Biliardi

Un ex laureato in sociologia, avendo studiato quella roba lì anche se in altra epoca, dovrebbe capirne qualcosa dell’aspetto sociale dello sport, e invece in merito io ho le idee confuse se non addirittura errate. Ad esempio pensavo che, insieme all’ippica, nel senso delle puntate, il biliardo fosse lo sport preferito dai fannulloni, da quelli che si arrangiano, dai percettori, dai grand’affratellati, e che di conseguenza la RAI ritenesse opportuno trasmetterlo in notturna o di mattina, quando il nullafacente non è ancora sceso al bar sotto casa. Invece la RAI il biliardo lo piazza, non nei suoi uffici perché non sono più quei tempi ma non usciamo fuori tema, ma in prima serata, il che vuol dire che interessa gente che lavora produce e la mattina dopo deve svegliarsi presto. Non parliamo poi del ciclismo, ero convinto che fosse ancora uno sport popolare come quando non ero ancora nato, e come è tuttora in Francia e nel Benelux dove migliaia milioni miliardi biliardi di persone aspettano il passaggio delle corse, ma in Italia di sicuro non lo era già più quando studiavo quelle materie là. E quindi la RAI manda le gare su pista di mattina e quelle su strada verso mezzanotte, segno che questo sport interessa solo ai pensionati e agli sfaccendati. Del resto basta vedere lo scarso spazio riservatogli dai media, tivvù manco a parlarne, sono lontani i tempi in cui la Mediaset, o Fininvest o come cavolo si chiamava allora, comprò i diritti delle corse rosate per poi pentirsene, né prime pagine dei giornali su cui vanno solo gli sport fighetti. Eppure c’è appena stata una edizione storica e clamorosa della Sanremo con un ordine d’arrivo spaziale, altro che quelle edizioncelle in cui vincevano Cipollini e Petacchi battendo dei velocisti occasionali, gente più portata per tirare la volata ad altri. E se la volessimo mettere sul nazionalismo medaglioforo, ci sono le ragazze che vincono carrette di medaglie che le fighette degli sport fighetti se le sognano, il loro unico torto è quello di non essere antipatiche come certe divine. Il paradosso è che una ex ciclista, nazionale italiana negli anni in cui il ciclismo femminile era invisibile, è diventata più popolare, nel senso pettegolo, delle varie Elise e Marte in attività, e non per aver vinto un mondiale master o aver battuto qualche primato ma per essere la nuova compagna di Francesco Moser. Sì, ma chi è questo Francesco Moser? Semplice, è il padre di Ignazio, quello che sta con la sorella di Belen.

Ma se le compagne possono cambiare la nemesi rimane sempre la stessa e sempre in agguato. E dato che il ciclismo va in prima pagina solo per storie di doping, vanno bene pure quelle di quaranta anni fa, ecco che provvede Saronni, e mi fa specie che uno come lui che si crede un furbacchione, e in corsa lo era, e che sta sempre a lamentarsi dello stato dell’attuale ciclismo italiano, sia caduto nella trappola dell’acchiappafantasmi del corrierone.

Il povero Pie…montesi

Domenico Piemontesi era un ciclista piemontese che correva ai tempi di Belloni Binda Girardengo e Guerra e spesso gli arrivava subito dietro. Infatti è nell’ordine d’arrivo del mondiale del 1927, il primo per i professionisti e anche il più gradito ai tifosi italiani: primo Binda secondo Girardengo terzo Piemontesi quarto Belloni. Tra le sue vittorie due Giri di Lombardia, anzi uno perché l’altro gli fu tolto per una squalifica discussa. A leggere la sua storia si direbbe che la sua carriera sia stata un po’ sfortunata per cadute e incidenti meccanici in momenti poco opportuni, oggi semmai dei ciclisti che collezionano cadute si pensa che non siano bravi a guidare ma non so se sia lecito pensare lo stesso per altri tempi con altre strade e altri mezzi. Di certo non aiuta a capire le sue sfortune, compresa la squalifica lombarda, la lettura del libro Domenico Piemontesi. Il ciclone perché scritto da parenti e compaesani, tra cui preferisco Giada Ottone che ha realizzato le illustrazioni, e mi viene il dubbio che non ci sia stato neanche un archivio personale cui attingere, come si usa in questi casi. Arrivato alla fine della lettura ho guardato bene se ci fosse il patrocinio dell’Amministrazione provinciale o della Pro Loco, no, anzi il libro è stato pubblicato da Il Convivio, editore che ha sede all’altro capo della Italia (Catania), perché dopo il capitolo sulla carriera del ciclista ci sono quelli dedicati ai luoghi di Piemontesi e agli altri ciclisti della zona, e da quasi biografia diventa una tipica pubblicazione prolocale. Piemontesi in questo è stato sicuramente sfortunato, il racconto, o meglio il resoconto dei suoi risultati, in cui tutte le corse sembrano uguali e si ricorda pure il decimo posto al circuito della sagra paesana, anche se si accenna a qualche aneddoto, è comunque meno appassionante di un verbale dei carabinieri, e poi, dato che il sottotitolo del libro è Un grande campione una splendida persona, leggiamo aspettando di sapere perché, ma mentre aspettiamo il libro devia per il paese e finisce lì, niente sull’uomo Piemontesi. Solo all’inizio c’è un accenno al fatto che egli ritrovò il corpo di un giovane partigiano ammazzato e lo ripulì lo rivestì e lo consegnò alla famiglia, fatto meritorio e degno di nota in un paese, nel senso dell’Italia, in cui ha sempre prevalso il voltagabbanesimo, dai repubblichini fino ai serracchiani. Ma forse è anche il caso di darsi una regolata, perché di questo passo, tra Bottecchia Guerra Bartali il partigiano Martini e ora anche Piemontesi, finirà che ci diranno che se non fosse stato per i ciclisti italiani la guerra l’avrebbero vinta i nazifascisti. Comunque consiglierei la lettura di questo volumetto agli appassionati, che possono anche trovare uno spunto di riflessione sul confronto tra il ciclismo cosiddetto eroico e quello attuale, perché, tra i pochi dati extra-piemontesi, quelli sul Giro d’Italia del 1934 sono molto significativi: 105 partecipanti di cui 18 stranieri. Viene da pensare che se le percentuali fossero rimaste invariate fino ai giri attuali, ciclisti come Pozzovivo Caruso e Ciccone sarebbero diventati dei campioni leggendari.

Uomini che crollano le borse

Quando scrivono cose tipo: “Le Borse europee chiudono in pesante rosso dopo il rimbalzo della sessione precedente: sono tornate le vendite sulle banche, con la pressione che si è abbattuta ancora sul Credit Suisse e su tutto il settore europeo. (…) L’azionista Saudi National Bank ha detto che non fornirà ulteriore liquidità non potendo andare oltre la quota del 10%. (…) Il titolo era stato fortemente sotto pressione già nella seduta della vigilia, dopo che la banca aveva ammesso di aver trovato «concrete debolezze» nelle relazioni finanziarie degli ultimi due anni a causa di controlli interni inefficaci” e anche cose più oscure, chi ne capisce di finanza capisce cosa è successo, chi non ne capisce può più opportunamente capire che le bombe non sono l’unica mostruosità creata dal genere umano.

La Zeriba Suonata – gente che studiava

Quando nel 1979 mi iscrissi al corso di laurea in sociologia c’era chi scherzando mi chiedeva se ero terrorista, perché alla facoltà di Trento aveva studiato con scarso profitto qualche personaggio di piombo. Quelle persone scherzose ne sapevano poco del corso di laurea in sociologia (solo a Trento c’era la facoltà) ma neanche io ne sapevo qualcosa, e infatti rimanevo deluso dall’ambiente man mano che conoscevo tristi docenti e altri studenti, alcuni dei quali mi chiedevo perché si fossero iscritti lì. Mi dicevano che c’era pure un prete, non so se si potesse ritenere uno studente lavoratore, una figura non rara all’epoca quando non c’erano i numeri chiusi e si poteva studiare anche solo per diletto. E a studiare materie che secondo me dovevano aprire la mente alle persone c’era una ragazza che si svelava razzistina già prima del tempo degli sbarchi e che non si capacitava del fatto che spendessi 5000 lire per una rivista di fumetti (Comic Art), avrebbe capito Topolino ma una rivista no. E poi c’era un hinterlandese che si vantava di conquiste femminili stradali e fugaci e raccontava di come ogni tanto si procurava un po’ di soldi a danno delle agenzie assicurative. Quando il corso di laurea andava riassestandosi dopo il terremoto dell’80, su invito di un docente suo estimatore venne in visita pastorale Francesco Alberoni, che aveva da poco pubblicato Innamoramento e amore che fu l’avvio della sua svolta fru-fru. L’aula era riempitissima, c’era grande attesa o curiosità per il personaggio famoso, ma il collega hinterlandese così volle esprimermi il suo disinteresse per quel libro: “Innamoramento e amore: roba da ricchioni.”

Soft Cell – Kitchen Sink Drama

In quegli anni si usava il termine “invertito”, si poteva dire anche in televisione.