Greta parlasse per sé che vive al caldo della Svezia tra palme e aranceti e ha motivo di lamentarsi, ma qui in Italia si gela. E non perché qualche malinteso con la Russia ci abbia lasciato a corto di gas. Saprete che Putin voleva liberare l’Ukraina dai nazisti e gli italiani gli dicevano perché non vieni a prenderti anche i nazisti italiani, qui ne abbiamo ancora, non dar retta a Valditara, ma quello niente, e lo stesso è successo con altri paesi europei che hanno le loro quote di nazisti, ma non divaghiamo. Qui si gela, dicevo, perché l’Italia, grazie al ciclismo, ha scoperto di essere un paese freddo. Intanto siamo l’unico che propone una gara di ciclocross sulla neve, anche perché il fango serve tutto per la normale dialettica politica. E poi perché in passato si iniziava a correre su strada a fine gennaio o inizio febbraio, ma la prevalente e più razionale logica delle ammucchiate ha convinto gli organizzatori a programmare tutte le corse in quattro mesi all’anno. E così in Europa si è partiti prima in Spagna, dove con grande intelligenza sono andati a cercare un arrivo in quota e la corsa è stata annullata causa neve, poi in Francia, in Portogallo, finanche in Belgio, in Italia volevano dare la precedenza pure a Paesi Bassi e Danimarca, ma alla fine non hanno potuto fare a meno di cominciare con il Laigueglia e hanno beccato pioggia e freddo, e ben gli sta ad essere stati precipitosi.
Quelli che non si divertono se non vincono gli italiani ieri non si sono divertiti. Si sa che il primo obiettivo dei ciclisti italiani, appena passano al professionismo e iniziano a guadagnare, è quello di trovare casa laddove ci si può riscaldare con un fisco più leggero e, ottenuto questo, il più è fatto, ma se non dovesse bastare a scaldarsi si può ancora ricorrere al fuoco, semmai quello di un fucile ad aria compressa, basta avere l’accortezza, in un mondo globalizzato, di parlare in una sola lingua, perché a fare confusione e dire, per esempio, “mira a qualche testa di cats”, rischiano in prima persona. E quindi in Liguria è finita che ha vinto l’onesto pedalatore transalpino Nans Peters, che all’arrivo ha esultato in una posa che mi ricordava un video piovoso di quando Peters non era ancora nato.
Quest’anno niente playlist, il 2022 dal punto di vista musicale è stato finora scarsino e voi direte: Finora? Guarda che è finito, e io vi risponderò: Sì, ma può darsi che i dischi migliori non li abbia ancora ascoltati. Per cui, per ripercorrere le cose positive più una negativa dell’anno appena trascorso, ho deciso di assegnare degli Awards come se fossero premi ad alcune categorie in vari ambiti, più o meno quelli di cui si occupa questo blog, e non perdiamo altro tempo in preamboli che rischiamo di finire nel 2024.
Disco dell’anno: KENDRICK LAMAR – Mr. Mobile and The Big Steppers Togliamoci subito il pensiero e parliamo di musica. Complici Burial e Kelly Lee Owens datisi all’ambient, le Warpaint che iniziano a invecchiare, Bjork che non collabora più con Arca e Weyes Blood che non mi ha convinto, il mio preferito era Warm Chris della neozelandese Aldous Harding, ma poi ho finalmente deciso di ascoltare Kendrick Lamar, superando i miei preconcetti sui rappers di successo che si credono padreterni e vanno in giro con le limousine tempestate di diamanti, categoria alla quale non so se appartiene il musicista in questione, e ho constatato che c’hanno ragione i giornalisti che ne parlano benissimissimo. Non saprei dire se questo è il suo album migliore, ma è un grande disco con il valore aggiunto di una featurata di Beth Gibbons.
Libro dell’anno: Eldorado di TOBIAS TYCHO SHALKEN Sembra ieri che si discuteva – e si distingueva – di cultura alta e cultura bassa e invece è ancora oggi, visto l’abuso dell’espressione graphic novel perché parlare di fumetto sembra brutto. Ma il ragazzo del Brabante esordisce con un libro che è allo stesso tempo un catalogo d’arte e un’antologia di fumetti come non se ne leggevano dai tempi di Pazienza.
Copertina dell’anno:SEAN HELLFRITSCH per Let’s Turn It Into Sounddi Kaitlyn Aurelia Smith
Le illustrazioni di Sean Hellfritsch per la copertina del disco di sua moglie, per me uno dei migliori album dell’anno, viste da lontano in penombra con un occhio solo possono ricordare Depero ma si tratta di diavolerie non di caucciù ma digitali.
Foto dell’anno: MARTA CAVALLI che vince l’Amstel Gold Race Ormai per documentare un avvenimento una foto può essere sostituita da uno screenshot e forse non riusciamo neanche più a distinguere l’una dall’altro. E della prima vittoria importante della Cavalli, ottenuta con un gran colpo da finisseuse in una gara che non ha creato grandi distacchi, con tante cicliste sparpagliate sul rettilineo d’arrivo, abbiamo visto tante immagini che differivano di poco.
Quella sensazione di essere seguiti.
Collaborazione dell’anno: ORBITAL e SLEAFORD MODS I fratelli Hartnoll hanno smesso di litigare tra di loro ma con qualcuno dovevano prendersela, e allora si sono arrabbiati con i padroni del vapore, con i poteri forti, insomma con quelli là, però i due non cantano e per la bisogna, invece di rivolgersi a uno di questi gruppetti post-punketti sospetti fighetti che racimolano qualche copertina sulle poche riviste rimaste in vita, hanno fatto le cose per bene e hanno collaborato con gli Sleaford Mods in persona. E guardate come finisce il video, con Jason Williamson che si inventa un dito medio a manovella: è proprio un bambinone.
Impresa dell’anno: Campionato Mondiale di ANNEMIEK VAN VLEUTEN A vincere il Tour battendo Pogacar o a vincere il Mondiale maschile con una fuga da 60 km o ancora a percorrere quasi 57 km in un’ora sono capaci tutti, ma provate a rompervi un polso a cronometro il mercoledì e il sabato presentarvi alla partenza del Mondiale in linea con un tutore senza potervi alzare sulla sella, senza poter fare una fuga più lunga di quella di Evenepoel il giorno dopo, e vincere lo stesso con un colpo da finisseuse (e sono due).
A Vleuten, suo paese natìo, le hanno dedicato una pista ciclabile. Non le hanno fatto una statua per timore che cada e si rompa pur’essa.
Rivelazione dell’anno: CIRCUS MIRCUS Questo gruppo dalla Georgia (quella caucasica, non quella on my mind) ha realizzato diversi video ma non ha ancora inciso un disco nonostante abbia partecipato all’Eurovision Song Contest. All’Europa hanno presentato un pezzo più psicotico che psichedelico che potrebbe sembrare una cosa dei Django Django che abbiano finalmente ricevuto il dono della sintesi, ma sono stati esclusi già al primo turno, ultimissimi, come se i giurati di ogni ordine e grado in coro gli avessero detto di andare a zappare. Ma infatti, i Circus Mircus frankzappano che è un piacere.
Festeggiamenti dell’anno: MICHAEL VANTHOURENHOUT campione europeo di ciclocross Abbiamo visto Biniam Girmay festeggiato in patria con un grande corteo perché è stato il primo nero africano di colore dell’Africa nera a vincere una classica sul pavé e abbiamo pensato: che cosa pittoresca in questi paesi pittoreschi. Poi per Evenepoel vincitore di Vuelta e Mondiale e Vingegaard vincitore del Tour è successo lo stesso, omaggiati coram populo a fianco dei regnanti, quello del Belgio che deve continuamente ricordare ai suoi sudditi che il Re è lui e non Eddy I, e quello di Danimarca che ogni tanto fa delle battutine, C’è del marcio in Danimarca oppure Ci sono più cose in cielo e in terra eccetera, ma ormai non fa ridere più nessuno. E abbiamo sopportato i festeggiamenti argentini in quella Napoli che se non avesse la pretesa di essere capitale di chissà cosa chiederebbe l’annessione all’Argentina. E allora votiamo Michael Vanthourenhout. La sera dopo aver vinto il campionato europeo arriva a piedi al bar dei suoi tifosi in una piazza deserta, accompagnato dalla famiglia e accolto da 1 telecamera 1 cellulare e 8 persone, qualche applauso e poi con la maglia stellata va dietro il bancone a spillare la birra.
-E gli altri quando arrivano? -Quali altri?
Video dell’anno: Stevie delle WARPAINT Avrei potuto nominare un video di quelli di Kendrick Lamar o uno di Aldous Harding, oppure uno di quelli folli dei Circus Mircus che non so neanche in che anno li abbiano girati, ma pure il video post-estivo di Post-Malone che però, se non avessero pixellato Doja Cat che corre per i campi in topless, ho l’impressione che sarebbe venuto meglio. Ma ne scelgo uno semplice semplice: una sala vuota, forse una palestra fallita, o un cinema chiuso, o il corridoio di una scuola non ancora crollata, o una gelateria sconsacrata (questa è una citazione), ma poi che ci importa, e una ragazza che danza come solo una dilettante sa fare. La ragazzona è Emily Kocal che ci ricorda i tempi in cui ipotizzavo che le sirene di Ulisse dovessero essere tipo le Warpaint.
Vittima della Burocrazia dell’anno: MARIANNE VOS a Vårgårda Il Sultano della Campania continua a dire che avvierà la sbburocratizzazione con due b per evitare che chi vuole costruire un albergo mezzo sulla spiaggia e mezzo nell’acqua del mare rischi di essere strangolato dalla bburocrazia, ormai sono anni che lo dice ma il problema è che i politici dovrebbero mettere mano a leggi intricate scritte da altri politici con le menti altrettanto intricate, e hai detto niente. E voi, avete un appalto bloccato da tempo? Benone, approfittatene per leggere un buon libro, magari due, però di quelli lunghi. O vi hanno tolto la pensione perché da qualche parte risultate un po’ deceduto? Eh, quante storie, pensate alla salute. Comunque, questo è niente in confronto a quello che è capitato alla ragazza del Brabante. La stagione già volgeva al termine, Marianne aveva vinto tappe qui (Giro) ou là (Tour) ma nessuna classica in linea, e capitava a fagiuolo questa corsa svedese che faceva parte della Coppa del Mondo da prima che rendessero unisex le classiche già maschili. Vos ha dominato e vinto la corsa, ma un solerte commissario dell’UCI ha notato che per tre secondi la campionessa ha tenuto gli avambracci sul manubrio, posizione molto praticata in passato tanto da diventare un gesto istintivo ma da poco vietata perché, al contrario delle transenne basculanti, è molto pericolosa. E allora Marianne poteva essere ammonita o multata ma il commissario ha pensato di punirne una che vale 100 per educarne 100 e l’ha squalificata. Alla fine la pia ragazza ha commentato che le regole sono le regole, dando uno schiaffone morale a quelli che vanno a piangere nei programmi di impegno incivile senza contaddittorio.
(E collegato potrebbe esserci anche l’award che non c’è, quello per la ricerca su internet dell’anno, ma meglio non assegnarlo perché sembrerebbe che stiamo a fare i pettegolezzi. Dunque, quando ha vinto la sua prima tappa al Tour, Marianne, persona riservata di cui è noto il fratello fotografo, ha ringraziato anche la sua compagna, e subito tutti su internet per cercare di capire chi fosse. Non è nel plotone, non più, ritiratasi senza una vittoria. Però con le prime gare gravel ufficiali cui hanno potuto partecipare tutti, Moniek Tenniglo è tornata a correre nel primo campionato dei Paesi Bassi ed è arrivata seconda precedendo pure la schiacciasassi Lorena Wiebes. Ma davanti, molto davanti, per l’ennesima volta prima, c’era quella là.)
Nel 2022 in Italia sono stati pubblicati due capolavori a fumetti provenienti dal Nord, uno dal Brabante e uno dall’Ontario, ma il copyright del secondo, George Sprott di Seth, pubblicato qui da Coconino, risale al 2009 quando furono raccolte in volume le storie pubblicate sul New York Times Magazine. Di Seth ho letto anni fa due libri pubblicati dalla vecchia Coconino di Igort e mi sono procurato anche il cd Lost In Space di Aimee Mann assicurandomi che dentro ci fosse il piccolo libretto da lui disegnato. Lo stile grafico di Seth è ispirato ai vecchi comics umoristici e le storie sono generalmente nostalgiche e malinconiche, rispecchiando – a quanto pare – il carattere dell’autore, che non si direbbe mai che abbia un passato filo-punk. La vita del viaggiatore George Sprott, che conduceva su una tv locale una trasmissione sui suoi viaggi nell’Artide intitolata “Splendori boreali”, è raccontata in maniera non lineare, non in ordine cronologico e dandone un ritratto contraddittorio, da parte di vari personaggi che l’hanno conosciuto, e questi testimoni rivelano qualcosa anche delle loro vite, per cui alla fine si potrebbe dire che il protagonista principale, pur pieno di difetti e rimpianti, sia l’unico che abbia fatto qualcosa con entusiasmo. La divisione delle pagine in vignette varia e le tavole sono tutte in bianco nero più un terzo colore che cambia volta per volta, in questo ricordando l’altro capolavoro dell’anno, Eldorado di Tobias Tycho Schalken. E come le storie più propriamente fumettose del compaesano di Marianne Vos erano intervallate da riproduzioni di quadri e foto di installazioni, nel libro del canadese tra un capitolo e l’altro ci sono disegni di due pagine oppure foto di modellini in cartone ondulato degli edifici raffigurati nel romanzo, che sono stati anche oggetto di mostre.
Chissà se gli altoprofilati hanno quantificato a quanti imbrogli per il reddito di cittadinanza equivale un solo imbroglio per il bonus 110% trattabile.
Alla fine di un anno di chiacchiere sulla crisi del ciclismo (maschile su strada) arriva la tragica spiegazione del perché, e il governatore della regione in cui è morto Davide Rebellin si augura che i ragazzi lo prendano come esempio. Perché i ragazzi dovrebbero prendere a esempio uno che muore a 51 anni?
Di quello cattivo ne scrivo stasera, ché se nel frattempo dovesse finire il mondo almeno state informati su quello che ne vale la pena. Tobias Tycho Schalken è un artista nato a ‘s-Hertogenbosch, e chissà cosa c’è nell’aria da quelle parti visto che ci sono nati Hyeronimous Bosch e Marianne Vos. Schalken ha pubblicato quattro volumi a fumetti realizzati a 4 mani, non però una per volume, insieme al suo concittadino Stefan Van Dinther. Quando poi ha pubblicato il primo libro a suo nome poteva starci che si trattasse di una raccolta di cose fatte qua e là o inediti, tipo un’antologia, come per esempio fu Apocalypso di Tuono Pettinato. Però Schalken non è solo fumettista ma un artista visivo completo, pittore scultore e installatore, e così nel librone intitolato Eldorado e pubblicato in Italia da Coconino troviamo storie a fumetti ma anche dipinti sculture e foto di installazioni all’insegna di un iperrealismo surrealista o di un surrealismo iperrealista. L’autore ci dice che l’Eldorado è il luogo ideale dei nostri desideri, irraggiungibile e mutevole, e che il filo rosso che unisce le sue opere è la malinconia. Sono tutti degni di nota i fumetti: Pete’s Blues è una divertente presa in giro di un cowboy che dà la colpa di tutto agli indiani. In Le luci di casa seguiamo due racconti contemporaneamente, uno dato dalle didascalie che parlano di eventi passati e uno dai disegni, racconti che si congiungono per poi separarsi di nuovo. Altre storie dicono molto con poche parole (Eldorado) o anche senza (That Bright Land). Tredici è raccontato da un ragazzino inquieto che non vedremo mai, i disegni mostrano i paesaggi attraversati, edifici, cantieri, interni, pianure che ricordano quelle del Limburgo dove passa l’Amstel Gold Race, ma c’è anche un cumulo di rifiuti che sta per diventare una montagnola, come il VAMberg nel Drenthe, ma queste ultime sono solo mie suggestioni ciclistiche e poi il fumettista è del Brabante, e in più c’è anche la frase finale della storia che gli amanti degli aforismi potrebbero mettere in repertorio e citare spesso, anche a sproposito come sono soliti fare. Eldorado è un libro che mi sento di consigliare solo a chi può permettersi la spesa di 29 euro e ha lo spazio in libreria, perché è un bel tomo anche se non cartonato come da recente brutta tendenza, ma è un libro praticamente epocale, e io, che per indisponibilità economica ai tempi ho perso una pietra miliare della grafica come Griffin & Sabine che ancora sto a rimpiangere, non volevo perdere pure questa pietra miliare dell’antologismo (e penso che i 29 euro spesi mi diano diritto a creare un neologismo).
La prossima volta che pubblicate un volume o una collana sulle donne che hanno fatto grandi cose e sono simboli di emancipazione eccetera, e cominciano sempre con Frida Kahlo che io non so se è una buona idea, cioè brava artista povera disgraziata che ne ha passate tante ma sopportava pure quel chiattone del marito che le metteva le corna, e poi perché Frida Kahlo sempre e Tina Modotti mai? Ecco, ora non ricordo più di cosa stavo scrivendo. Ah, sì, perché oltre a Frida Kahlo Alfonsina Strada eccetera non inserite pure Beatrix Potter? O forse pensate che questa qui che disegnava conigli topi e scoiattoli vi abbassa la media? In epoca vittoriana, quando gli “iraniani” eravamo noi europei, a Beatrix Potter i genitori impedirono di iscriversi al college, la sua domanda per studiare ai Giardini Botanici di Kew fu respinta, studiò i funghi che disegnò in 270 acquerelli ma la Royal Society non volle pubblicarli, e tutti questi rifiuti perché era una donna. Su proposta di un’amica inviò il racconto illustrato The Tale of Peter Rabbit a vari editori ma tutti lo rifiutarono, e allora ne pubblicò 250 copie a sue spese. E a me questa cosa piace, forse anche perché l’autopubblicazione, i piccoli numeri, hanno a che fare con il punk, con la filosofia dell’arte postale, e poi se leggete Paolo Albani troverete citate piccole autoproduzioni, plaquette in poco più di una decina di copie, qualcuna addirittura pubblicata in occasione del matrimonio dell’autore, insomma una libidine come direbbero gli ignoranti. Tornando a Peter Coniglio, una copia del libro fu notata da un editore che volle stamparlo ed ebbe successo, e così Beatrix Potter divenne l’illustre narratrice illustrata che voi conoscerete, anche perché lei volle che i suoi libri costassero meno degli altri che erano poco accessibili, e ancora oggi è così.