Giustizia a orologeria

Tragedia giudiziaria con i minuti contati

Scena: aula di tribunale. Personaggi: Giudice (G), Cancelliere (C)

G: Cancelliere, guardi questo orologio. E’ tutto d’oro.

C: Bello, chissà quanto costa.

G: Non mi è costato niente perché l’ho vinto, era il Premio per il Miglior Proscioglimento dell’Anno.

C: Sono soddisfazioni.

G: Però… ora che lo guardo bene… si è fatto mezzogiorno meno un quarto. Presto, Cancelliere, rinvii tutte le udienze rimaste a data da destinarsi.

C: E a quando di preciso? Una data la devo indicare.

G: Uffà, come siete pignoli voi uomini di legge. Metta una data qualunque non prima di 4/6 mesi, più 6 che 4, e poi in quella data con calma stabiliremo il giorno preciso al quale rinviarle.

Sipario (di ermellino)

La leggenda del bevitore di vinsanto

Sulle rive del fiume Merse senza la ypsilon c’era molta gente: chi si tuffava, chi pescava, chi prendeva il sole, chi aspettava di veder passare il cadavere del suo nemico. E sotto i ponti del fiume Merse senza la ypsilon c’erano i senza tetto, i senza documenti, i barboni, gli straccioni, gli zozzoni, i rifiuti umani, gli ubriaconi. Tra loro si aggirava un uomo paffuto ben curato e ben vestito, completamente fuori dal suo mondo, e quando il suo sguardo incrociò quello del noto ubriacone Gian Andrea Cartacci – noto perlomeno nel suo ambiente di beoni – gli si mise davanti come a volerlo bloccare. Cartacci gli chiese se era della polizia, e l’uomo pingue sorrise come a rassicurarlo e chiese a sua volta: Immagino che lei abbia bisogno di soldi. Mi dica di quanto ha bisogno. E l’ubriacone che non seguiva l’attualità e non sapeva niente del continuo aumento del costo della vita, anche perché beveva a scrocco, pensò una cifra senza capirne il potere d’acquisto e disse: Beh, penso che 100 euri potrebbero farmi comodo. E il grassone senza esitare tirò fuori dal portafoglio due banconote da 100 euro e le porse al barbone esclamando: Prendili, oggi è il mio giorno fortunato. Cartacci era abituato ad avere le idee confuse, purtuttavia si accorse che qualcosa non quadrava: Il suo giorno fortunato? Semmai è il mio, o c’è qualcosa che mi sfugge? E poi io, se non ricordo male, io sono un uomo d’onore e non so come restituirglieli. Mi dica come si chiama, dove abita. Il riccone si chiamava Gian Dante Grassocci, ma preferiva rimanere nell’anonimato, anche se la sua faccia rubiconda era difficile da dimenticare, e rispose al derelitto: Non si preoccupi, io sono stato toccato, colpito dalla grazia… . Ah, mi dispiace – lo interruppe Cartacci guardandolo bene in volto a cercare tracce di una ferita o di una contusione. Ma che cosa ha capito? – riprese Grassocci – ho avuto una visione, mi sono convertito, e se un giorno dovesse avere quella cifra la restituisca piuttosto alla cappella della Madonna sul Monte Santa Maria. E detto ciò svanì nella nebbia, anche se era una bella e ventilata giornata di sole. A Cartacci vennero velocemente in mente mille cose, no, sono troppe, facciamo 200 cose che avrebbe potuto fare con quei soldi, per cui si diede una rapida ripulita e andò in città. E quando arrivò in piazza e vide il Bar del Cencio e alcuni suoi amici cenciosi, sventolando una banconota, li invitò tutti a bere. Il suo miglior amico di bevute Gian Gustavo Tecci, non avendo mai visto tanti soldi tutti insieme, diede di gomito al suo compare Gian Cantuccio Borracci e alludendo all’inatteso benefattore disse: Abbiamo una banca! E quella volta non si festeggiò con cartoni di vino, ma con bottiglie di vinsanto, e si bevve fino a che il barista non cacciò tutti fuori a calci. Nell’aria fresca della notte ognuno si congedò frettolosamente e tornò sotto al suo ponte sul fiume Merse senza la ypsilon, solo Cartacci, rimasto solo e senza occhi interessati attorno, volle vedere quanti soldi gli rimanevano, ma era così ubriaco che vedeva doppio e invece di una banconota da 100 ne vedeva ancora due e pensò che quel bar era davvero economico. Poi si ricordò della promessa e pensò che quello che doveva fare, cioè una bella bevuta, l’aveva fatto e ora nulla gli impediva di riportare i soldi alla cappella di Maria. Così prese una bicicletta mezza rotta e arrugginita abbandonata vicino a un muro e barcollando zigzagando cadendo e rialzandosi pedalò sulle strade sterrate fino al Monte Santa Maria. Lì cercò la cappella della Madonna ma era ancora così ubriaco da vederla doppia, e si chiese a quale delle due doveva lasciare i soldi ma si rispose che in fondo era uguale. Il giorno dopo raccontò a tutti delle due cappelle a Nostra Signora e da allora quel luogo fu chiamato Monte Sante Marie.

L’uomo che scriveva all’imperfetto

Gustavo Bravo era uno scrittore ma non pubblicava niente perché gli editori gli rispedivano indietro i suoi inediti dicendo che non rientravano nella loro politica editoriale. Un bel giorno Gustavo conosceva Eva Moravo e tra i due c’era un colpo di fulmine e pochi mesi dopo si sposavano e andavano in viaggio di nozze a Sarajevo. Il padre di Eva era l’editore Ivo Moravo che sollecitato dalla figlia iniziava a pubblicare i libri del genero, e la sua decisione veniva premiata perché avevano tutti un grande successo: L’uomo che sussurrava sottovoce, L’uomo che piantava le grane, L’uomo che guardava passare il tempo, L’uomo che sapeva troppo e più sapeva e più sapeva di non sapere, L’uomo che viveva nel futuro, L’uomo che partiva da un presupposto e altri ancora. Però la relazione tra Eva e Gustavo iniziava a dare segni di crisi. Un giorno Eva diceva al marito: Non ti sentivo più presente come in passato. E iniziava un dialogo che era più comprensibile se trascritto come tale.

G: Cosa intendevi dire?

E: Mi sembravi un uomo che viveva nel passato.

G: Quale passato, quello remoto o l’imperfetto?

E: La seconda che avevi detto. Ti ricordavi i primi tempi che ci conoscevamo? Passeggiavamo felici sotto il ponte della ferrovia, o dietro il canile, o lungo la provinciale dove c’erano i mobilifici, per noi esisteva solo il presente, ora invece eri tutto preso dal lavoro.

G: E quindi che c’entrava il vivere nel passato?

E: Niente in effetti, ma mi piaceva dire così.

G: Non ti preoccupavi, era solo stress per il troppo lavoro e i troppi impegni con giornalisti e manifestazioni. Ma da domani cambiavo, mi prendevo un anno sabbatico, facevamo un bel viaggio e per un anno non scrivevo neanche un rigo.

E: Ma eri scemo? Mio padre ormai guadagnava solo con i tuoi libri. Andavi a lavorare, fannullone!

smart

Una favola per i posteri

Tra i libricini scritti e illustrati da Beatrix Potter e che ho letto finora, forse quello che mi è piaciuto di più è La storia di una torta e di una tortiera pubblicato da Ripostes nel 2023. Una gatta invita una cagnetta a mangiare una torta a casa sua. La cagnetta vorrebbe mangiare una torta di vitello e prosciutto ma teme che la gatta ne abbia preparata una di topo, ed elabora un contorto stratagemma per mangiare una torta come vorrebbe, ma alla fine si trova nei pasticci, e tutto questo per non essere stata sincera, forse per convenzione sociale o timore di offendere. Dall’altra parte potremmo dire che c’è chi non si cura delle esigenze degli altri, forse neanche li ascolta e alla fine conclude che è meglio stare tra i suoi simili. Ma l’autrice avrà voluto dirci anche questo? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma un momento, Beatrix Potter è morta nel 1943, quindi i posteri siamo noi: che fregatura, era così bello scaricare sugli altri.

Un libro che a una certa ora si sveglia

Volevo leggere qualcosa di Jonathan Coe, o meglio, volevo comprare qualcosa da leggere in futuro chissà quando, e scelsi Questa notte mi ha aperto gli occhi, basandomi sul fatto che c’entrassero in qualche modo gli Smiths. In realtà ogni capitolo è aperto da una citazione tratta da una canzone del gruppo, tutto qui. E devo dire che, dopo un inizio che faceva temere un poliziesco torbido, il racconto si è appesantito con notazioni musicali su strumentazioni e note, con addirittura brandelli di pentagramma inseriti nel testo come fossero illustrazioni, e nonostante questo manco si capisce bene il gruppo del protagonista che musica suoni. Insomma per un centinaio di pagine era roba da far chiudere gli occhi, altro che aprirli, sono stato tentato di abbandonare la lettura e mi chiedevo a chi piacesse questo Coe, forse solo agli appassionati di musica. Poi il libro si è svegliato, avevo letto che l’autore spesso tocca problemi sociali inglesi, e qui, oltre che alle differenze tra classi sociali alla disoccupazione e alla vita nella capitale, senza fare comizi o scrivere trattati anzi con un momento splatter liberatorio, si riferisce alla violenza sulle donne. Scriverne oltre sarebbe spoiler, a breve punibile ai sensi del codice penale.

L’asino di Buridano a quadretti

Nel passato non c’era la specializzazione nella conoscenza che ormai è inevitabile dato che il campo del sapere con le sempre nuove conoscenze e scoperte si amplia continuamente. Ma c’è modo e modo: oggi non è raro trovare ingegneri che dicono di essere interessati solo alle “cose tecniche” e aborrono… aborriscono … insomma gli fa schifo la letteratura, così come è facile trovare chi non capisce la matematica e se ne fa un vanto dandosi arie da artistoide, anzi a suo dire la sua idiosincrasia per la matematica sarebbe la prova del nove della sua artistica sregolatezza, anche se è così asino che neanche la prova del nove sa bene cosa sia. Invece in passato l’artista era pensatore e conosceva le scienze, o credevate che Da Vinci fosse un’eccezione? E il filosofo era anche matematico, faceva eccezione solo Buridano. Giangi Buridano era un filosofo carogna che si credeva più intelligente del suo asino, che lui disprezzava al punto che non si sarebbe fatto scrupolo di lasciarlo morire di fame solo per provare agli amici del Bar dei Filosofi quanto quell’asino fosse un somaro. A tale scopo si rivolse a una startup del ramo mucchi di fieno chiedendo di realizzarne due perfettamente uguali e li pose uno a destra e uno a sinistra dell’asino, poi disse ai suoi amici che l’animale, non avendo nessun motivo di preferirne uno, non avrebbe saputo scegliere e sarebbe morto di fame. E gli amici iniziarono a scommettere, chi sull’asino, nel senso del somaro, e chi sull’asino, nel senso di quel ciuccio di Buridano. Ma l’asino che era molto ferrato in matematica calcolò che le probabilità che due mucchi di fieno fossero perfettamente uguali era pari allo 0,00000000011%. Poi calcolò il volume dei due mucchi e mangiò quello che era maggiore dell’altro dello 0,001%, infine calcolò di quanto le energie mentali spese per quei calcoli superavano quelle consumate nei giorni ordinari e per recuperare quelle energie mangiò un corrispettivo di fieno supplementare prendendolo dall’altro mucchio, e infine se ne andò per i fatti suoi, indifferente al fracasso provocato da bookmakers e scommettitori che si erano fidati di Buridano e ora lo bastonavano come un somaro.