Tre antropologi a zonzo

In una scena del film Crocodile Dundee la coppia protagonista passa una notte nella boscaglia e a un certo punto dalla vegetazione spunta un aborigeno che spaventa la donna. In neanche 2 minuti scopriremo che il giovane aborigeno (tra l’altro interpretato da David Gulpilil che è morto di recente) porta i jeans e l’orologio e sta andando a una cerimonia tradizionale per far contento il padre che è uno all’antica. Nell’estate del 2020, non bastasse la pandemia, la lettura di Incontri coi selvaggi di Jean Talon (ed. Quodlibet) mi ha rovinato il ricordo di una delle letture più belle dei tempi dell’università, cioè Argonauti del Pacifico Occidentale di Bronislaw Malinowski. Ho letto che il noto antropologo non avrebbe lasciato un buon ricordo di sé presso i trobriandesi secondo i quali non ci aveva capito molto, e ancora che egli disprezzasse gli aborigeni e anelasse a congiungersi carnalmente con le aborigene. Insomma da quando questi selvaggi si sono civilizzati è diventata dura per gli antropologi che non sanno più chi studiare e rischiano di restare a spasso, come si dice. Poco prima del covid ci provò un imprenditore del nord a cambiare almeno oggetto di indagine, dicendo che a Napoli è un fatto culturale non pagare il biglietto sui mezzi pubblici, ma, dato che almeno qui in Italia la gente crede che la cultura sia solo la faccenda dei libri e delle mostre di quadri e che sempre qui tutto viene strumentalizzato politicamente, il tipo fu accusato di razzismo. Eppure quando andavo proprio nel capoluogo proprio a studiare le scienze umane, antropologia compresa, ero convinto che stampare e vendere i biglietti non fossero attività contemplate, ma questo accadeva prima dell’era di Bassolino I. In effetti diventare oggetto di uno studio antropologico non deve essere una bella sensazione, deve dare l’impressione di essere ritenuti dei primitivi, e alla fine se non si possono rompere le scatole, pardòn, se non si possono studiare gli aborigeni i pacifici occidentali o i maradoniti, gli scienziati umani si saranno chiesti quale categoria, comunità o tribù di esseri rudimentali poteva prestarsi alle loro esigenze, finché qualcuno ha avuto l’illuminazione: i ciclisti, che in fondo sono abituati a essere maltrattati e messi in cattiva luce da ogni punto di vista. Ecco quindi che a Milano dal 17 al 19 febbraio, nell’ambito del World Anthropology Day (un giorno lungo tre giorni) tre antropologi terranno un convegno sulle pratiche sociali di ciclismo con alcuni ex ciclisti che avranno il doppio compito di testimoniare adesso le loro esperienze e di ridersela in futuro di quei tre dicendo che non ci hanno capito niente.

L’ex Supercittì con due aborigeni vestiti come tifosi esibizionisti al Tour, solo un po’ più discreti.