Tanto per gradire, si fa per dire

Tanto per gradire: prima tappa del Giro d’Italia femminile, addirittura prima serata, per una mezzora, che non è poco e neanche molto. Poi si tratta della cronosquadre, che non è il massimo in quanto a pathos, e vabbe’. Vince la Boels che lascia la soddisfazione della rosa alla canadese Canuel, che è uno dei punti di forza in questa specialità in cui sono campionesse mondiali. Nei prossimi giorni, se ho ben capito, le immagini delle altre tappe dovrebbero essere trasmesse all’interno della lunga trasmissione del Tour, e forse il Giro Rosa avrà più pubblico così che se fosse trasmesso a parte, semmai dopo, con gli spettatori stanchi per aver corso, pardon, visto una tappa resa ancora più estenuante dai commentatori Rai, e quest’anno si spera senza le cronache gialle di AdS. Però pure mi chiedo quanto una piccola sintesi o una minidiretta possa far apprezzare la corsa delle donne. Alla fine non credo che le ragazze totalizzeranno lo stesso numero di ore della Maratona dles Dolomites, ma non bisogna confondere le cose. Il Giro Rosa è ciclismo, la Maratona è un megaspot turistico alberghiero col pretesto del ciclismo, con i cicloamatori che si divertono faticando e alcuni VIPs che partecipano o presenziano per reciproca pubblicità, dando anche modo ai giornalisti di esercitare la loro ars leccatoria. La speranza è che, almeno, nessuno di questi vips ci propini un domani le sue memorie ciclistiche come già accaduto.

Karol Ann Canuel in borghese prendeva confidenza col rosa.

i magliari

Per tanti anni mi sono chiesto perché c’erano tante maglie nere o comunque scure in gruppo, e la Sky e la vecchia Cervélo e la Trek e la Dimension Data e altre ancora. Oggi, a Dusseldorf con la dieresi, alla presentazione del Tour, varie squadre hanno indossato una maglia nuova e più chiara, pure quei testoni, pardon, quegli scienziatoni della Sky, dopo numerose e approfondite ricerche di laboratorio, hanno concluso che col caldo del luglio francese la maglia nera non è l’ideale. Meno male. Poi c’è il discorso dei patrioti italiani, dei tifosi nazionalisti, e quelli, disperando anche il più ottimista di loro che Aru vinca il Tour e che quei due lì, Ulissi e Colbrelli, vincano una tappa, ormai si contentano che la maglia tricolore del campione italiano valorizzi i colori della bandiera e non li nasconda tra un logo e uno sponsor. Dopo le polemiche per la maglia di Nibali, con Aru l’Astana non ha badato a spese sui colori e così il tricolore è in bella vista. Missione compiuta, tutto quello che si poteva ottenere si è ottenuto, ora gli italiani possono pure tornare a casa. Si gradiscono smentite.

LA ZERIBA SUONATA – psinfonie e balletti

Chissà se per capire il testo di questa canzone ci vuole uno che conosca bene l’inglese di Beverly Hills o invece è meglio uno psicologo. Ammetto che non ho capito bene chi sono i personaggi. Ma non importa. Certo un umarell del rock, e ce ne sono, chissà quanti tra la retromania teorizzata da Simon Reynolds e la vynilmania, un umarell potrebbe dire che non ci sono più le groupies di una volta, quelle che finivano nella storia del rock, o almeno nella storiografia.

E poi non tutti forse erano attorniati da ragazze spregiudicate. Però se Jonathan Richman, per dire, andava a ballare in un bar di lesbiche poi non poteva venire a lamentarsi.

LA ZERIBA SUONATA – come fu?

Quelli che ne sanno di più lo sapranno certamente, ma io che ne so di meno ancora mi chiedo come fu che il gruppo vizioso per eccellenza, che cantava di eroina e Venere in pelliccia, influenzò l’eterno ragazzo che invece cantava di gelatai, cioccolato al malto e involucri di chewing gum.

Ecco, ad esempio, qui fa i capricci perché non vuole il nuovo centro commerciale, ma rivuole il suo vecchio negozio all’angolo, che tante cose gli ricorda. Certo, se i bambini, ogni volta che fanno i capricci, invece di scenate isteriche che rivalutano le teorie pedagogiche di Erode, scrivessero canzoni perfette come questa, si starebbe molto meglio.

PERLINE DI SPORT – Not in my name

Not in my name potrebbe dire Chris Froome se qualche giovinastro o qualche cicloamatore dovesse sfracellarsi pedalando accartocciato su canna e manubrio, in quella posizione che i commentatori distratti, cioè italiani, definiscono ormai alla Froome, e ieri è successo di nuovo con Aru. Sì, è vero che Froome l’ha fatto sulla scena principale del ciclismo mondiale, il Tour 2016, ma è vero anche che alcuni non si lasciano mai scappare l’occasione di poter attribuire colpe e difetti al sudafricanglokenyano. Eppure gli altri, i terribili ragazzi dell’est, hanno pedalato nella stessa posizione ben prima e soprattutto non in corsette di categoria punto2 ma ai mondiali. Sagan a Richmond nel 2015, l’anno prima a Ponferrada quel Kwiatkowski che sembra sia proprio lui che l’abbia insegnato al compagno di squadra Froome, ma prima ancora fu lo sloveno Mohoric, uno che non è inferiore a Sagan in acrobazie, al mondiale under 23 di Firenze 2013. In Slovenia gli hanno dedicato questo piccolo video. Su internet c’è anche una sintesi di quel mondiale, un video di una decina di minuti; io ho preferito postare questo, ma se qualcuno ha tempo e curiosità a sufficienza, vada a cercarlo, anche per vedere l’ordine di arrivo.

Il Campione e il secondino

Il campionato italiano deve essere una corsa importante: per i tifosi è ormai l’unica gara dell’anno dominata dagli italiani, e per gli addetti ai lavori, che ci tengono. I commentatori vogliono che vinca il migliore ma quello vero e preferibilmente porti la maglia tricolore al Tour, poi ci sono anche delle preferenze su come dovrebbe essere la maglia, ma questo è un dettaglio, e il cittì Cassani, che cento ne fa e cento ne pensa e meriterebbe di vincere qualcosa, ha obbligato gli aspiranti azzurri a gareggiare, peccato solo che non abbiano impedito la contemporaneità di gare dilettanti, col risultato che al campionato élite senza contratto ci sono stati neanche 50 partenti. E se il migliore, Nibali ovviamente, dopo il Giro d’Italia si è riposato e non è in condizione per vincere, chi viene subito dopo? Aru, che infatti, grazie anche a una salita impegnativa, stacca tutti. Però dalla cima all’arrivo ci sono 14 km, e lo spazio per gli inseguitori, tra l’altro alcuni dei più attesi, ci sarebbe, ma le forze sono poche e la collaborazione pure, perché Ulissi tira poco e si accontenta di andarsi a prendere un secondo posto miserello, più che un secondo Ulissi è un secondino, che blocca gli altri, una palla al piede, ma ormai dovrebbe essere chiaro che il ciclista questo può e manca soltanto la partecipazione al Tour per conclamarlo corridore più sopravvalutato del decennio. Ma, al di là dell’entusiasmo per la vittoria di Aru, c’è poco da stare allegri sia per i singoli che per le squadre. Vanno generalmente meglio gli ultraveterani Nocentini e Rebellin che le giovani speranze. Il miglior gregario di Moscon è il solito Puccio perché Rosa neanche nel suo Piemonte riesce a fare bene. E deludente è nel complesso la gara delle squadre professional, e, tenuto conto che world tour non ne abbiamo, si dovrebbe riflettere molto su queste squadre. Tutt’altra cosa tra le donne, fra le quali, dopo tre titoli a cronometro, e piazzamenti e cadute nella prova in linea, finalmente vince la Longo Borghini. Ma le italiane non si accontentano di vincere in Italia, dato che in Romania vince l’ex italiana Ana Maria Covrig. Tra le donne c’è stata sempre molta concorrenza, un’atleta di valore come Sigrid Corneo già negli anni zero prese la nazionalità slovena per poter partecipare alle Olimpiadi, e Daniela Veronesi ha sfruttato il doppio passaporto sanmarinese. Invece in campo maschile sono lontani i tempi in cui Rebellin, per poter partecipare ai mondiali veronesi del 2004, cercò di prendere la nazionalità argentina, e si distrasse a tal punto da buttare via una Coppa del Mondo già vinta. Oggi, un piccolo velocista come Mareczko, nel dubbio tra Polonia e Italia, sceglie di restare italiano, perché lì c’è un fenomeno come Kwiatkowski, qui ci sono solo dei vecchietti e due campioni che però il più delle volte sono in ritiro in altura.

iscuttu e palimazzau?

Ci sono dei servizi telegiornalistici che in fondo mi fanno ridere, sia per il linguaggio ipocrita sia soprattutto perché dimostrano che a quelli che cercano di beneficiare della vera grande truffa del secolo, la Crisi, non sempre gli va bene. Possibile, si chiede un tg privato ma nazionale, che, con tutta la disoccupazione che c’è, in Sardegna non si trova personale nel settore turistico alberghiero? La manovalanza quella si trova, chi cambia le lenzuola dei letti e difficilmente trova statuine di Henry Moore in bella vista da rubare, come in quel film con Andie MacDowell e John Malkovich, ora non ricordo altro, potrei cercare su internet, ricordo solo Andie MacDowell. Mancano gli chef. E qui, direi io, possibile che manchino gli chef con tutti i programmi i tutorial i talent di cucina che affumicano le tv? Ma perché non si trova il personale? Forse perché loro nel loro linguaggio dicono che bisogna avere la passione per quel lavoro, che bisogna mettersi in gioco, ma in lingua concreta si traduce con molto lavoro e pochi soldi. E poi chi anche si offre non conosce le lingue. Ma il Sacro Turista viene qui, armato di dollàro, come Mario Carotenuto in un altro film di cui ricordo ancora meno, ricordo solo che faceva l’italo americano che distribuiva dollàri di mancia e si meravigliava se qualcuno non li prendeva, e non si può chiedere al turista di sforzarsi di comunicare nella lingua del posto che gli è piaciuto di invadere, pardon, di visitare.

ciclisti al quadrato

Quelli che scrivono libri perché scrivono sulle prime pagine dei giornali, o più probabilmente scrivono sulle prime pagine dei giornali perché scrivono libri, gli elzeviristi, i corsivisti, gli opinionisti, i tuttologi, gli tocca scrivere di tutte le cazzate (in tutte le accezioni del termine) che succedono in Italia e nel mondo, ma li pagano. Quelli che commentano sui social li capisco un po’ meno, forse si contentano di potersi sfogare di chissà cosa. E così ecco valanghe di parole su traccie, Caproni, e le ruote quadrate. Con piacere ho constatato che i siti ciclistici, almeno quelli che seguo io, non hanno neanche accennato al compito sulle ruote quadrate, ma forse perché in fondo molti crediamo che, se la costruissero davvero una bicicletta con le ruote quadrate, certi ciclisti funamboli, certi crossisti o certi ragazzi terribili dell’est Europa, Mohoric (coming soon) Kwiatkowski e Sagan, sarebbero capaci di pedalare su una bici così.