Qualche giorno fa ho azzardato un immaginario urbano per il drum’n’bass (azzarda qui), ma nel 1998 i 4 Hero, l’ultimo grande gruppo della prima fase di quel genere musicale che ogni tanto fa sentire la sua influenza, pubblicarono l’album Two Pages che conteneva il brano Star Chasers in cui si parlava di cacciatori di stelle, ma era solo in senso figurato, cantavano di faccende esistenziali e sentimentali. Il video infatti inizia che sembra di essere ancora in Inner City Life di Goldie o in Brown Paper Bag di Roni Size/Reprazent, poi la cantante featurista Face esce a prendere una boccata d’aria in mezzo alla natura, ma la città è sempre incombente. Per quello che mi riguarda il video è di autore ignoto, nel senso che non sono riuscito a scoprire chi l’ha diretto.
“Verrebbe forse da domandarsi come questo paese, fermento comico d’Europa appena un secolo fa, abbia condizionato e confezionato una letteratura prevalentemente seria, se non addirittura seriosa. Boriosa. Piena di sé e della definizione di impegno.”
Gli aspiranti Omèri del pc, alla fine di un Giro poco combattuto dai big, per avere qualcosa di epico da scrivere attendevano ormai solo il tappone con l’arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, troppa montagna pregna di troppa epica, qualcosa accadrà. La fuga dei peones e semipeones va lo stesso perché i big alla tappa non ci tengono, vince il redivivo/recidivo Santiago Buitrago, e dietro proprio negli ultimi km Primoz Roglic fa un attacchino ma Gerainthomas risponde e fa un rilancino, però Roglic fa un recuperino e guadagna 3 secondini. Delusi? Ma questi due hanno 34 e 37 anni, sono stati sempre dei regolaristi e corrono come gli conviene, sono gli altri che dovrebbero tentare sfracelli. Dove sono i giovani? Già, Evenepoel è a casa, Hart ancora in ospedale, Almeida non è ancora pronto se mai lo sarà e Dunbar è quasi sicuro che mai lo sarà. Speranze per il futuro possono essere Arensman gregario di Thomas e Leknessund a cui l’anno prossimo nessuno gli lascerà più prendere la maglia. Vabbe’, l’ultimissima speranza per gli Ariosti di provincia è la discussa cronoscalata di Monte Lussari. Una mulattiera lastricata di cemento non continuo ma interrotto dalle canaline per far scorrere l’acqua, anche i Cantastorie del ciclismo che non seguono la mtb se la faranno piacere. Chi invece la definisce una farsa è il boss Lefevere, e subito l’accusano di volersi rifare della vicenda del suo pupillo Evenepoel, ma bisognerebbe ricordare che la sua squadra negli anni 10 vinceva la Paris-Tours ma da quando nel percorso hanno inserito gli chemins de vigne la squadra non l’ha più mandata nonostante avesse elementi in grado di vincere ancora, quindi non è una posizione nuova, solo ci sarebbe da chiedergli: e allora la Roubaix e tutte le altre corse sul pavé? Lefevere dice che il sindacato avrebbe dovuto opporsi perché la presenza di una moto al posto dell’ammiraglia non è un buono standard professionale, e infatti un meccanico ha detto che sperava di non colpire nessuno con la bici di riserva. E poi nessuno ha pensato a un altro aspetto: nelle crono ai ciclisti superati da qualche avversario è proibito prenderne la scia, ma in una strada così stretta come si fa a stare dall’altra parte della carreggiata? Essendo il percorso diviso in due con una prima parte piattissima e la seconda su per la mulattiera con l’ultimo km tipo ottovolante, il cambio di bici a metà percorso diventava praticamente obbligato, ma a quel punto sembrava proprio di vedere un altro sport, tipo duathlon se non Giochi senza frontiere. E alcuni hanno affrontato la gara con spirito giocoso, da Gloag che chiamava la standing ovation a Rex che impennava mentre Cavendish, pur venendo dalla pista e non dalla mtb, dava il 5 al pubblico come se fosse davvero fuoristrada. Ma chi puntava alla vittoria non si poteva distrarre, e in un ciclismo in cui si può vincere per meno di un secondo le squadre più ricche, manco a farlo apposta quelle dei due contendenti, lavorano molto sui cosiddetti “marginal gains” cioè i vantaggi derivanti dai dettagli, come l’alimentazione o tutti i componenti della bici e delle divise, e in gara c’è stato anche chi, come Thomas, ha cambiato il casco insieme alla bici per togliere quello aerodinamico e mettere quello normale più leggero e quindi più adatto alla salita.
Non a caso il suo sponsor principale si chiama “Circus”.
With A Little Help From My Friends
Se avessi dovuto simpatizzare per uno dei due avrei avuto difficoltà, troppe sfortune per entrambi, troppi infortuni, qualcuno dovuto a loro errori qualcun altro assurdo come la borraccia che alla partenza della prima tappa del Giro 2020 scappò a un ciclista e rotolò fino alla ruota di Thomas, e poi questa potrebbe essere la loro ultima occasione di vincere un grande giro, forse questo vale soprattutto per il 37enne gallese perché il 34enne sloveno ha ancora tempo. Rogla il tempo può averlo tanto più perché alla fine vince lui, nonostante un problema e anche un falso allarme. Prima c’è il panico seminato da Petacchi perché da buon commentatore RAI non conosce il regolamento e non sa (lo sapevo io che non sono del mestiere) che la posizione con gli avambracci sul manubrio, quella che l’anno scorso costò una squalifica alla Vos in una gara dominata, è vietata solo per le gare in linea e non per le cronometro, e quando Roglic, che proprio di Marianna è compagno di team, per pochi secondi assume quello posizione, Petacchi si desta dal suo torpore e fa notare la “posizione vietata”. Che occhio di lince, strano che non abbia notato, né lui né gli altri della RAI, due bidon collé di Zana nella tappa da lui vinta. E secondo me se chiamavano Giada Borgato lei avrebbe saputo la risposta, ma hanno raccolto informazioni nei dintorni e hanno fatto finta che si tratti di una “posizione tollerata” dall’UCI. La trasmissione tivvù in generale è stata un vero disastro, funestata da scelte registiche infelici e continue interruzioni pubblicitarie, ma neanche di riferimenti cronometrici ce n’erano molti, e solo a pochi km dall’arrivo, dopo che Roglic ha avuto un problema meccanico, si è saputo che era in vantaggio. In quel momento c’è stata l’ennesima gaffe della Jumbo perché il meccanico è corso con la bici in spalla e ha colpito Roglic mentre gli dava una spinta, ma per fortuna a quello ha provveduto uno spettatore che poi L’Equipe ha riconosciuto come un suo compagno di squadra, ma dei tempi in cui faceva salto con gli sci.
“Anche tu da queste parti?”
Però lo sloveno non è andato nel pallone come al Tour del 2020 e ha ripreso a pedalare fitto fitto col suo rapportino, mentre Thomas col rapportone era in evidente difficoltà. Alla fine Roglic ha scavalcato l’avversario di 14 secondi, un vantaggio risicato ma che non costituisce il record. C’è poco da fare, questa non è stata un’edizione da record. O forse no, perché c’è pur sempre quello dei ritiri: 51 ritirati su 176 partenti (29 per cento), rispetto ai 44 su 180 del 2001 (24%) e ai 58 ma su 198 del 2002 (29idem%). Ma conoscendo i precedenti dei primi due in classifica con la loro propensione a cadere, non si può pensare che il Giro sia chiuso quando l’ultima tappa, passerella per modo di dire, si corre a Roma. Milano, con il sindaco che pianta grane ma non alberi, non è più interessata, già ha delocalizzato la partenza della Sanremo, ma a Roma si va a finire sempre nel centro storico con i sanpietrini. Eppure c’è l’EUR, un quartiere che ha strade ampie e serve a poco, e servirà ancora a meno quando i Direttori e Presidenti si renderanno conto dei mille benefici dello smartworking. Certo che la scenografia è quello che è, può piacere oppure no, un po’ di pompa magna fascista, ma in futuro con questo governo potrebbe essere gradita se non obbligata. Dicono che questo paese è il più bello del mondo, e volendo di lungomari ne abbiamo tanti, ma gli Champs-Elisées non ce li abbiamo, però in compenso c’è il Colosseo, questo maestoso rudere a perenne ricordo dell’avidità dei cardinali che l’usavano come magazzino di materiali per le loro sfarzose dimore e per le chiese.
E un arrivo sotto i pini della Cristoforo Colombo no?
Alla fine il percorso non fa troppi danni, qualche foratura, una caduta nella volata finale, ma ancora una volta gli occhi di lince vedono ma non capiscono. Cercano le imprese epiche ma anche le storie cosiddette “da libro Cuore”, ma se non gliele spiegano con i disegnini non se ne accorgono. Succede che a 2 km dalla fine Gerainthomas si mette in testa a tirare e in RAI si chiedono se non sta cercando di creare un buco per recuperare il distacco e ribaltare il Giro. Sì, come no, un buco di 14 secondi in 2 km. Invece il capitano della Ineos quando passa in testa fa un cenno al capitano dell’Astana, Thomas allunga il gruppo e lascia Cavendish in buona posizione, poi da vecchio pistard Cav riesce a cavarsela da solo e vince per distacco, e ringrazia tutti i compagni di squadra facendo i loro nomi e i vecchi amici, e finalmente anche in RAI capiscono, dài che non era difficile.
Il momento in cui Thomas si porta dietro gli Astani.
Intanto sulla città si è posato uno stormo di Presidenti, quello della Repubblica, quello della FCI, quello di RCS, ma la scena se la prende Monsieur Le Président. Lappartient con le sue parole dimostra il suo spessore intellettuale, perché afferma che Roma è una bella città e che questa è la festa del ciclismo, neanche Fabretti e Genovesi messi insieme. Finisce così un Giro che forse è stato più duro da seguire che da correre, Pancani a volte diceva “apriamo una finestra” ma in realtà era la corsa una finestra o solo una finestrella aperta sporadicamente in una lunga sequenza di spot di ogni genere, turistici, istituzionali, politici, amministrativi e soprattutto commerciali. Ed è quindi un sollievo sapere che da oggi non ci sarà più lo spot dell’auto fatta apposta per me, non ci saranno più commenti spenti, scrittori parlanti, cantanti irritanti e altre cose che ho già rimosso.
E in attesa del prossimo giro trasmettiamo musica da ballo
Oggi vi propongo una bella favola misogina tratta dal vasto repertorio della grande tradizione favolistica dei paesi slavi.
C’era una volta un contadino di nome Kirill che rimase vedovo ancora giovane. La moglie Methodia aveva voluto un gatto e alla sua morte Kirill volle tenerlo perché gli ricordava la defunta, essendo grasso e vorace come lei, che infatti si era strozzata mangiando. Ma col passare del tempo Kirill iniziò a stufarsi di questo gatto che non smetteva mai di mangiare, avido che sembrava uno zar, e allora lo infilò in un sacco e lo portò in un bosco, dove lo liberò dicendogli: Ecco, ora fai lo zar della foresta. Lì il gatto trovò ugualmente da mangiare ma non abbastanza. Poi un giorno passò di lì una gatta che cercava un marito, ma non uno qualunque, uno importante, e si presentò: Ciao, io sono la gatta Chikova, e tu chi sei? Lui convinto di quello che aveva detto Kirill rispose: Io sono Soryan, lo zar della foresta. La gatta pensò: Accidenti, è lo zar. Questa è l’occasione della mia vita e non devo farmela scappare. E iniziò a dire che uno zar doveva avere degli eredi e che casualmente lei aveva l’apparato riproduttivo in esclusiva, come avrebbero potuto confermare anche le altre gatte, che infatti quando la vedevano così commentavano: Quella sembra che ce l’ha solo lei. Lo zar, cioè il gatto Soryan, acconsentì e sposò la gatta Chikova senza tante cerimonie perché tra gli animali non si usa. Il giorno dopo i due sposini si svegliarono con appetito ma con niente da mangiare e Soryan disse che si sarebbe aspettato che gli altri animali avessero omaggiato i regnanti con doni, e la gatta concordò: E’ davvero disdicevole, ma ora ci penso io. Chikova si incamminò per il bosco e a ogni animale che incontrava diceva di essere la zarina e che lo zar si attendeva di ricevere doni dai suoi sudditi, altrimenti avrebbe potuto offendersi e condannare tutti a morte, e lo disse allo scoiattolo e alla gazza, alla volpe e al gufo, poi anche al lupo Drago che in verità avrebbe voluto sbranarsela ma a quelle parole si trattenne. Lo stesso accade con l’orso Yago. Qualche animale ritenne prudente portare un dono allo zar, e anche Drago si incamminò più che altro perché incuriosito e incontrò Yago che aveva pensato la stessa cosa, volevano vedere chi era questo zar, doveva trattarsi di una bestia importante e potente. Drago diceva: Avrà almeno 100 denti. Yago rispondeva: Sarà enorme come un olmo. Ma quando arrivarono nei pressi del covo del gatto e sentirono Chikova chiamare quel grasso ma comunque piccolo animale “mio Zar” i due si guardarono sollevati e all’unisono dissero: E questo coso sarebbe la bestia potente e feroce? Ma ora ci divertiremo un po’. E afferrato il gatto iniziarono a usarlo come palla, uno lo passava all’altro che lo afferrava anche con le unghie e poi lo tirava al compagno e andarono avanti così tutto il pomeriggio, poi quando iniziò a imbrunire e si era fatta ora di tornare ognuno alla propria tana, l’orso Yago afferrò il gatto palla e lo scagliò verso le alte fronde di una quercia dove rimase impigliato in un ramo. Quando all’alba del giorno dopo riuscì a liberarsi e scese dall’albero, Soryan trovò Chikova che lo guardava delusa e che gli disse: Ma lo sai che in natura la femmina si accoppia col maschio che assicura la prosecuzione della specie? E tu invece guarda come sei ridotto. Come potresti un giorno difendere i tuoi figli se malauguratamente ne avessi? Mi cercherò un altro maschio, beninteso non lo faccio per me ma sempre per la prosecuzione della specie. Addio. La gatta Chikova uscì allora dal bosco per cercare fortuna e solo mezzora dopo fu catturata da un’aquila. Il gatto Soryan quando si riprese imparò a procurarsi il cibo da solo, a stare sempre in guardia e imparò anche che non era vero che la gatta Chikova era l’unica ad avere l’apparato riproduttivo, ed ebbe tanti figli di cui un paio sopravvissero felici e contenti.
Avevamo lasciato Lefevere, il boss della Soudalquickstep, intento a contare i cani randagi, ma nel frattempo quel capo di stato straniero che la domenica con molta umiltà invita a turisti a pregare per lui aveva rimproverato una donna perché chiedeva la benedizione per il suo cagnolino invece di pensare a tutti i bambini che muoiono di fame. Allora colpito da questa parole Lefevere ha lasciato stare i cani e ha iniziato a contare i bambini randagi. Intanto al Giro si continua a discutere della noiosa tappa di Campo Imperatore, un fatto gravissimo, e se un giorno la gente non scenderà più in strada a veder passare la corsa, se la RAI rinuncerà a trasmettere il Giro, se nessuno lo organizzerà più, se il ciclismo in Italia finirà e centinaia e migliaia di famiglie di ciclisti dièsse meccanici massaggiatori e preparatori faranno la fame la colpa sarà della tappa di Campo Imperatore, dove c’era questo bell’altipiano in mezzo al niente adattissimo agli attacchi contro vento e contro senso ma nessuno si è voluto sacrificare. C’è lo scrittore parlante che piange perché così non può scrivere la poesia, e se Damiano Caruso, che è sempre elogiato e da sempre stimato per l’esperienza e la professionalità, dice che contro vento non era il caso di attaccare, tutti dicono che sono scuse e tra lui e lo scrittore danno ragione allo scrittore. Vabbe’, c’è la tappa successiva da Terni ai famosi muri marchigiani. Stavolta la fuga è più nutrita e ci sono dentro Valentin Paret-Peintre, fratello di Aurélien che ha vinto la quarta tappa, e Mattia Bais, fratello di Davide fresco vincitore sul Gran Sasso, entrambi ben consapevoli che in Italia è un periodo favorevole ai Fratelli ma anche ai cognati. Quando il gruppo di testa si sfoltisce Zana inizia a litigare proprio con Bais perché non tira, e così in soli due giorni sembra completamente cambiata la reputazione dei fratelli Bais prima applauditi perché generosi fuggitivi seriali e poi criticati perché in quelle fughe starebbero sempre a ruota. A una cinquantina di km dal traguardo Zana tenta un attacco e tutti quelli che lamentano il poco spettacolo dicono che è presto per attaccare, chissà qual’è la loro idea di spettacolo, ma un secondo dopo parte Ben Healy, il ciclista disegnato male, e non lo vedranno più, forse non era poi così presto. Nel gruppo dei big tirano i jumbi ma poi si fermano per consentire a Roglic un pipì-stop, strana pretattica o solo coincidenza, perché nei km finali Roglic attacca, Evenepoel tenta di seguirlo per verificare se è davvero nervoso come gli era parso ma scoppia e solo Coso Hart e Gerainthomas riescono a raggiungere lo sloveno e guadagnare secondi sul divetto belga, che all’arrivo ha l’ennesima crisi isterica e allontana bruscamente un cameraman randagio, ma nessun problema perché lui è tranquillo, anzi ammette pure di aver sbagliato a seguire subito Roglic e di avere imparato una grande lezione, e ormai sembra un cosplayer del manga Golden Boy che a ogni fine puntata correva in bici e gridava: Imparo! Imparo! Imparo! Ora se per Remco l’imminente ritorno in testa alla classifica generale non sembra più tanto sicuro, per la classifica della simpatia non dovrebbe avere avversari perché il suo agguerrito rivale Ganna si è ritirato per covid. Ma chi non segue la corsa si chiederà perché si attendeva il ritorno di Evenepoel in maglia rosa. Semplice, la domenica c’è la lunga crono romagnola. E Remco vince e prende la maglia rosa ma non è contento perché gli avversari non hanno perso, perlomeno non quanto lui si augurava. I veri sconfitti sono i tanti saputoni del ciclismo che subito dopo la presentazione delle tappe avevano detto in coro che Evenepoel in questa crono avrebbe dato due minuti a tutti e ucciso il Giro, mancava solo che lo scrivessero pure sul Garibaldi, il famoso manuale con le istruzioni per la corsa. Invece il vecchio Gerainthomas ha perso per meno di un secondo, Coso Hart è arrivato a 2 secondi e sono ben 30 i primi dell’ordine d’arrivo compresi entro i 2 minuti. Però Golden Boy continua a imparare perché dice di essere partito troppo forte, altro errore altra lezione, ma non è l’unico a farlo perché pure la tivvù sta imparando. In RAI dicevano che per rendere più spettacolare la corsa bisogna “guardare” (questa si rivelerà la parola giusta) cosa si è fatto negli altri sport come la pallavolo, ed ecco che quando Evenepoel arriva al traguardo ed entra nel recinto degli addetti ai lavori spunta l’inseparabile Oumi e il cameraman alle sue spalle subito abbassa l’inquadratura in modo da mostrare diciamo il pantalone che la Signora indossa.
A sinistra Ben Healy il ciclista disegnato male (stavolta da me), a destra Remco Evenepoel il golden boy del ciclismo fiammingo.
Bisogna avere umiltà in tutte le cose. Invece di criticare gli altri bisogna imparare da loro. Ad esempio nel campo della scrittura, ascoltando lo scrittore parlante al Giro d’Italia e sentendo e leggendo gli scritti più apprezzati dal pubblico, credo di aver capito che per scrivere un testo, in prosa o in versi, che abbia valore poetico, lirico, occorrono alcuni elementi che sono naturalmente poetici: i fiori meglio se uno, il mare, il tramonto meglio se sul mare, i sogni, soprattutto i sogni di bambino che poi si realizzano, il volo e i gabbiani. Allora ho pensato di provare a scrivere un breve racconto che contenga tutti questi elementi e vedere se viene bello poetico.
E’ sabato ed è una giornata di fine primavera che è quasi già estate e allora decidiamo di andare al mare, partiamo di mattina per passarci tutta la giornata. In questo periodo molti sono impegnati con i matrimoni e le comunioni e non possono venire al mare e quindi è quasi deserto. A Rosmarina piace più correre sulla spiaggia che farsi il bagno, però io le consiglio di non togliersi le scarpe, ma lei niente, dice che sulla spiaggia bisogna correre a piedi nudi, c’è più gusto, va bene, ma c’è pure tanta spazzatura, e dopo pochi metri di corsa caccia un grido, ha centrato dei cocci di bottiglia, una volta i cocci si mettevano sui muri degli orti ma ora gli orti non ci sono più e li buttano in spiaggia. Ci vuole tempo per togliere i pezzetti di vetro dal piede e poi per medicarlo, e meno male che, dopo una precedente esperienza simile, abbiamo portato il kit del pronto soccorso. Ecco, ho fatto proprio un bel lavoro, potrei fare l’infermiere se c’avessi lo stomaco, ma a proposito di stomaco nella concitazione del momento è gocciolato il disinfettante sui panini che ormai si possono solo buttare, e tra una cosa e l’altra la mattinata è già andata e si è fatta ora di pranzo. Poco male, siamo al mare, approfittiamone una volta tanto per una bella frittura di pesce freschissimo. In passato non potevamo permettercelo ma adesso neanche, però non abbiamo alternative, e chiediamo informazioni a qualcuno del posto se c’è una trattoria. Ci consigliano “Lo Scorfano Orfano”, ci dicono che ha tre stelle, ma non costerà molto? Ma no, è solo un modo per riconoscerlo: ha tre stelle marine disegnate sul muro vicino all’ingresso. Chiediamo pure se c’è una scorciatoia perché Rosmarina zoppica e meno cammina meglio è. E con la scorciatoia passiamo per un vicoletto e arriviamo al ristorante da dietro, passando vicino al bidone della spazzatura, in cui notiamo delle confezioni di surgelati Frodest, beh, qualcosa dobbiamo pur mangiare. Ci siamo solo noi e un cliente in un angolo che scrive sui tovagliolini di carta. Il proprietario si presenta come “Il patrone” e ci fa sedere con vista sul mare, ma all’improvviso vedo pure le stelle, e non sono né quelle della guida michelin né quelle dipinte sul locale: un bambino mi ha dato un cazzotto sul braccio e mostrandomi il pugno dice di essere Iron Fist. Accorre subito la madre che si presenta come “la patrona” e dice: “Scusatelo mio figlio, quello a volte la notte si sogna di essere un supereroe e poi per tutto il giorno dopo ripete le cose che fanno nei giornaletti, sono ragazzi”. Interessante, il giorno in cui sognerà di essere Superman e spiccherà il volo dal sesto piano di quell’albergo di fronte spero di essere nei paraggi, non vorrei perdermelo. Il tipo in fondo al locale alza lo sguardo dai tovaglioli e rivolgendosi a noi, almeno credo, esclama: “Eh, i sogni dei bambini!” E poi, come se la cosa gli avesse causato un’ispirazione, riprende a scrivere e la patrona ci spiega: “Quello è un poeto, c’ha una testa così. Scrive sui tovaglioli perché dice che così aumenta l’importanza delle sue poesie.” Sapevo i caffè letterari, ma le trattorie di pesce letterarie me l’ero perse. Rosmarina sembra preoccupata, sicuramente starà pensando a quello che ci costerà questo pranzetto, infatti guarda il mare e l’orizzonte e inizia a lamentarsi del prezzo degli ortaggi, ed è così presa da questi pensieri che quando si avvicina un indiano con una rosa per vendercela, anche perché siamo gli unici nel locale, lei sovrappensiero gli chiede: “Hai i fiori di zucca? A quanto li fai, che vorrei farci una frittatina?” Ma l’indiano non capisce la domanda e offeso se ne va. Per fortuna dopo poco arriva il pesce, ma praticamente in contemporanea iniziano a svolazzare dei gabbiani, e il patrone ci rassicura che ci pensa il gatto Gionatàn. Infatti i gabbiani cercano di planare sulla nostra tavola ma il gatto si alza sulle zampe posteriori e cerca di artigliarli dando vita a una lotta che sarebbe spettacolare se solo si svolgesse sull’altra sponda dell’oceano. Il bambino sognatore guarda orgoglioso il suo gattone e ci rivela che è stato lui, il gatto, che ha insegnato a volare a quei gabbiani. Se lo dice un supereroe non lo metto in dubbio, ma mi sa che il gatto poi si aspettava di essere pagato, vista l’acrimonia con cui cerca di colpire gli uccelli. Però ho detto “acrimonia”, io non l’avevo mai detto, mai neanche pensato, sarò stato contagiato da quel poeta in fondo, che non so se è un poeta maledetto ma in ogni caso lo maledico io e non se ne parli più. Finiamo di mangiare, il patrone ci porta il conto, guardo la cifra e commento solo: “Però, è salato.” E lui un po’ si arrabbia ma non con noi e ad alta voce: “Io ce lo dico sempre a mògliema di starci accorta con il sale che aumenta la pressione e se ce ne mette poco sparagnamo pure noi.” Senza neanche la possibilità di lamentarci perché i patroni manco ci capirebbero, paghiamo e usciamo, il sole ormai sta tramontando, bello ma si è fatta ora di tornare. Ci avviamo verso il paese dove abbiamo lasciato l’auto, piano perché lei zoppica ancora, le chiedo se ha notato che a un certo punto i gabbiani sono spariti, si vede che il gatto a qualcosa è servito. Beh, se è stato merito del gatto non lo so, ma arrivati all’auto tornerei indietro per farmelo prestare se la trattoria non fosse così lontana, perché ora vediamo dove sono volati i gabbiani: due sul tetto della nostra auto e uno sul cofano.
Il Giro attraversa tanti luoghi, compresi quelli comuni. Un sottocane nordnorvegese praticamente artico prende la maglia rosa e i giornalisti scrivono che lui vive tra aurore boreali e orsi polari, anche se ora risiede a Oslo. E il veneto Zoccarato, campione italiano gravel, va in fuga nella tappa di Salerno e sotto la pioggia si rivolge alla moto lamentandosi: “Venite al Suddicevano, troverete il sole…” E invece i ciclisti si troverebbero più a loro agio se fossero davvero girini, ma nel senso anfibio, perché c’è pioggia fresco e anche tanta nebbia, al punto che Rizzato per fare promozione turistica dice: “Probabilmente c’è un bel panorama ma non lo sapremo mai”. La pioggia rende la strada scivolosa e i ciclisti cadono, anche i pezzi grossi, Evenepoel fa addirittura una doppietta ma la prima caduta è causata da un cagnolino randagio, e i commentatori si scatenano in indagini etnico-sociologiche, più di tutti si distinguono il giornalista masochista Gatti (un nome che nel caso è quasi in conflitto di interessi) che su un sito molto seguito si diverte a fare polemiche al limite dell’offensivo e in risposta si becca un sacco di improperi, e anche Lefevere, il boss di Remco, che paragona le strade del sud a quelle della Colombia (chissà come sono le strade colombiane) e che si è messo a contare i cani per strada, per la precisione 15, specificando anche quanti erano i randagi, quanti i bastardi, quanti quelli sfuggiti ai padroni e di che razza. Di sicuro dall’identikit diffuso dalle forze dell’ordine si può chiarire che il cane che ha fatto cadere Evenepoel non è quello di Tom Pidcock. Lefevere è anche collaboratore di Het Nieuwsblad, e meno male che il sito fiammingo, invece di piangere sul Remco versato, ricorda vari casi analoghi in Francia Spagna Australia e ancora Italia con cani gatti gabbiani e anche cavalli (compreso quello senese che spaventò Demi Vollering), e si è pure dimenticato le mucche francesi. Qualcuno ricorda che nel 1997 da queste parti Pantani cadde a causa di un gatto e tutta la squadra lo scortò all’arrivo, compreso il giovane Garzelli che compromise la sua classifica, ma almeno stavolta nessuno ha detto che la tappa la vinse Manzoni ma nessuno se ne ricorda, con la conseguenza che Manzoni viene continuamente ricordato come quello che ottenne quella vittoria che nessuno ricorda. Salerno è anche la città dello scrittore Alfonso Gatto che causò uno scandalo clamoroso perché parlava di ciclismo senza saper andare in bicicletta. Questa cosa mi colpisce perché è l’obiezione che ogni tanto mi fanno i colleghi, e precisiamo che non basta aver fatto qualche giretto da bambino, perché poi la potente lobby dei cicloamatori pretende che possa parlare di ciclismo solo chi si fa decine di km al giorno e valichi i valichi più famosi. Questa è una delle tante assurdità che si riscontrano solo nel mondo del ciclismo. Sì, immagino che i vecchi panzoni che negli studi televisivi commentano il calcio, dando un’occhiata anche alle scollature o scosciature delle conduttrici, da ragazzi abbiano dato dei calci a un pallone, e che gli appassionati della Formula 1 in città e sulle autostrade superino facilmente il limite di velocità. Ma quelli che hanno la febbre da cavallo e puntano su Camillo Benso IV che è figlio di Pier Varenne ed è forte sul terreno pesante hanno tutti cavalcato o guidato un sulky? Ridendo e scherzando il gruppo arriva a Salerno e in gruppo cascano due volte, la seconda caduta è causata da Remco che si distrae e poi se la prende con i trekkini che lo stanno pure a sentire. Vince l’australiano Kaden Groves che dicono forte velocista, ma in primavera mi ha impressionato vincendo nel Limburgo sotto la pioggia dopo essere rimasto in testa con due Lotti e uno l’ha staccato, l’altro se lo è portato dietro senza chiedergli neanche un cambio e poi lo ha disperso in volata. Segnatevelo: Kaden Groves, potrebbe diventare più forte di Matthews, anche se non è difficilissimo.
Il giorno dopo si parte e si arriva a Napoli e si temono non i gatti ma le sagome dei calciatori per strada e altri elementi di arredo inurbano. Alla partenza due big si contendono la classifica della ruffianeria: Evenepoel palleggia con un pallone con i colori del Napoli e Ganna ne esibisce la sciarpa, direi che visti i trascorsi pallonari del belga la tappa se l’aggiudica Simpatia Ganna. Poi in realtà sul percorso ci sono solo bandiere e striscioni, il pubblico è composto come già l’anno scorso, e quando l’aspirante sceriffo Evenepoel fa segno alla gente di allargarsi è solo perché è la strada ad essere stretta. Insomma si temevano troppe chiacchiere sul Napoli, e non avevamo pensato a Un posto al sole. E da quando la RAI trasmette questa soap opera il suo attore più famoso Patrizio Rispo all’attività di attore ha affiancato quella di presenzialista, e così con alcuni sodali si è presentato sia nella postazione cronaca, con una finestra aperta mentre la corsa ribolliva, e dopo al Processo a parlare a vanvera anche perché hanno avuto più spazio loro di quanto ne abbiano concesso in questi giorni a Marta Bastianelli invitata a partecipare ma poi praticamente mai coinvolta, e poi Fabretti si lamenta dello spettacolo. Durante la tappa si è ricordato che Coppi era legato a questi luoghi perché lì faceva il prigioniero attendente, là viveva l’artigiano che gli diede una bicicletta, da lì partì per tornare a Castellania, e tutti questi posti ricordano in qualche maniera il Campionissimo. Coppi fu costretto a partire per fare la guerra in Africa ma fu subito fatto prigioniero dagli inglesi, che lo riportarono in Italia, ed era attendente di un ufficiale inglese a Caserta nella frazione Ercole, dove da un paio di anni c’è un sobrio monumento che alla fine più che altro ci ricorda che questa è stata sempre una città e una provincia militarizzata, come disse anche Stendhal ai tempi del Grand Tour. Infatti, al contrario di Goethe che soggiornò qui mentre si costruiva la Reggia e forse a priori stava bene perché lontano da Lotte, a Stendhal Caserta non piaceva e disse che Caserta è una Caserma. Magari una sola! Però diciamo pure che il tipo era incontentabile e lo scrittore parmigiano Paolo Nori a proposito de La Certosa di Parma dice che non è che avesse una buona idea neanche di quella città. Ma tornando alla corsa due vecchie conoscenze delle fughe, Alessandro De Marchi e Simon Clarke, resistono all’inseguimento del gruppo e stanno per giocarsi la tappa, poi non per cattiveria ma per generosità iniziano a dire Prego, passa prima tu e Ci mancherebbe, prima tu, e dietro parte sparato Gaviria con la sua fissa per le volate lunghe e li supera ma viene battuto da Mads Pedersen, mentre i due, che visto l’esito non si possono definire vecchie volpi, facciamo vecchi polli, si abbracciano e si consolano a vicenda, e tutti i giornalisti applaudono e tutti i socialisti criticano. Il giorno dopo si parte da Capua e attraverso l’alto casertano si va in Molise, e allora bisogna stare attenti non ai cani ma ai cinghiali randagi. Lo scrittore parlante cita Spartacus ma non precisa che l’Anfiteatro si trova non a Capua ma nella vicina Santa Maria che non a caso si chiama anche Capua Vetere. Speriamo non abbiano creato dei problemi di campanili, come pure più tardi quando una didascalia ricorda che l’incontro storico tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II avvenne a Vairano mentre altri ritengono che sia stato a Teano. Poi si passa per Calvi Risorta e si ricorda il ciclista Luigi Mele scomparso di recente, più che altro perché dopo il ritirò lavorò in RAI come ora uno dei figli. Ma nel suo piccolo Mele si contendeva con il maddalonese Alberto Marzaioli il titolo di miglior ciclista casertano della storia. Ma al di là delle chiacchiere questa non è terra di ciclismo, e prima di lasciare il casertano spunta uno striscione inneggiante a Einer Rubio, probabilmente quei tifosi vengono dal beneventano dove il colombiano corse da under 23 con la locale Vejus che poi si fuse con l’abruzzese Aran e addio squadre campane. Ma bando alle tristezze perché questo è un tappone con la salitona di Campo Imperatore che farà sfracelli in classifica e dopo tanto attendere lo spettacolo è assicurato. Infatti vanno in fuga tre disperati e il campione africano. Quest’ultimo si stacca per il freddo e gli altri tre arrivano, perché in gruppo nessuno azzarda un mezzo attacco. Vince Davide Bais, fratello di Mattia, che disperava di vincere mai una gara, battendo Karel Vacek, fratello di Thomas, che l’anno scorso pensava di ritirarsi, e solo terzo è Petilli, favorito se non altro perché da giovane era una promessa in salita poi non mantenuta e come gli altri due era a zero vittorie. Nel 2017 al Lombardia Petilli e altri ciclisti finirono nello stesso dirupo dove tre anni dopo finì Evenepoel, ma gli italiani compatti, per salvare la faccia dell’organizzazione, dimenticarono il precedente e dissero che il belga era un ex calciatore e quindi non sapeva andare in discesa, anche perché come è noto i campi di calcio sono piatti. E questa è l’unica lancia che potevamo spezzare a favore di Remco, perché lui, perseguendo anche l’obiettivo della classifica della simpatia, va dicendo che Roglic e i jumbi sono nervosi e che lui medesimo è il più forte. Sarà, ma Roglic una volta è caduto l’altra ha forato e non si è scomposto, Evenepoel è caduto due volte e gli sono venute almeno quattro crisi isteriche e il suo boss sta ancora contando i cani randagi.
Esistono tante applicazioni, chissà se ce n’è una che applicata alla trasmissione del Giro filtri la retorica e il lirismo e non faccia passare le letterine svolazzanti dello scrittore parlante e la sigla esclamativa di Gualazzi. Ma il Giro è un grande e multiforme spot turistico, c’è Martini che scherza col cibo, un giorno assaggiando arrosticini l’altro cercando di scroccare una cena. E’ un ritorno alla comicità basica, quella sulla fame, e mentre lo scrittore parla della castagna che oggi costa un occhio e ieri era cibo per poveri capita che l’elicottero inquadri due tifosi che si contendono una borraccia, siamo forse passati alla sete? No, quella è solo un trofeo da portare a casa per esporla fino al primo trasloco utile. E poi ci sono le antiche tradizioni, con dei tipi in costume medievale che ci ricordano che a Melfi c’è l’unico Castello in cui è scientificamente provato che abbia abitato Federico II, ci fanno un baffo quelli di Castel del Monte. La cosa è stata certificata dall’Unesco, forse nel periodo in cui l’Italia era rappresentata da Lino Banfi, non so su cosa si siano basati, forse documenti, pergamene, bollette della luce o c’erano ancora le pantofole federiciane vicino al letto. Ma i tipi in costume sono soprattutto degli abili falconieri, certamente più bravi con i falconi che con l’italiano, e ci fanno una presentazione tautologica della loro attività. Chi sono i falconieri? Quelli che praticano l’arte della falconeria. Ma cos’è la falconeria? Semplice, l’arte dei falconieri. Anzi la “nobile” arte della falconeria, e tutti in RAI concordano, pure quelli che semmai hanno condannato alla dannazione eterna il ciclista plebeo che sparò al gatto sanmarinese. Allora chiariamoci le idee su internet. Il falcone è un rapace naturalmente portato alla vita sedentaria e a grattarsi sotto le ali, ma il falconiere gli insegna a volare e a cacciare. La bestia non è grande come un’aquila e non può catturare il vitello grasso, per cui ci si accontenta di piccoli uccelli, quelli che con il loro canto e il loro volo ispirano i poeti, e forse topi e gatti, e l’abilità dell’addestratore sta nell’insegnare al falcone la differenza tra il gatto randagio o di una gattara e il gatto di un ministro, che poi si va a finire su tutti i giornali. E’ un arte da tramandare ai “prosperi”, immagino che siano i posteri cui le cose andranno bene, perché a quelli cui le cose andranno male è meglio non tramandare niente, il falcone sarebbero capaci di farselo arrosto. L’augurio è che ci sia altrettanta attenzione anche per l’altrettanto nobile arte della tauromachia.
Intanto la corsa arriva ed è uno di quei rari giorni in cui a Michael Matthews gira tutto bene. Tutto bene? No, perché il giorno prima Fabretti si era lamentato di queste tappe per velocisti noiose e troppo lunghe, e fa un elenco di “sue” proposte da sottoporre all’UCI per migliorare lo spettacolo, sempre a favore del pubblico, che infatti sui social all’unanimità stronca Fabretti e la RAI tutta. Il conduttore ricorda quello che si è fatto nel tennis e nella pallavolo, sì, ricordo che proposero pure di accorciare i pantaloncini delle pallavoliste, le quali gentilmente si rifiutarono. Ma viene il sospetto che la preoccupazione di Fabretti sia un’altra, cioè che arrivando in ritardo la corsa si accorci il tempo a sua disposizione, perché se davvero in RAI si preoccupassero dello spettacolo manderebbero a casa Petacchi e Fabretti stesso. Non mi capitava di vedere una cosa del genere dai tempi delle ultime Paris-Bruxelles di cui Bulbarelli comprò i diritti e che Pancani in diretta definiva corsa insignificante. E oggi la RAI vi dice che lo spettacolo pubblicizzato da spot magniloquenti è in realtà una boiata pazzesca. Per fortuna la successiva tappa di Lago Laceno è più movimentata anche se il fatto principale era già noto. In primavera sono stati molto criticati gli arrivi in parata nelle classiche, soprattutto la Gent regalata da Van Aert a Laporte, e qui Evenepoel aveva chiaramente detto che avrebbe lasciato la maglia rosa, ma non si dicono queste cose anche se si sospettano. Il belghetto già ha molta pressione al suo paese, e almeno dismettendo la maglia la squadra non deve stancarsi a controllare la corsa e lui a salire sul palco e a “subire” le interviste. Ma dato che è ancora abbastanza giovane da avere pure la maglia bianca l’ideale sarebbe lasciare andare in fuga un giovane che se le prenda tutte e due, sono due maglie usate pochissimo, come nuove. E quel giovane ce l’abbiamo, è il norvegese Andreas Leknessund che in verità alla vigilia era indicato tra i sottocani, non proprio il carneade dezaniano. Ma in corsa non c’è stato niente di pacifico, neanche l’accordo tra i due rimasti in testa a te la tappa a me la maglia, perché Leknessund già che c’era voleva tutto e Aurélien Paret-Peintre almeno la tappa e alla fine ha vinto. Ancora una volta è stato protagonista pure Vincenzo Albanese che correva dalle sue parti, ma lui che vive in Toscana è dalle sue parti un po’ ovunque essendo nato, secondo internet, a Oliveto Citra (SA) Laviano (SA) e Cusano Mutri (BN) e chissà che nella tappa di Salerno non si scopra qualche altra località in cui è nato. Comunque, tornando a Evenepoel, c’aveva ragione il ragazzino perché la squadra si è sbriciolata a tenere la fuga a distanza di sicurezza figuriamoci cosa capiterà quando ci sarà vera battaglia. Per Remco è stata una fatica conquistare la maglia ma pure perderla è stata dura, perché ha trovato dei gregari non richiesti nei granatieri Ineos che hanno inseguito dicendo Non ti preoccupare, te la facciamo conservare noi la maglia, così continuerai a stressarti con premiazioni e interviste. Poi il piano inglese è fallito per pochi secondi, ma viene il sospetto che da quando non c’è più il bacio delle miss ma solo la stretta di mano del presenzialista di turno queste maglie eccitino di meno. Ecco quindi una cosa che bisognerebbe tenere in considerazione per rendere più spettacolari le corse, il fatto che evidentemente, come dicono i poeti, tira più un pelo di f*** che tutta la Ineos in testa al gruppo.
A dimostrazione dell’eccessiva attenzione in Belgio per Evenepoel, un trio di sfigati belgi ha registrato “Remco perché ti amo” sulla falsariga della canzone dei Ricchi e Poveri, con un video pieno di luoghi comuni non solo italiani, perché i tre mangiano la pizza in cima al Kapelmuur.
Rubrica di notizie vere e veramente false a curadell’OMS
La corsa più pazza del Mondo nel paese più verybello del Mondo
Finalmente si parte. Finalmente con la partenza del Giro si dà un taglio all’assurdo spreco di fiato penne carta bit e byte costituto da annunci proclami interviste impossibili (è possibile che dicano tutti le stesse cose?) e articoli inutilissimi, senza un guizzo o una fantasia, con analisi e anamnesi, riassunti delle puntate precedenti e prevedibili previsioni, da parte di critici e giornalisti che si trasformano in algoritmi viventi pur di vedere in anticipo per filo e per segno tutto quello che accadrà in corsa. Vagliano e dettagliano, tale salita sarebbe stata decisiva se inserita al km 100 ma piazzarla al km 90 non ha senso, e talaltra scalata se fosse di 19 km al 18% di pendenza favorirebbe Caio ma è di 18 km al 19% di pendenza e allora favorirà Tizio. Io mica c’ho tempo da perdere dietro a queste cose e ormai ci saltellavo sopra leggevo due parole capivo di cosa parlavano e saltavo avanti, ma determinante potrà essere ciò di cui non parlavano, il cavallo imbizzarito che galoppa sul percorso, il cane randagio o sfuggito al padrone, il tifoso o il fotografo che si sporge troppo, e l’auto che abbatte i ciclisti, non c’è bisogno di un guidatore sbadato che entri nel percorso, basta un’ammiraglia o con più autorevolezza l’auto della giuria. E poi cadute sfuse o a pacchi, malanni vari, allergie, riacutizzarsi di vecchi acciacchi, reumatismi e infine epidemie. La Jumbo ne sa qualcosa: due ciclisti positivi sostituiti e poi positivo anche un sostituto. Non bastasse questo, uno dei sopravvissuti, lo sloveno Tratnik, è stato colpito da un auto e anche lui sostituito all’ultimo secondo. Ma ci sono stati positivi anche in altre squadre e quindi fino alla partenza, beneficiando della normativa italiana in tema di lavoro, le squadre che avessero esaurito i ciclisti a libro paga potranno assumere dei disoccupati pagandoli con i voucher.
Capre, capre, capre!
Voglia di stupire o malefico influsso dei cicloamatori? Si sa che i pedalatori per diletto possono trasformarsi in sadici spettatori e quando scovano una mulattiera sterrata e strettissima con pendenze oltre il 30%, in cima alle quale si possono incontrare stambecchi e orsi chiamati con codici alfanumerici come se fossero figli di Elon Musk, condividono la scoperta con il mondo dicendo che sarebbe il posto ideale per farci arrivare una tappa del giro con 170 ciclisti, almeno 50 auto, dozzine di moto, più di 20 motorhome, palchi palchetti e tavolini e con un po’ di sforzo, se ci stringiamo, ci va pure la carovana pubblicitaria. Ma gli organizzatori non sono cicloamatori e conoscono anche i precedenti, per cui forti di questa esperienza e del fatto che sul monte Lussari ci si deve andare per forza, non ci si arriverà con una volata ma con una cronoscalata, uno alla volta. Sì, ma l’ammiraglia non ci passa. Allora i ciclisti saranno seguiti da moto. Moto non ce ne sono a sufficienza. Allora i meccanici monteranno su una bici, ma poi non ce la fanno a stare dietro al professionista, allora su muli, su capre. Ci sono capre a sufficienza? Eh, hai voglia!
Squadra che perde non si cambia.
Dimenticate le acerrime polemiche del Processo alla Tappa. La RAI ne affida di nuovo la conduzione a Fabretti che tra un elogio e una sviolinata inviterà tutti a volersi bene. E pure in cronaca Pancani e lo scrittore parlante saranno ancora una volta affiancati da Petacchi che è una persona conciliante, infatti i suoi commenti conciliano il sonno.
Imparare da piccoli
Ma in questi giorni si è pensato anche al futuro ed è stato presentato il Giro Under 23, che non si chiama proprio così perché sarebbe troppo facile. In Italia il problema dei nomi o dei titoli non riguarda solo il cinema. E’ vero che il film di Truffaut “Domicile conjugal” che qui fu distribuito come “Non drammatizziamo… è solo questione di corna” rimane qualcosa di ineguagliabile, ma il ciclismo soprattutto negli ultimi anni si è difeso bene: “Roma Maxima” o “Granpiemonte” lo dimostrano, ma queste cose bisogna impararle fin da piccoli. Il Giro dei giovani in passato è stato chiamato “Giro Baby” o “Girobio” e ora diventa “Giro Next Gen”. Se a qulcuno questa denominazione fa storcere il naso sappia che tra le alternative scartate c’erano “Giro millenial”, “Giro piccino picciò” e “Alternanza Giro-Lavoro”.
Se andasse tutto bene e facesse la neve sul Monte Lussari verrebbe una bella tappa epica eroica e pure mitica