Qualche giorno fa ho azzardato un immaginario urbano per il drum’n’bass (azzarda qui), ma nel 1998 i 4 Hero, l’ultimo grande gruppo della prima fase di quel genere musicale che ogni tanto fa sentire la sua influenza, pubblicarono l’album Two Pages che conteneva il brano Star Chasers in cui si parlava di cacciatori di stelle, ma era solo in senso figurato, cantavano di faccende esistenziali e sentimentali. Il video infatti inizia che sembra di essere ancora in Inner City Life di Goldie o in Brown Paper Bag di Roni Size/Reprazent, poi la cantante featurista Face esce a prendere una boccata d’aria in mezzo alla natura, ma la città è sempre incombente. Per quello che mi riguarda il video è di autore ignoto, nel senso che non sono riuscito a scoprire chi l’ha diretto.
Non avevo intenzione di comprare First Two Pages Of Frankenstein dei The National (4AD, 2023), ma non per invidia verso il cantante Matt Berninger che trova sempre belle cantanti con cui duettare, no, semplicemente non credevo. E invece.
(Mi piace questa recensione: molto professionale.)
Prima era jungle poi divenne drum’n’bass, e altro che giungla, era una musica molto urbana. Già vi proposi il video metropolitano di Brown Paper Bag di Roni Size/Reprazent, ma un paio di anni prima una pietra miliare del genere intitolata non a caso Inner City Life, singolo anticipatore dell’album Timeless, era accompagnata da un video molto suggestivo con una città ripresa ora dal basso ora dall’alto (in quel caso un carrello cadeva da un palazzo) e con una luce solare resa più intensa dai colori virati in seppia e indaco. Il brano è di Clifford Joseph Price, in arte Goldie, dj che è stato compagno Bjork che gli fece conoscere la musica di Henryk Gorecky, e una volta, con una battutina, o gaffe, lasciò intendere che Banksy sia il collega Robert Del Naja. Canta Diane Charlemagne, una delle formidabili cantanti che in quegli anni hanno avuto più gloria nei brani altrui. Dirige (il video) Mike Lipscombe che ha lavorato anche per Des’ree, Tori Amos, Tricky e Jamiroquai.
In questa canzone Priscilla Ahn ci racconta che ha un ragazzo sensibile e allora gli chiede di leggerle una poesia, ma il problema è che lui è molto sensibile, in particolare a due cose.
Personaggi. Schlik e Schlok: una coppia in cerca di un utero da affittare; Ymo: rappresentante della comunità locale; Coro greco-romano.
Si apre il sipario
Schlik:Buenas dias, hombre.
Ymo:Buenas dias, gringos.
Schlik: Oh, no no. Noi non siamo gringos. Anzi siamo sempre stati contro gli yankees e a favore dei pellerossa.
Schlok:E’ vero, al cineclub abbiamo pure visto tutto un ciclo di film dalla parte degli indiani.
Schlik:E abbiamo pure firmato la petizione contro i palloni di calcio cuciti dai bambini.
Ymo:No ve gusta el futbol?
Schlok:Proprio no… (si interrompe notando che Ymo indossa la maglietta di una squadra di calcio).
Coro:Po popopo po po po!
Schlik:Entiende, noi siamo dei benefattori occidentali e vorremmo portare un po’ di ricchezza in questo posto povero e squallido.
Ymo: Disculpe, si tu me telefonava ve stendevo un tappeto rojo. E que volete fare, costruire una fabrica por dare trabajo?
Schlok:No.
Ymo:Un hospital?
Schlok:Neanche.
Ymo: Una escuela?
Schlok:Ma no.
Ymo:Una iglesia? No, gracias, ne habemos ya muchas.
Schlik:Niente di tutto questo. Noi cerchiamo una ragazza in buona salute per avere un figlio.
Ymo:Porque, al vuestro pais no se tromba?
Coro:Alé OO Alé OO!
Schlik:Ma no, cerchiamo una ragazza che faccia la fame ma sia in buona salute e sia disposta ad affittare il suo utero per fare un figlio per noi due, perché in Italia è vietato. Paghiamo bene, eh!
Ymo:Escucha, aqui vicino hay l’Orfanato donde estan mil niños abandonados. Porque non ne adoptate uno, dos, tres?
Schlok: Ma noi abbiamo molti soldi, possiamo spendere e il figlio lo vogliamo nuovo, non usato.
Coro: Money don’t get everything it’s true / What it don’t get, I can’t use /I want money / That’s what I want!*
Sipario pietoso
* Money (That’s What I Want) è una canzone di Berry Gordy e Janie Bradford
Take Me Apart (Warp, 2017), suo primo disco, perlomeno ufficiale, forse già secondo, mi era piaciuto molto, non subito però, quando ci sono ritornato, ma su di lei non mi ero informato. L’ho fatto per il suo secondo album intitolato Raven (Warp, 2023), un flusso di drum’n’bass, r’n’b e pure un po’ di trip hop, recensioni tutte molto positive tranne uno che diceva Ma, Bah, e ho letto che Kelela di cognome fa Mizanekristos ed è etiope, la bellezza di internet che ci trovi tutto e il contrario di tutto, perché lei infatti è nata a Washington. Ho capito, lei è etiope come Thao Nguyen è vietnamita. E non è neanche giovanissima, ha 40 anni e ha fatto gavetta, niente talents in cui avrebbe dovuto stracciare tutti, prima jazz poi in progetti di altri compresi i Gorillaz, e poi i suoi dischi solisti. Il primo paese in cui è entrata in classifica, anche se non ai primissimi posti, sembra che sia stato il Belgio dove evidentemente non conoscono solo i Ricchi e Poveri.
Gli aspiranti Omèri del pc, alla fine di un Giro poco combattuto dai big, per avere qualcosa di epico da scrivere attendevano ormai solo il tappone con l’arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, troppa montagna pregna di troppa epica, qualcosa accadrà. La fuga dei peones e semipeones va lo stesso perché i big alla tappa non ci tengono, vince il redivivo/recidivo Santiago Buitrago, e dietro proprio negli ultimi km Primoz Roglic fa un attacchino ma Gerainthomas risponde e fa un rilancino, però Roglic fa un recuperino e guadagna 3 secondini. Delusi? Ma questi due hanno 34 e 37 anni, sono stati sempre dei regolaristi e corrono come gli conviene, sono gli altri che dovrebbero tentare sfracelli. Dove sono i giovani? Già, Evenepoel è a casa, Hart ancora in ospedale, Almeida non è ancora pronto se mai lo sarà e Dunbar è quasi sicuro che mai lo sarà. Speranze per il futuro possono essere Arensman gregario di Thomas e Leknessund a cui l’anno prossimo nessuno gli lascerà più prendere la maglia. Vabbe’, l’ultimissima speranza per gli Ariosti di provincia è la discussa cronoscalata di Monte Lussari. Una mulattiera lastricata di cemento non continuo ma interrotto dalle canaline per far scorrere l’acqua, anche i Cantastorie del ciclismo che non seguono la mtb se la faranno piacere. Chi invece la definisce una farsa è il boss Lefevere, e subito l’accusano di volersi rifare della vicenda del suo pupillo Evenepoel, ma bisognerebbe ricordare che la sua squadra negli anni 10 vinceva la Paris-Tours ma da quando nel percorso hanno inserito gli chemins de vigne la squadra non l’ha più mandata nonostante avesse elementi in grado di vincere ancora, quindi non è una posizione nuova, solo ci sarebbe da chiedergli: e allora la Roubaix e tutte le altre corse sul pavé? Lefevere dice che il sindacato avrebbe dovuto opporsi perché la presenza di una moto al posto dell’ammiraglia non è un buono standard professionale, e infatti un meccanico ha detto che sperava di non colpire nessuno con la bici di riserva. E poi nessuno ha pensato a un altro aspetto: nelle crono ai ciclisti superati da qualche avversario è proibito prenderne la scia, ma in una strada così stretta come si fa a stare dall’altra parte della carreggiata? Essendo il percorso diviso in due con una prima parte piattissima e la seconda su per la mulattiera con l’ultimo km tipo ottovolante, il cambio di bici a metà percorso diventava praticamente obbligato, ma a quel punto sembrava proprio di vedere un altro sport, tipo duathlon se non Giochi senza frontiere. E alcuni hanno affrontato la gara con spirito giocoso, da Gloag che chiamava la standing ovation a Rex che impennava mentre Cavendish, pur venendo dalla pista e non dalla mtb, dava il 5 al pubblico come se fosse davvero fuoristrada. Ma chi puntava alla vittoria non si poteva distrarre, e in un ciclismo in cui si può vincere per meno di un secondo le squadre più ricche, manco a farlo apposta quelle dei due contendenti, lavorano molto sui cosiddetti “marginal gains” cioè i vantaggi derivanti dai dettagli, come l’alimentazione o tutti i componenti della bici e delle divise, e in gara c’è stato anche chi, come Thomas, ha cambiato il casco insieme alla bici per togliere quello aerodinamico e mettere quello normale più leggero e quindi più adatto alla salita.
Non a caso il suo sponsor principale si chiama “Circus”.
With A Little Help From My Friends
Se avessi dovuto simpatizzare per uno dei due avrei avuto difficoltà, troppe sfortune per entrambi, troppi infortuni, qualcuno dovuto a loro errori qualcun altro assurdo come la borraccia che alla partenza della prima tappa del Giro 2020 scappò a un ciclista e rotolò fino alla ruota di Thomas, e poi questa potrebbe essere la loro ultima occasione di vincere un grande giro, forse questo vale soprattutto per il 37enne gallese perché il 34enne sloveno ha ancora tempo. Rogla il tempo può averlo tanto più perché alla fine vince lui, nonostante un problema e anche un falso allarme. Prima c’è il panico seminato da Petacchi perché da buon commentatore RAI non conosce il regolamento e non sa (lo sapevo io che non sono del mestiere) che la posizione con gli avambracci sul manubrio, quella che l’anno scorso costò una squalifica alla Vos in una gara dominata, è vietata solo per le gare in linea e non per le cronometro, e quando Roglic, che proprio di Marianna è compagno di team, per pochi secondi assume quello posizione, Petacchi si desta dal suo torpore e fa notare la “posizione vietata”. Che occhio di lince, strano che non abbia notato, né lui né gli altri della RAI, due bidon collé di Zana nella tappa da lui vinta. E secondo me se chiamavano Giada Borgato lei avrebbe saputo la risposta, ma hanno raccolto informazioni nei dintorni e hanno fatto finta che si tratti di una “posizione tollerata” dall’UCI. La trasmissione tivvù in generale è stata un vero disastro, funestata da scelte registiche infelici e continue interruzioni pubblicitarie, ma neanche di riferimenti cronometrici ce n’erano molti, e solo a pochi km dall’arrivo, dopo che Roglic ha avuto un problema meccanico, si è saputo che era in vantaggio. In quel momento c’è stata l’ennesima gaffe della Jumbo perché il meccanico è corso con la bici in spalla e ha colpito Roglic mentre gli dava una spinta, ma per fortuna a quello ha provveduto uno spettatore che poi L’Equipe ha riconosciuto come un suo compagno di squadra, ma dei tempi in cui faceva salto con gli sci.
“Anche tu da queste parti?”
Però lo sloveno non è andato nel pallone come al Tour del 2020 e ha ripreso a pedalare fitto fitto col suo rapportino, mentre Thomas col rapportone era in evidente difficoltà. Alla fine Roglic ha scavalcato l’avversario di 14 secondi, un vantaggio risicato ma che non costituisce il record. C’è poco da fare, questa non è stata un’edizione da record. O forse no, perché c’è pur sempre quello dei ritiri: 51 ritirati su 176 partenti (29 per cento), rispetto ai 44 su 180 del 2001 (24%) e ai 58 ma su 198 del 2002 (29idem%). Ma conoscendo i precedenti dei primi due in classifica con la loro propensione a cadere, non si può pensare che il Giro sia chiuso quando l’ultima tappa, passerella per modo di dire, si corre a Roma. Milano, con il sindaco che pianta grane ma non alberi, non è più interessata, già ha delocalizzato la partenza della Sanremo, ma a Roma si va a finire sempre nel centro storico con i sanpietrini. Eppure c’è l’EUR, un quartiere che ha strade ampie e serve a poco, e servirà ancora a meno quando i Direttori e Presidenti si renderanno conto dei mille benefici dello smartworking. Certo che la scenografia è quello che è, può piacere oppure no, un po’ di pompa magna fascista, ma in futuro con questo governo potrebbe essere gradita se non obbligata. Dicono che questo paese è il più bello del mondo, e volendo di lungomari ne abbiamo tanti, ma gli Champs-Elisées non ce li abbiamo, però in compenso c’è il Colosseo, questo maestoso rudere a perenne ricordo dell’avidità dei cardinali che l’usavano come magazzino di materiali per le loro sfarzose dimore e per le chiese.
E un arrivo sotto i pini della Cristoforo Colombo no?
Alla fine il percorso non fa troppi danni, qualche foratura, una caduta nella volata finale, ma ancora una volta gli occhi di lince vedono ma non capiscono. Cercano le imprese epiche ma anche le storie cosiddette “da libro Cuore”, ma se non gliele spiegano con i disegnini non se ne accorgono. Succede che a 2 km dalla fine Gerainthomas si mette in testa a tirare e in RAI si chiedono se non sta cercando di creare un buco per recuperare il distacco e ribaltare il Giro. Sì, come no, un buco di 14 secondi in 2 km. Invece il capitano della Ineos quando passa in testa fa un cenno al capitano dell’Astana, Thomas allunga il gruppo e lascia Cavendish in buona posizione, poi da vecchio pistard Cav riesce a cavarsela da solo e vince per distacco, e ringrazia tutti i compagni di squadra facendo i loro nomi e i vecchi amici, e finalmente anche in RAI capiscono, dài che non era difficile.
Il momento in cui Thomas si porta dietro gli Astani.
Intanto sulla città si è posato uno stormo di Presidenti, quello della Repubblica, quello della FCI, quello di RCS, ma la scena se la prende Monsieur Le Président. Lappartient con le sue parole dimostra il suo spessore intellettuale, perché afferma che Roma è una bella città e che questa è la festa del ciclismo, neanche Fabretti e Genovesi messi insieme. Finisce così un Giro che forse è stato più duro da seguire che da correre, Pancani a volte diceva “apriamo una finestra” ma in realtà era la corsa una finestra o solo una finestrella aperta sporadicamente in una lunga sequenza di spot di ogni genere, turistici, istituzionali, politici, amministrativi e soprattutto commerciali. Ed è quindi un sollievo sapere che da oggi non ci sarà più lo spot dell’auto fatta apposta per me, non ci saranno più commenti spenti, scrittori parlanti, cantanti irritanti e altre cose che ho già rimosso.
E in attesa del prossimo giro trasmettiamo musica da ballo
Dopo il giorno di riposo il Giro affronta le salite della famosa ultima settimana e gli spettatori si chiedono chi e come andrà in fuga, se attaccheranno i pesci piccoli o quelli grossi e quali saranno le dinamiche di queste fughe.