
La Regina sotto il livello del mare

Cosa ci guadagnerei se fossi il primo a celebrare un trentennale? Niente? Affare fatto.
Agli inizi degli anni 90 il rock aveva perso quei pazzerelli dei Pixies, e per sentire qualcosa di nuovo bisognava ascoltare altri generi, come il trip-hop o la jungle, e poi c’erano quelli che rielaboravano (o copiavano) cose vecchie, come l’acid jazz e il brit pop, e poi gli Stereolab per i quali si parlava di retro-futurismo. Poi una ragazza islandese che aveva cantato nei Kukl e negli Sugarcubes ebbe due buone idee: mettersi in proprio e presentarsi solo con il nome Bjork, senza l’ostico cognome Gudmundsdottir per di più con quelle “d” che si scrivono storte e su cui potete avere maggiori dettagli comprando qualche libro di autore islandese pubblicato da Iperborea. Voi direte che fate prima su internet, ok, ma poi il libro non ve lo leggete, fate voi. Da allora è iniziata una carriera unica, soprattutto perché, una volta raggiunto lo status di pop-star, anziché vivacchiare sugli allori rifacendo sempre le stesse cose o andando incontro ai presunti gusti del pubblico, ha sperimentato molto e fatto anche dischi più ostici del cognome, e scegliendo oculatamente i collaboratori più o meno come faceva David Bowie. La sua è stata una carriera con alti e bassi ma con spettacoli dal vivo sempre coinvolgenti. In mezzo anche la partecipazione a un film musicale, un’esperienza negativa per i contrasti col regista danese amato dagli intellettuali, ma il metoo non era ancora stato inventato e lei passava per diva capricciosa e litigiosa.
30 anni fa Bjork pubblicò il primo album fantasiosamente intitolato Debut, ma il secondo a scanso di equivoci fu intitolato Post. Gli inizi erano all’insegna di brani energici e danzanti, prima della svolta con i katebushismi del terzo Homogenic. E quando si presentò con un video nel quale ballava sul retro di un camion per le strade di New York capimmo che qualcosa di grande era arrivato.
Bambini che seguite la Zeriba illustrata, se a Natale gli adulti vi chiederanno di recitare una poesia vi suggerisco di declamare questi quattro versi a rima alternata e vi assicuro che se lo farete l’anno prossimo non vi chiederanno più niente.
Si mette alla gogna
per un gioco sadomaso
però prova vergogna
quando le prude il naso.
Uno dei dischi più apprezzati del 2022 è stato Mr. Morale & The Big Steppers di Kendrick Lamar, che in un paio di casi mi ha ricordato cose buone dei pur sventurati anni 90. Sulla copertina c’è scritto “Parental Advisory. Explicit Content” ma non rende l’idea. C’è ad esempio il brano We Cry Together in cui lui e l’attrice Taylour Paige si mandano reciprocamente a quel paese: “Vaffanculo puttana“, “Vaffanculo negro” e sono le frasi meno irriferibili. E la cosa mi ha ricordato Compleanno dell’Iguana, il primo libro di Silvia Ballestra in cui, nel primo episodio della saga degli Antò, due personaggi per quattro pagine si mandavano reciprocamente a quel paese.
Poi c’è Mother I Sober in cui Lamar canta con voce bassa e quasi rauca che mi sembra di sentire Tricky, ma forse è solo suggestione indotta dal fatto che nel brano è ospite un’altra protagonista della scena di Bristol, cioè Beth Gibbons, la cantante col contagocce che pure qui non esagera, e non so proprio come dobbiamo fare con lei.
Mio malgrado mi vedo costretto a citare uno sketch famosino di un duo comico del capoluogo, quello dell’incazzatore personalizzato, una specie di androide che si arrabbia per conto dell’utente, in sostanza un pretesto per quelle parolacce che costituiscono la risorsa principale di molti comici televisivi italiani. Questo per presentare l’ultimo video degli Orbital, storico duo composto dai fratelli coltelli Paul e Phil Hartnoll, che fanno musica techno però non cantano e, non so come si regolano sotto la doccia, ma nei dischi quando ce n’è bisogno chiamano altri a cantare. Gli Orbital si dicono influenzati anche dal punk e quando hanno voluto fare un pezzo contro tutti hanno chiamato l’arrabbiato per antonomasia, Jason Williamson degli Sleaford Mods, che in realtà col suo sodale Andrew Fearn ha collaborato anche alla scrittura del brano in questione, che a scanso di equivoci si intitola Dirty Rat.
Orbital + Sleaford Mods – Dirty Rat
Forse dobbiamo ipotizzare che tra le tante reti di cuniculi sotterranei ce ne sia una che mette in comunicazione tutte le librerie del mondo? In caso contrario non so come accade che un libro pubblicato nel 2017, avulso dal resto della collana, finisca accanto alla cassa di una libreria distante 744 km dalla sede della casa editrice. Il libro l’ho comprato soprattutto per le illustrazioni, che un po’ stridono con il contenuto. Ci sono immagini di artisti giapponesi anche famosi, con alcuni personaggi raffigurati in maniera grottesca e delle scenette affollate che sembrano già vignette, e ricordano i grandi fiamminghi come Bosch Brueghel e Jacovitti, ma nei racconti non si trova la minima traccia di umorismo, e se si racconta di qualche personaggio che rideva con i sodali è per metterlo in cattiva luce. E poi dice che facevano seppuku! Ma del resto non c’era molto da ridere, i racconti, tutti con intento didascalico, narrano soprattutto dell’epoca degli shogun che si combattevano a vicenda e facilmente ci scappava il morto, migliaio più migliaio meno. Anzi, avete presente quando l’Ispettore Clouseau della Sûreté entrava in casa guardingo per non farsi sorprendere dagli attacchi del domestico Cato? Beh, non era un’esagerazione – poi qualcuno potrà correggermi – ma era tipo la Via del Bushido.
Questa è un’antica canzone popolare, qui eseguita da un’interprete degna di Jacqui McShee dei Pentangle. E’ un canto dei balenieri che partivano per i mari perigliosi per dare la caccia al leggendario cetaceo e, pensando alla loro bella lontana, così cantavano alla pallida luna: “Bite chunks out of me / You’re a shark and I’m swimming / My heart still thumps as I bleed /And all your friends come sniffing / Triangles are my favourite shape / Three points where two lines meet”. Ma forse tutto quello che ho scritto non è vero.
Cordelia Gartside – Tessellate
Tra i Morandi preferisco quello vero: Giorgio.