C’è una bella storia che ho scoperto leggendo una cartolina da Orléans di Zograf pubblicata su un numero recente di Internazionale. Lui l’aveva sentita da uno studioso e si dovrebbe procedere a ritroso, ma io preferisco raccontarla in ordine cronologico che poi in questo caso è anche alfabetico dao che finiamo con la zeta di Zograf.
Nella Francia del dopoguerra nella regione dell’Ile de France, che poi sarebbe la zona di Parigi, un ragazzo di nome Norbert George Moutier, precoce e di indole curioso assai, dall’età di 5 fino a 19 anni e con l’aiuto della madre Simonne disegna a mano oltre mille libretti a fumetti ispirati a quelli dell’epoca. Poi diventa grande e li archivia nel senso che li nasconde a casa sua e si dedica a un’attività seria, il contabile, ma dato che non era abbastanza seria – non sappiamo se si era fatto due conti – passa a cose ancora più serie e diventa libraio, editore, fanzinaro e collaboratore anche di riviste, direttore di un cineclub, sceneggiatore regista e anche attore di film “di serie Z” autopubblicati su vhs a base di alieni dinosauri e vampiri, ma non chiedetemi tutte queste cose in che ordine le abbia fatte. Nel 2012 si autopensiona e si trasferisce a Orléans dove muore nel 2020.
Dopo la sua morte le fanzine vennero ritrovate e vendute in blocco. Al locale mercatino delle pulci le comprò lo studioso Xavier Girard che, entusiasmato dalla scoperta, subito ha organizzato mostre e convegni, praticamente le porta in tournée, e quando ne ha parlato all’Università di Gent, dove non si vive solo di ciclismo, si trovò a passare da quelle parti il fumettista serbo Aleksandar Zograf, pure lui appassionato viscerale di queste cose futili, e ci ha disegnato due paginette. Fine della storia.
La memoria non mi aiuta, più volte mi sono chiesto cosa succedeva nei pomeriggi delle domeniche prima dell’invenzione della Coppa del Mondo e della conseguente scoperta di un mondo nuovo, quello della coppa medesima. Qualcosa ricordavo vagamente e poi ho capito che c’erano solo piccole intrusioni di 5 minuti o di 5 km all’interno di programmoni importantoni. E tra questi programmi c’era quello del giornalista che dicono ha cambiato il linguaggio televisivo ma a me pare che ha solo inventato il selfie, e intervistava tutti i personaggi importanti: il cubano che gestiva una dittatura ben avviata, lo scrittore colombiano amico del cubano, il calciatore quadrupede pure lui amico del cubano, ciclisti no, ma ognuno ha i suoi gusti quindi non disputiamo. Certo non sarebbe stata un’impresa intervistare quel ciclista di Bruxelles educato e disponibile, ma lui non era amico del cubano, solo di telaisti e forse del re ufficiale del Belgio, o forse era il Re che era amico suo. E poi quel giornalista intervistava solo i potentissimi primissimi, sembrava dire Beati i primi perché saranno i primi, mentre nel ciclismo c’è sempre stata attenzione anche per quelli che arrancano, quelli che non vincono mai, gli eterni secondi o gli eterni ultimi, con maglia nera o senza, e anche Het Nieuwsblad sta dedicando una rubrica agli ultimi nell’ordine d’arrivo delle grandi classiche. Poi ci sono le sorprese, i vincitori occasionali, quelli che sporcano l’albo d’oro, come René Martens che, dopo i problemi meccanici del campione del mondo in carica Freddy Maertens (aggiunta o sottrazione di vocale a seconda del punto di vista) vinse il Giro delle Fiandre 1982, una di quelle corse che la RAI non trasmise perché c’era un importante programma filo-cubano.
L’elefante e l’ippopotamo si travestirono da uomini e marciavano verso un bel villaggio, ma durante il cammino vedevano donne e bambini che piangevano e scappavano. Allora chiesero a un bambino perché piangevano e quello aprì bocca ma rimase muto. Meno male che c’erano gli uccelli che gli consigliarono di togliersi quegli abiti bestiali e gli spiegarono che quella era la guerra degli uomini che tutt’intorno vogliono solo uccidere uccidere uccidere uccidere…
Hai voglia a parlare di universi parelleli e cose del genere, oggi sono 50 anni dal mondiale di Gap e vincitore risulta ancora Basso davanti a Bitossi. Ma se fosse stato un film si poteva immaginare, e pure realizzare volendo, un finale alternativo: a poche decine di metri dall’arrivo sulla sede stradale irrompe il cane di Zandegù, forse sfuggito al controllo del proprietario o forse proprio no, che corre contro Basso e lo fa cadere, ma voleva solo giocare, così vince Bitossi, secondo Guimard e terzo Merckx. Mi piace.
Guardavo il meteo, quello su Canale 5 con la mia meteorologa preferita, e pensavo che in questo paese ci sono sempre state relazioni pericolose, c’è un governo con l’inciucio migliore che si possa immaginare, e per restare nell’ambito TV la RAI ha affidato più volte la presentazione di Sanremo alla De Filippi finendo con il fare pubblicità alla cosiddetta concorrenza e al sistema talent, però il Giro per le previsioni si affida ai tristi uomini di fiducia della RAI invece di consultare Stefania Andriola che con il mondo del ciclismo ha avuto a che fare. Ma poi le previsioni meteo della RAI si rivelano pure sbagliate, doveva piovere o nevicare sull’ultima tappa di montagna e così non è stato alla faccia dei cultori del ciclismo più sadico che eroico. In genere non sto ad ascoltare quello che dice lo scrittore parlante, ma stavolta ho sentito che ha accennato a una ballerina della Belle Epoque che soggiornava da quelle parti, Cléo De Mérode, dice che era bellissima, e dato che all’epoca c’erano già le fotografie, e non c’è bisogno di cercare quadri o interpretazioni di illustratori come per la famosa Charlotte che non la dava a Goethe, o al giovane Werther se preferite, dicevo sono andato a cercare le foto e in effetti Cléo era bella di una bellezza non datata, cioè direi moderna. Poi l’argomento è gradito al governissimo migliorissimo che vorrebbe tornare ai fasti della Belle Epoque, già ha decretato il bonus terme, allo studio c’è il bonus casinò grazie al quale si potranno detrarre dalla dichiarazione dei redditi le perdite al casinò, ed è stato proposto all’UE di spostare la sede da Strasburgo a Baden Baden. In seguito lo scrittore parlante è stato più pertinente quando a 8 km dall’arrivo, in piena Marmolada, ha detto che in quella zona vive la marmotta, e questa notizia è in tema con il Giro perché sembra di essere nel film Ricomincio da capo (Il giorno della Marmotta), ogni giorno uguale all’altro. Infatti davanti c’è la fuga nella quale si infilano il solito Van Der Poel e Vendrame dopo le recriminazioni del giorno prima, ma saranno i primi a staccarsi anche se Vendrame fa in tempo a litigare con qualcuno, e con una bella fuga dalla fuga prima si prende la Cima Coppi sul Pordoi e poi vince sul Passo Fedaia uno dei giovani italiani più promettenti, Alessandro Covi, figlio di Marilisa Giucolsi che correva negli anni 90 che furono un altro periodo dorato per le cicliste italiane, mentre dietro il gruppo con la Bahrain tira come se Mikelanda preparasse l’attacco della sua vita, e invece quando i gregari finiscono il lavoro lui resta lì, e l’attaccone lo fa Jay Hindley che stacca Carapaz e in 3 km gli prende un minuto e mezzo. Carapaz va in crisi e pure Landa lo supera, ma a questo punto, comunque finirà con la crono conclusiva, non potremo più sminuire il Giretto del 2020 perché Hindley è vivo e lotta insieme alla Bora. Il Garzo che per tutto il Giro ha avuto da ridire sulla Bora del suo amico Gasparotto, che chissà cosa gli ha fatto, e ha elogiato la Bahrain, ha detto che Landa non era il Landa che conosciamo: infatti il Landa che abbiamo conosciuto in tutti questi anni sarebbe già caduto nelle prime tappe. Il Processo ha mantenuto l’impegno di alternare come ospiti 6 campionesse, sempre elogiate da Fabretti che le ha fatte parlare più di quanto usasse in passato la signora AdS, e stavolta è stato il turno di Marta Cavalli, ancora lei? E’ da un mese è mezzo che l’immagine sullo sfondo del mio pc è la sua vittoria all’Amstel con dietro tutti i gruppetti dispersi sul vialone di Valkenburg, non se ne può più.
In questa foto Cléo de Mérode sembra una mezza fricchettona degli anni 70.
Il giorno dei millepiedi scalzi
Lo scrittore parlante dice che non è vero che l’ultima tappa è come l’ultimo giorno di scuola, come ha sempre sostenuto Cassani, perché l’ultimo giorno di scuola si è solo contenti mentre il Giro vorresti che non finisse mai, ma immagino che i ciclisti stanchi e ammaccati non siano molto d’accordo. Una cronometrina di 17 km non poteva stravolgere la classifica e così Jay Hindley vince il 105esimo Giro d’Italia, e gli italiani possono prendersi un po’ di merito per questa vittoria giusto per quei pochi mesi in cui il ragazzo ha corso in Abruzzo. Quel periodo non gli è stato sufficiente per imparare a parlare italiano, e a Rizzato dice che non può chiedergli di dire qualche parola nella lingua di Dante, eppure non ci vuole nulla, basterebbe dire Pape Satàn, pape Satàn Aleppe e farebbe tutti fessi e contenti, come si dice nella lingua non proprio di Dante. Però mi chiedo se dagli italiani Jay non abbia appreso piuttosto la nobile arte della ruffianeria, quella che fece vestire i Maneskin con la bandiera americana quando suonarono a Las Vegas ma fece pure indossare al brit Mick Jagger la maglietta di Paolo Rossi quando cantò e sculettò, più la seconda, a Milano nel 1982. E infatti Hindley dice che la maglia rosa è la più bella, de gustibus, e che il Trofeo senzafine è il più bel trofeo che abbia vinto, e qui è facile perché non so quanti altri trofei abbia vinto. Dicono che è venuto al Giro senza fare proclami, ma ha anche pronunciato la programmatica e già storica frase: “non siamo qui per mettere i calzini ai millepiedi”, presumo che nel Giù Sotto sia il corrispettivo della faccenda delle bambole da pettinare. Rispetto al 2020 Hindley ha corso meglio la cronometro finale ma la vittoria è andata a Matteo Sobrero, nel cui curriculum vitae la parentela con Filippone Ganna viene prima del titolo tricolore. Nibali con il quarto posto finale e Valverde con l’undicesimo concludono il loro ultimo Giro, la gente li invita a ripensarci, io invece li invito a tenere duro: Hasta la pensione siempre! Chi chiude malissimo il Giro è la RAI, perché prima arriva AdS con due taniche di retorica e non ne risparmia neanche una goccia perché a casa ne ha tante altre, poi al Processo arriva Cipollone che viene ritenuto un’autorità e invece è solo un triste umarell, anche se ascoltarlo può consolare chi ha superato i sessanta e crede di essere troppo vecchio, ma l’esperienza mi dice che non c’è un’età precisa in cui si può iniziare a rimpiangere la propria età dell’oro, io per esempio non ho ancora iniziato, e Cipollone dice che le fughe da lontano ai suoi tempi non arrivavano (e come fece Saligari a vincere a Caserta nel 1994?) e se c’era Pantani eccetera, e si contraddice anche, e contraddicendosi si espone troppo perché prima tira in ballo la solita accusa alla troppa tecnologia e ai misuratori di potenza, poi quando spara che gli italiani hanno insegnato il ciclismo a tutto il mondo dice che la matematica (intende la scienza) nello sport l’hanno introdotta Conconi e Ferrari, cioè quei due scienziati che dagli anni 80 erano dietro a tanti successi italiani non solo nel ciclismo ma in tanti sport di resistenza e poi è finita che il secondo è stato radiato e il primo è stato “prescritto”, i bei tempi dell’ematocrito a 60 che non ritornano più. E per far parlare l’umarell, interrotto solo e non abbastanza dalle interviste ai protagonisti di questo Giro, agli altri ospiti Colbrelli e Guderzo più addentro al ciclismo odierno non sono state rivolte domande, eppure se ne poteva fare una a Tatiana quando sono state accolte due sciatrici degli anni 90 indicate come esempi per le loro eredi attuali, cioè si poteva chiedere a Guderzo se ha avuto bisogno di esempi e se negli anni 90, quando era ragazzina, sapeva che al Tour de France Luperini e compagne vincevano la classifica e la metà delle tappe, forse non lo sapeva perché la tv dava molto più spazio allo sci. Ma Cipollone non ha finito lo show e, quando l’incauto Hindley parla dei sacrifici fatti stando lontano da casa (in realtà sembra che a causa del covid non vedeva i genitori da più di due anni), il giovane umarell dice che il giovane ingrato e viziato dovrebbe essere contento di stare lontano dalla famiglia, forse perché fa lo sport che gli piace o forse perché restando in famiglia non si può nemmeno picchiare la compagna perché è diventato reato, anzi il Cipollone che lasciava il Tour dopo poche tappe per andarsene al mare aggiunge che se fosse stato vivo Alfredo Martini gli avrebbe raccontato la vita vera, i veri sacrifici di quando ci volevano 9 giorni di viaggio per andare al Tour perché c’erano i bombardamenti, ma se Martini fosse ancora vivo anche a 101 anni sarebbe più lucido di Cipollone.
Il primo mondiale che ricordo è quello di Leicester nel 1970, in cui la gara femminile fu vinta dalla russa Konkina davanti a Morena Tartagni, già terza nel 1968 e ancora seconda nel 1971. Quindi la Tartagni è la prima ciclista di cui ho memoria e quando è stato pubblicato un libro su di lei l’ho subito comprato e letto, mentre per dire ne ho due su Merckx che da tempo attendono. Speravo in un ulteriore contributo alla storia del ciclismo femminile dopo il volumone di Antonella Stelitano, ma in realtà questo è una biografia romanzata non solo di una ciclista ma di una persona coraggiosa, che voleva fare la corridora in anni in cui quella non era una scelta ben vista, pure se non erano più i tempi della Strada, e poi si è unita con un matrimonio civile con la sua compagna, alla quale promise di raccontare la loro storia. Paradossalmente, quando correva, la corridora si lamentava che nelle interviste le chiedessero se era fidanzata e altre cose del genere e negli articoli ci si soffermava più sull’aspetto, in una visione riduttiva del ciclismo femminile, e oggi si è affidata a uno scrittore che le ispirava fiducia, ma che è più portato per la descrizione minuziosa dell’abbigliamento di Morena nelle varie circostanze che per le descrizioni delle gare, a volte imbarazzante, basti dire che qui ci sono cicliste che iniziano a tirare la volata a metà gara. Nel volume non c’è una bibliografia perché il racconto è basato sull’archivio ben curato della Tartagni. Il clima di quegli anni non era favorevole ma poi per magia i personaggi sono quasi tutti positivi, anche mitici volendo, neanche del “presidentissimo” Rodoni, grande nemico delle donne in bici, si dice male, l’unico dipinto negativamente è un vecchio cittì che dalla Tartagni sull’Unità venne accusato di discriminare le cicliste secondo le loro tendenze sessuali, mentre la Stelitano ne scriveva come di uno che voleva aumentare il numero delle gare ed era alle prese con una nazionale divisa da invidie e gelosie, bei tempi mitici eroici in cui non c’erano donne che facessero squadra come nel triste presente sono state Noemi Cantele, Tatiana Guderzo e Elisa Longo Borghini, non ci sono più quelle belle invidie di una volta.
Poche ma interessanti le foto, tra cui una con Binda che forse iniziava a ricredersi sul ciclismo femminile. Quello a destra è il podio di Leicester.
Se Napoli fa pensare alla pizza l’Abruzzo si associa agli arrosticini e quando il Giro arriva in Abruzzo al Commissario in moto viene la fringalle però non cerca le barrette del suo ex compagno ex supercittì ma uno spiedo. Questa regione ha dato pochi ciclisti e non sempre buoni. Vito Taccone diceva che doveva vincere anche come fosse una rapina perché aveva fame, come se gli altri ciclisti del suo tempo venissero dall’aristocrazia sabauda, e per questo ha pensato di essere sempre in diritto di lamentarsi e polemizzare, anche una volta sazio. Il killer di Spoltore all’ennesima positività si è definito bestia da vittoria e ha collaborato, più con le Iene che con la giustizia. Luciano Rabottini vinse una Tirreno-Adriatico con una fuga bidone, poi, dopo qualche anno anonimo, vinse il Giro della Campania davanti alla Reggia, e davanti a Ballerini che si sarebbe rifatto l’anno dopo. Quando suo figlio Matteo fu trovato positivo si diceva che non volesse neanche parlargli, però ora conduce una rubrica su una tivvù e ha invitato l’ex killer spoltorese a commentare: meglio non commentare. Roberto De Patre non ha mai corso il Giro e da professionista non ha mai vinto, così ha preferito ritirarsi presto per lavorare nella Ditta di famiglia, ma se ha fatto la comunione dei beni condivide un Mondiale un Europeo un Fiandre una Wevelgem e altro ancora perché sua moglie è Marta Bastianelli, ospite provvisoria del Processo. Dario Cataldo oggi a un traguardo volante ha vinto il premio per la classifica avulsa dei ciclisti abruzzesi: una pecora. E infine c’è Giulio Ciccone, precaria e quasi unica speranza di classifica per il ciclismo italiano. Infatti alla prima salita vera Ciccone già si stacca e si dimostra l’infondatezza di certe interpretazioni della crisi del patrio ciclismo, perché la Trek è una squadra straniera ma puntava molto su Ciccone, al punto che i compagni di squadra sono rimasti con lui e nessuno con la maglia rosa Jumpin Lopez, e quando questi ha toccato la sacra rota di Valverde ed è caduto ha dovuto rincorrere da solo riuscendo a salvare la maglia per una sporca dozzina di secondi. Il Blockhaus non ha fatto sfracelli ma ha setacciato la classifica e il primo a uscirne è stato Yates che stavolta ha la scusa del ginocchio gonfio. I tre più forti, almeno di giornata, sembravano Bardet Carapaz e Landa, ma nell’ultimo km hanno proseguito guardandosi e zigzagando per cui di km ne avranno percorsi il doppio, e sono rinvenuti i primi inseguitori tra i quali Jay Hindley che quando era under 23 è venuto dal Giù Sotto a correre in Italia proprio in una squadra abruzzese, e ha vinto una volata combattuta che per poco non si doveva ricorrere al fotofinish: tre quasi sulla stessa linea in una tappa di montagna. Jay fu secondo allo strano Giro del 2020, che con il suo ritorno alla vittoria potrebbe migliorare quell’immagine un po’ sfigata che l’accompagna, ora attendiamo che si faccia vivo anche il vincitore Tao Coso Hart. Intanto Hindley è diventato la punta della Bora visto anche il ritardo di Kelderman che ha forato e cambiato la bici, ma poi ha voluto ricambiarla e riprendere l’originale. Petacchi ha spiegato che certi corridori sono così abituati a correre sempre con la stessa bici che anche se quella di riserva è uguale non si trovano a loro agio, il che significa che in gruppo ci sono dei principessi sul pisello.
Il Giro d’Italia stabilisce subito un piccolo record: per il terzo anno consecutivo è il simbolo della ripartenza e del ritorno alla normalità, e visto l’andazzo della pandemia e della guerra è facile prevedere che si potrà migliorare questo primato.
Mucche e buoi dei paesi tuoi
Si parte dall’Ungheria, be’? Qualcosa da ridire? Se si volesse essere severi e boicottanti allora il Giro d’Italia non dovrebbe partire neanche dall’Italia dato che ammazza i suoi lavoratori. Qualche differenza tra i due paesi in realtà c’è: loro solo governati da un sovranasso, un sovranista satanasso, mentre qui siamo così avanti che il Capo dello Stato non è una persona ma un software, tu gli dai un input qualunque, è morto un lavoratore o un artista che non conosceva nessuno o è la ricorrenza di un accidente, e quello ti da la risposta esatta con un messaggio corretto preciso. Poi qui non siamo sovranisti, difendiamo solo le cose italiane come il formaggio e i bambini. Il formaggio è buono perché le mucche mangiano questo qua che cresce qua e c’ha il batterio e non quello là che cresce là e il batterio non ce l’ha, e non sia mai che un giorno le mucche vanno a pranzo fuori poi il formaggio viene una schifezza che devi solo buttarlo di là. Però si tratta solo di proteggere il settore trainante dell’economia patria, che in Italia è appunto il cibo mentre in Ungheria è il porno, e non so chi ci fa la figura peggiore. Poi i bambini, ci sono tanti bambini lungo le strade ungheresi, e con i bambini si può fare tanta retorica, però quelli italiani sanno cos’è il Giro, glielo avranno raccontato i nonni, quei vecchi ubriaconi, mentre questi sono ignoranti, e poi non è il caso di far appassionare al ciclismo pure gli ungari ché un domani ci ritroviamo anche loro come avversari non bastassero gli eritrei. Eppure il paese della giovane fenomena Kata Blanka Vas non me la conta giusta, perché prima di darsi al porno l’Ungheria ha fatto la storia dell’animazione con gli studi Pannonia che tra l’altro realizzavano il famoso Gusztav, personaggio non molto divertente che in un episodio partecipa a una gara ciclistica.
Una mandria di ciclisti
Alla partenza ci sono sempre quelli che piangono, ma stavolta non sono lacrime d’addio, sono gli italiani che praticano il vero sport nazionale, il vittimismo, e si lamentano perché le squadre foreste hanno dirottato sul Tour i migliori ciclisti connazionali, Caruso Ganna Bettiol, e pure Colbrelli se non avesse avuto problemi sarebbe andato al Tour, e si lamentano anche perché le squadre foreste danno molta più importanza al Tour che al Giro, ma basterebbe incrociare i dati per verificare che se quelle squadre danno più importanza al Tour e ci portano gli italiani vuol dire che li hanno in grande considerazione. Comunque sia c’è il via, anche qui con partenza differenziata, si inizia a pedalare qui nel salotto buono ma la partenza ufficiale è qualche km più avanti dove si sta più larghi, il risultato è che si allunga il brodo con un po’ di acido lattico in più e non serve avere un amico che conosce una scorciatoia, il percorso è obbligato. La tappa viene più noiosa di quelle del Tour, due (an)droni in fuga e le altre squadre minori che neanche si scomodano, è facile pensare che la fuga non arriverà perché la posta in palio è grossa: tappa e maglia, è matematico. Ma se la tappa è piatta il finale è in salita, e le squadre ci arriveranno senza essersi spremute quindi in piena efficienza, e Giada Borgato, che in RAI è l’unica che capisce di ciclismo ma non è felicissima nell’esprimersi, dice che i ciclisti saranno “carichi come una mandria, assatanati”. Può vincere quello, può vincere pure quell’altro, attacca questo poi attacca quest’altro, ma se c’è Mathieu Van Der Poel vince lui, no? Anche se ha dovuto sudare sette camice e otto bavaglini per battere Biniam Girmay che senza il fattore sorpresa va forte lo stesso. E sulla lunga lista di cose da conquistare il figlio e nipote può cancellare tappa al Giro e maglia rosa.
Strade scombussolate
Sta talmente in forma il Matteino che per poco non vince pure la seconda tappa che è una breve cronometro con curve acciottolato e salita finale, al punto che Petacchi di lui dice: “Più è scombussolata la strada, più forte riesce ad andare.” Forse Alessandro voleva rivaleggiare con la collega Giada in quanto ad immagini esuberanti, certo è che oggi si stenta a credere che questo esangue commentatore sia stato un velocista quasi imbattibile e un abile cubista di rubik, e comunque è più portato all’autobiografismo che al commento delle cose presenti. Tornando alla crono, vince lo scalatore gemello e, anche se in RAI ricordano che già una volta vinse contro il tempo alla Parigi-Nizza, qualcuno si insospettisce e altrove commenta che dà da pensare il fatto che uno così leggero abbia battuto Dumoulone, ma il segreto di Simon Yates non è segreto perché l’ha detto lui stesso: con la Bike Exchange, che ha ottenuto pure il quarto posto con Matteo Sobrero, collabora l’Ingegner Marco Pinotti, ex ciclista diventato docente di cronometrologia.
Meno male che domani si va via
La terza tappa è lunga e noiosa, ma se vogliamo essere all’altezza del Tour bisogna fare così. In fuga gli stessi droni più il kometino Rivi, distratti o tenuti svegli dai tanti cicloamatori…, vabbe’, facciamo solo “ciclisti” ché vista l’attività principale del paese ospitante è meglio non parlare di “amatori”, dicevo i tanti ciclisti che sulle ciclabili parallele al percorso affiancano i girini e a volte scambiano anche qualche battuta. Troppe ciclabili lassù, non crederete mica di essere un paese civile? In Italia queste cose non succedono. Oltre al pubblico praticante c’è anche quello laico, davvero tanta gente che a volte improvvisa coreografie come quelle del Tour. Il gruppo va piano, non hanno fretta perché l’aereo per tornare in Italia c’è il giorno dopo, forse vogliono solo abbreviare lo spazio a disposizione del Processo. In compenso c’è spazio in abbondanza per lo scrittore parlante che almeno dà modo a Petacchi di riscattarsi alla grande. Infatti Genovesi racconta la storia macabra della Contessa Dracula, il cui cadavere non fu trovato nella tomba, e Petacchi lapidario (ops) commenta: “Meno male che domani si va via.” Alla fine si arriva allo sprint e vince Cavendish con una volata lunga davanti a Démare Spostatutti che fa a spallate con tutti gli avversari nei paraggi e forse, se non fosse stato impegnato, avrebbe spostato pure le transenne. Quest’anno l’UCI ha concesso l’ormai tradizionale deroga e tutti i lunedì saranno festivi, cioè è previsto il giorno di riposo. Si ripartirà dall’Etna dove in queste tre giornate ungheresi gli infreddoliti commentatori della RAI hanno celebrato per la prima volta il Processo alla tappa a distanza. A differenza di altre partenze dall’estero, quando si poteva tornare in Italia in bicicletta, cioè con tappe di avvicinamento, quest’anno il trasferimento avverrà con voli charter, e poi dicono la transizione ecologica.
Nel paese dei ciechi Orban è quasi re e se sgancia la grana la cecità si diffonde tipo epidemia, fino a colpire il Giro d’Italia, ché il ciclismo cassa le squadre russe e biele ma fa partire il Giro dal paese del dittatorello grandicello, ci sarà poi tempo per fare gli indignati. La cosa bella del Giro è che prima della prima tappa il peggio è già passato, ovvero la presentazione della squadre che, al pari della presentazione del percorso, è la dimostrazione della schizofrenia di questo mondo che finge di portare un messaggio ecologico e prende i soldi dai fracassatori dei 7 mari e dalle industrie del motore, che ancora propone la retorica del passato eroico, con Coppi come Orlando Furioso o Ulisse, perché il gossip OTL (=fuori tempo massimo) parla di una sua volontà negli ultimi giorni di ritornare dalla moglie, e con Bartali come piccola vedetta lombarda con accento toscanaccio, per non parlare di Magni-Rambo che si arrampica sul San Luca tutto fratturato e di Pantani che si toglie la bandana e le suona a tutti come fosse Bud Spencer, ma nel contempo il ciclismo occhieggia al pubblico fighetto, cui dubito faccia gola questo immaginario di fatica e sudore, chiama a raccolta i brand, che a me quella parola fa piuttosto venire in mente l’omonima ciclocrossista Lucinda, e fa portare il Trofeo senza fine alla appassionata di ciclismo che ci tiene a dire che è appassionata di ciclismo e per meglio ribadirlo l’anno scorso indossava un abito vedo-ma-faccio-finta-di-non-vedere e quest’anno ancheggiava per non dire sculettava che pare brutto. Ora si può passare alla corsa che ha tre favoriti per la vittoria finale generale. Il primo è Richard Carapaz che è un ciclista bivalente, che non vuol dire eclettico alla Van Aert-Van Der Poel, ma semplicemente che finché si parla del Giro del 2019, ah quello non l’ha mica vinto Carapaz, l’ha perso Nibali per colpa della squadra e degli organizzatori che non gli hanno fatto la cronometro finale lunga abbastanza, ma quando poi si parla di questo giro che parte miserello per mancanza dei grandi più grandi allora per dargli un tono, al Giro, si ricorda che Carapaz è campione olimpico. Poi c’è Simon Yates gemello di Adam. Simone ha corso al Giro delle Asturie e ha vinto due tappe su tre, nell’altra è arrivato quando stavano tirando giù la saracinesca. Yates ha detto che quel giorno ha sofferto il primo caldo, l’anno scorso al Giro quando stava recuperando in classifica soffrì il primo freddo, lui è fatto così, soffre il primo caldo, il primo freddo, il primo così così, il primo vento, il primo acquazzone estivo, il primo temporale autunnale, la prima grandinata, la prima stagione dei monsoni, la prima invasione di cavallette e l’ultima neve di primavera, ma tutti gli altri giorni va fortissimo. Infine c’è Tom Dumoulin, che si era stufato di correre, in particolarte di fare il gregario di Roglic, e si era fermato perché voleva capire cosa voleva dalla vita. E’ stato lì qualche mese, poi un giorno ha sentito del chiasso sotto casa sua ed è sceso in strada a vedere cosa stava succedendo: stava passando l’Amstel Gold Race. A quel punto ha visto una luce, gli si è aperta la mente, ha avuto una rivelazione, lui voleva ancora fare il corridore, e in men che non si dica è tornato ad allenarsi a gareggiare e a infortunarsi: tutto è bene quel che finisce bene. C’è da dire che Dumoulin è forte soprattutto a cronometro ma il percorso di questa edizione non lo favorisce. Infatti in questo periodo gli italiani piangono perché non ci sono ciclisti italiani forti, solo i cronomen vanno fortissimo, e sono pure tanti, e allora quelli del Giro cosa hanno pensato per fare appassionare alla corsa il pubblico nazionalista? Semplice, per cercare di favorire gli italiani ci saranno molte montagne e pochissime cronometro per un totale 145 metri contro il tempo. Poi fate attenzione, qualcuno dice che tra i favoriti c’è anche Mikel Landa ma questa è chiaramente una fake-news, non ci cascherebbe neanche Landa medesimo che pure in quanto a cascare non perde mai l’occasione. Infine quest’anno gli organizzatori dei grandi giri si sono finalmente decisi ad affrontare il problema delle maglie dello stesso colore di quella della classifica generale, problema che in particolare riguarda la maglia rosa della EF al Giro, la maglia gialla della Jumbo al Tour e la maglia rossa di 87 squadre alla Vuelta. Per il Giro gli americani hanno scelto il colore della maglia per l’occasione in maniera molto semplice, hanno preso una foto della loro divisa l’hanno aperta con paint e hanno fatto “inverti colore”. Facendo ciò hanno tra l’altro visto, con grande sorpresa, che l’eritreo Kudus non diventa bianco.