Personaggi. Schlik e Schlok: una coppia in cerca di un utero da affittare; Ymo: rappresentante della comunità locale; Coro greco-romano.
Si apre il sipario
Schlik:Buenas dias, hombre.
Ymo:Buenas dias, gringos.
Schlik: Oh, no no. Noi non siamo gringos. Anzi siamo sempre stati contro gli yankees e a favore dei pellerossa.
Schlok:E’ vero, al cineclub abbiamo pure visto tutto un ciclo di film dalla parte degli indiani.
Schlik:E abbiamo pure firmato la petizione contro i palloni di calcio cuciti dai bambini.
Ymo:No ve gusta el futbol?
Schlok:Proprio no… (si interrompe notando che Ymo indossa la maglietta di una squadra di calcio).
Coro:Po popopo po po po!
Schlik:Entiende, noi siamo dei benefattori occidentali e vorremmo portare un po’ di ricchezza in questo posto povero e squallido.
Ymo: Disculpe, si tu me telefonava ve stendevo un tappeto rojo. E que volete fare, costruire una fabrica por dare trabajo?
Schlok:No.
Ymo:Un hospital?
Schlok:Neanche.
Ymo: Una escuela?
Schlok:Ma no.
Ymo:Una iglesia? No, gracias, ne habemos ya muchas.
Schlik:Niente di tutto questo. Noi cerchiamo una ragazza in buona salute per avere un figlio.
Ymo:Porque, al vuestro pais no se tromba?
Coro:Alé OO Alé OO!
Schlik:Ma no, cerchiamo una ragazza che faccia la fame ma sia in buona salute e sia disposta ad affittare il suo utero per fare un figlio per noi due, perché in Italia è vietato. Paghiamo bene, eh!
Ymo:Escucha, aqui vicino hay l’Orfanato donde estan mil niños abandonados. Porque non ne adoptate uno, dos, tres?
Schlok: Ma noi abbiamo molti soldi, possiamo spendere e il figlio lo vogliamo nuovo, non usato.
Coro: Money don’t get everything it’s true / What it don’t get, I can’t use /I want money / That’s what I want!*
Sipario pietoso
* Money (That’s What I Want) è una canzone di Berry Gordy e Janie Bradford
Gli aspiranti Omèri del pc, alla fine di un Giro poco combattuto dai big, per avere qualcosa di epico da scrivere attendevano ormai solo il tappone con l’arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, troppa montagna pregna di troppa epica, qualcosa accadrà. La fuga dei peones e semipeones va lo stesso perché i big alla tappa non ci tengono, vince il redivivo/recidivo Santiago Buitrago, e dietro proprio negli ultimi km Primoz Roglic fa un attacchino ma Gerainthomas risponde e fa un rilancino, però Roglic fa un recuperino e guadagna 3 secondini. Delusi? Ma questi due hanno 34 e 37 anni, sono stati sempre dei regolaristi e corrono come gli conviene, sono gli altri che dovrebbero tentare sfracelli. Dove sono i giovani? Già, Evenepoel è a casa, Hart ancora in ospedale, Almeida non è ancora pronto se mai lo sarà e Dunbar è quasi sicuro che mai lo sarà. Speranze per il futuro possono essere Arensman gregario di Thomas e Leknessund a cui l’anno prossimo nessuno gli lascerà più prendere la maglia. Vabbe’, l’ultimissima speranza per gli Ariosti di provincia è la discussa cronoscalata di Monte Lussari. Una mulattiera lastricata di cemento non continuo ma interrotto dalle canaline per far scorrere l’acqua, anche i Cantastorie del ciclismo che non seguono la mtb se la faranno piacere. Chi invece la definisce una farsa è il boss Lefevere, e subito l’accusano di volersi rifare della vicenda del suo pupillo Evenepoel, ma bisognerebbe ricordare che la sua squadra negli anni 10 vinceva la Paris-Tours ma da quando nel percorso hanno inserito gli chemins de vigne la squadra non l’ha più mandata nonostante avesse elementi in grado di vincere ancora, quindi non è una posizione nuova, solo ci sarebbe da chiedergli: e allora la Roubaix e tutte le altre corse sul pavé? Lefevere dice che il sindacato avrebbe dovuto opporsi perché la presenza di una moto al posto dell’ammiraglia non è un buono standard professionale, e infatti un meccanico ha detto che sperava di non colpire nessuno con la bici di riserva. E poi nessuno ha pensato a un altro aspetto: nelle crono ai ciclisti superati da qualche avversario è proibito prenderne la scia, ma in una strada così stretta come si fa a stare dall’altra parte della carreggiata? Essendo il percorso diviso in due con una prima parte piattissima e la seconda su per la mulattiera con l’ultimo km tipo ottovolante, il cambio di bici a metà percorso diventava praticamente obbligato, ma a quel punto sembrava proprio di vedere un altro sport, tipo duathlon se non Giochi senza frontiere. E alcuni hanno affrontato la gara con spirito giocoso, da Gloag che chiamava la standing ovation a Rex che impennava mentre Cavendish, pur venendo dalla pista e non dalla mtb, dava il 5 al pubblico come se fosse davvero fuoristrada. Ma chi puntava alla vittoria non si poteva distrarre, e in un ciclismo in cui si può vincere per meno di un secondo le squadre più ricche, manco a farlo apposta quelle dei due contendenti, lavorano molto sui cosiddetti “marginal gains” cioè i vantaggi derivanti dai dettagli, come l’alimentazione o tutti i componenti della bici e delle divise, e in gara c’è stato anche chi, come Thomas, ha cambiato il casco insieme alla bici per togliere quello aerodinamico e mettere quello normale più leggero e quindi più adatto alla salita.
Non a caso il suo sponsor principale si chiama “Circus”.
With A Little Help From My Friends
Se avessi dovuto simpatizzare per uno dei due avrei avuto difficoltà, troppe sfortune per entrambi, troppi infortuni, qualcuno dovuto a loro errori qualcun altro assurdo come la borraccia che alla partenza della prima tappa del Giro 2020 scappò a un ciclista e rotolò fino alla ruota di Thomas, e poi questa potrebbe essere la loro ultima occasione di vincere un grande giro, forse questo vale soprattutto per il 37enne gallese perché il 34enne sloveno ha ancora tempo. Rogla il tempo può averlo tanto più perché alla fine vince lui, nonostante un problema e anche un falso allarme. Prima c’è il panico seminato da Petacchi perché da buon commentatore RAI non conosce il regolamento e non sa (lo sapevo io che non sono del mestiere) che la posizione con gli avambracci sul manubrio, quella che l’anno scorso costò una squalifica alla Vos in una gara dominata, è vietata solo per le gare in linea e non per le cronometro, e quando Roglic, che proprio di Marianna è compagno di team, per pochi secondi assume quello posizione, Petacchi si desta dal suo torpore e fa notare la “posizione vietata”. Che occhio di lince, strano che non abbia notato, né lui né gli altri della RAI, due bidon collé di Zana nella tappa da lui vinta. E secondo me se chiamavano Giada Borgato lei avrebbe saputo la risposta, ma hanno raccolto informazioni nei dintorni e hanno fatto finta che si tratti di una “posizione tollerata” dall’UCI. La trasmissione tivvù in generale è stata un vero disastro, funestata da scelte registiche infelici e continue interruzioni pubblicitarie, ma neanche di riferimenti cronometrici ce n’erano molti, e solo a pochi km dall’arrivo, dopo che Roglic ha avuto un problema meccanico, si è saputo che era in vantaggio. In quel momento c’è stata l’ennesima gaffe della Jumbo perché il meccanico è corso con la bici in spalla e ha colpito Roglic mentre gli dava una spinta, ma per fortuna a quello ha provveduto uno spettatore che poi L’Equipe ha riconosciuto come un suo compagno di squadra, ma dei tempi in cui faceva salto con gli sci.
“Anche tu da queste parti?”
Però lo sloveno non è andato nel pallone come al Tour del 2020 e ha ripreso a pedalare fitto fitto col suo rapportino, mentre Thomas col rapportone era in evidente difficoltà. Alla fine Roglic ha scavalcato l’avversario di 14 secondi, un vantaggio risicato ma che non costituisce il record. C’è poco da fare, questa non è stata un’edizione da record. O forse no, perché c’è pur sempre quello dei ritiri: 51 ritirati su 176 partenti (29 per cento), rispetto ai 44 su 180 del 2001 (24%) e ai 58 ma su 198 del 2002 (29idem%). Ma conoscendo i precedenti dei primi due in classifica con la loro propensione a cadere, non si può pensare che il Giro sia chiuso quando l’ultima tappa, passerella per modo di dire, si corre a Roma. Milano, con il sindaco che pianta grane ma non alberi, non è più interessata, già ha delocalizzato la partenza della Sanremo, ma a Roma si va a finire sempre nel centro storico con i sanpietrini. Eppure c’è l’EUR, un quartiere che ha strade ampie e serve a poco, e servirà ancora a meno quando i Direttori e Presidenti si renderanno conto dei mille benefici dello smartworking. Certo che la scenografia è quello che è, può piacere oppure no, un po’ di pompa magna fascista, ma in futuro con questo governo potrebbe essere gradita se non obbligata. Dicono che questo paese è il più bello del mondo, e volendo di lungomari ne abbiamo tanti, ma gli Champs-Elisées non ce li abbiamo, però in compenso c’è il Colosseo, questo maestoso rudere a perenne ricordo dell’avidità dei cardinali che l’usavano come magazzino di materiali per le loro sfarzose dimore e per le chiese.
E un arrivo sotto i pini della Cristoforo Colombo no?
Alla fine il percorso non fa troppi danni, qualche foratura, una caduta nella volata finale, ma ancora una volta gli occhi di lince vedono ma non capiscono. Cercano le imprese epiche ma anche le storie cosiddette “da libro Cuore”, ma se non gliele spiegano con i disegnini non se ne accorgono. Succede che a 2 km dalla fine Gerainthomas si mette in testa a tirare e in RAI si chiedono se non sta cercando di creare un buco per recuperare il distacco e ribaltare il Giro. Sì, come no, un buco di 14 secondi in 2 km. Invece il capitano della Ineos quando passa in testa fa un cenno al capitano dell’Astana, Thomas allunga il gruppo e lascia Cavendish in buona posizione, poi da vecchio pistard Cav riesce a cavarsela da solo e vince per distacco, e ringrazia tutti i compagni di squadra facendo i loro nomi e i vecchi amici, e finalmente anche in RAI capiscono, dài che non era difficile.
Il momento in cui Thomas si porta dietro gli Astani.
Intanto sulla città si è posato uno stormo di Presidenti, quello della Repubblica, quello della FCI, quello di RCS, ma la scena se la prende Monsieur Le Président. Lappartient con le sue parole dimostra il suo spessore intellettuale, perché afferma che Roma è una bella città e che questa è la festa del ciclismo, neanche Fabretti e Genovesi messi insieme. Finisce così un Giro che forse è stato più duro da seguire che da correre, Pancani a volte diceva “apriamo una finestra” ma in realtà era la corsa una finestra o solo una finestrella aperta sporadicamente in una lunga sequenza di spot di ogni genere, turistici, istituzionali, politici, amministrativi e soprattutto commerciali. Ed è quindi un sollievo sapere che da oggi non ci sarà più lo spot dell’auto fatta apposta per me, non ci saranno più commenti spenti, scrittori parlanti, cantanti irritanti e altre cose che ho già rimosso.
E in attesa del prossimo giro trasmettiamo musica da ballo
Pensavano di farla franca, ma le forze dell’ordine non stanno ferme a guardare, o meglio, prima guardano le immagini e poi sparano, cioè non proprio, schiaffano tutti in galera, neanche, insomma comminano delle sanzioni. Sembra niente, ma era in gioco l’immagine del Paese, quello più duro del mondo, no, più dura è la corsa, quello più bello, questi slogan ti confondono, soprattutto quando non corrispondono alla realtà. Insomma in Belgio, per dire, non avevano insistito sul cane, randagio solo presunto, che aveva fatto cadere Evenepoel, anzi hanno ricordato i precedenti, ma quello che ha indignato è che qualcuno abbia sfilato la borraccia a Remco mentre era per terra. Ebbene, nel giorno del secondo riposo dei girini è arrivata la notizia che il qualcuno era stato identificato, e hanno preso due piccioni con una fava perché si trattava proprio del proprietario del cagnolino che quindi era un randagio part-time. Un’altra immagine che aveva dato fastidio è stata quella di un tifoso che a Bergamo agitava un fumogeno in faccia ai ciclisti in salita. Il Giro è una grande vetrina in cui ogni città mette in mostra le proprie specialità, e la mezza capitale culturale d’Italia ha una lunga tradizione di teppismo ultras. Ma sempre nel giorno di riposo è arrivata la notizia che gli inflessibili tutori della legge hanno identificato il tifoso e gli hanno comminato un DASPO per le manifestazioni sportive in particolare ciclistiche, e il tifoso è rimasto contento perché già ne aveva uno per le manifestazioni calcistiche, ora gli auguriamo di fare tris con uno per le manifestazioni pugilistiche, in tal caso sarei curioso di vedere le reazioni dei pugilatori infastiditi. Poi parte la terza settimana tra i mugugni degli spettatori e si affronta il Tappone del Monte Bondone che però si rivela il tappino del monte Bondino, perché vince Almeida guadagnando qualche secondino mentre Roglic perde qualcosina ma niente di che. E subito tutti iniziano a tifare per Almeida, il nuovo che avanza, con i suoi tempi ma avanza, sembrerebbe risultare più simpatico dei vecchi babbioni, ma non sprizza certo allegria e in più con quei baffetti sembra lo zio di sé stesso, mentre Thomas e Roglic almeno hanno un po’ di sense of humour che non guasta. A seguire c’è la tappa in discesa verso Caorle, tappa veloce ma senza fine come il trofeo omonimo, noiosa e non finisce mai, e alla fine la spunta Dainese, fornendo altri argomenti di polemica a due tipologie di criticoni, quelli che ce l’hanno con i ciclisti che si sono ritirati, perché per contro Dainese nei giorni precedenti ha avuto febbre tosse bronchite disturbi gastrointestinali e non si sa come ha resistito, e quelli vittimisti perché queste squadre straniere non danno mai spazio agli italiani, ma in realtà Dainese aveva già avuto un’occasione e in quel caso è stato retrocesso, e poi basterebbe guardare la tappa successiva a Val di Zoldo, e ora mi spiego. Se nella squadra arabo-australiana Filippo Zana fosse stato in lotta per il podio e il compagno Dunbar fosse stato in fuga, tutti (gli italiani) avrebbero criticato la squadra perché il compagno avrebbe pensato a sé stesso invece che al capitano. Invece la situazione era l’opposto, Zana è stato lasciato libero di fare la sua corsa, Dunbar se l’è cavata da solo, Zana per fortuna ha vinto battendo Pinot che stavolta non ha avuto una crisi isterica, e tutti (gli italiani) hanno elogiato la squadra che ha lasciato libero il campione italiano di fare la sua corsa, poi una vittoria di tappa nessuno la butta via, ma avrei voluto vedere se fosse stato il contrario. Per la classifica Almeida, tanto atteso perché sembra stare molto bene e non è più quello degli anni passati che in salita si difendeva, in salita si è difeso per quello che poteva e ha perso altri secondini niente di ché. Comunque il finale del Giro potrà essere incerto ma rimane il complesso di inferiorità, è una corsa minore, ma basterebbe guardare i partecipanti del passato per rendersi conto che era quasi una corsa provinciale, e poi dicono che perde importanza, e non sa farsi rispettare, basti pensare al caso della tappa accorciata. E quella tappa fa ancora notizia. La Valle d’Aosta aveva schierato forze dell’ordine e volontari e solo meno di un’ora prima hanno saputo che di là non passava più nessuno, e ora chiedono un risarcimento “sportivo”, che non so in cosa potrebbe consistere, forse la grande partenza, l’ultima tappa, o semplicemente un’altra tappa da quelle parti, ovviamente a rischio cancellazione. Eppure è proprio il clamore di quel pasticcio che dimostra l’importanza della corsa rosata, in Belgio e in Olanda si cancellano corse e nessuno protesta, ieri è stata cancellata la tappa del Giro di Albania e nessuno ha detto niente. Poi la cosa è finita in barzelletta perché sull’accaduto ha detto la sua anche il noto entertainer di montagna Mauro Corona che ha postato una foto di un ciclista nella neve e ha scritto: Questo è ciclismo, fighetti a casa. Ora speriamo di sentire la sua opinione anche su altri sport.
Il Giro attraversa tanti luoghi, compresi quelli comuni. Un sottocane nordnorvegese praticamente artico prende la maglia rosa e i giornalisti scrivono che lui vive tra aurore boreali e orsi polari, anche se ora risiede a Oslo. E il veneto Zoccarato, campione italiano gravel, va in fuga nella tappa di Salerno e sotto la pioggia si rivolge alla moto lamentandosi: “Venite al Suddicevano, troverete il sole…” E invece i ciclisti si troverebbero più a loro agio se fossero davvero girini, ma nel senso anfibio, perché c’è pioggia fresco e anche tanta nebbia, al punto che Rizzato per fare promozione turistica dice: “Probabilmente c’è un bel panorama ma non lo sapremo mai”. La pioggia rende la strada scivolosa e i ciclisti cadono, anche i pezzi grossi, Evenepoel fa addirittura una doppietta ma la prima caduta è causata da un cagnolino randagio, e i commentatori si scatenano in indagini etnico-sociologiche, più di tutti si distinguono il giornalista masochista Gatti (un nome che nel caso è quasi in conflitto di interessi) che su un sito molto seguito si diverte a fare polemiche al limite dell’offensivo e in risposta si becca un sacco di improperi, e anche Lefevere, il boss di Remco, che paragona le strade del sud a quelle della Colombia (chissà come sono le strade colombiane) e che si è messo a contare i cani per strada, per la precisione 15, specificando anche quanti erano i randagi, quanti i bastardi, quanti quelli sfuggiti ai padroni e di che razza. Di sicuro dall’identikit diffuso dalle forze dell’ordine si può chiarire che il cane che ha fatto cadere Evenepoel non è quello di Tom Pidcock. Lefevere è anche collaboratore di Het Nieuwsblad, e meno male che il sito fiammingo, invece di piangere sul Remco versato, ricorda vari casi analoghi in Francia Spagna Australia e ancora Italia con cani gatti gabbiani e anche cavalli (compreso quello senese che spaventò Demi Vollering), e si è pure dimenticato le mucche francesi. Qualcuno ricorda che nel 1997 da queste parti Pantani cadde a causa di un gatto e tutta la squadra lo scortò all’arrivo, compreso il giovane Garzelli che compromise la sua classifica, ma almeno stavolta nessuno ha detto che la tappa la vinse Manzoni ma nessuno se ne ricorda, con la conseguenza che Manzoni viene continuamente ricordato come quello che ottenne quella vittoria che nessuno ricorda. Salerno è anche la città dello scrittore Alfonso Gatto che causò uno scandalo clamoroso perché parlava di ciclismo senza saper andare in bicicletta. Questa cosa mi colpisce perché è l’obiezione che ogni tanto mi fanno i colleghi, e precisiamo che non basta aver fatto qualche giretto da bambino, perché poi la potente lobby dei cicloamatori pretende che possa parlare di ciclismo solo chi si fa decine di km al giorno e valichi i valichi più famosi. Questa è una delle tante assurdità che si riscontrano solo nel mondo del ciclismo. Sì, immagino che i vecchi panzoni che negli studi televisivi commentano il calcio, dando un’occhiata anche alle scollature o scosciature delle conduttrici, da ragazzi abbiano dato dei calci a un pallone, e che gli appassionati della Formula 1 in città e sulle autostrade superino facilmente il limite di velocità. Ma quelli che hanno la febbre da cavallo e puntano su Camillo Benso IV che è figlio di Pier Varenne ed è forte sul terreno pesante hanno tutti cavalcato o guidato un sulky? Ridendo e scherzando il gruppo arriva a Salerno e in gruppo cascano due volte, la seconda caduta è causata da Remco che si distrae e poi se la prende con i trekkini che lo stanno pure a sentire. Vince l’australiano Kaden Groves che dicono forte velocista, ma in primavera mi ha impressionato vincendo nel Limburgo sotto la pioggia dopo essere rimasto in testa con due Lotti e uno l’ha staccato, l’altro se lo è portato dietro senza chiedergli neanche un cambio e poi lo ha disperso in volata. Segnatevelo: Kaden Groves, potrebbe diventare più forte di Matthews, anche se non è difficilissimo.
Il giorno dopo si parte e si arriva a Napoli e si temono non i gatti ma le sagome dei calciatori per strada e altri elementi di arredo inurbano. Alla partenza due big si contendono la classifica della ruffianeria: Evenepoel palleggia con un pallone con i colori del Napoli e Ganna ne esibisce la sciarpa, direi che visti i trascorsi pallonari del belga la tappa se l’aggiudica Simpatia Ganna. Poi in realtà sul percorso ci sono solo bandiere e striscioni, il pubblico è composto come già l’anno scorso, e quando l’aspirante sceriffo Evenepoel fa segno alla gente di allargarsi è solo perché è la strada ad essere stretta. Insomma si temevano troppe chiacchiere sul Napoli, e non avevamo pensato a Un posto al sole. E da quando la RAI trasmette questa soap opera il suo attore più famoso Patrizio Rispo all’attività di attore ha affiancato quella di presenzialista, e così con alcuni sodali si è presentato sia nella postazione cronaca, con una finestra aperta mentre la corsa ribolliva, e dopo al Processo a parlare a vanvera anche perché hanno avuto più spazio loro di quanto ne abbiano concesso in questi giorni a Marta Bastianelli invitata a partecipare ma poi praticamente mai coinvolta, e poi Fabretti si lamenta dello spettacolo. Durante la tappa si è ricordato che Coppi era legato a questi luoghi perché lì faceva il prigioniero attendente, là viveva l’artigiano che gli diede una bicicletta, da lì partì per tornare a Castellania, e tutti questi posti ricordano in qualche maniera il Campionissimo. Coppi fu costretto a partire per fare la guerra in Africa ma fu subito fatto prigioniero dagli inglesi, che lo riportarono in Italia, ed era attendente di un ufficiale inglese a Caserta nella frazione Ercole, dove da un paio di anni c’è un sobrio monumento che alla fine più che altro ci ricorda che questa è stata sempre una città e una provincia militarizzata, come disse anche Stendhal ai tempi del Grand Tour. Infatti, al contrario di Goethe che soggiornò qui mentre si costruiva la Reggia e forse a priori stava bene perché lontano da Lotte, a Stendhal Caserta non piaceva e disse che Caserta è una Caserma. Magari una sola! Però diciamo pure che il tipo era incontentabile e lo scrittore parmigiano Paolo Nori a proposito de La Certosa di Parma dice che non è che avesse una buona idea neanche di quella città. Ma tornando alla corsa due vecchie conoscenze delle fughe, Alessandro De Marchi e Simon Clarke, resistono all’inseguimento del gruppo e stanno per giocarsi la tappa, poi non per cattiveria ma per generosità iniziano a dire Prego, passa prima tu e Ci mancherebbe, prima tu, e dietro parte sparato Gaviria con la sua fissa per le volate lunghe e li supera ma viene battuto da Mads Pedersen, mentre i due, che visto l’esito non si possono definire vecchie volpi, facciamo vecchi polli, si abbracciano e si consolano a vicenda, e tutti i giornalisti applaudono e tutti i socialisti criticano. Il giorno dopo si parte da Capua e attraverso l’alto casertano si va in Molise, e allora bisogna stare attenti non ai cani ma ai cinghiali randagi. Lo scrittore parlante cita Spartacus ma non precisa che l’Anfiteatro si trova non a Capua ma nella vicina Santa Maria che non a caso si chiama anche Capua Vetere. Speriamo non abbiano creato dei problemi di campanili, come pure più tardi quando una didascalia ricorda che l’incontro storico tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II avvenne a Vairano mentre altri ritengono che sia stato a Teano. Poi si passa per Calvi Risorta e si ricorda il ciclista Luigi Mele scomparso di recente, più che altro perché dopo il ritirò lavorò in RAI come ora uno dei figli. Ma nel suo piccolo Mele si contendeva con il maddalonese Alberto Marzaioli il titolo di miglior ciclista casertano della storia. Ma al di là delle chiacchiere questa non è terra di ciclismo, e prima di lasciare il casertano spunta uno striscione inneggiante a Einer Rubio, probabilmente quei tifosi vengono dal beneventano dove il colombiano corse da under 23 con la locale Vejus che poi si fuse con l’abruzzese Aran e addio squadre campane. Ma bando alle tristezze perché questo è un tappone con la salitona di Campo Imperatore che farà sfracelli in classifica e dopo tanto attendere lo spettacolo è assicurato. Infatti vanno in fuga tre disperati e il campione africano. Quest’ultimo si stacca per il freddo e gli altri tre arrivano, perché in gruppo nessuno azzarda un mezzo attacco. Vince Davide Bais, fratello di Mattia, che disperava di vincere mai una gara, battendo Karel Vacek, fratello di Thomas, che l’anno scorso pensava di ritirarsi, e solo terzo è Petilli, favorito se non altro perché da giovane era una promessa in salita poi non mantenuta e come gli altri due era a zero vittorie. Nel 2017 al Lombardia Petilli e altri ciclisti finirono nello stesso dirupo dove tre anni dopo finì Evenepoel, ma gli italiani compatti, per salvare la faccia dell’organizzazione, dimenticarono il precedente e dissero che il belga era un ex calciatore e quindi non sapeva andare in discesa, anche perché come è noto i campi di calcio sono piatti. E questa è l’unica lancia che potevamo spezzare a favore di Remco, perché lui, perseguendo anche l’obiettivo della classifica della simpatia, va dicendo che Roglic e i jumbi sono nervosi e che lui medesimo è il più forte. Sarà, ma Roglic una volta è caduto l’altra ha forato e non si è scomposto, Evenepoel è caduto due volte e gli sono venute almeno quattro crisi isteriche e il suo boss sta ancora contando i cani randagi.
Esistono tante applicazioni, chissà se ce n’è una che applicata alla trasmissione del Giro filtri la retorica e il lirismo e non faccia passare le letterine svolazzanti dello scrittore parlante e la sigla esclamativa di Gualazzi. Ma il Giro è un grande e multiforme spot turistico, c’è Martini che scherza col cibo, un giorno assaggiando arrosticini l’altro cercando di scroccare una cena. E’ un ritorno alla comicità basica, quella sulla fame, e mentre lo scrittore parla della castagna che oggi costa un occhio e ieri era cibo per poveri capita che l’elicottero inquadri due tifosi che si contendono una borraccia, siamo forse passati alla sete? No, quella è solo un trofeo da portare a casa per esporla fino al primo trasloco utile. E poi ci sono le antiche tradizioni, con dei tipi in costume medievale che ci ricordano che a Melfi c’è l’unico Castello in cui è scientificamente provato che abbia abitato Federico II, ci fanno un baffo quelli di Castel del Monte. La cosa è stata certificata dall’Unesco, forse nel periodo in cui l’Italia era rappresentata da Lino Banfi, non so su cosa si siano basati, forse documenti, pergamene, bollette della luce o c’erano ancora le pantofole federiciane vicino al letto. Ma i tipi in costume sono soprattutto degli abili falconieri, certamente più bravi con i falconi che con l’italiano, e ci fanno una presentazione tautologica della loro attività. Chi sono i falconieri? Quelli che praticano l’arte della falconeria. Ma cos’è la falconeria? Semplice, l’arte dei falconieri. Anzi la “nobile” arte della falconeria, e tutti in RAI concordano, pure quelli che semmai hanno condannato alla dannazione eterna il ciclista plebeo che sparò al gatto sanmarinese. Allora chiariamoci le idee su internet. Il falcone è un rapace naturalmente portato alla vita sedentaria e a grattarsi sotto le ali, ma il falconiere gli insegna a volare e a cacciare. La bestia non è grande come un’aquila e non può catturare il vitello grasso, per cui ci si accontenta di piccoli uccelli, quelli che con il loro canto e il loro volo ispirano i poeti, e forse topi e gatti, e l’abilità dell’addestratore sta nell’insegnare al falcone la differenza tra il gatto randagio o di una gattara e il gatto di un ministro, che poi si va a finire su tutti i giornali. E’ un arte da tramandare ai “prosperi”, immagino che siano i posteri cui le cose andranno bene, perché a quelli cui le cose andranno male è meglio non tramandare niente, il falcone sarebbero capaci di farselo arrosto. L’augurio è che ci sia altrettanta attenzione anche per l’altrettanto nobile arte della tauromachia.
Intanto la corsa arriva ed è uno di quei rari giorni in cui a Michael Matthews gira tutto bene. Tutto bene? No, perché il giorno prima Fabretti si era lamentato di queste tappe per velocisti noiose e troppo lunghe, e fa un elenco di “sue” proposte da sottoporre all’UCI per migliorare lo spettacolo, sempre a favore del pubblico, che infatti sui social all’unanimità stronca Fabretti e la RAI tutta. Il conduttore ricorda quello che si è fatto nel tennis e nella pallavolo, sì, ricordo che proposero pure di accorciare i pantaloncini delle pallavoliste, le quali gentilmente si rifiutarono. Ma viene il sospetto che la preoccupazione di Fabretti sia un’altra, cioè che arrivando in ritardo la corsa si accorci il tempo a sua disposizione, perché se davvero in RAI si preoccupassero dello spettacolo manderebbero a casa Petacchi e Fabretti stesso. Non mi capitava di vedere una cosa del genere dai tempi delle ultime Paris-Bruxelles di cui Bulbarelli comprò i diritti e che Pancani in diretta definiva corsa insignificante. E oggi la RAI vi dice che lo spettacolo pubblicizzato da spot magniloquenti è in realtà una boiata pazzesca. Per fortuna la successiva tappa di Lago Laceno è più movimentata anche se il fatto principale era già noto. In primavera sono stati molto criticati gli arrivi in parata nelle classiche, soprattutto la Gent regalata da Van Aert a Laporte, e qui Evenepoel aveva chiaramente detto che avrebbe lasciato la maglia rosa, ma non si dicono queste cose anche se si sospettano. Il belghetto già ha molta pressione al suo paese, e almeno dismettendo la maglia la squadra non deve stancarsi a controllare la corsa e lui a salire sul palco e a “subire” le interviste. Ma dato che è ancora abbastanza giovane da avere pure la maglia bianca l’ideale sarebbe lasciare andare in fuga un giovane che se le prenda tutte e due, sono due maglie usate pochissimo, come nuove. E quel giovane ce l’abbiamo, è il norvegese Andreas Leknessund che in verità alla vigilia era indicato tra i sottocani, non proprio il carneade dezaniano. Ma in corsa non c’è stato niente di pacifico, neanche l’accordo tra i due rimasti in testa a te la tappa a me la maglia, perché Leknessund già che c’era voleva tutto e Aurélien Paret-Peintre almeno la tappa e alla fine ha vinto. Ancora una volta è stato protagonista pure Vincenzo Albanese che correva dalle sue parti, ma lui che vive in Toscana è dalle sue parti un po’ ovunque essendo nato, secondo internet, a Oliveto Citra (SA) Laviano (SA) e Cusano Mutri (BN) e chissà che nella tappa di Salerno non si scopra qualche altra località in cui è nato. Comunque, tornando a Evenepoel, c’aveva ragione il ragazzino perché la squadra si è sbriciolata a tenere la fuga a distanza di sicurezza figuriamoci cosa capiterà quando ci sarà vera battaglia. Per Remco è stata una fatica conquistare la maglia ma pure perderla è stata dura, perché ha trovato dei gregari non richiesti nei granatieri Ineos che hanno inseguito dicendo Non ti preoccupare, te la facciamo conservare noi la maglia, così continuerai a stressarti con premiazioni e interviste. Poi il piano inglese è fallito per pochi secondi, ma viene il sospetto che da quando non c’è più il bacio delle miss ma solo la stretta di mano del presenzialista di turno queste maglie eccitino di meno. Ecco quindi una cosa che bisognerebbe tenere in considerazione per rendere più spettacolari le corse, il fatto che evidentemente, come dicono i poeti, tira più un pelo di f*** che tutta la Ineos in testa al gruppo.
A dimostrazione dell’eccessiva attenzione in Belgio per Evenepoel, un trio di sfigati belgi ha registrato “Remco perché ti amo” sulla falsariga della canzone dei Ricchi e Poveri, con un video pieno di luoghi comuni non solo italiani, perché i tre mangiano la pizza in cima al Kapelmuur.
Nel ciclismo di questi anni ci sono fenomeni che in bici fanno cose fenomenali ma giù dalla bici rilasciano dichiarazioni corrette e danno risposte scontate a domande scontatissime. Come già con Usain Bolt, da questo punto di vista non ha lasciato eredi Peter Sagan che svelava la banalità del banale. Con le donne va molto meglio, c’è più vita, pure negli aspetti negativi. Dopo la stagione delle classiche sembrava proprio che le due grandi vegliarde fossero ormai al tramonto, e in realtà Annemiek Van Vleuten ha già datato il suo ritiro a fine stagione senza neanche attendere le Olimpiadi. Quando questo avverrà tireremo un sospiro di sollievo per lei che cade spesso e anche per le cicliste che pedalano nei suoi paraggi, ma in questi ultimi mesi ci aspettavamo altre sue vittorie e invece lei arrancava. Poi è partita la Vuelta.
Alla ricerca di un difetto.
Prima tappa, una cronosquadre e a sorpresa vincono le jumbe guidate da Marianne Vos. Seconda tappa, la rediviva Chloe Dygert tenta la botta da finisseuse e Marianne la insegue finendo per tirare la volata a Charlotte Kool che a inizio stagione ha battuto pure Lorena Wiebes la schiacciasassi. Ma nella terza e quarta tappa non ce n’è per nessuna e Vos si prende le ultime tappe senza grandi salite arrivando a 250 meno 2 vittorie solo su strada. I telecronisti non hanno più parole, i giornalisti hanno finito i titoli possibili, lei in bici è uno spettacolo, è sempre corretta e gentile, tutte la apprezzano, ma ce l’avrà un difetto? Forse sì: storicamente (basta vedere le foto degli anni scorsi) sceglie i parrucchieri sbagliati.
Con i punti, non quelli del supermercato che sponsorizza la corsa ma quelli in palio ai traguardi, vince una maglia verde da aggiungere a tutte le altre di tutti i colori, altro che armocromie.
L’imbranata più forte del mondo
Delle cadute, spesso causate da lei stessa, inutile parlarne, però poi vince pure con i tutori. Alle Olimpiadi di Tokyo ha centrato una figuraccia esultando perché era l’unica del gruppo a ignorare che davanti ci fosse ancora una fuggitiva dalla mattina. In una tappa della Vuelta ha mancato il rifornimento tre volte consecutive al punto che ha dovuto fermarsi, forse si è seduta al tavolino di un bar, ma in pochi km è rientrata in gruppo, mentre per la Vos sembra che siano le borracce a lanciarsi nella sua mano. E con l’età e gli acciacchi Van Vleuten diventa sempre più sgraziata in bicicletta, sembra arrancare ma rimane lì, e nel finale in salita della quinta tappa c’è stato un confronto quasi impietoso con Demi Vollering che invece ha uno stile impeccabile. Ma alla fine Annemiek ha perso tre soli secondini.
La gigante e la bambina
Sarà che sono donne, le cicliste hanno un’attenzione particolare per le ragazzine. La perfezionista Vos è sempre disponibile e gentile (l’ho già scritto?) e tempo fa prima di fare un autografo a una bambina le chiedeva lo spelling del nome, che non si dica che ha sbagliato qualcosa, e pure il Dio che le ha dato il dono non glielo perdonerebbe. Quasi inedita è stata la scena dopo l’arrivo della prima tappa del Festival Elsy Jacobs con la vincitrice Marta Bastianelli che parlottava con una bambina di una decina di anni. In realtà quella era la figlia che ne aveva approfittato per una gita in Lussemburgo con la famiglia, mentre noi siamo abituati a vedere i vincitori al Tour o in altre gare importanti che sul palco portano in braccio bambini ancora piccoli e inconsapevoli, per non parlare di Lorena Wiebes che una bambina se la fece prestare, o forse era qualcosa tipo una promessa fatta a qualcuna. Sorvoliamo sulla pioniera Beryl Burton che la figlia Denise se la trovò come avversaria al campionato nazionale e alla fine non manifestò l’orgoglio di mamma per quella figlia che l’aveva battuta. E non poteva essere insensibile proprio Demi Vollering, la ciclista superemotiva. Dopo aver vinto la quinta tappa della Vuelta l’abbiamo vista consolare una bambina che piangeva. Doveva trattarsi di una sua piccola tifosa perché aveva anche la maglia della sua squadra. Ma cosa le avranno fatto, perché piange quella bambina? Un momento, quella non sembra tanto bambina e somiglia un po’ a Niamh Fisher-Black, la compagna di squadra neozelandese che era nel gruppo di testa con la capitana e poi è stata coinvolta in una caduta. Sì, è proprio lei, già nota in Italia perché è stata per due volte consecutive la miglior giovane al Giro, e poi guardate come somiglia al fratello Finn che corre con la UAE, due gocce d’acqua, lui alto 1 metro e 89 e lei 1,60 portati male.
Il lato oscuro della forza
Demi e Annemiek non si vogliono bene, si fanno i dispetti e sparlano l’una dell’altra. Nella sesta tappa Vollering ha fatto una pausa pipì e guarda un po’ la combinazione Van Vleuten con la sua squadra ha attaccato. Era scatenata e l’unica che è riuscita a rimanerle alla ruota è stata la giovane Gaia Realini, prevedibile rivelazione dell’anno. Gaia ha fatto quello che Martini ordinò a Baronchelli quando nel mondiale del 1980 rimase solo con Hinault: non tirare un metro. Diciamo pure che se una ciclista si mette a ruota di Realini prende ugualmente il vento in faccia perché la ragazza è alta 1,50. Alla fine è stata volata, non si capiva chi avesse vinto ma forse un po’ troppo precipitosamente è stata dichiarata vincitrice Realini che ha festeggiato con la squadra ed è stata intervistata, e poi invece sul palco hanno chiamato Van Vleuten che quasi sembrava scusarsi, le hanno dato il trofeo, poi vorrei sapere con che faccia ne hanno chiesto la restituzione perché aveva effettivamente vinto Realini, forse così piccola non era venuta nella foto.
C’era così confusione che a un certo punto il sito procyclingstats dava vincitrice Van Vleuten con la foto di Realini.
E però l’acerrima rivalità tra le due compaesane dei Paesi Bassi ha dato vita a un’ultima tappa dal finale thrilling che difficilmente uno dei Grandi Giri maschili riuscirà a eguagliare. Tra la nebbia sulla salitona di Lagos de Covadonga Vollering ha fatto il possibile per staccare Van Vleuten la quale a sua volta ha fatto il possibile per perdere meno tempo possibile e alla fine ha vinto la classifica per 9 secondi. Tra le due ancora Gaia Realini che ha fatto un superbalzo in classifica fino al podio. Alla fine Vollering avrà qualche rimpianto, anche per aver perso a causa di una pausa fisiologica, ma anche Realini potrebbe lamentarsi di aver perso l’intero ammontare del suo distacco in un ventaglio.
Queste due ultime tappe scoppiettanti hanno combattuto la noia dell’inizio del Giro d’Italia maschile, che però ora dovrà cavarsela da solo e sarà dura. Infatti nelle prime tappe ci sono stati solo due brividi. Nella seconda tappa, vinta a sorpresa da Jonathan Milan, c’è stata una caduta poco prima dell’inizio della zona di neutralizzazione, a chi è rimasto attardato resta il distacco sul groppone e qualcuno potrà lamentarsi del cavillo burocratico. E nella cronometro iniziale, vinta da Evenepoel davanti a Ganna (che prosegue con l’operazione simpatia iniziata alla Sanremo, rispondendo alle domande con mezzi monosillabi), l’unico brivido, ma solo al suo compagno, l’ha dato Giada Borgato che quest’anno commenta in moto. Giada ormai è l’unica a fornire notazioni tecniche e sul regolamento, però a volte le piglia l’improprietà di linguaggio, e quando si è trovata vicino a due ciclisti tra i più alti del plotone ha detto che era tra due stalloni.
Paesaggio dopo la battaglia: Vollering piange perché ha vinto la tappa, poi piange perché ha perso la classifica generale, piangere è il suo hobby preferito. Van Vleuten è a terra stremata per la rincorsa, meno sfinita Realini che compensa con entrambi i gomiti fasciati.
Rubrica di notizie vere e false a cura di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares (sempre più difficile!)
A giorni partirà il primo Giro d’Italia senza AdS, la giornalista famosa soprattutto per le sue rubriche dal Tour, come le interviste impossibili in cui si lamentava di non poter intervistare i ciclisti all’arrivo perché bloccata dagli organizzatori, dal servizio d’ordine, dalla gendarmeria, dall’esercito, dai marines, dal Mossad e dal Clan dei marsigliesi, e poi le cronache in giallo in cui con sottofondo musicale parlava di cultura come neanche il suo conterraneo Ministro di Cultura e Ristorazione. Ma il grande successo AdS lo raggiunse con il Circolo degli anelli, un programma sulle Olimpiadi degno del circo di Fabio Fazio. AdS si è dimessa per diventare corrispondente proprio da Paris, anche perché sposata con un giornalista francese molto coraggioso e originale, basti dire che ha scritto uno dei 1345 libri usciti finora su Pantani. Si dice che Ads da Direttrice di RaiSport avesse dato più spazio alla redazione romana a scapito di quella milanese, e forse per questo quando è arrivata la notizia delle sue dimissioni il milanese AdL ha postato immagini di gioia smodata. Ma la notizia ha suscitato reazioni anche nel Resto del Mondo, in particolare in Belgio ha colpito molto il vincitore del Fiandre 2011 Nick Nuyens.
Per AdL ci sono una buona e una cattiva notizia. La buona è la precedente. La cattiva riguarda il suo rapporto con il neerlandese. Quando ha scoperto che Mollema si pronuncerebbe accentato sull’ultima sillaba e che Betsema si pronuncerebbe Bezemà e non Benzèma, lui ha reagito dicendo che avrebbe continuato a pronunciarlo come prima, come a sottindere ma questi che vogliono? Ebbene, c’era un nome che negli ultimi anni si poteva leggere (si fa per dire) negli ordini d’arrivo delle corse minori, che poi si è duplicato nel senso che non si tratta di un solo ciclista ma sono due, e se finora non ho detto niente è perché pensavo non emergessero, ma ora hanno iniziato a vincere e potrebbero in futuro partecipare a corse importanti, per cui preparatevi perché arrivano i fratelli Roel e Daan van Sintmaartensdijk.
Prima del Giro d’Italia si è rischiato di assistere al Giro…limoni. Alessandro De Marchi per due volte a distanza di pochi giorni si è lamentato sui social di aver rischiato di essere investito in allenamento. La seconda volta è stato sfiorato da un’auto e ha invitato i suoi followers a fotografarne la targa perché voleva vedere in faccia l’automobilista. Ha precisato che si trattava di una V*** o di una F**** nera che viaggiava su una strada trafficata, e ha ricevuto foto di 1062 auto diverse: il cerchio si stringe.
Nessuno ha mai realizzato un’accoppiata di vittorie che farebbe la gioia della Premier di alto profilo. L’accoppiata la vedo solo io perché le due corse non hanno nessun collegamento e sono una del calendario under 23 (già dilettanti) e l’altra una classica di massima seria: il G.P. della Liberazione che si corre a Roma il 25 aprile e il G.P. di Francoforte che si corre fisso il 1° maggio. Ieri ci stava riuscendo Alessandro Fedeli che vinse il Liberazione nel 2018 ma in Germania è stato battuto dal danese di turno, stavolta toccava a Kragh Andersen. Il caso Fedeli basterebbe da solo a zittire tutte le chiacchiere sullo stato del ciclismo italiano. Dicono che in Italia non c’è una squadra World Tour che faccia correre da capitani gli italiani, ma i danesi e gli sloveni non hanno neanche le tre professional, ma neanche una. E poi dicono che le squadre italiane devono reclutare i ciclisti tra gli juniores perché i giovani più forti se li accaparrano le squadre straniere, ma un corridore titolato come Fedeli nessuno lo ha cercato ed è stato ingaggiato solo dalle peggiori squadre europee (Delko e Gazprom) prima che arrivasse la squadra consigliata da Nibali.
(Attenzione: Paragrafo scorrettissimo, i parental sono advisati) Il ParaCIO si preoccupa che nessuno ma proprio nessuno resti escluso e a tale scopo sta valutando l’introduzione di una nuova categoria già dalle Paralimpiadi di Parigi. Si tratta della categoria “cagionevoli di salute”. Nel ciclismo su strada ogni nazione potrà iscrivere fino a 15 atleti in modo che almeno un paio siano in condizione di schierarsi alla partenza. L’Italia avrebbe ottime possibilità di vincere medaglie con Bettiol e Nizzolo, ma il superfavorito sarebbe l’idolo di casa Julien Alaphilippe.
Tao Coso… Geoghegan Hart è risorto, intendo ciclisticamente. Dopo aver vinto il Giro limited edition del 2020 si era un po’ perso, ma quest’anno si è ritrovato, forse si era dimenticato nello sgabuzzino delle scope o sul comò, e ha vinto le prime due tappe della corsa che disputandosi tra Tirolo e Trentino ha un nome in tedesco? No. In italiano? No, si chiama Tour Of The Alps, per gli amici TOTA. Intervistato dopo la seconda tappa, Tao ha pronunciato una frase che è praticamente un proverbio, e il quiz di oggi consiste nell’indovinare quale tra le quattro seguenti è quella taoista. La soluzione ce la fornisce lo stesso ciclista nella foto opportunamente capovolta, ma voglio darvi comunque un aiutino con qualche pettegolezzo su di lui. Tao ha una zia di Pinzolo, quando vinse il Giro era fidanzato con una ciclista sorella di ciclista e oggi sta con una calciatrice. Ora le frasi:
C’è una ex pattinatrice canadese di origine rumena, di cui ometterò il nome, che vorrebbe partecipare alle prossime olimpiadi nel ciclismo. Per finanziare il suo progetto è ricorsa alla piattaforma onlyfans su cui i suoi fans pagano per vedere le sue foto, che però non ritraggono bici caschi e borracce, ma quelle parti del suo corpo che in genere la divisa da ciclista cela agli occhi degli spettatori, e in particolare proprio quelle che poggiano sul sellino, quando si dice gli argomenti pertinenti. Insomma roba da far rivalutare Puck Moonen, peraltro ben più avvenente, ma non stiliamo classifiche fuori luogo. Il punto è che le formazioni non le decidono i fans ma i selezionatori delle nazionali che in genere – ma non ci metterei la mano sul fuoco – usano ben altri criteri. E immagino che, anche se nuova dell’ambiente, questa neociclista dia un’occhiata alle gare o almeno ai risultati, e nel caso avrà saputo, forse con suo dispiacere, che la Parigi-Roubaix è stata vinta proprio da una sua connazionale, quindi un’agguerrita rivale per la partecipazioni ai Giochi. E poi anche la gagliarda Alison Jackson usa i social, forse fino a pochi giorni fa lo sapevano solo gli addetti ai lavori, e diciamo che pure in questo ambito lei batte l’altra canadese di parecchie biciclette, per usare il linguaggio ciclistico, perché tra le altre cose balla, come del resto ha fatto anche nel velodromo di Roubaix dopo la vittoria, tenta di insegnare a ballare al suo cavallo, mangia patatine vere e pizze immaginarie, e con la pietra che costituisce il trofeo della Roubaix ha proposto la sua versione di I Wanna Rock dei Twisted Sister che per l’occasione è diventata I Won A Rock.
Secondo me gli anni zero per la musica sono stati un decennio favolosino e questo soprattutto grazie ai musici dei paesi freddi: Scozia, Scandinavia, Canada. Tra i canadesi direi soprattutto la parsimoniosa Feist e The New Pornographers. Questi ultimi ve li ho proposti più volte in passato, ma sono ancora attivi ed è appena (e forse anche “a pena” visto lo stato dell’industria musicale e peggio ancora della distribuzione) uscito il nuovo disco Continue As A Guest che conferma il tocco magic(h)ino di Carl Newman per la creazione di canzoni brillanti ed eleganti, a dispetto del fuorviante nome del gruppo. Negli anni questa sorta di supergruppo ha perso dei pezzi, tra i quali il più pregiato era Dan Bejar che ha continuato in proprio. Ma Really Really Light, il brano che apre il nuovo disco del suo vecchio gruppo, è firmato A.C. Newman-Dan Bejar.
Però, scusate, che figure mi fate fare? Io parlo di paesi freddi e voi per questa pattinatrice non trovate un po’ di ghiaccio su cui pattinare davvero davvero leggera?