Oggi vi propongo un giochino che potrà sembrare indelicato, comunque la soluzione è al solito posto.
Lo spauracchio era il XXXXXXX
Ma fatale fu il XXYXXXX

Oggi vi propongo un giochino che potrà sembrare indelicato, comunque la soluzione è al solito posto.
Lo spauracchio era il XXXXXXX
Ma fatale fu il XXYXXXX
Tao Coso… Geoghegan Hart è risorto, intendo ciclisticamente. Dopo aver vinto il Giro limited edition del 2020 si era un po’ perso, ma quest’anno si è ritrovato, forse si era dimenticato nello sgabuzzino delle scope o sul comò, e ha vinto le prime due tappe della corsa che disputandosi tra Tirolo e Trentino ha un nome in tedesco? No. In italiano? No, si chiama Tour Of The Alps, per gli amici TOTA. Intervistato dopo la seconda tappa, Tao ha pronunciato una frase che è praticamente un proverbio, e il quiz di oggi consiste nell’indovinare quale tra le quattro seguenti è quella taoista. La soluzione ce la fornisce lo stesso ciclista nella foto opportunamente capovolta, ma voglio darvi comunque un aiutino con qualche pettegolezzo su di lui. Tao ha una zia di Pinzolo, quando vinse il Giro era fidanzato con una ciclista sorella di ciclista e oggi sta con una calciatrice. Ora le frasi:
1- Non c’è maglia rosa senza spine.
2- Non c’è ciclismo senza Italia.
3- Non c’è sesso senza amore.
4- Non dire gatto se nei paraggi c’è Tiberi.
La memoria non mi aiuta, più volte mi sono chiesto cosa succedeva nei pomeriggi delle domeniche prima dell’invenzione della Coppa del Mondo e della conseguente scoperta di un mondo nuovo, quello della coppa medesima. Qualcosa ricordavo vagamente e poi ho capito che c’erano solo piccole intrusioni di 5 minuti o di 5 km all’interno di programmoni importantoni. E tra questi programmi c’era quello del giornalista che dicono ha cambiato il linguaggio televisivo ma a me pare che ha solo inventato il selfie, e intervistava tutti i personaggi importanti: il cubano che gestiva una dittatura ben avviata, lo scrittore colombiano amico del cubano, il calciatore quadrupede pure lui amico del cubano, ciclisti no, ma ognuno ha i suoi gusti quindi non disputiamo. Certo non sarebbe stata un’impresa intervistare quel ciclista di Bruxelles educato e disponibile, ma lui non era amico del cubano, solo di telaisti e forse del re ufficiale del Belgio, o forse era il Re che era amico suo. E poi quel giornalista intervistava solo i potentissimi primissimi, sembrava dire Beati i primi perché saranno i primi, mentre nel ciclismo c’è sempre stata attenzione anche per quelli che arrancano, quelli che non vincono mai, gli eterni secondi o gli eterni ultimi, con maglia nera o senza, e anche Het Nieuwsblad sta dedicando una rubrica agli ultimi nell’ordine d’arrivo delle grandi classiche. Poi ci sono le sorprese, i vincitori occasionali, quelli che sporcano l’albo d’oro, come René Martens che, dopo i problemi meccanici del campione del mondo in carica Freddy Maertens (aggiunta o sottrazione di vocale a seconda del punto di vista) vinse il Giro delle Fiandre 1982, una di quelle corse che la RAI non trasmise perché c’era un importante programma filo-cubano.
In un paese perso nella Persia viveva il sultano Shabandelmaz che aveva due figli. Prima di morire il vecchio sultano, secondo le tradizioni, al figlio maggiore Shagurat lasciò il trono e al minore Shoperat aprì una partita iva in un altro paese. Shagurat sposò Shegadisaudadji, una fanciulla bellissima ma la cui carnagione scura lasciava perplesso lo sposo che le chiedeva: “Non vorrei che tu mi ingannassi. Dimmi la verità, sei quasi nera, sei davvero persiana? e lei rispondeva: “Certo. E poi secondo te di che colore dovrebbero essere le persiane?” “Verde – rispondeva Shagurat – cioè no, che mi fai dire!?” Un giorno Shagurat partì con il suo seguito per una visita ufficiale in un sultanato confinante, Shegadisaudadji da dietro le persiane, quelle verdi, si assicurò che fosse partito, però dopo aver percorso poche miglia Shagurat si accorse di aver dimenticato una cosa indispensabile nelle missioni diplomatiche, la scimitarra, e tornò indietro a prenderla. Ma rientrato nel suo palazzo trovò una spiacevole sorpresa: Shegadisaudadji ignuda cantava Meu Amigo Sharli e faceva il trenino con dietro sette schiavi neri e nudi anch’essi. A quella vista Shagurat andò a cercare la scimitarra, tornò nel salone delle feste e mozzò il capo alla moglie e tutto quello che capitava agli schiavi. Poi tornò alla sua missione diplomatica così turbato e arrabbiato che per poco non ci scappava pure una guerra con l’altro paese.
In seguito Shagurat decise di fare visita al fratello per vedere come procedeva il suo matrimonio. Arrivato alla dimora di Shoperat non lo trovò perché era al bar per uno sprizzino. Le differenze di età e nelle esperienze della vita avevano reso molto diversi i fratelli, ma ritrovatisi al bancone del bar si abbracciarono e scambiarono due chiacchiere, e a un certo punto Shagurat chiese al fratello dov’era sua moglie e Shoperat rispose: “Chi, Shubbadù? Boh, sarà nell’altra sala a twerkare con qualcuno.” Infatti Shagurat dando un’occhiata nella saletta attigua vide la cognata che in abiti succinti dimenava il sedere davanti ad alcuni avventori: che visione orribile, insomma, orribile almeno dal punto di vista morale, o forse solo dal punto di vista morale, probabilmente non dal punto di vista degli avventori, ma torniamo alla storia. A quel punto Shagurat si congedò frettolosamente dal fratello pensando che anche lui aveva avuto una sorte infelice perché tradito dalla moglie e fece ritorno al suo palazzo. Strada facendo gli venne una buona idea per non essere più tradito dalle donne: ogni giorno ne avrebbe sposata una e la sera la avrebbe invitata a indossare il suo abito preferito, indi avrebbero consumato il matrimonio e poi le avrebbe tagliato la testa, e il giorno dopo ne avrebbe sposata un’altra e l’avrebbe uccisa avendo l’accortezza di consumare prima e via così a ciclo continuo, un po’ stressante ma si poteva fare.
Shagurat mantenne il suo proposito col doppio risultato di essere sempre più inviso ai suoi sudditi e di decimare la popolazione femminile, al punto che per lo scopo il sultano accettava anche mogli straniere. Un giorno sposò Sherazella, una fanciulla venuta dal lontano Mediterraneo, ma quando dopo la cerimonia le chiese di indossare il suo abito preferito quella si presentò vestita solo di una maglietta azzurra con sopra l’immagine di un giocatore del pallone quadrupede, e a quella orrenda vista il sultano le tagliò subito la testa senza neanche consumare e poi commentò: “Serata persa”.
Quando divenne sempre più difficile trovare spose per il sultano, si fece avanti Sharada, figlia del Visir Shelbah, ragazza molto intelligente che leggeva molto, ascoltava molti racconti, era anche un po’ impicciona, ed era bravissima a risolvere tutti i giochi enigmistici, soprattutto unisci i puntini da 1 a 50. Sharada disse al padre di avere un’idea per fermare quella strage e salvare le giovinette del paese, ma il Visir scettico replicò: “Quali giovinette? Ormai siete rimaste solo tu e tua cugina Shinah.” Comunque il matrimonio si fece e la sera la fanciulla mise in atto il suo piano. Sharada raccontò al sultano una bellissima storia, quella del genio chiuso in una cassetta di sicurezza di una banca emiratina, ma sul più bello si interruppe e disse al marito che aveva sonno e avrebbe continuato il giorno dopo. “Quale giorno dopo? – chiese il marito – Qui si vive come se non ci fosse un domani e se non termini il racconto ti sgozzo per il potere conferitomi da me stesso, non so se mi spiego.” A quel punto Sharada fece finta di acconsentire e disse a Shagurat di avvicinarsi perché il finale era un po’ zozzo e si vergognava, e quindi per essere sicura al 100 per 100 di non essere ascoltata da altri voleva dirglielo in un orecchio.” Il sultano, che non era molto sveglio, e non solo per il sonno, abboccò e quando il suo orecchio fu vicino alla bocca di Sharada, e le sue parti basse vicine al ginocchio di lei, improvvisamente sentì un dolore fortissimo, ma era niente in confronto a quello che successe subito dopo, perché la giovine moglie fu lesta a impradronirsi della scimitarra del marito e ad amputargli la parte dolorante. Così Sharada fece praticamente un golpe, si proclamò Sultanessa ma subito rischiò di macchiarsi di nepotismo perché al marito voleva trovare un buon posto da eunuco, ma ormai, data la composizione della popolazione locale, l’offerta di eunuchi era notevole ma la domanda inesistente. Infatti gli uomini del sultanato avevano provato a cercarsi una donna mettendo inserzioni sui giornali dei paesi confinanti, ma nessuna accettò perché anche all’estero si venne a sapere che l’aspettativa di vita delle donne del sultanato era abbastanza bassa. Da parte sua Sharada dopo quella brutta vicenda non volle più accoppiarsi con nessun uomo, mentre sua cugina Shinah andò via, lontano oltre i mari, e diventò una famosa punkrocker, e nel volgere di una generazione la popolazione si estinse il paese divenne deserto e fu invaso dai tartari.
C’era una volta nel villaggio di Qarabash nell’Africa settentrionale un mugnaio di nome Knut che viveva con i figli Alf Leif e Olaf e con la moglie Mona, ma la moglie non c’entra perché doveva starsene ritirata e non immischiarsi nelle cose degli uomini. Un bel giorno Knut, sentendosi prossimo a morire, chiamò i figli al suo capezzale per dividere tra di loro i suoi beni. Il mulino lo lasciò ad Alf che lo trasformò subito in un agriturismo, l’asino lo lasciò a Leif che si mise in società con Alf e, poiché ricordavano che il padre usava espressioni straniere sentite chissà dove e buttate lì a casaccio, e tra queste c’era “asinus cum asino fricat”, la specialità dell’agriturismo divenne asino in fricassea: finita la carne dell’asino chiusero l’attività e si diedero al vagabondaggio. Infine a Olaf lasciò un gallo, e quando il terzo figlio si affrettò a sputargli in un occhio prima che esalasse l’ultimo respiro, il morto lo rimproverò con l’ultimo filo di voce e disse: “Tu sei sempre stato il più stupido di voi tre, ed esserlo più di quegli altri due ce ne vuole: non lo sai che i galli africani sono magici?” Dette queste parole il vecchio morì e da dietro un paravento uscì Mona la vedova che gli aprì gli occhi misericordiosamente e vi sputò dentro. Sepolto il vecchio sotto un albero marcio, gli eredi se ne andarono ognuno per conto suo, Alf e Leif all’agriturismo che poi, come già spoilerato, fallì, Mona sposò Erik il vedovo che somigliava in maniera impressionante a Leif e Olaf, e quest’ultimo rimase da solo con il gallo al quale diede un aut-aut: “O dimostri che sei magico o ti faccio arrosto senza patate perché non ho i soldi per comprarle”. Il gallo a quel punto, per nulla intimorito, iniziò a raccontare che su un giornalino di pettegolezzi di una gallinella amica sua c’era scritto che il Re di Francia Pierre-Louis si sarebbe recato nelle sue colonie del Maghreb accompagnato dall’unica figlia Marie Antoinette Marion Brigitte Marianne Pauline detta Louiselle. Sempre su quel giornalino si diceva che la ragazza non trovava un pretendente che le andasse a genio e il re rischiava di restare senza eredi al trono. Alla principessa i giovani parigini sembravano tutti effeminati e avrebbe gradito un rude omaccione delle colonie. Il Re non era d’accordo ma alla fine chiudeva le quotidiane litigate familiari con le regali parole: “Io tra non molto morirò e allora saranno cavoli vostri”. Quindi il gallo illustrò a Olaf i vantaggi di un matrimonio regale: loro due sarebbero diventati Erede al Trono e Gran Gallo di Corte, e perciò gli disse di recarsi al porto di Orano ad accogliere il Re spacciandosi per il Marchese di Qarabash e ad accompagnarlo nel corteo cercando di attirarsi le simpatie della Principessina soprattutto vantando possedimenti, ché al resto avrebbe pensato lui e intanto si infilò un paio di stivali e partì per la sua missione. Così Olaf giunse al porto e si presentò alla Famigliola Reale come Marchese di Qarabash e si offrì di fare da scorta e cicerone. Il Re rimase perplesso perché non ricordava di aver nominato dei nobili in quelle terre abitate da selvaggi, ma ritenne prudente farsi accompagnare anche da uno del luogo. Dopo alcune miglia africane nell’entroterra Olaf disse che dietro al prossimo curvone c’era una sua piantagione di cous-cous. Infatti lì il gallo stava attuando la seconda parte del suo piano minacciando i lavoratori della terra: se il Re avesse chiesto di chi erano quei terreni loro avrebbero dovuto rispondere che erano del Marchese di Qarabash altrimenti gli avrebbe fatto tagliare la gola. Ma i contadini, non potendo credere di essere stati minacciati da un ridicolo gallo con gli stivali, scoppiarono a ridere e gli tirarono di tutto, vanghe secchi cappelli e cappellacci, e lo rincorsero per tirargli il collo e mangiarselo con contorno di cous-cous. Però anche loro ignoravano che i galli africani sono magici e infatti, atterrito dalla reazione di quegli zappaterra terra-terra, il gallo si trasformò in un drago, sempre con gli stivali, e sputò fiamme a una tale gittata da bruciare in pochi secondi tutta la piantagione manodopera inclusa. Altri pochi secondi e arrivò il corteo regale, ma quando il Re scoprì che il possedimento vantato dal Marchese era solo un cumulo di cenere lo buttò giù dalla carrozza e ordinò alle guardie di tirargli di tutto, lance picche cappelli e cappellacci, nell’indifferenza della Principessa che continuava a fare le parole crociate e si interruppe solo per chiedere al padre se in Africa c’è un animale magico di tre lettere che comincia per “c”*. Sfuggito alle guardie, Olaf ritrovò il gallo seduto su una pietra e gli chiese che cosa diavolo era successo. Allora il gallo gli spiegò tutto per filo e per segno e Olaf pensò che era meglio non arrabbiarsi con quella bestiaccia altrimenti poteva trasformarsi di nuovo in drago.
*Quel cruciverba ovviamente è in francese.
Politici, economisti, imprenditori con i soldi propri o con quelli dello stato, psicologi, commentatori e tutti quelli che ne capiscono e ci spiegano le cose dicono che bisogna trasformare i problemi in opportunità, ci invitano a vedere il bicchiere mezzo pieno anche quando è completamente vuoto. In fondo è quello che è successo con il covid, almeno credo, anche se al momento non saprei fare un esempio di mutazione in opportunità, o forse sì ma è meglio sorvolare. Di recente ho scoperto un detto che esprime lo stesso concetto ma in modo pittoresco, e costituisce un po’ un’eccezione tra i modi di dire che spesso invitano alla cattiveria al sospetto alla discriminazione mentre questo è a suo modo positivo.
Un personaggio famoso ha avuto un incidente a un lato del corpo, in particolare al gomito, per un certo periodo non ha potuto muovere un braccio, e ha commentato: Non c’è molto da fare a questo punto oltre a trovare la forza dentro di me e provare a vedere i lati positivi. Mi piace imparare nuove cose: fare la treccia con una sola mano. “Niente è così schifoso da non essere buono per qualcosa”, dice un detto [sua nazionalità], cercherò di attenermi a questo.
Indovina quale dei seguenti personaggi ha pronunciato questa frase e di quale paese è il detto.
La soluzione è capovolta perché contiene un’immagine forte.
Avete trascorso il mese ora al tramonto ascoltando pettegolezzi come da prescrizione sociale? Bene, se non ne avete ancora abbastanza eccovi un facile giochino con gli ultimi scampoli di gossip.
Il gioco consiste nell’indovinare il personaggio che il mese scorso, quando ha compiuto gli anni e le hanno chiesto quale regalo avrebbe voluto, ha risposto: “non avverto la necessità di avere qualcosa di materiale in più”.
Chi era il personaggio in questione?
1.La Principessa Duchessa Contessa Caterina Middleton (40 anni).
2.L’influenzer Chiara Ferragnez (35 anni).
3.La stracampionessa di mtb Gaia Tormena (20 anni).
Dicono che in estate lussureggiano l’enigmistica e il gossip. La Zeriba prende due piccioni con una fava proponendo un cruciverba semplicissimo con due sole definizioni sulla materia del gossip; si tratterebbe di politica ma è la stessa cosa. Risolto il cruciverba c’è un quesito supplementare, e solo di quest’ultimo si fornisce la soluzione.
Quesito finale: In caso di alleanza tra di loro chi darà la fregatura all’altro?
Gli organizzatori di ciclismo a volte diventano organizzattori, e più di tutti quelli del Tour, tanto più ora che sono spalleggiati sfacciatamente da Monsieur Le Président de l’UCI. Dal 1984 al 1989 la società che deteneva i diritti del Tour de France organizzò anche un parallelo Tour femminile, poi con le successive edizioni iniziarono controversie che hanno costretto i nuovi organizzatori a cambiare il nome della gara, che comunque in campo femminile veniva vissuta come Tour de France. E pure le rare notizie che arrivavano ci raccontavano di un Tour femminile, dove negli anni 90 Luperini e compagne vincevano classifica e tappe. Poi la corsa, comunque chiamata, è scomparsa. Nel 2014 la società ASO proprietaria dei diritti del Tour ha creato la Course by Le Tour de France, in linea o a volte in due tappe, e da quest’anno finalmente si corre il Tour femminile, partito quando è finito quello maschile. Ma un evento così importante avrebbe avuto ancora più risalto se questa fosse stata la Prima Volta, e allora col potere dei soldi si cancella il passato, anche le edizioni parallele alla gara maschile, e potremmo dire che Longo Canins e Luperini che indossarono la maglia gialla non sanno neanche più che corsa hanno vinto. Poi ci sono i giornalisti che ci aggiungono il loro e, dopo che per 364 giorni all’anno hanno rotto le scatole con la tiritera su la Storia del Ciclismo la Memoria e il Passato, il 365esimo giorno spalleggiano ASO e non ricordano che si sia mai corso un Tour femminile. E allora indubbiamente e matematicamente c’è la prima vincitrice di tappa che è Lorena Wiebes dei Paesi Bassi, la prima a vincere una tappa in maglia gialla ovvero Marianne Vos dei Paesi Bassi, la prima a vincere il Tour che è Annemiek Van Vleuten dei Paesi Bassi, cui è bastata una sola tappa di montagna per disperdere le avversarie e con l’ultima ha solo ribadito il concetto, e infine la prima doppietta Giro-Tour ovviamente con Annemiek e con buona pace di Marsal Luperini e Sommariba. Dietro Van Vleuten c’è Demi Vollering che era attesa come l’erede della vecchia guardia ma per ora ha mangiato la polvere, anche letteralmente per una infelice tappa con tratti di sterrato esagerato, ma il futuro può essere il suo, del resto ha 25 anni e alla sua età Annemiek Van Vleuten non aveva ancora vinto niente, e Marianne Vos aveva già vinto tutto ma non si può prendere come riferimento. Si ristabilisce così il rapporto di forza tra i Paesi Bassi e l’Italia a favore delle prime. Le ex olandesi, oltre alla classifica finale, vincono 6 tappe su 8, tutte le classifiche parziali con Vos punti e supercombattiva (un po’ a sorpresa, forse per aver combattuto per la causa del Tour) Vollering GPM e Van Anrooij giovani, mentre le italiane tornano a casa senza vittorie, con un quinto posto finale di Silvia Persico quasi graziata dalla Giuria dopo una grave scorrettezza in volata, e un sesto posto di Elisa Longo Borghini che commette molti errori, di percorso e tattici, avrebbe bisogno di consigli dall’ammiraglia, ma forse pure la sua ammiraglia avrebbe bisogno di consigli. Ma la prima di tutte a tornare a casa è stata Marta Cavalli travolta dalla campionessa australiana che a scuola non ha mai studiato quel principio di impenetrabilità dei corpi che fino a prova contraria vale anche nel giù sotto. E a proposito di errori e di cadute, qualche socialdeficiente ne ha approfittato per scrivere che sono la dimostrazione dello scarso livello del ciclismo femminile, ma questi personaggi, che evidentemente si rovinano la vita da soli se si mettono a seguire cose che non gli piacciono giusto per dirne male, non seguono neanche il ciclismo maschile oppure hanno la memoria corta, perché se non volessimo andare indietro alle tante cadute di gruppo al Giro o al Tour maschili basterebbe ricordare quelle assurde dell’ultima Liegi. Qualcuno vuole spacciare questo accanimento come una faccenda solo italiana, ma mentre sabato attendevo la diretta della Clasica di San Sebastian nel pomeriggio sportivo si parlava, pure a lungo, delle offese che ricevono le calciatrici di altri paesi, e allora il problema è più vasto. Poi la diretta di una corsa, la più importante del mondo, ha portato nuovo pubblico, che semmai vede queste ragazze per la prima volta senza conoscerle, e allora ecco l’ignorantone sospettone di turno che, dopo il predominio della Jumbo nella gara maschile, vede una “maglia jumbolesca” vincere una tappa e sospetta e vaticina che un giorno si saprà, ma intanto è chiaro che lui non sa chi c’è dentro quella maglia color discarica abusiva per fortuna presto cambiata, prima con la gialla e poi con la verde, perché non bastassero tutte le vittorie ottenute con tutte le maglie dappertutto in tutte le specialità, Marianne Vos è stata anche una delle persone che più si sono impegnate perché si organizzasse un Tour femminile, e se la vittoria finale non è più roba per lei che nella pur lunga seconda fase della sua carriera si è dovuta contenere e in salita si stacca, si può dire che Marianna ha ottenuta una sorta di vittoria morale, tipo quella che piace tanto agli uomini della RAI, con vittorie di tappa premiazioni sfoggio di maglie popolarità, e sul palco sorrideva come se fosse una principiante, arrivando pure a dichiarare dopo la prima vittoria di tappa che quella era la sua più importante, però stavolta mi spiace non posso essere d’accordo con lei.
Ed ecco il quiz finale
Giornate di riposo eccezionali, domenica al Giro Donne e lunedì al Tour Hommes. Al Giro non si ricorda un precedente ma quest’anno c’era da volare dalla Sardegna alla Romagna. Il Tour invece ottiene la deroga per un terzo riposo (quella che per il Giro ormai sembra una regola) per tornare dalla Danimarca in Francia. Ma già la terza tappa danese poteva essere scambiata per un giorno di relax, con Cort Nielsen che va di nuovo in fuga a fare incetta di GPM (uno a 62 m slm, quasi come Caserta, non pensavo di vivere in altura) e a incitare il pubblico a incitare a sua volta lui in una festa mai vista. Nessuno lo segue, poi lo riprendono ed è volata, sembra facile ma il nervosismo è a mille, anche se ignoro l’unità di misura del nervosismo. In assenza di fatti significativi in RAI parlano a vanvera, più che altro dei loro viaggi e di quello che mangiano, e fingendo di scherzare si rinfacciano miserie, e ormai lì non si salva più nessuno. Pure Pancani peggiora a vista d’occhio. Il sabato ha vinto Jakobsen e il toscocronista dice che ormai anche le immagini della volata in Polonia in cui ha rischiato di morire le possiamo guardare con occhio diverso, sì, è stato in coma per giorni, la prima volta che la fidanzata lo vide in ospedale aveva una cannula che gli usciva dal cranio, ha subìto diverse operazioni per ricostruire denti palato e parti della faccia, ha ancora i segni sul volto, ha dovuto reimparare a fare tutto, ma l’importante è che c’è la salute, e allora rivediamo quelle immagini che saranno state trasmesse appena un centinaio di volte e facciamoci pure due risate su quella caduta come se fosse slapstick, tanto prima o poi le manderanno pure a Paperissima. Chiuso l’argomento? No, perché quei due ormai è destino o coincidenza che viaggino insieme e, come successo anche in altre corse, dopo Jakobsen vince Groenewegen, il bestio, il colpevole con quel ghigno losco che dopo la vittoria si mette a piangere pure lui. Che piagnisteo, e meno male che non c’è Cavendish che in carriera vanta 161 vittorie e 261 pianti. Il lunedì i touristi, come se fossero barbieri, non esercitano, mentre le girine ripigliano nel cesenate e Annemiek Van Vleuten ripiglia la maglia rosa lasciata a terra due anni fa. Poche salitelle le sono sufficienti per staccare quasi tutte, tranne Marta Cavalli che ha ceduto solo nel finale e Mavi Garcia che ha perso solo in volata. Le altre sono arrivate dopo quasi 5 minuti e la volatina delle battute la vince la sempre più eclettica e sorprendente Silvia Persico, che ormai non stacca da mesi dato che ha corso tutta la stagione del ciclocross. Già, il ciclocross, vi ricordate l’autunno la pioggia e gli alberi giallorossi? Non temete, prima o poi ritorneranno, anche se più poi che prima.