Ci sono un fumetto buono e uno cattivo.

Di quello cattivo ne scrivo stasera, ché se nel frattempo dovesse finire il mondo almeno state informati su quello che ne vale la pena. Tobias Tycho Schalken è un artista nato a ‘s-Hertogenbosch, e chissà cosa c’è nell’aria da quelle parti visto che ci sono nati Hyeronimous Bosch e Marianne Vos. Schalken ha pubblicato quattro volumi a fumetti realizzati a 4 mani, non però una per volume, insieme al suo concittadino Stefan Van Dinther. Quando poi ha pubblicato il primo libro a suo nome poteva starci che si trattasse di una raccolta di cose fatte qua e là o inediti, tipo un’antologia, come per esempio fu Apocalypso di Tuono Pettinato. Però Schalken non è solo fumettista ma un artista visivo completo, pittore scultore e installatore, e così nel librone intitolato Eldorado e pubblicato in Italia da Coconino troviamo storie a fumetti ma anche dipinti sculture e foto di installazioni all’insegna di un iperrealismo surrealista o di un surrealismo iperrealista. L’autore ci dice che l’Eldorado è il luogo ideale dei nostri desideri, irraggiungibile e mutevole, e che il filo rosso che unisce le sue opere è la malinconia. Sono tutti degni di nota i fumetti: Pete’s Blues è una divertente presa in giro di un cowboy che dà la colpa di tutto agli indiani. In Le luci di casa seguiamo due racconti contemporaneamente, uno dato dalle didascalie che parlano di eventi passati e uno dai disegni, racconti che si congiungono per poi separarsi di nuovo. Altre storie dicono molto con poche parole (Eldorado) o anche senza (That Bright Land). Tredici è raccontato da un ragazzino inquieto che non vedremo mai, i disegni mostrano i paesaggi attraversati, edifici, cantieri, interni, pianure che ricordano quelle del Limburgo dove passa l’Amstel Gold Race, ma c’è anche un cumulo di rifiuti che sta per diventare una montagnola, come il VAMberg nel Drenthe, ma queste ultime sono solo mie suggestioni ciclistiche e poi il fumettista è del Brabante, e in più c’è anche la frase finale della storia che gli amanti degli aforismi potrebbero mettere in repertorio e citare spesso, anche a sproposito come sono soliti fare. Eldorado è un libro che mi sento di consigliare solo a chi può permettersi la spesa di 29 euro e ha lo spazio in libreria, perché è un bel tomo anche se non cartonato come da recente brutta tendenza, ma è un libro praticamente epocale, e io, che per indisponibilità economica ai tempi ho perso una pietra miliare della grafica come Griffin & Sabine che ancora sto a rimpiangere, non volevo perdere pure questa pietra miliare dell’antologismo (e penso che i 29 euro spesi mi diano diritto a creare un neologismo).

Una tavola di “Tredici”.

Piranesi per ignoranti

Fino a pochi mesi fa ne sapevo molto più di GiBì Baronchelli che di GiBì Piranesi, solo un nome sentito o letto da qualche parte, e se mi avessero chiesto chi era avrei risposto: un pittore? Se avete conosciuto l’incisore frisone Maurits Cornelis Escher perché vi hanno regalato un puzzle tratto da qualche sua opera oppure, come me, l’avete scoperto preparando la tesi di laurea sulla psicologia della percezione visiva, e vi è pure piaciuto, allora potrà piacervi anche il suo collega, ma vissuto due secoli prima, Giovanni Battista Piranesi che lo ispirò. Pochi mesi fa in una televendita proponevano una raccolta di sue stampe che raffiguravano vestigia di antichi templi, in alcune c’erano greggi che pascolavano, niente di strano perché in passato la visione sacrale delle opere d’arte, o almeno la loro cura, non erano intese come oggi almeno sulla carta, basti pensare che quando il Colosseo fu dismesso non se ne cambiò la destinazione d’uso ma divenne in pratica un giacimento, un magazzino di materiali, saccheggiato soprattutto dagli alti prelati. Piranesi nacque forse a Mogliano Veneto o forse a Venezia, iniziò come pittore, ma non è citato ne La Storia dell’Arte di Ernst H. Gombrich, non è popolare e infatti non si va vedere L’Ultima Cena di Piranesi o La Pietà di Piranesi o il David di Piranesi, non ha fatto questo genere di cose, era agli inizi soprattutto architetto e cercò fortuna a Roma ma non la trovò finché non si decise a darsi all’incisione, in particolare all’acquaforte, e finché non iniziò a bazzicare i potenti prelati, e peccato che all’epoca non esistevano i fumetti, sarebbe stato un valido umanoide associato. Le opere più particolari di Piranesi furono le fantasiose ricostruzioni di siti romani, che in alcuni casi ricordano vedute indiane, e le altrettanto fantasiose carceri con architetture impossibili.

Dentro la testa di Piranesi Roma poteva essere stata così.

Nacque rococò perché definiva capricci alcune sue opere e pare che i rococò fossero capricciosi, poi si immerse nella grandiosa fatiscenza romana e sembrava diventato neoclassico, ma poi arrivò il romanticismo che disse: Ehi, sei uno di noi, yeah! e questo proprio per le cupe visioni delle carceri che avrebbero ispirato Il Castello di Otranto di Horace Walpole. Quello che è certo è che Piranesi era convinto della superiorità dell’arte romana su quella greca, e sosteneva che semmai era stata l’arte etrusca a influenzare quella romana e non quella greca, insomma una faccenda che rimaneva tra i confini di quella che poi sarebbe diventata l’Italia. E allora, se dalle imminenti elezioni verrà fuori un governo sovranista, mi aspetto che comprendano che è questa la prima priorità principale del paese e decretare la sostituzione dei puzzle tratti dalle stampe di Escher con nuovi tratti da Piranesi.

Piranesi versus Escher

Visibìlia – Se ti lascio ti cancello

Se due persone normali si lasciano ne fanno un dramma, se capita a Marc Almond lui ne fa un melodramma. Per dire Almond è appassionato di musica passata e continentale, tipo gli chansonniers, e la copertina di un suo disco imitava quelle della Deutsche Grammophon. Quando faceva comunella con Dave Ball ai tempi dei Sotf Cell cantava alla sua ex (anche se qui ci vorrebbe lo schwa ma me ne guardo bene dall’usarlo) di togliergli le mani di dosso e di guardare la sua faccia per l’ultima volta e poi chi s’è visto s’è visto, anzi, lui non l’ha mai conosciuta, pussa via!

Say Hello, Wave Goodbye

Il video diretto da Tim PopePeter Christopherson è rinfrescante perché ci piove dentro.

La Zeriba Suonata – Un disco che invece no

L’altro giorno ho scritto di un disco che non riesco a estrarre dal lettore cd, oggi invece ve ne presento uno che per ascoltarlo una seconda volta mi sono dovuto sforzare. Avete presente quei personaggi come Bowie o Bjork che, oltre alla loro enorme bravura, hanno saputo sentire cosa succedeva di interessante nella musica e circondarsi di artisti innovativi a prescindere dalla loro fama? Bene, Davide Toffolo è l’opposto. Già anni fa collaborò con il cantante dei Ligajovapelù e questo gli valse da parte mia una lunghissima quarantena terminata solo quando me n’ero quasi dimenticato. Ora i Tre Allegri Ragazzi Morti hanno pubblicato Meme K Ultra insieme a un gruppo rap che avevo solo sentito nominare, i romani Cor Veleno. Un gruppo ironico, ho letto da qualche parte. Boh, credevo che in natura non esistesse un gruppo rap italo-ironico, ma non si può mai dire. E invece no, anche con questi, come con tanto rappume italico, ogni verso è una sentenza e ogni canzone è un comizio, ci sono le solite lamentele sui social che non se ne può più quando vengono da gente che sulla rete ci sta, e alla fine suonano meglio le canzoncine più pop a prevalenza TARM, anche se alla sua età Toffolo a volte continua a parlare di adolescenza. Poi mi ha deluso pure la confezione, avevo letto che la grafica l’ha curata Alessandro Baronciani che però stavolta si è limitato a mettere insieme il tutto in maniera abbastanza tradizionale, ma i disegni e un collage bruttino sono sempre di Toffolo. Ma questo disco troverà i suoi estimatori, specialmente tra chi si sente o vuole sentirsi più libbero, più diverzo, pure più migliore.

La gente libera

La Zeriba Suonata – musica in bianco e nero

Italians do it better? Non saprei, però di sicuro meglio dei russi, il rockabilly gotico intendo. Ripeschiamo i Not Moving da Piacenza: le loro copertine erano sempre in bianco e nero, forse per estetica punk-gotica o solo perché costava meno, e il disco antologico Light/Dark aveva addirittura la copertina nero su nero. Nei primi 80 comprai per posta un sestetto di 45 giri per lo più punk e tra questi c’era Movin’ Over, il secondo singolo dei Not Moving nella cui formazione erano appena entrati la cantante Lilith e il chitarrista Dome La Muerte (niente paura, è solo il nome d’arte). Non ricordo quanto lo pagai, non più di 1000/1500 lire, ora su Discogs lo trovate tra i 14 e i 45 euri, prezzi da paura, prezzi gotici.

Not Moving – Behind Your Pale Face

La Zeriba Suonata – L’ultimo dei Kevin

Kevin Ayers era un genio e che ne parliamo a fare. Kevin Coyne era un musicista di culto. Kevin Rowland ha avuto il suo periodo di successo nonostante la salopette di jeans. Ma ‘sto Kevin Hewick chi cavolo era? Andiamoci piano prima di fare queste affermazioni, che poi non sono neanche affermazioni ma domande. Kevin Hewick da Leicester alla fine dei 70 fu uno dei primi musicisti a essere ingaggiato da Tony Wilson per la sua storica etichetta Factory. In Italia sarebbe stato etichettato come cantautore ma faceva musica molto chitarrosa e nel periodo diciamo di Manchester suonò anche con i residui Joy Division un minuto prima che diventassero New Order.

Haystack

In seguito ci furono delle incomprensioni con Wilson e Hewick passò alla Cherry Red. In quel periodo suonò anche con i Sound. Nei primi 80’s un suo 45 giri finì troppo presto nelle offerte e lo comprai assieme ad altro ciarpame punk a 7 pollici come The Fall, Raincoats, Crass e Not Moving. Ma il disco di Hewick lo sporco invece di suonarlo lo attirava perché la copertina raffigurava un viso stilizzato e gli occhi non erano disegnati ma erano proprio dei buchi che facevano passare la polvere. Così lo registrai su una cassetta fidando nella lunga vita di quel supporto (!) e il viniletto faccio finta di non ricordare che fine fece. Oggi grazie alle meraviglie del diabolico internet posso ascoltare quello e altro di questo musicista che ha avuta una carriera precaria e poco prolifica anche a causa di problemi personali, ma avrebbe meritato di più.

Ophelia’s Drinking Song / Cathy Clown

He Holds You Tighter

Stradario del paradiso

Sono partito da La banda dei sospiri anche perché in copertina c’era un’illustrazione fumettosa di Antonio Faeti, saggista pedagogista e illustratore noto a chi leggeva (di) fumetti negli anni 80.

Quando lessi Lunario del paradiso capii che la città mai nominata in cui vagava il protagonista era Amburgo perché corrispondeva a quella vista in tivvù durante le dirette della corsa ciclistica che vi si disputa dagli anni 90.

Quando cito Bartleby lo scrivano uso l’espressione “avrei preferenza di no” perché è quella adottata e motivata da Gianni Celati nella sua traduzione.

Forse l’aver studiato sociologia e altre scienze velleitarie mi ha fatto apprezzare ancor di più il finto saggio antropologico Fata Morgana, al pari di Storia naturale dei giganti del suo amico Ermanno Cavazzoni, un libro che nelle veste grafica ed editoriale mi ricordava i libri de Il Mulino o di FrancoAngeli che studiai all’università.

E Cavazzoni rimase sconcertato quando Celati gli disse di voler lasciare l’Italia e con essa la cattedra universitaria con annesso stipendio.

L’interesse di quei due e dei loro allievi, degni o degenerati, per i poemi cavallereschi mi spinse ad affrontare L’Orlando Furioso, anche se nella versione col tutoraggio di Italo Calvino, che altrimenti sarebbe rimasto chiuso nelle dimenticanze di scuola. Ne trovai la versione disponibile allora che era senza figure, ma quando poco dopo averlo finito scoprii che esisteva pure una versione illustrata da Grazia Nidasio, l’autrice di Valentina Melaverde, la cercai e l’edizione triste senza figure la feci a fette come Orlando i suoi nemici, salvando solo la copertina di Doré.

Però la narrativa non mi bastava, mi sono mosso in tutte le direzioni, aggiungevo volta per volta un numero della mai sentita rivista Riga, trovato fortuitamente in una libreria che non c’è più, tre documentari girati in Italia e uno girato in Africa e pure un volumone sulle sue prime cose, cioè storie con foto e performance teatrali, che per fortuna non ho ancora letto così in casa ho ancora qualcosa di suo da leggere, ma potrei trovare altro materiale, chissà.

Verrebbe da dire che nonostante i suoi precedenti teatrali Celati era un tipo riservato, niente a che vedere con i Baricchi le Murgie e i Saviani.

Quel tipografo è un drago

Ieri scrivevo di quando non potevo comprare molta musica, ma nello stesso periodo ovviamente non potevo nemmeno permettermi libri relativamente costosi, come Griffin And Sabine di Nick Bantock, un romanzo epistolare in cui le cartoline e le buste erano riprodotte tipograficamente, insomma non c’era l’illustrazione della busta ma la busta con dentro la lettera. Oggi il libro si può trovare su ebay a prezzi ancora più alti e senza la certezza che ci siano tutti i “pezzi”. Non so se sia stato il primo libro del genere, in seguito c’è stato qualcosa di analogo come una storia non in volume ma in scatola di Alessandro Baronciani. E quando nel mio girovagare tra i libri per ragazzi mi sono imbattuto in La posta del drago dell’illustratrice britannica Emma Yarlett, pubblicato in Italia dalla finora sconosciuta Sassi Editore nel 2018 e finito con chissà quale giro alla Feltrinelli locale, forse è stato anche per questo rimpianto che non ci ho pensato due volte a prenderlo, o forse l’avrei preso comunque. Il libro è la storia di un bambino che trova un drago in casa sua e chiede informazioni in giro su cosa fare tramite lettere. Nel libro sono riprodotte le risposte con tanto di busta e lettere incluse, ma sarà che è un bambino maldestro o che non dispone di un tagliacarte, sarà la sua fretta di leggere quelle risposte, le buste sono tutte strappate per la gioia del tipografo che ha dovuto realizzare i desiderata dell’autrice.

ultime cartoline

Nel primo anno di vita di questo blog vi segnalai un librone sulle cartoline che negli anni del boom raffiguravano luoghi periferici o che comunque non si possono considerare parte della famosa “grande bellezza”. Ora invece il Saggiatore ha pubblicato un libretto intitolato Tanti cari saluti, con ben due sottotitoli: “Cartoline dall’Italia e “Storia trash delle nostre vacanze”, di Lorenzo Marchionni, grafico che cura una pagina instagram sull’argomento. Le pagine del volume in realtà sono proprio cartoline che, anche se sul retro hanno stampati piccolo testi superflui, possono essere staccate e spedite, e si tratta di riproduzioni di vere cartoline edite in anni più recenti rispetto a quelle “periferiche”, diciamo gli ultimi 40 anni, e definite trash anche se su questo termine si è molto discusso tra i 90 e gli 00 ai tempi del Grande Revival Generale. Il libretto non ha lo stesso approccio sociologico del librone di Caredda ma è tutto sommato divertente, le immagini sono generalmente dozzinali e di cattivo gusto, e sembra che non importi più mostrare il luogo in cui si passano le vacanze, come se tutto fosse già noto, e ai tipici panorami non tutti invidiabili – basti pensare alle spiagge assediate da alberghi e bagnanti – si sovrappongono ingombranti scritte e disegnini, o donnine seminude, ma la mia preferita è quella che raffigura San Petronio in Bologna minacciata da un Papa in versione Godzilla.

La Zeriba Suonata – frullati britannici

E alla fine, anche se non frulla più come ai tempi in giallo, Chris Froome sarà alla partenza anche del Tour 2021. Ma in Gran Bretagna c’è chi è stato definito “frullatore” prima di lui, cioè The Go! Team, cangiante band di Brighton che è stata definita così forse non solo perché mischia musica suonata e samples, indie pop chitarroso e hip hop, girl group pop anni 60 ma pure 80 e 00 e musica da telefilm, ma anche perché i loro pezzi in genere sono veloci. The Go! Team sono frullatori, fracassoni e fanfaroni, nel senso che in alcuni dei loro pezzi scatenati si sentono anche fiati in quantità, praticamente una fanfara come in Bust-Out Brigade, e si potrebbe dire che a volte il loro sembra il pop secondo le cheerleaders, come in Ladyflash. Pure le copertine dei dischi sono chiassose e colorate, piene di collages o disegnini, e allora, come si chiedeva un ragazzo russo nei commenti a un loro video, perché non sono diventati delle star mondiali? Beh, intanto sono comunque dei VIP, almeno per qualcuno, come suggeriscono in Everyone’s A V.I.P. To Someone. Poi non sono delle star perché questo è un mondo ingiusto brutto e triste, e questa è un’altra ragione per lasciare che si distrugga: Reason Left To Destroy.