Orizzonti di boria

“Verrebbe forse da domandarsi come questo paese, fermento comico d’Europa appena un secolo fa, abbia condizionato e confezionato una letteratura prevalentemente seria, se non addirittura seriosa. Boriosa. Piena di sé e della definizione di impegno.” 

(Francesco Spiedo, qui)

Un dio

Fino a poche settimane fa per me Giovanni Testori era uno scrittore, soprattutto di teatro, religioso o interessato alla religione, boh, non sapevo altro. Poi ho letto che Elisa Balsamo, campionessa italiana ed ex campionessa del mondo, si è laureata in Lettere con una tesi sul linguaggio de ll Dio di Roserio, e allora mi sono incuriosito e ho cercato il libro. Si tratta di un racconto, ristampato da Feltrinelli nella versione originale del 1954, in cui abbondano parolacce e riferimenti al sesso e c’è anche un’imprecazione. Il Dio del titolo è un dio molto laico, è un giovane dilettante molto promettente ma con un segreto che deve restare tale, ed è un dio per il presidente della sua squadra: non è difficile diventare un dio.

La Gatta Chikova

Oggi vi propongo una bella favola misogina tratta dal vasto repertorio della grande tradizione favolistica dei paesi slavi.

C’era una volta un contadino di nome Kirill che rimase vedovo ancora giovane. La moglie Methodia aveva voluto un gatto e alla sua morte Kirill volle tenerlo perché gli ricordava la defunta, essendo grasso e vorace come lei, che infatti si era strozzata mangiando. Ma col passare del tempo Kirill iniziò a stufarsi di questo gatto che non smetteva mai di mangiare, avido che sembrava uno zar, e allora lo infilò in un sacco e lo portò in un bosco, dove lo liberò dicendogli: Ecco, ora fai lo zar della foresta. Lì il gatto trovò ugualmente da mangiare ma non abbastanza. Poi un giorno passò di lì una gatta che cercava un marito, ma non uno qualunque, uno importante, e si presentò: Ciao, io sono la gatta Chikova, e tu chi sei? Lui convinto di quello che aveva detto Kirill rispose: Io sono Soryan, lo zar della foresta. La gatta pensò: Accidenti, è lo zar. Questa è l’occasione della mia vita e non devo farmela scappare. E iniziò a dire che uno zar doveva avere degli eredi e che casualmente lei aveva l’apparato riproduttivo in esclusiva, come avrebbero potuto confermare anche le altre gatte, che infatti quando la vedevano così commentavano: Quella sembra che ce l’ha solo lei. Lo zar, cioè il gatto Soryan, acconsentì e sposò la gatta Chikova senza tante cerimonie perché tra gli animali non si usa. Il giorno dopo i due sposini si svegliarono con appetito ma con niente da mangiare e Soryan disse che si sarebbe aspettato che gli altri animali avessero omaggiato i regnanti con doni, e la gatta concordò: E’ davvero disdicevole, ma ora ci penso io. Chikova si incamminò per il bosco e a ogni animale che incontrava diceva di essere la zarina e che lo zar si attendeva di ricevere doni dai suoi sudditi, altrimenti avrebbe potuto offendersi e condannare tutti a morte, e lo disse allo scoiattolo e alla gazza, alla volpe e al gufo, poi anche al lupo Drago che in verità avrebbe voluto sbranarsela ma a quelle parole si trattenne. Lo stesso accade con l’orso Yago. Qualche animale ritenne prudente portare un dono allo zar, e anche Drago si incamminò più che altro perché incuriosito e incontrò Yago che aveva pensato la stessa cosa, volevano vedere chi era questo zar, doveva trattarsi di una bestia importante e potente. Drago diceva: Avrà almeno 100 denti. Yago rispondeva: Sarà enorme come un olmo. Ma quando arrivarono nei pressi del covo del gatto e sentirono Chikova chiamare quel grasso ma comunque piccolo animale “mio Zar” i due si guardarono sollevati e all’unisono dissero: E questo coso sarebbe la bestia potente e feroce? Ma ora ci divertiremo un po’. E afferrato il gatto iniziarono a usarlo come palla, uno lo passava all’altro che lo afferrava anche con le unghie e poi lo tirava al compagno e andarono avanti così tutto il pomeriggio, poi quando iniziò a imbrunire e si era fatta ora di tornare ognuno alla propria tana, l’orso Yago afferrò il gatto palla e lo scagliò verso le alte fronde di una quercia dove rimase impigliato in un ramo. Quando all’alba del giorno dopo riuscì a liberarsi e scese dall’albero, Soryan trovò Chikova che lo guardava delusa e che gli disse: Ma lo sai che in natura la femmina si accoppia col maschio che assicura la prosecuzione della specie? E tu invece guarda come sei ridotto. Come potresti un giorno difendere i tuoi figli se malauguratamente ne avessi? Mi cercherò un altro maschio, beninteso non lo faccio per me ma sempre per la prosecuzione della specie. Addio. La gatta Chikova uscì allora dal bosco per cercare fortuna e solo mezzora dopo fu catturata da un’aquila. Il gatto Soryan quando si riprese imparò a procurarsi il cibo da solo, a stare sempre in guardia e imparò anche che non era vero che la gatta Chikova era l’unica ad avere l’apparato riproduttivo, ed ebbe tanti figli di cui un paio sopravvissero felici e contenti.

Ecuazione (equazione ecologica)

Si dice che bisogna ridurre il packaging alimentare, e fin qui ci siamo, anche se con delle eccezioni direi, tipo che senza un po’ di carta ondulata attorno parti dal negozio con i crackers e arrivi a casa con un mezzo chilo di briciole. Però, e qui sta l’equazione, bisognerebbe ridurre anche il packaging libresco, cioè le copertine cartonate che sono inutili, anzi occupano spazio (le mie campagne sociali sono sempre finalizzate innanzitutto alla mia convenienza), e dovrebbero dare un tono al libro, e forse c’è chi ne ha bisogno non potendo puntare su altro, e non a caso le migliori case editrici (tipo Adelphi o Quodlibet giusto per non fare nomi) non pubblicano mai libri cartonati perché a loro basta il contenuto.

Non metterti la maglia ché fa freddo

Stanno ancora tutti lì a lamentarsi che al Giro mancano le azioni eroiche, e quelli che raccontano la corsa hanno ragione perché con gli attacchi sotto le intemperie verrebbe tutto più facile, sono bravi tutti, è raccontare l’infraordinario ciclistico, tipo Perec, che è difficile. E pure il pubblico si lamenta ma nessuno ne trae le conseguenze, nessuno si suicida, nessuno si alza dal divano e, approfittando del fatto che questa corsa non gli piace, prende una vanga e un paio di stivaloni e va a fare l’eroe in prima persona andando a spalare fango in Romagna, no, perché il problema del pubblico lamentoso è che vuole vedere gli altri fare quelle cose straordinarie che lui, il pubblico, mai si sognerebbe di fare, e il fango anziché spalarlo preferisce buttarlo addosso a qualcuno. E se si parla a vanvera arriva Cipollone, il precoce umarell del ciclismo, che finge di dare un modesto consiglio ai ciclisti ma in realtà attacca il capo del sindacato. Lui ha qualche problema con gli australiani, già l’anno scorso criticò Hindley solo perché si era lamentato di non aver visto i genitori per più di due anni a causa del covid, forse si ricorda ancora delle volate contro Mc Ewen che ha vinto un po’ di meno, era meno possente, ma era molto più spettacolare. A Cipollone non piace l’Australia, non capisce neanche come mai non cadono nel vuoto visto che stanno sottosopra. E ora invita i giovani a non dare retta a chi viene da lontano dove non c’è cultura ciclistica, cioè un paese che ha una squadra in prima serie mentre l’Italia no, ed è senza palmarès, che tradotto significa non date retta a un milionario che invece di starsene a casa a contare i soldi ha terminato 20 grandi giri consecutivi, e non pagava il biglietto per fare il passeggero ma stava in testa al gruppo a tirare, e una volta gli è sfuggito pure di vincere una tappa, ma ascoltate piuttosto chi non ha mai concluso un Tour perché dopo aver vinto le prime tappe se ne andava al mare, oppure chi vinceva i Giri piallati dal Sergente Torriani.

Garzelli è un altro che dice ai miei tempi, beh, di quanto corresse ho già scritto qui, ma aggiungiamo che in questo secolo solo due edizioni del giro hanno visto più ritirati, almeno per ora perché in quelle edizioni c’erano più partenti e alla fine calcolerò le percentuali, cioè quelle del 2001 e del 2002, in cui correva pure Garzelli, e i ciclisti andavano a casa per positività non al covid ma al doping, pure Garzelli, quindi questo è il suo ai miei tempi. Intanto si corre ancora sotto la pioggia, anzi sabato è una delle giornate peggiori e il belga Rex mima una nuotata, e vince ancora Nicodenz, ma esulta troppo presto, vince lo stesso ma alzando il braccio dà una manata a Gee, e non si capisce se vince al fotofinish o per K.O.T.. Bettiol arriva terzo e dice aver lanciato presto la volata perché il computerino diceva che era a 200 metri dal traguardo e invece era a 300, e non ha pensato di dare un’occhiata ai cartelli analogici che scandiscono l’ultimo km. Il giorno prima c’era stata la protesta perché le app preannunciavano un brutto tempo che poi non c’è stato, insomma i ciclisti sono vittime delle fake news. Però se lo spettacolino ha accontentato i criticonzi, comunque c’è stato spazio per un altro scandalo: tra i fuggitivi il migliore in classifica era Bruno Armirail e il gruppo dei big gli ha lasciato un vantaggio sufficiente a prendersi la maglia rosa e con essa tutte le interviste i protocolli e le perdite di tempo supplementari, che per un mezzo miracolato come Armirail, ottimo cronoman e basta, non sono un problema, quando gli capiterà più, ma per uno che punta alla classifica significano andare ai massaggi e al riposo molto più tardi e stare più tempo al freddo, e al Giro vale il contrario: per non prendere freddo non bisogna mettersi la maglia (rosa). Però così si configura il reato di “lesa maglia rosa” e anche chi non vuole farne un (melo)dramma trova strano che si lasci la maglia a poche tappe dalla fine.

La successiva tappa bergamasca riserva un’altra sorpresa: il sole, chi ci sperava più. Si fa il solito percorso con il pavé di Porta Garibaldi la salita della Boccola e la discesa fino all’arrivo, e si scatena Ben Healy. Il ciclista disegnato male si inserisce nella fuga, fa a spallate pure per i GPM, anche se nel caso di un ciclista storto come lui è difficile capire se davvero fa a spallate o è soltanto inclinato, nel finale si trova in testa con Brandon Mc Nulty e l’emergente Marco Frigo e perde dall’americano. Dietro i big si controllano e Armirail conserva la rosa.

In conclusione la Zeriba Illustrata vuole rendere un servizio al Giro, perché è meglio prevenire che lamentare. Se il problema di avere la maglia rosa sono le interviste e i protocolli bisognerebbe snellire la parte burocratica e non perdere tempo con le interviste, tanto più che le domande e le risposte sono sempre le stesse. Quindi, non potendo intervenire sulla parte procedurale, questo blog mette a disposizione un’intervista standard che si può sottoporre all’intervistato che si limita a sottoscriverla per la diffusione senza perdere ulteriore tempo. Ecco quindi l’intervista precompilata.

-Cosa provi?

-Sono molto contento.

-Hai realizzato cosa hai fatto?

-Ancora non mi rendo conto di quello che ho fatto, forse domani.

-Vuoi ringraziare qualcuno?

-Sì, voglio ringraziare la squadra, la mia famiglia e tutti quelli che mi sostengono.

Un racconto poetico

Bisogna avere umiltà in tutte le cose. Invece di criticare gli altri bisogna imparare da loro. Ad esempio nel campo della scrittura, ascoltando lo scrittore parlante al Giro d’Italia e sentendo e leggendo gli scritti più apprezzati dal pubblico, credo di aver capito che per scrivere un testo, in prosa o in versi, che abbia valore poetico, lirico, occorrono alcuni elementi che sono naturalmente poetici: i fiori meglio se uno, il mare, il tramonto meglio se sul mare, i sogni, soprattutto i sogni di bambino che poi si realizzano, il volo e i gabbiani. Allora ho pensato di provare a scrivere un breve racconto che contenga tutti questi elementi e vedere se viene bello poetico.

E’ sabato ed è una giornata di fine primavera che è quasi già estate e allora decidiamo di andare al mare, partiamo di mattina per passarci tutta la giornata. In questo periodo molti sono impegnati con i matrimoni e le comunioni e non possono venire al mare e quindi è quasi deserto. A Rosmarina piace più correre sulla spiaggia che farsi il bagno, però io le consiglio di non togliersi le scarpe, ma lei niente, dice che sulla spiaggia bisogna correre a piedi nudi, c’è più gusto, va bene, ma c’è pure tanta spazzatura, e dopo pochi metri di corsa caccia un grido, ha centrato dei cocci di bottiglia, una volta i cocci si mettevano sui muri degli orti ma ora gli orti non ci sono più e li buttano in spiaggia. Ci vuole tempo per togliere i pezzetti di vetro dal piede e poi per medicarlo, e meno male che, dopo una precedente esperienza simile, abbiamo portato il kit del pronto soccorso. Ecco, ho fatto proprio un bel lavoro, potrei fare l’infermiere se c’avessi lo stomaco, ma a proposito di stomaco nella concitazione del momento è gocciolato il disinfettante sui panini che ormai si possono solo buttare, e tra una cosa e l’altra la mattinata è già andata e si è fatta ora di pranzo. Poco male, siamo al mare, approfittiamone una volta tanto per una bella frittura di pesce freschissimo. In passato non potevamo permettercelo ma adesso neanche, però non abbiamo alternative, e chiediamo informazioni a qualcuno del posto se c’è una trattoria. Ci consigliano “Lo Scorfano Orfano”, ci dicono che ha tre stelle, ma non costerà molto? Ma no, è solo un modo per riconoscerlo: ha tre stelle marine disegnate sul muro vicino all’ingresso. Chiediamo pure se c’è una scorciatoia perché Rosmarina zoppica e meno cammina meglio è. E con la scorciatoia passiamo per un vicoletto e arriviamo al ristorante da dietro, passando vicino al bidone della spazzatura, in cui notiamo delle confezioni di surgelati Frodest, beh, qualcosa dobbiamo pur mangiare. Ci siamo solo noi e un cliente in un angolo che scrive sui tovagliolini di carta. Il proprietario si presenta come “Il patrone” e ci fa sedere con vista sul mare, ma all’improvviso vedo pure le stelle, e non sono né quelle della guida michelin né quelle dipinte sul locale: un bambino mi ha dato un cazzotto sul braccio e mostrandomi il pugno dice di essere Iron Fist. Accorre subito la madre che si presenta come “la patrona” e dice: “Scusatelo mio figlio, quello a volte la notte si sogna di essere un supereroe e poi per tutto il giorno dopo ripete le cose che fanno nei giornaletti, sono ragazzi”. Interessante, il giorno in cui sognerà di essere Superman e spiccherà il volo dal sesto piano di quell’albergo di fronte spero di essere nei paraggi, non vorrei perdermelo. Il tipo in fondo al locale alza lo sguardo dai tovaglioli e rivolgendosi a noi, almeno credo, esclama: “Eh, i sogni dei bambini!” E poi, come se la cosa gli avesse causato un’ispirazione, riprende a scrivere e la patrona ci spiega: “Quello è un poeto, c’ha una testa così. Scrive sui tovaglioli perché dice che così aumenta l’importanza delle sue poesie.” Sapevo i caffè letterari, ma le trattorie di pesce letterarie me l’ero perse. Rosmarina sembra preoccupata, sicuramente starà pensando a quello che ci costerà questo pranzetto, infatti guarda il mare e l’orizzonte e inizia a lamentarsi del prezzo degli ortaggi, ed è così presa da questi pensieri che quando si avvicina un indiano con una rosa per vendercela, anche perché siamo gli unici nel locale, lei sovrappensiero gli chiede: “Hai i fiori di zucca? A quanto li fai, che vorrei farci una frittatina?” Ma l’indiano non capisce la domanda e offeso se ne va. Per fortuna dopo poco arriva il pesce, ma praticamente in contemporanea iniziano a svolazzare dei gabbiani, e il patrone ci rassicura che ci pensa il gatto Gionatàn. Infatti i gabbiani cercano di planare sulla nostra tavola ma il gatto si alza sulle zampe posteriori e cerca di artigliarli dando vita a una lotta che sarebbe spettacolare se solo si svolgesse sull’altra sponda dell’oceano. Il bambino sognatore guarda orgoglioso il suo gattone e ci rivela che è stato lui, il gatto, che ha insegnato a volare a quei gabbiani. Se lo dice un supereroe non lo metto in dubbio, ma mi sa che il gatto poi si aspettava di essere pagato, vista l’acrimonia con cui cerca di colpire gli uccelli. Però ho detto “acrimonia”, io non l’avevo mai detto, mai neanche pensato, sarò stato contagiato da quel poeta in fondo, che non so se è un poeta maledetto ma in ogni caso lo maledico io e non se ne parli più. Finiamo di mangiare, il patrone ci porta il conto, guardo la cifra e commento solo: “Però, è salato.” E lui un po’ si arrabbia ma non con noi e ad alta voce: “Io ce lo dico sempre a mògliema di starci accorta con il sale che aumenta la pressione e se ce ne mette poco sparagnamo pure noi.” Senza neanche la possibilità di lamentarci perché i patroni manco ci capirebbero, paghiamo e usciamo, il sole ormai sta tramontando, bello ma si è fatta ora di tornare. Ci avviamo verso il paese dove abbiamo lasciato l’auto, piano perché lei zoppica ancora, le chiedo se ha notato che a un certo punto i gabbiani sono spariti, si vede che il gatto a qualcosa è servito. Beh, se è stato merito del gatto non lo so, ma arrivati all’auto tornerei indietro per farmelo prestare se la trattoria non fosse così lontana, perché ora vediamo dove sono volati i gabbiani: due sul tetto della nostra auto e uno sul cofano.

Eh, che ne dite? E’ venuto poetico?

C’è chi non può

Oggi tutti a fare festa, ognuno secondo i suoi gusti. Io seguirò il G.P. di Francoforte che quest’anno dovrebbe essere più impegnativo e non finire con il solito volatone. I novelli oblomov si alzeranno dal divano per andare al bar e con i proventi derivanti dalla loro illecità attività, la percezione del reddito cittadino, offrire a tutti gli astanti un bicchiere di acqua del rubinetto, ma l’acqua municipale non è mai potabile, contiene troppo cloro calcare arsenico e a volte anche vecchi merletti, e quindi non se ne fa niente. E poi ci sono i trasgressori che assisteranno all’istituzionale concertone trasgressivo e quindi ossimorico, con i partecipanti scelti solo tra gli iscritti all’albo dei musicisti alternativi, e alcuni sono così alternativi da vestirsi senza prima consultare un armocromista. A condurre ci sarà ancora una volta colei che da ragazzina era demonizzata dalla stessa parte politica che organizza la manifestazione perché aveva l’auricolare per (e)seguire gli ordini del suo direttore sportivo, pardòn, del suo regista, mentre l’attore simpatico e prezzemolone sarà altrove a incitare le folle a mangiare solo formaggio sovranista perché le mucche che fanno il latte mangiano questo che cresce nel nostro territorio e non quell’altro che cresce di là. Eppure in questo giorno di festa e baldoria bisognerebbe ricordarsi di quelli che non possono festeggiare perché costretti a lavorare, cioè i nostri politici, così almeno ci ha rinfacciato l’ex Ministro del Digitale Terrestre. Ad esempio il Ministro del Lavoro En Plein Air dovrà badare alla semina di bietole cetrioli e meloni, mentre il Ministro delle Pizzerie nelle Città d’Arte faticherà col sudore della fronte, come testimoniano le immagini dei suoi discorsi in cui è ben visibile lo sforzo necessario a partorire frasi illuminanti.

Apologo incompiuto

Matteo sogna di essere una farfalla. Al mattino racconta il suo sogno a Zaccheo e dice: Non so più se sono un uomo che ha sognato di essere una farfalla o sono una farfalla che sta sognando di essere un uomo. E Zaccheo grida: Ah, maledetto allora sei stato tu! E zac… Zaccheo gli dà un cazzottone in faccia. Matteo si lamenta per il dolore. Passa di lì Taddeo e chiede a Matteo perché si lamenta e questi gli racconta tutto l’accaduto. Allora Taddeo chiede a Zaccheo perché ha colpito Matteo e Zaccheo risponde che nella notte c’è stato un forte terremoto all’altro capo del mondo con crolli morti e feriti, e si sa che i terremoti sono causati dal battere d’ali delle farfalle e quindi è stato Matteo quando era farfalla a provocare tutto quel disastro. Matteo replica: Se fossi una farfalla che sta sognando di essere un uomo ti darei ragione, ma se fossi solo un uomo che sogna di essere una farfalla allora il terremoto l’avrei provocato nel sogno, non nella realtà… Ma dall’alto l’interrompe Babbeo che, appollaiato su un ramo, sta seguendo quella discussione e dice: E se il terremoto Matteo, cioè no, Zaccheo l’ha solo sognato? E Zaccheo beffardo esclama: Se il terremoto è avvenuto nel sogno allora è stato Zaccheo, cioè no, Zaccheo sono io, volevo dire Matteo che l’ha provocato quando sognava di essere una farfalla. Ma il suo entusiasmo è subito smorzato da Babbeo: Allora il pugno avresti dovuto darglielo in sogno, non nella realtà.
In quel momento all’altro capo del mondo una farfalla sta per battere le ali

Questo apologo filosofico epistemologico voleva lasciarci un grande insegnamento ma non sappiamo quale perché è rimasto incompiuto.