La Zeriba Suonata – Il numero più che perfetto

Ma l’ho già scritto che è uscito il nuovo delle Warpaint? Sì, già un paio di volte? Vabbe’, le propongo per la terza volta perché si dice che 3 è il numero perfetto, anche se le Warpaint sono la dimostrazione che 4 è un numero più che perfetto, perfettissimo.

Warpaint – Send Nudes (live)

E’ tutto finito, circolare!

Questa volta parliamo di donne

Guardavo il meteo, quello su Canale 5 con la mia meteorologa preferita, e pensavo che in questo paese ci sono sempre state relazioni pericolose, c’è un governo con l’inciucio migliore che si possa immaginare, e per restare nell’ambito TV la RAI ha affidato più volte la presentazione di Sanremo alla De Filippi finendo con il fare pubblicità alla cosiddetta concorrenza e al sistema talent, però il Giro per le previsioni si affida ai tristi uomini di fiducia della RAI invece di consultare Stefania Andriola che con il mondo del ciclismo ha avuto a che fare. Ma poi le previsioni meteo della RAI si rivelano pure sbagliate, doveva piovere o nevicare sull’ultima tappa di montagna e così non è stato alla faccia dei cultori del ciclismo più sadico che eroico. In genere non sto ad ascoltare quello che dice lo scrittore parlante, ma stavolta ho sentito che ha accennato a una ballerina della Belle Epoque che soggiornava da quelle parti, Cléo De Mérode, dice che era bellissima, e dato che all’epoca c’erano già le fotografie, e non c’è bisogno di cercare quadri o interpretazioni di illustratori come per la famosa Charlotte che non la dava a Goethe, o al giovane Werther se preferite, dicevo sono andato a cercare le foto e in effetti Cléo era bella di una bellezza non datata, cioè direi moderna. Poi l’argomento è gradito al governissimo migliorissimo che vorrebbe tornare ai fasti della Belle Epoque, già ha decretato il bonus terme, allo studio c’è il bonus casinò grazie al quale si potranno detrarre dalla dichiarazione dei redditi le perdite al casinò, ed è stato proposto all’UE di spostare la sede da Strasburgo a Baden Baden. In seguito lo scrittore parlante è stato più pertinente quando a 8 km dall’arrivo, in piena Marmolada, ha detto che in quella zona vive la marmotta, e questa notizia è in tema con il Giro perché sembra di essere nel film Ricomincio da capo (Il giorno della Marmotta), ogni giorno uguale all’altro. Infatti davanti c’è la fuga nella quale si infilano il solito Van Der Poel e Vendrame dopo le recriminazioni del giorno prima, ma saranno i primi a staccarsi anche se Vendrame fa in tempo a litigare con qualcuno, e con una bella fuga dalla fuga prima si prende la Cima Coppi sul Pordoi e poi vince sul Passo Fedaia uno dei giovani italiani più promettenti, Alessandro Covi, figlio di Marilisa Giucolsi che correva negli anni 90 che furono un altro periodo dorato per le cicliste italiane, mentre dietro il gruppo con la Bahrain tira come se Mikelanda preparasse l’attacco della sua vita, e invece quando i gregari finiscono il lavoro lui resta lì, e l’attaccone lo fa Jay Hindley che stacca Carapaz e in 3 km gli prende un minuto e mezzo. Carapaz va in crisi e pure Landa lo supera, ma a questo punto, comunque finirà con la crono conclusiva, non potremo più sminuire il Giretto del 2020 perché Hindley è vivo e lotta insieme alla Bora. Il Garzo che per tutto il Giro ha avuto da ridire sulla Bora del suo amico Gasparotto, che chissà cosa gli ha fatto, e ha elogiato la Bahrain, ha detto che Landa non era il Landa che conosciamo: infatti il Landa che abbiamo conosciuto in tutti questi anni sarebbe già caduto nelle prime tappe. Il Processo ha mantenuto l’impegno di alternare come ospiti 6 campionesse, sempre elogiate da Fabretti che le ha fatte parlare più di quanto usasse in passato la signora AdS, e stavolta è stato il turno di Marta Cavalli, ancora lei? E’ da un mese è mezzo che l’immagine sullo sfondo del mio pc è la sua vittoria all’Amstel con dietro tutti i gruppetti dispersi sul vialone di Valkenburg, non se ne può più.

In questa foto Cléo de Mérode sembra una mezza fricchettona degli anni 70.

Il giorno dei millepiedi scalzi

Lo scrittore parlante dice che non è vero che l’ultima tappa è come l’ultimo giorno di scuola, come ha sempre sostenuto Cassani, perché l’ultimo giorno di scuola si è solo contenti mentre il Giro vorresti che non finisse mai, ma immagino che i ciclisti stanchi e ammaccati non siano molto d’accordo. Una cronometrina di 17 km non poteva stravolgere la classifica e così Jay Hindley vince il 105esimo Giro d’Italia, e gli italiani possono prendersi un po’ di merito per questa vittoria giusto per quei pochi mesi in cui il ragazzo ha corso in Abruzzo. Quel periodo non gli è stato sufficiente per imparare a parlare italiano, e a Rizzato dice che non può chiedergli di dire qualche parola nella lingua di Dante, eppure non ci vuole nulla, basterebbe dire Pape Satàn, pape Satàn Aleppe e farebbe tutti fessi e contenti, come si dice nella lingua non proprio di Dante. Però mi chiedo se dagli italiani Jay non abbia appreso piuttosto la nobile arte della ruffianeria, quella che fece vestire i Maneskin con la bandiera americana quando suonarono a Las Vegas ma fece pure indossare al brit Mick Jagger la maglietta di Paolo Rossi quando cantò e sculettò, più la seconda, a Milano nel 1982. E infatti Hindley dice che la maglia rosa è la più bella, de gustibus, e che il Trofeo senzafine è il più bel trofeo che abbia vinto, e qui è facile perché non so quanti altri trofei abbia vinto. Dicono che è venuto al Giro senza fare proclami, ma ha anche pronunciato la programmatica e già storica frase: “non siamo qui per mettere i calzini ai millepiedi”, presumo che nel Giù Sotto sia il corrispettivo della faccenda delle bambole da pettinare. Rispetto al 2020 Hindley ha corso meglio la cronometro finale ma la vittoria è andata a Matteo Sobrero, nel cui curriculum vitae la parentela con Filippone Ganna viene prima del titolo tricolore. Nibali con il quarto posto finale e Valverde con l’undicesimo concludono il loro ultimo Giro, la gente li invita a ripensarci, io invece li invito a tenere duro: Hasta la pensione siempre! Chi chiude malissimo il Giro è la RAI, perché prima arriva AdS con due taniche di retorica e non ne risparmia neanche una goccia perché a casa ne ha tante altre, poi al Processo arriva Cipollone che viene ritenuto un’autorità e invece è solo un triste umarell, anche se ascoltarlo può consolare chi ha superato i sessanta e crede di essere troppo vecchio, ma l’esperienza mi dice che non c’è un’età precisa in cui si può iniziare a rimpiangere la propria età dell’oro, io per esempio non ho ancora iniziato, e Cipollone dice che le fughe da lontano ai suoi tempi non arrivavano (e come fece Saligari a vincere a Caserta nel 1994?) e se c’era Pantani eccetera, e si contraddice anche, e contraddicendosi si espone troppo perché prima tira in ballo la solita accusa alla troppa tecnologia e ai misuratori di potenza, poi quando spara che gli italiani hanno insegnato il ciclismo a tutto il mondo dice che la matematica (intende la scienza) nello sport l’hanno introdotta Conconi e Ferrari, cioè quei due scienziati che dagli anni 80 erano dietro a tanti successi italiani non solo nel ciclismo ma in tanti sport di resistenza e poi è finita che il secondo è stato radiato e il primo è stato “prescritto”, i bei tempi dell’ematocrito a 60 che non ritornano più. E per far parlare l’umarell, interrotto solo e non abbastanza dalle interviste ai protagonisti di questo Giro, agli altri ospiti Colbrelli e Guderzo più addentro al ciclismo odierno non sono state rivolte domande, eppure se ne poteva fare una a Tatiana quando sono state accolte due sciatrici degli anni 90 indicate come esempi per le loro eredi attuali, cioè si poteva chiedere a Guderzo se ha avuto bisogno di esempi e se negli anni 90, quando era ragazzina, sapeva che al Tour de France Luperini e compagne vincevano la classifica e la metà delle tappe, forse non lo sapeva perché la tv dava molto più spazio allo sci. Ma Cipollone non ha finito lo show e, quando l’incauto Hindley parla dei sacrifici fatti stando lontano da casa (in realtà sembra che a causa del covid non vedeva i genitori da più di due anni), il giovane umarell dice che il giovane ingrato e viziato dovrebbe essere contento di stare lontano dalla famiglia, forse perché fa lo sport che gli piace o forse perché restando in famiglia non si può nemmeno picchiare la compagna perché è diventato reato, anzi il Cipollone che lasciava il Tour dopo poche tappe per andarsene al mare aggiunge che se fosse stato vivo Alfredo Martini gli avrebbe raccontato la vita vera, i veri sacrifici di quando ci volevano 9 giorni di viaggio per andare al Tour perché c’erano i bombardamenti, ma se Martini fosse ancora vivo anche a 101 anni sarebbe più lucido di Cipollone.

Domani

Huis van de Heuvel

Prima dei fuochi d’artificio finali, miccette presumibilmente, c’è l’ultima tappa che dicono adatta ai velocisti. Si arriva a Treviso che per l’occasione ospita una mostra di manifesti sulle biciclette nella quale sono esposte anche bici di un noto marchio, e nel comunicato stampa quel nome viene ripetuto 176 volte casomai a qualcuno sfuggisse, e infatti il primo sito a ospitarlo è quello dell’amico del banchiere padre e del banchiere figlio, sul quale a volte non si capisce la differenza tra spot e pubblicità. Nei giorni precedenti i tre big scarsini a cronometro si sono preoccupati soprattutto di distanziare Almeida che invece quando è in vena è capace di vincere anche il campionato portoghese della specialità. Tutta fatica sprecata perché Almeida si becca il covid, e non quello di marca asintomatica, e si ritira. Certo che è difficile stare sempre attenti, con tutta la gente attorno, tra giornalisti e presenzialisti e pure il tanto atteso ed elogiato pubblico che senza mascherina si sporge verso i ciclisti e grida e sputacchia. E pubblico ce n’è tantissimo anche sul muro di Ca’ del Poggio, sembra La Redoute o il Cauberg, e nella tappa facile il plotone si spezza ma la selezione non la fanno le caratteristiche dei ciclisti bensì la stanchezza, e vedendo come Jumpin Lopez rimane indietro e la squadra non riesce a riportarlo sotto viene da chiedersi con quali forze questi qui volevano vincere il Giro con Ciccone, cioè traducendo in italiano: ma i trekkini appartengono allo stesso team delle trekkine, che a tutte le classiche primaverili hanno aggiunto un clamoroso record dell’ora con Ellen Van Dijk? Però il plotone non era la testa della corsa, perché davanti c’era un quartetto che ha dosato saggiamente energie e vantaggio ed è arrivato a giocarsi la tappa. Tra i 4 in fuga quello che sembrava più stanco ai commentatori RAI era Dries De Bondt e infatti ha vinto lui, e il Garzo e il Peta dovranno impegnarsi per essere confermati dalla RAI, perché al Processo era ospite Tatiana Guderzo che ha dimostrato più competenza e verve e probabilmente è all’ultimo anno della sua stramedagliata carriera e il suo domani potrebbe essere quello di commentatrice, oltre che di poliziotta e direttora sportiva.

Come se ci fosse un domani

L’ho scritto e lo ripeto, inutile informarsi prima sul percorso del Giro, meglio farlo in tempo reale, quest’anno doveva essere durissimo, in particolare l’ultima settimana, in particolarissimo le tappe di venerdì e sabato, e intanto in quella del venerdì, che sconfina in Slovenia a visitare i sacrari della prima guerra mondiale che non insegnano niente a nessuno, ci sono salitelle pedalabili che fanno poca selezione, i big corrono come se ci fosse un domani anche se i domani ormai scarseggiano, ne sono rimasti solo altri due, i calciofili direbbero che difendono lo zeroazero, e ancora una volta arriva la fuga. E dopo Dries De Bondt, che anni fa stette 14 giorni in coma, vincerà Alessandro Tonelli, che cadde in una corsa cinese e rimase 40 giorni in un ospedale del posto senza conoscere la lingua, o Andrea Vendrame che fu investito e ha ancora diverse cicatrici in faccia? Nessuno dei due, perché Koen Bouwman e Mauro Schmid hanno fatto ciclocross e sanno che se c’è una curva a 60 metri dall’arrivo bisogna fare conto che il traguardo sia proprio alla curva, arrivarci per primo, facoltativo stringere una nticchia l’avversario alle transenne e il resto viene da sé.

In montagna è la stessa cosa

Col senno di poi

Ecco la temutissima terza settimana, quella durissima con salite altissime in cui i ciclisti sono stanchissimi e pronti a una acerrima battaglia con imprese eroiche e distacchi abissali e se tutto va bene dovrebbe pure piovere e nevicare. E dopo il giorno di riposo che scombussola il metabolismo degli atleti ecco il Mortirolo che fa paura solo a nominarlo. Col senno di poi si poteva prevedere che, con il Mortirolo preso da un versante meno duro, lontano dal traguardo e seguito più da discese che da salite, i big sarebbero rimasti insieme e si sarebbero contesi pochi secondini di abbuonino allo sprint, e la tappa l’avrebbe vinta uno scappato di casa dalla mattina, stavolta è toccato al ceco Hirt. Ma nel ciclismo ben vengano questi escapisti che fuggono anche dalla responsabilità di fare classifica e dalle logiche del gioco di squadra, campioncini venuti male, imperfetti, che partono all’avventura, e nella loro carriera devono provarci decine di volte per riuscire a vincere, se tutto va bene, una o due volte. E prima inseriscono in questa categoria il buon Ciccone, volente o nolente, e meglio è anche per lui, che dopo la vittoria dell’altro giorno aveva di nuovo illuso giornalisti e tifosi che pensavano potesse risalire in classifica, prendere la maglia dei GPM e vincere un’altra tappa e ha fallito tutti e tre gli obiettivi. Questo invece è l’anno buono di Landa, è ancora quarto in classifica ma si è urtato con il compagno Bilbao e non è caduto, una cosa mai vista, è il suo anno fortunato, o non sfortunato. L’unico che ha guadagnato in classifica è stato Hindley e, nonostante la Bora stia correndo bene, Garzelli ha trovato un pelino nell’uovo da contestare al diesse Gasparotto, il quale ha risposto che con il senno di poi potrebbe dargli ragione, ma l’ha detto con la faccia di chi, col senno di durante, poteva pure mandarlo a fare in culo.

Pizze

Ma per lo spettacolo andrà sicuramente meglio con la tappa successiva nella quale fanno già paura i nomi delle salite: Passo del Vetriolo, Menador, e il più familiare Tonale non lo degnano nemmeno di un GPM, e allora ci saranno attacchi da lontano dei big e distacchi immensi e … no, uguale alla tappa precedente, fuga dei fuori classifica e big che stanno vicini vicini e si contendono pochi secondini di abbuonini al traguardo: che pizza. Però queste salite rimangono nelle gambe e c’è da capire tutti quei velocisti che, senza neanche la prospettiva di un’ultima prestigiosa tappa con volata in qualche centro storico, non hanno nessun motivo di continuare. Poi c’è Mathieu Van Der Poel che è storia a sé, non ci sono tappe neanche per lui ma resta in gara, ha detto che finire un grande giro gli sarà utile per la carriera, però, dato che si annoia a stare con le mani in mano, a volte si infila nelle fughe e altre volte impenna sulle salite a beneficio del pubblico non pagante. E stavolta va in fuga e ci rimane fino a 12 km dalla fine, ma, se vuole emulare il suo rivale Van Aert che al Tour ha vinto anche sui monti, può appunto provarci anche lui al Tour meglio che al Giro, perché il Mont Ventoux su cui vinse WVA è più adatto ai passisti. I commentatori hanno detto che è andato in crisi nel finale perché avrebbe avuto una crisi di fame, la dezaniana fringalle, il suo solito problema con l’alimentazione testimoniato anche dal fatto che nel giorno di riposo voleva l’ananas sulla pizza. Alla fine la tappa è stata vinta dal giovane piagnone colombiano Santiago Buitrago, nonostante una caduta in discesa come si usa nella sua Bahrain, e si può solo concordare con Garzelli che ha detto: “Io credo che complimenti a lui”.

The Prevident Of The United States Of America

Tragedia in un atto e quattro avvertimenti

Il Presidente degli USA, dopo una giornata passata a mettere in guardia i colleghi di Russia e Cina, sente il bisogno di una boccata d’aria e scende a fare quattro passi accompagnato dalla sua scorta. In strada i passanti lo salutano e lo acclamano.

Primo passante: Lunga vita al Presidente!

Presidente: Ehi tu, non ti azzardare a uccidere tua moglie.

Secondo passante: God Bless America!

Presidente: Lo so che vuoi commettere una strage a sfondo razziale.

Terzo passante: Viva il presidente!

Presidente: Guai a te se compi un attentato in una chiesa!

Studente passante: Ciao Presidente!

Presidente: Ti tengo d’occhio, ho capito che vuoi fare una strage nel college. Meno male che ci sono qua io a prevenire tutto.

FINE

La Zeriba Suonata – preghiera per il clima

Da qualche anno penso che la bella stagione è per i giovani, ma se così fosse perché allora il giovane Alex Chilton cantava una preghiera per far piovere, anche se non scritta da lui? Forse soffriva di allergie, non sopportava il caldo, gli dava fastidio la luce del sole, gli piaceva il ciclocross? No, era successo che la sua ex e il suo nuovo ragazzo avevano già pronti i cestini per un picnic.

The Box Tops – I Pray For Rain

Farmaci e presidi

Al Giro è finita la pacchia, fino a Torino si è scherzato, quella di Superga era una salitella, ora arrivano le montagne con la emme maiuscola, e infatti a Torino sono volati i minuti di ritardo e la classifica è stata sconvolta, mentre da Cogne si scende con la classifica invariata: il ciclismo è una scienza inesatta. Dopo la débâcle del giorno prima la Ineos torna compatta in testa al gruppo a presidiare la corsa e lascia andare solo la fuga di giornata, nella quale si infila pure Van Der Poel che altrimenti si annoia, ma Stupor Mundi non va lontano. Con una settimana di ritardo rispetto alla tappa abruzzese c’è invece Giulio Ciccone, che può essere paragonato a vari ciclisti del passato e del presente: ha le doti diplomatiche del corregionale Vito Taccone, l’intelligenza tattica di Claudio Chiappucci e la fortuna di Sep Vanmarcke con cui si scambia le figurine di farmaci e presidi medico-chirurgici, meno male che almeno è forte. Dicevano che per migliorarsi Ciccone doveva stare calmo, non innervosirsi e non litigare come succede sempre quando è in fuga, e lui deve aver ascoltato i consigli perché stavolta ha litigato ripetutamente solo con il giovane colombiano Buitrago. Ha smesso solo quando sull’ultima salita è riuscito a staccare gli ultimi avversari, ma, quando il britannico Carthy si è riportato su Buitrago al suo inseguimento, Rizzato ha avvisato che essere in due è sempre meglio che essere da solo, e se questa norma in genere vale per il sesso può valere anche per il ciclismo. E com’è successo il giorno prima per la vittoria di Yates tutti hanno detto che questo è il vero Ciccone, ma non è vero che questo è quello vero, ormai sono arrivati alla maturità e possiamo dire che è vero tutto Ciccone come tutto Yates, quello che un giorno perde un giorno vince e l’altro crolla. Mica è obbligatorio essere campionissimi fortissimi, e del resto i grandi giri sono solo tre in un anno e se togli quelli vinti dagli sloveni resta poco. Anzi, Ciccone come pure lo Yates che c’è e anche il gemello che è altrove prima prendono coscienza dei loro limiti e rimodulano in base a essi le loro ambizioni è meglio è, e se Giulio non è il nuovo Nibali può essere il nuovo Mollema. Sul rettilineo finale Ciccone fa lo show, chiama l’applauso, lancia gli occhiali al pubblico come esplicitamente previsto dal contratto, e poi si mette a piangere, e dopo sarà festeggiato anche da quell’altro piagnone di Jumpin Perez, secondo è Buitrago pure lui piangente, è tutto un piagnisteo, non sappiamo se piange pure il terzo perché quando è prossimo al traguardo la RAI, oscurando gli arrivi almeno fino al sesto, manda la pubblicità, e verrebbe da augurargli che i soldi da essa ricavati vengano opportunamente spesi per farmaci e presidi medico-chirurgici.

Sapendo della propensione di Ciccone a lanciare gli occhiali, qualcuno del pubblico l’ha anticipato tirando i propri sulla sede stradale.