L’illusione di Salò

A Salò c’ero, però non in presenza. Era il 1994, avevo letto di questa Rassegna dell’Umorismo di Riviera del Garda con un concorso per vignette aperto a tutti, e partecipai. In quegli anni la guerra non era più un qualcosa di lontano ma c’erano state quelle del Golfo e nei Balcani e disegnai un soldato che spara e, dato che la terra è rotonda, il colpo gli ritorna alle spalle. Non doveva essere un’idea molto originale perché qualche anno dopo vidi una vignetta simile e, se non ricordo male, ben più vecchia della mia. Comunque quella mia fu selezionata e pubblicata su un bel catalogone, in compagnia anche di illustri fuori concorso come Quino e Cavandoli che disegnò il manifesto della rassegna. L’anno dopo ci riprovarono e, sicuro di essere selezionato e fiducioso in un nuovo catalogo, ci riprovai pure io. Però non mi feci una copia della nuova vignetta, che raffigurava un individuo che con una canna pescava nel catino dove si faceva un pediluvio, e io per primo non saprei dire perché mi sembrava che potesse anche essere vista come una metafora dell’emergente Lega Nord. Purtroppo, dopo la comunicazione che anche quella seconda vignetta era stata selezionata (niente di ché, caricavano tutti), da Salò non giunsero più altre notizie, e mi dispiacque più che altro perché non me ne rimaneva una copia da pubblicare eventualmente altrove, soprattutto perché quella vignetta non mi era sembrata niente male, in particolare l’espressione abbrutita del personaggio. Poi, conoscendo i miei limiti come disegnatore, oggi potrei dubitarne. Ma in fondo non è niente di grave, bando alle illusioni e alla vanità, perché di questo passo sulla terra non rimarrà nessuno che possa ammirare i capolavori delle arti, figuriamoci una mia vignettina.

La Festa della Divisione

Quando c’è un giorno di festa non guardo per il sottile, la cosa più importante è che non si lavora e mi dispiace per chi non può partecipare, come i dipendenti dei musei che devono sostenere le meravigliose sorti e progressive della gloriosa filiera ristoratrice-lavatrice-turistico-alberghiera, e non sarà un caso che non c’è più nessuno che si lamenta dei ponti e del calo di produzione o brunettate simili. Però della festa odierna mi chiedo che senso abbia ormai: con un governo non antifascista e le pattuite ingerenze nelle cose italiane di un paese estero ma non abbastanza, non capisco da chi ci saremmo liberati. E mi sembrano assurdi i discorsi su una ipotetica memoria condivisa, come se un gruppo di esperti dovesse decidere che cosa la gente deve ricordare; e allora dovremmo auspicare anche una memoria condivisa tra ladro e derubato e tra violentata e stupratore e tra cadavere e assassino? Ma neanche tra chi paga le tasse e chi le rottama o le evade o rottama quel poco che non è riuscito a evadere. Non bastasse il politicamente corretto ora si è aggiunta la paranoia sulle scelte e le altre cosucce cosiddette divisive. Si dice che ormai diamo per scontate cose come libertà e democrazia che non lo erano, non lo sono in altri paesi, e potrebbero non esserlo più neanche qui, e il brutto è che la volta in cui mi sembra che siamo stati più vicini a qualcosa che ricorda la dittatura non è stato in occasione di maldestre censure all’intellettuale spocchioso e vittim(ist)a di turno, tanto più ora che il divieto di esprimere un parere diverso o di esistere se si viene dal paese sbagliato è applicato dovunque dalle università ai luoghi di lavoro, ma quando è stato chiuso in casa tutto il paese, è stata imposta una misura sanitaria pena il licenziamento, e l’atteggiamento di molte persone ha fatto pensare che in Italia la STASI avrebbe reclutato molte più spie che nella DDR.

Pubblicità

Da un po’ di tempo non vedo più la pubblicità alla fine dei miei post, va bene così, facciamo finta di niente. Poi, per quelli che ne sentissero la mancanza, lasciate almeno che ve la proponga io.

La versione della Zeriba – Una canzone per la vita

Dopo aver proposto cantanti pop famose negli anni 60 e poi rinfrescate tra gli 80 e i 90 come Sandie Shaw, Nancy Sinatra e Shirley Bassey, sembrava brutto dimenticare Mary Isabel Catherine Bernadette O’Brien. Voi direte di no perché non l’avete mai sentita nominare, e nemmeno io, perlomeno non con quel nome, perché la conoscevamo con il nome d’arte Dusty Springfield. Londinese di origini irlandesi, pure lei pagò la tassa sanremese, poi sparì e nel 1987 riapparve con i Pet Shop Boys. La canzone che vi propongo è If You Go Away, che è la versione inglese di Ne me quitte pas di Jacques Brel, un brano cantato praticamente da tutti, in francese in italiano in inglese, ma tutti l’hanno cantato in maniera melodrammatica, sembravano tutti intenzionati a suicidarsi. Ma lei che ha interpretato autori vivaci come David Bacharach, Ray Charles, Randy Newman, è più rilassata, le parole quelle sono ma non le sovraccarica, e alla fine sembra dire: se te ne vai via, almeno scendi la spazzatura.

If You Go Away

C’è anche dopodomani

Nascosto da qualche parte nella mia libreria c’è anche il libricino che il Santo Banchiere scrisse insieme al famoso giornalista di ciclismo. Lo comprai in edicola pensando che qualche aneddoto l’avrei rimediato, ma non l’ho ancora letto. Sul ciclismo ho cose più allettanti da leggere, ma per il libretto del banchiere non c’è fretta, c’è anche dopodomani.

Le caviglie di Marlen

Marlen Reusser una volta ha detto che nel ciclismo maschile ci sono molte immagini e storie e tanti personaggi famosi che possono interessare i media, e di riflesso ispirare i ragazzi a dedicarsi a questo sport di m****, mentre in campo femminile la cosa è ancora in divenire, c’è meno visibilità, ad esempio nella sua “giovinezza” non aveva nessun riferimento, ma forse era presa dagli studi di medicina e non seguiva la sua connazionale Nicole Brandli, 3 volte prima al Giro prima di ritirarsi per la prima volta. Comunque non gliene facciamo una colpa, anzi vogliamo darle ascolto, e per fornire un esempio alle giovanissime lettrici della Zeriba (non ce ne sono ma non vuol dire niente) affinché facciano la cosa sbagliata e inizino a correre in bici, parliamo di una ciclista famosa: Marlen Reusser.

Le caviglie del titolo.

Marlen nacque nell’Emmental, non nel senso che sguazzava nel formaggio ma nella valle omonima. La prima attività sportiva che intraprese fu suonare il violino, poi passò alla politica ma restò presto delusa, e allora pensò di dedicarsi a un qualsiasi altro sport che non fosse il ciclismo. Ma per un difetto congenito alle caviglie era proprio quello l’unico sport che poteva praticare, questa cosa non la capisco ma il medico è lei. E diciamo che quel lieve difetto fisico fu la sua fortuna, perché è diventata professionista, corre nella squadra più forte del mondo, ha vinto a destra e a manca e pure in Svizzera, e questo le dà la possibilità di fare casino sul podio.

Per esempio alle Olimpiadi di Tokyo 2021

Domenica scorsa al Giro delle Fiandre ha corso solo 10 km ed è caduta rompendosi la mascella otto denti e i canali uditivi (questo lo scriviamo a beneficio delle ragazzette che vogliono correre in bici), ma ancora una volta è stata fortunata perché l’hanno operata e per un mese non potrà masticare, ma a lei che importa: è vegetariana. Non riesce neanche a ridere e allora è preferibile che non legga quello che lei stessa scrive sui social: “Qualcuno ha ricette per frullati?” E questo è quanto per le aspiranti cicliste, che dopo aver letto questo articolo saranno corse (a piedi) dal merciaio a comprare nastri e merletti per fare ginnastica ritmica, ma l’ultima cosa la scriviamo per gli italiani in generale, dato che di ogni personaggio, reale o di finzione, vogliono sempre sapere da che parte sta: Tolkien, Tex, Jacovitti, Renzi, sono di destra o di sinistra? Marlen Reusser è ambientalista, ed è vegetariana perché da piccola viveva tra gli animali e vedeva anche come venivano macellati. Dice che le proteine necessarie allo sport si possono trarre da patate cereali e legumi, e l’assunzione di questi ultimi, secondo me, potrebbe anche scoraggiare la tendenza antisportiva a correre sempre alla ruota di qualcuna.

Nunc est bibendum

Primati

Dicono la parità nel ciclismo. Se da sempre ci sono tifosi ignoranti che danno spinte e manate sul fondoschiena dei ciclisti in salita, era inevitabile che prima o poi succedesse pure con le cicliste, solo che in questo caso a essere pignoli, senza approfondire i gusti sessuali del singolo smanettone, si potrebbe configurare la molestia sessuale. E’ successo in Belgio con Lotte Kopecky che a quanto pare neanche ci ha fatto caso, perché in questo sport di cacca di contatti fisici ce ne sono di tutti i tipi, ma l’ha notato Het Nieuwsblad ed è diventato un caso nazionale, ma mica in Belgio, in Italia. Perché qui abbiamo il giornalista del Corrierozzo che è un accanito cacciatore di notizie ciclistiche con un qualunque aspetto negativo. L’articolozzo avrebbe anche paventato il rischio che, a causa di questi comportamenti dei tifosi, si finisca a gareggiare in circuiti con ingresso a pagamento, cioè quello che già succede nel ciclocross e che non scoraggia comportamenti riprovevoli, dal lancio di liquidi non meglio precisati su MVDP alle manate alle cicliste. Qualcuno fa presente che il giornalozzo potrebbe meglio contribuire alla causa delle cicliste scrivendo anche delle gare, e in questi giorni ci sarebbe stato molto da dire, dal primato di vittorie di Marianne Vos alle vittorie di Elisa Balsamo, anche per accontentare gli sciovinisti, e volendo si poteva anche parlare di una nuova laureata, la campionessa del cross Sara Casasola, che ha studiato matematica scongiurando un futuro da procuratrice o da preparatrice atletica. Beh, pensandoci, la faccenda dei ciclisti che si laureano potrebbe anche essere l’ennesima dimostrazione di quando sia indietro questo sport, perché questi credono ancora nel cosiddetto pezzo di carta, ma per essere trend e cool e popolari sarebbe meglio, tra esame di maturità e vacanze al mare, preferire la seconda come fanno i calciatori.

Fiori, medaglie, corone.

Un argomento usato per sminuire il ciclismo femminile è quello delle cadute che dimostrerebbero che le donne non sanno andare in bicicletta, ma già negli anni scorsi la contemporaneità tra Tour maschile e Giro femminile ha mostrato che non è vero. Poi ieri si correva il Giro delle Fiandre e in campo femminile c’erano tutte le big e tutte in ottima salute, invece la vigilia della gara maschile sembrava quella della Coppa Cobram con Van Der Poel e un plotone di supermutilati di tutte le guerre: ossa ammaccate, fianchi spellati, nasi rotti e alcuni rientri discutibili perché prematuri rispetto agli incidenti subiti. Gli altri erano proprio assenti, il più originale Arnaud De Lie che si diverte a lavorare in campagna e a farlo divertire meno ha pensato una zecca che l’ha punto, roba che era meglio rompersi una clavicola. Il più sfortunato è stato il multifratturato Wout Van Aert, che ha saltato il mondiale di ciclocross per prepararsi alle classiche ma la megacaduta di mercoledì ha mandato tutto (e tutti) all’aria: altro che selezionare gli obiettivi, nel ciclismo ogni lasciata è persa, proprio come nella vita aggiungerebbe qualche filosofo alla puttanesca. Van Der Poel invece il mondiale del ciclocross l’ha vinto e sta andando lo stesso alla grande, e gli avversari si chiedevano come batterlo, perché non era il caso di andare allo scontro diretto, allora bisognava anticiparlo. Ma per avere successo bisognava anticipare anche quelli che giocavano d’anticipo, e insomma l’incerottato Mads Pedersen è partito a 100 km dal traguardo, ma potendo avrebbe attaccato già sabato sera. Van Der Poel lasciava fare, poi a un certo punto si è stufato e ha attaccato lui medesimo e sembrava gli venisse tutto facile, ma pioggia fango e vento hanno reso la corsa durissima, e con la pioggia forse non si è neanche accorto dello spettatore che gli ha tirato addosso una birra e ha fatto arrabbiare il caporedattore di Het Nieuwsblad, il quale ha scritto che il coso, il tifoso si è comportato come un primate, anche se in tanti anni non ricordo di aver visto primati lungo le strade fiamminghe, paperelle gialle sì ma non primati.

Con la pioggia e le conseguenti scivolate il Koppenberg ha costretto molti a scendere di sella e farsela a piedi.

Dietro sembrava che Bettiol, che invece di anticipare aveva posticipato, potesse acciuffare un podio che non si butta via, ma lui e il compagno di fuga Teuns sono stati ripresi negli ultimi 100 metri, dove è emerso il più posticipatore di tutti Luca Mozzato, anche se il merito del ricongiungimento è stato soprattutto di Michael Matthews. L’australiano ci teneva a collezionare l’ennesimo piazzamento, ma in volata quello che non ha fatto per vincere la Sanremo, cioè deviare leggermente, non l’ha fatto neanche per questo podio, perché a deviare ha deviato ma pesantemente ed è stato declassato. Capita raramente che il campione del mondo con la maglia da campione del mondo vinca il Fiandre, ma ieri l’evento era atteso ben due volte, e se Mathieu per l’occasione ha preferito indossare sotto quella maglia i pantaloncini neri, Lotte Kopecky ha avuto l’infelice idea di mettere quelli bianchi che all’arrivo erano grigi.

La capitana dell’SD Worx Demi Vollering e la capitana dell’SD Worx Lotte Kopecky discutono di tattiche di gara.

Ma non è stata l’unica idea sbagliata che hanno avuto alla SD Worx perché l’impressione è che abbiano puntato sulla cavalla sbagliata, Lorena Wiebes, che sembrava potesse fare il salto di qualità ma sugli ultimi muri è saltata e basta. Lì pure Marianne Vos ha avuto difficoltà, ed Elisa Longo Borghini ha staccato tutte tranne la sua ombra Kasia Niewadoma. Le due hanno ripreso Shirin Van Anrooij, che si era dapprima staccata ma con la sua tenacia si era riportata sul gruppo di testa e aveva tirato dritto con un contropiede da manuale. Le tre si sono date i cambi senza fare calcoli e Longo Borghini ha vinto la volata e il secondo Fiandre dopo 9 anni. E adesso al Corrierozzo per questo turno non sanno come mettere in cattiva luce il ciclismo, e vorrà dire che scriveranno dei pantaloncini sporchi di Lotte Kopecky, che se nessun tifoso maniaco le ha dato una spinta sul sedere è stato solo per non sporcarsi le mani di fango.