona di Campo Imperatore che farà sfracelli in classifica e dopo tanto attendere lo spettacolo è assicurato. Infatti vanno in fuga tre disperati e il campione africano. Quest’ultimo si stacca per il freddo e gli altri tre arrivano, perché in gruppo nessuno azzarda un mezzo attacco. Vince Davide Bais, fratello di Mattia, che disperava di vincere mai una gara, battendo Karel Vacek, fratello di Thomas, che l’anno scorso pensava di ritirarsi, e solo terzo è Petilli, favorito se non altro perché da giovane era una promessa in salita poi non mantenuta e come gli altri due era a zero vittorie. Nel 2017 al Lombardia Petilli e altri ciclisti finirono nello stesso dirupo dove tre anni dopo finì Evenepoel, ma gli italiani compatti, per salvare la faccia dell’organizzazione, dimenticarono il precedente e dissero che il belga era un ex calciatore e quindi non sapeva andare in discesa, anche perché come è noto i campi di calcio sono piatti. E questa è l’unica lancia che potevamo spezzare a favore di Remco, perché lui, perseguendo anche l’obiettivo della classifica della simpatia, va dicendo che Roglic e i jumbi sono nervosi e che lui medesimo è il più forte. Sarà, ma Roglic una volta è caduto l’altra ha forato e non si è scomposto, Evenepoel è caduto due volte e gli sono venute almeno quattro crisi isteriche e il suo boss sta ancora contando i cani randagi.

Crampi

Ieri era la Giornata Mondiale dell’Ipocrisia. Infatti si celebrava la Giornata della Terra, un’occasione per i notiziari di mandare servizi con sottofondo musicale per dire che non si è fatto abbastanza, sono gli stessi che hanno celebrato la vittoria sulla Perfida Europa che voleva costringerci a gettare a mare, no, a mare no, a gettare le auto a combustibili fossili, di cui in apposite rubriche elogiano le prestazioni. Ed era la Giornata del Libro, questo coso che serve a conoscere il mondo o a fantasticarne altri, sì, ma questi sono argomenti per i fessacchiotti, soprattutto si ricordano i diritti d’autore, di cui si giovano chissà quanti eredi di parenti un po’ strani che stavano sempre in mezzo alle carte e almeno a qualcosa sono serviti. E infine c’è sempre un po’ di ipocrisia quando nello stesso giorno si corrono sia la versione maschile che quella femminile di classiche ciclistiche e la seconda si disputa prima. E’ il caso della Liegi Bastogne Liegi, si dice che le donne beneficiano della stessa attenzione, dello stesso pubblico, casomai quello della strada, ma di quello televisivo dubito se la corsa termina tre o quattro ore prima e preferibilmente a ora di pranzo. Ma questa non è l’unica conseguenza.

I sogni muoiono all’alba

Le cicliste sognano la parità di trattamento con gli uomini, ma il loro risveglio è brusco e soprattutto molto anticipato: si parte alle 8. La parità di trattamento c’è per le cose negative, come il commento anche della loro prova affidato a Garzelli. E Garzelli ci dice che la Liegi è una corsa difficile e bisogna correre risparmiando le energie, e ci rivela quanto valga la retro-poussette o bidon-collé, cioé quel momento in cui con il pretesto di prendere all’ammiraglia la borraccia tenuta dal direttore sportivo si beneficia di un lieve traino. Insomma lui è un esperto di queste cose perché in carriera è stato sparagnino, quasi un ciclista part-time: in 17 anni tra i professionisti ha corso 20 grandi giri e 13 classiche monumento, cioè quasi mai ha corso 2 grandi giri in un anno ma neanche compensava con le gare in linea, ecco perché non trascinava le folle ai bordi delle strade. Ieri si correva pure la Coppa Cobram, questa sorta di rievocazione della corsa fantozziana che rischia di essere una parodia dell’Eroica, o viceversa, e anche Garzelli ha voluto omaggiare Fantozzi quando in testa si trovavano Reusser e Longo Borghini e lui ha detto che è opportuno che Elisa rimanghi attaccata alla svizzera. Poi sulle due è rinvenuta Demi Vollering, la ciclista attualmente più forte e forse pure più emotiva, quasi melodrammatica, e la sua compagna Reusser si è staccata. A un certo punto la paesana tutt’altro che bassa si è toccata una gamba e Garzelli si è sportivamente augurato che avesse i crampi in modo che ELB potesse vincere la volata a due. Crampi o non crampi le due hanno rallentato negli ultimi km rischiando di fare la fine di Roche e Criquelion, ma crampi o non crampi la volata si è disputata, la Vollering in seconda posizione e tutti pensavano l’ideale, furba lei, ma Elisa stava cercando di tenerla al vento, e crampi o non crampi ha vinto la Vollering e poi l’ormai solito suo copione di incredulità pianti baci e abbracci, con le compagne lo staff la madre il padre il cane e ultimo il fidanzato. Noi ci siamo già abituati alle sue vittorie, speriamo che ci si abitui presto anche lei.

“Sob”

Tempo da cani

La Liegi è da tempo la meno appassionante delle classiche cosiddette monumento, soprattutto in campo maschile. Ma quest’anno, oltre alla pioggia che può mandare all’aria piani e tattiche, si annunciava il primo duello serio alla pari tra Tadej Pogacar e Remco Evenepoel. Però Bardet, che non è uno banale, ammoniva che è vero che le corse sono diventate più spettacolari ma se vince sempre lo stesso la gente finisce per annoiarsi. Nessun rischio, né che vincesse sempre lo stesso né che ci fosse l’atteso duello. Se le Fiandre hanno il pavé in Vallonia per non essere da meno hanno le strade rotte e nella prima parte di gara Mikkel Honoré ha preso una buca ed è caduto per lo scoppio delle due ruote, che se ne aveva tre ne scoppiavano tre, buttando a terra anche Pogacar che si è fratturato lo scafoide. Così Evenepoel ha provato ad attaccare come l’anno scorso sulla Redoute ma la ruota gli è scivolata su una delle mille scritte a vernice dei tifosi di Philippe Gilbert, che nacque ai piedi della salita ma si è leggermente ritirato e quindi non si capisce perché continuano a scrivere il suo nome. Allora Evenepoel ha attaccato sulla successiva salitella di Boulevard De Amicis e solo Pidcock ha cercato di seguirlo, ma l’inglese è giovane e non si conosce bene, e come la domenica precedente è andato fuori giri. Staccatosi, ha subito consumato dei gel, poi l’hanno raggiunto altri inseguitori, tra cui Ciccone che in assenza di arrosticini si è accontentato pure lui di un gel, insomma era tutto un magna magna, dal quale è fuoriuscito la rivelazione primaverile, il ciclista disegnato male Ben Healy, ma su di lui sono rientrati Pidcock e Buitrago che alla fine gli hanno sottratto il podio, il primo in una classica monumento per l’ancora giovanissimo Pidcock, che dopo l’arrivo è stato festeggiato dalla compagna e soprattutto dal cane che l’ha leccato a lungo, ma se le due corse fossero arrivate a poca distanza l’una dall’altra avrebbe potuto fare amicizia con il cane dei Vollering.

A Remco è toccato l’abbraccio del suo boss Lefevere. Ora sta pensando di prendersi un cane.

La Zeriba Suonata – Bejar è vivo e lotta insieme a loro

Secondo me gli anni zero per la musica sono stati un decennio favolosino e questo soprattutto grazie ai musici dei paesi freddi: Scozia, Scandinavia, Canada. Tra i canadesi direi soprattutto la parsimoniosa Feist e The New Pornographers. Questi ultimi ve li ho proposti più volte in passato, ma sono ancora attivi ed è appena (e forse anche “a pena” visto lo stato dell’industria musicale e peggio ancora della distribuzione) uscito il nuovo disco Continue As A Guest che conferma il tocco magic(h)ino di Carl Newman per la creazione di canzoni brillanti ed eleganti, a dispetto del fuorviante nome del gruppo. Negli anni questa sorta di supergruppo ha perso dei pezzi, tra i quali il più pregiato era Dan Bejar che ha continuato in proprio. Ma Really Really Light, il brano che apre il nuovo disco del suo vecchio gruppo, è firmato A.C. Newman-Dan Bejar.

Really Really Light

Però, scusate, che figure mi fate fare? Io parlo di paesi freddi e voi per questa pattinatrice non trovate un po’ di ghiaccio su cui pattinare davvero davvero leggera?

Half Sky news

Diceva Groucho Marx che le donne sono l’altra metà del cielo, quella nuvolosa, io aggiungerei o molto nuvolosa con possibilità di pioggie e temporali. Infatti lunedì sotto la pioggia le sorelle Fidanza hanno vinto la Ronde de Mouscron e ieri sotto il temporale Silvia Persico ha vinto la Brabantse Pijl, che poi sarebbe la Freccia del Brabante.

Nessuno le ha viste partire

Le cicliste hanno festeggiato l’8 marzo riposandosi. In realtà è stato un riposo forzato, quasi una coincidenza. Tra le corse del primo weekend di marzo e il Trofeo Binda è stato inserito il Trofeo Ponente in Rosa a tappe, una cosa simile alla Tirreno Adriatico per gli uomini, e vedendo il campo partenti mi chiedevo perché le squadre importanti non partecipassero, ma forse hanno avuto fiuto: prima semitappa annullata, seconda tappa idem. Dicono per questioni di sicurezza, e un sito di ciclismo ha fatto un bel lapsus, poi corretto, scrivendo “sciurezza”, che potrebbe derivare dal milanese “sciura”, insomma roba da signore. Ma la Liguria non è ostile alle donne, è ostile al ciclismo tout court avendo in passato creato problemi anche alla Milano Sanremo. Le squadre importanti avevano preferito il Belgio dove si doveva correre il G.P. Oetingen, ma a chiarire che ci sono paesi più freddi dell’Italia la gara è stata annullata per neve. Oggi le cape del governo e dell’opposizione dicono che le donne nessuno le vede arrivare, sì, ma non si vedono neanche partire. Però ricordiamo che per loro nel ciclismo c’è sempre spazio, ad esempio in certe manifestazioni come le presentazioni di corse o altre iniziative o premiazioni, a parte quelle della famosa imprenditrice che si è disfatta dell’unica squadra italiana di prima fascia, vendendola agli emiratini che nel campo dei diritti delle donne sono all’avanguardia, e ora può sponsorizzare solo premi e squadre maschili e presenziare solo tra uomini. Ma in tutte le altre occasioni ci sono sempre almeno due donne, stranamente tutte giovani e di bella presenza, che spesso portano una fascia, ma non da sindaca, una fascia con la scritta “Miss Qualcosa”.