Il parente povero

Quando in una famiglia ci sono problemi non si pensa ad aiutare il parente povero, casomai ci si sfoga su di lui. Nei giorni scorsi è stato pubblicato il calendario della prossima Coppa del Mondo di ciclocross e si può dire che ormai è stato abbandonato il tentativo di inserire il cross nel programma delle olimpiadi fredde, perché è stata cancellata l’assurda e pericolosa prova di Vermiglio e in Italia non si correrà su un percorso collaudato, e ce ne sono di validi come Brugherio, ma a Oristano: boh. Ma il fatto è che Monsieur Le Président parla e tuona ma fuori dal suo mondo non conta niente, il comitato olimpico gli taglia prima il numero di gare e poi quello dei partecipanti, al contrario di quello che accade per atletica e nuoto, tanto che il cittì del suo paese Thomas Voeckler ha detto che a Parigi sarà una corsa diversa da tutte le altre (non sappiamo se dicendolo ha fatto pure le faccine buffe), quindi figuriamoci se si può pensare di aiutare il ciclocross. Però gli organizzatori della Coppa hanno rinunciato anche ai soldi: c’erano le gare negli USA che erano osteggiate dagli europei perché costituivano una trasferta costosa, così le hanno ridotte a due, poi a una, ora hanno eliminato pure quella vicino allo stabilimento della Trek e, curiosa coincidenza, la Trek ha annunciato che non sponsorizzerà più la squadra di Sven Nys. Però dicono che il ciclismo è in crisi, spariscono squadre e corse, ma le gare abbondano, al punto che, appena finite le classiche del nord, in questo weekend solo nella categoria élite ci sono state contemporaneamente cinque gare maschili e quattro femminili, e a una certa età è un problema raccapezzarvicisi, che già è un problema coniugare il verbo raccapezzarsi. Ma questo giovane Frank van den Broek dove ha vinto, in Turchia o nella Asturie? No, nelle Asturie hanno vinto quelli dell’UAE. Ah, ma non stavano correndo in Romandia? No, là ci stavano quelli più forti e infatti hanno perso. Ecco. Alla fine ci saranno pure tanti grandi campioni ma riescono a fare in modo di rimandare sempre il confronto diretto, e quando il mese scorso finalmente non potevano più evitarlo due maxicadute in pochi giorni hanno risolto il problema per quelle corse e per le successive. Ma, e qui torniamo al parente povero, Monsieur Le Président mai ha detto che bisogna fare in modo che tutti i big stradisti insieme appassionatamente corrano tutte le corse più importanti, invece quelli del ciclocross voleva precettarli. Quindi i multispecialisti devono riflettere sul loro futuro, perché nel ciclocross potrebbero avere il programma presidenziale obbligatorio e su strada correre dove ç@##o  gli pare.

Lotte Kopecky gioca al biliardo: si riposa dal ciclismo, spinge oltre la multidisciplinarietà o prevede che il biliardo nel programma olimpico sostituirà il ciclismo con la benedizione di Auro Bulbarelli?

Le caviglie di Marlen

Marlen Reusser una volta ha detto che nel ciclismo maschile ci sono molte immagini e storie e tanti personaggi famosi che possono interessare i media, e di riflesso ispirare i ragazzi a dedicarsi a questo sport di m****, mentre in campo femminile la cosa è ancora in divenire, c’è meno visibilità, ad esempio nella sua “giovinezza” non aveva nessun riferimento, ma forse era presa dagli studi di medicina e non seguiva la sua connazionale Nicole Brandli, 3 volte prima al Giro prima di ritirarsi per la prima volta. Comunque non gliene facciamo una colpa, anzi vogliamo darle ascolto, e per fornire un esempio alle giovanissime lettrici della Zeriba (non ce ne sono ma non vuol dire niente) affinché facciano la cosa sbagliata e inizino a correre in bici, parliamo di una ciclista famosa: Marlen Reusser.

Le caviglie del titolo.

Marlen nacque nell’Emmental, non nel senso che sguazzava nel formaggio ma nella valle omonima. La prima attività sportiva che intraprese fu suonare il violino, poi passò alla politica ma restò presto delusa, e allora pensò di dedicarsi a un qualsiasi altro sport che non fosse il ciclismo. Ma per un difetto congenito alle caviglie era proprio quello l’unico sport che poteva praticare, questa cosa non la capisco ma il medico è lei. E diciamo che quel lieve difetto fisico fu la sua fortuna, perché è diventata professionista, corre nella squadra più forte del mondo, ha vinto a destra e a manca e pure in Svizzera, e questo le dà la possibilità di fare casino sul podio.

Per esempio alle Olimpiadi di Tokyo 2021

Domenica scorsa al Giro delle Fiandre ha corso solo 10 km ed è caduta rompendosi la mascella otto denti e i canali uditivi (questo lo scriviamo a beneficio delle ragazzette che vogliono correre in bici), ma ancora una volta è stata fortunata perché l’hanno operata e per un mese non potrà masticare, ma a lei che importa: è vegetariana. Non riesce neanche a ridere e allora è preferibile che non legga quello che lei stessa scrive sui social: “Qualcuno ha ricette per frullati?” E questo è quanto per le aspiranti cicliste, che dopo aver letto questo articolo saranno corse (a piedi) dal merciaio a comprare nastri e merletti per fare ginnastica ritmica, ma l’ultima cosa la scriviamo per gli italiani in generale, dato che di ogni personaggio, reale o di finzione, vogliono sempre sapere da che parte sta: Tolkien, Tex, Jacovitti, Renzi, sono di destra o di sinistra? Marlen Reusser è ambientalista, ed è vegetariana perché da piccola viveva tra gli animali e vedeva anche come venivano macellati. Dice che le proteine necessarie allo sport si possono trarre da patate cereali e legumi, e l’assunzione di questi ultimi, secondo me, potrebbe anche scoraggiare la tendenza antisportiva a correre sempre alla ruota di qualcuna.

Nunc est bibendum

Anno bisesto

Sembra che l’origine del proverbio “Anno bisesto anno funesto” non risalga ai tempi dell’Antica Roma, come molti ritengono, ma a quando si decise di far disputare le Olimpiadi negli anni bisestili. Da allora infatti negli anni di 366 giorni tutte le manifestazioni sportive, comprese le partite scapoli-ammogliati e le corse nei sacchi, sono condizionate dalla preparazione per i giochi olimpici. In particolare molti atleti per allenarsi rinunciano a disputare gare cui in tempo di pace avrebbero partecipato. E’ successo con la Sanremo, che è una classica monumento, a maggior ragione è successo a Cittiglio per il Trofeo Binda che non è una monumento ma probabilmente – non mi va di verificare tutte le corse una per una ma mi pare proprio così – è la più vecchia competizione del world tour. La prima edizione si disputò nel 1974, quando Binda era ancora vivo e non mi risulta che abbia mai avuto niente da ridire sul fatto che gli abbiano dedicato una gara femminile, proprio a lui che diceva che le donne devono stare in cucina. Tra parentesi Alfredo Binda è stato un grande ciclista e un grande commissario tecnico della nazionale e mi viene il sospetto che per lui, più che vincere in prima persona, sia stato difficile vincere gestendo Coppi e Bartali. Tornando alla corsa, delle 5 monumento maschili 2 non hanno la versione femminile e sono proprio le italiane, ma il Binda è una via di mezzo tra Sanremo e Lombardia: ci sono discese e salite ma non durissime e se l’esito si decide in volata il rettilineo finale è in leggera salita, e l’albo d’oro è prestigioso. Ma, nonostante ciò, per allenarsi in altura si sono astenute Vos Longo Borghini e Niewadoma che in totale qui hanno vinto 7 volte. Scelta opposta l’hanno fatta Puck Pieterse e Lotte Kopecky. La ragazzina terribile ha fatto la stagione del ciclocross, anche se a singhiozzi, e quest’anno punta alla mtb, ma sta correndo anche su strada e va pure forte, e con ieri ha fatto due terzi posti consecutivi. Della belga invece l’imprescindibile Giada Borgato ci ha fatto sapere che ha deciso all’ultimo di correre perché non aveva voglia di allenarsi: è un personaggio. Il fatto che una campionessa venga a correre in Italia per allenarsi potrebbe contrariare gli sciovinisti permalosi, ma questo non è successo solo perché del ciclismo femminile non interessa niente a nessuno. A leggere i commenti sociali si direbbe che gli unici a seguire le corse delle donne siano i sostenitori della vecchia Valcar, e quindi oggi dell’UAE che ha assorbito quella squadra, e sono molto perplessi perché non vedono risultati né logiche di corsa, e a dirla tutta pure alla Sanremo i maschietti emiratini hanno corso in maniera discutibile ma hanno la fortuna di avere Pogacar, anche lui assente al Binda perché dovendo correre in Catalogna ha abbandonato a sé stessa la compagna Urska, che in fondo non corre rischi, sono le altre nel raggio di un km a dover stare attente. Tornando ai tifosi della Valcar, ieri hanno però gioito per la vittoria di Elisa Balsamo che ha battuto la favorita di default Lotte Kopecky. Infatti la Valcar era una squadra juniores, ma quando Balsamo vinse il mondiale di categoria l’accompagnò nel passaggio tra le élite tutto il team. Ma più di quei tifosi ieri ha esultato il cittì Sangalli gridando in diretta tivvù, per lui sarà stata una liberazione dopo un 2023 in cui tutte le migliori cicliste italiane hanno avuto almeno un problema fisico cadauna, alcune anche due o tre. E ora il difficile è ripetersi in Belgio dove ci saranno anche quelle che scendono dalle montagne.

Perline di sport – La corsa dei nonni

E’ ormai scientificamente appurato che, come per altre gravi malattie, la predisposizione al ciclismo sia una tara ereditaria, trasmessa dai genitori ai figli, altrimenti sarebbe difficile spiegare perché un ragazzino, invece di dedicarsi a uno sport fighetto e prestigioso come sci pattinaggio artistico tennis e soprattutto padel, preferisca praticare il ciclismo per finire etichettato come drogato di m**** e bullizzato da media automobilisti camionisti e socialoni. Ieri se ne avuta l’ennesima conferma: piano piano con calma è iniziata la stagione su strada anche in Italia con il Trofeo Laigueglia e ha vinto il ventenne francese Lenny Martinez, di cui tutti ricordano il padre Miguel che fu campione mondiale e olimpico di mtb. Anche lo zio Yannick e il fratello del nonno, Martin, corsero anche se con meno successo. E arriviamo al nonno Mariano che fu un buon ciclista casalingo, nel senso che vinse soprattutto in Francia, anche due tappe al Tour, e per vederlo andare forte anche all’estero ci vollero i mondiali nel Canada francofono: a Montréal infatti il nonno di Lenny fu terzo battuto dal padre di Axel Merckx e dal nonno di Mathieu Van Der Poel; solo il quarto e primo degli italiani Giacinto Santambrogio non aveva niente a che fare con Mauro su cui meglio sorvolare. Questo breve filmatino è parte in bianco e nero e parte a colori come certi giornaletti dell’epoca, e si può vedere un veicolo sperimentale (forse in vista delle Olimpiadi del 1976, forse divelto da un autoscontro) che seguiva con la camera i ciclisti, e propose una ripresa laterale della volata finale, come da qualche anno accade sui Campi Elisi, immagini che possono fare apprezzare il gesto atletico ma non fanno capire niente della volata, anche se con Merckx c’era poco da capire.

Montréal: Mondiale in linea 1974

Sintomi della peste

Peste e paste

Quando sul finire del secolo scorso le inattese mezzofondiste cinesi vinsero olimpiadi e batterono primati mondiali il loro allenatore disse che era merito di un magico brodo di tartaruga. Deve essere davvero una questione di alimentazione, pure l’etno-commentatore Tilli diceva che i velocisti caraibici andavano forte perché non fanno come gli italiani che la domenica mangiano le pastarelle. Infatti in quegli anni era frequente vedere velocisti italiani con la pancetta e un vassoio infiocchettato in mano che era pure d’impaccio ai blocchi di partenza. Poi i controlli antidoping decimarono prima le cinesi e in seguito i conterranei coetanei di Usain Bolt, ma sono dettagli, perché quando non si tratta di ciclisti neanche si nota. Ma al CIO non hanno mai pensato di prendere provvedimenti contro questi paesi né contro gli USA da sempre terra di allenatori chiacchierati e atleti squalificati. Un provvedimento drastico invece fu preso contro la Russia, che poteva vantare casi di doping in tutti gli sport e ignorava i continui inviti a darsi una regolata. Qualcuno ha parlato di decisione politiche, non saprei, sta di fatto che, ben prima della guerra con l’Ukraina, i russi furono esclusi da olimpiadi e competizioni internazionali. Qualche atleta russo ha pensato di aggirare il problema prendendo la cittadinanza di un altro paese. Tra i ciclisti non è il caso di Aleksandr Vlasov che fino a poche settimane fa aveva altro cui pensare, cioè tirare le palline di carta all’ex compagno Cian Uijtdebroeks bullizzato forse per il nome impronunciabile. Né c’entra Alexander Konyshev, un decimo del talento pure sprecato di papà Dimitri, perché lui è nato italiano. Viceversa per Pavel Sivakov, nato in Francia, si è trattato solo di accorciare i tempi di qualcosa che forse avrebbe fatto lo stesso, ma non gli servirà a nulla per le olimpiadi perché la concorrenza è agguerrita. Infine c’è chi ha fatto la scelta giusta ma ha sbagliato: il pistard Mikhail Yakovlev. Il giovane velocista è molto forte e ha corso per la Russia fino a metà del 2021 ma, forse per poter partecipare alle olimpiadi che per certe discipline oscure e oscurate sono l’obiettivo principalissimo, ha scelto di cambiare nazionalità, e però ha preso quella di Israele, praticamente un appestato bipartisan. E così quando ha partecipato ai recenti campionati europei di Apeldoorn si è scontrato con la durissima presa di posizione del sito Cicloweb che ha deciso di non menzionare i ciclisti israeliani, una scelta che ha fatto tremare le vene varicose a Bibi. Il punto è che i pistard israeliani sono pochi ma buoni, e in generale nelle competizioni importanti non ci sono più presenze folkloristiche: malesi, indiani, trinidegni, tutti forti anche perché dalle loro parti i velodromi ci sono. Il sito ha mantenuto l’impegno ma il bestio (m. 1,80 ma ne dimostra di più anche perché corre su una bici enorme, quasi un velocipede) non si è intimorito e ha vinto il bronzo battendo Jeffrey Hoogland. E non mi pare un buon modo di fare informazione scrivere che il primatista del mondo del km è stato battuto senza specificare da chi, se da uno forte o se invece ha perso pure contro Pinco.

Hoogland in arancione sovrastato da Yakovlev

Contrordine compagni

Ma quando le cose devono andare male c’è poco da fare. Ieri si è conclusa la prima corsa a tappe del World Tour dall’altra parte del mondo e ha vinto proprio un ciclista della Israel. Per fortuna si trattava dell’ex giovane gallese Stephen Williams e allora Cicloweb almeno il suo nome l’ha potuto fare, però gli ha cambiato squadra, cioè invece di “Israel” hanno scritto “Free Palestine”, una trovata simpatica e infantile, più la seconda, e hanno pure sminuito la vittoria del britannico per la sua condotta di gara attendista, ma c’è da credere che se si fosse trattato di un italiano della Ciclistica Sociale Occupata l’avrebbero elogiato per la furbizia e il mestiere. In realtà c’è poco da sminuire, semmai sorprende che gente che segue il ciclismo da molti anni sopravvaluti i risultati delle prime corse e pure i percorsi, perché la famosa salita di Willunga Hill se fosse nel percorso della Liegi neanche si noterebbe. La stagione stradale è iniziata anche in Europa perché in Spagna, approfittando del fatto che molte squadre si allenano da quelle parti, hanno potuto organizzare le prime corse e contemporaneamente la prova di Coppa di ciclocross, nella località balneare di Benidorm che non ha niente a che fare con le gare che si svolgono in Belgio, dove il mare è grigio e fa freddo. A Benidorm fa caldo e vengono fuori le contraddizioni, o se vogliamo le simpatie o le idiosincrasie dei commentatori. Non gradiscono le prove americane per il clima caldo, che è quasi inevitabile finché si corre a ottobre, e i percorsi facili, ma in Spagna è anche peggio. Verrebbe da sospettare che si tratti della vecchia storia del ciclocross alle Olimpiadi: già praticamente fallito il sogno invernale, forse si vuole infilarla nel programma estivo? Abbiamo visto che la gara di Vermiglio sulla neve il primo anno non era andata male, nel secondo c’è stata meno partecipazione e più infortuni, il terzo è stato un flop, e non è un problema di interesse perché quando nei paraggi a Daolasa si disputano le gare di mtb è un successone. Però ora anche il cittì Pontoni ha detto che gli italiani dovrebbero prendere esempio dagli spagnoli. Il punto è che in questa stagione, nonostante il clima favorevole, in Italia le squadre non vengono più ad allenarsi come accadeva 20/30 anni fa, anzi pure le piccole squadre italiane vanno in Spagna, dove ci sono più investimenti dal punto di vista delle infrastrutture e meno investimenti da parte delle auto. Quindi lì trovi tutti i ciclisti che ti servono, e per gli appassionati vedere insieme Van Der Poel Van Aert e Pidcock va bene dovunque corrano, sul prato all’interno di un velodromo o in un’acciaiera abbandonata o pure al Parco Verde. E così a Benidorm abbiamo visto Van Der Poel attaccare su un tratto asfaltato, se questo è ciclocross, il percorso non era selettivo, poi c’è stato un po’ di tatticismo e alla fine del settimo su 9 giri c’è stata una rimpatriata generale quando un gruppo di una decina di ciclisti si è ricompattato in testa. A quel punto Mathieu ha ripreso ad attaccare ma è finito contro un paletto, Van Aert è rimasto da solo in testa e per non rischiare di cadere ha passato le tavole a piedi però è caduto lo stesso mentre rimontava in bici. Wout ha comunque concluso vittorioso e senza il rivestimento della sella e si è tolto un peso. Nella gara femminile c’è stato il duello più acceso della stagione tra Fem Van Empel e Puck Pieterse, hanno fatto pure a spallate e alla fine ha vinto la prima, tra il pubblico e gli addetti ai lavori a mezze maniche e alcune piazzate che arrivavano con la zip aperta come fosse luglio sull’Alpe d’Huez. Insomma se la Coppa è troppo lunga e bisogna diminuire il numero di tappe si potrebbe iniziare a tagliare quelle senza senso, cioè Vermiglio e Benidorm, ma se per la Val di Sole finirà per accadere, per Benidorm la vedo difficile dato che già nei giorni precedenti non si trovava un biglietto manco a pagarlo.

Il resto della sella di Van Aert

Epifanie

L’Epifania tutti i cross si porta via

In Italia, terminate le challenge e challengine nazionali e regionali, resta l’ultima pratica dei campionati nazionali che l’UCI ha piazzato nel prossimo weekend. Ma pure nel Benelux termina il cosiddetto kerstperiode, cioè l’abbuffata del periodo natalizio, e si ritorna a un calendario più razionale. L’abbuffata c’è stata ma i piatti sono stati meno prelibati, in parte perché la disgrazia olimpica spinge gli atleti a risparmiarsi e in parte per infortuni vari. Pidcock c’ha avuto ‘a malattia, Iserbyt è andato in ospedale, approfittando del fatto che lì funzionano anche perché non hanno avuto Conte-Draghi-Meloni e quelli che c’erano prima, Vanthourenhout ha vomitato, ad Alvarado è tornato il mal di schiena e Van Anrooij, mattatrice del Natale precedente, si è infortunata. Finito qui? No, ci sono stati pure i training camp della Visma ex Jumbo, che non sono proprio dei campeggi ma duri allenamenti in isolamento con marce forzate e alimentazione da clinica fantozziana. E così Mathieu Van Der Poel ha infilato 10 vittorie su 10 e il suo training camp lo farà coincidere con i campionati nazionali, ché lui ormai di maglie indossa solo quelle iridate. Ma approfittando di tutte queste assenze sono apparse/i nelle top ten cicliste/i di seconda/terza fascia: epifanie fino all’epifania.

Quando MVDP attacca l’unico che riesce a seguirlo è il drone.

Il sentiero per la nuova cascata

La squadra giallonera quand’era ancora Jumbo ha fatto coincidere il primo campeggio sociale con la pericolosa gara di Vermiglio sulla neve e appena è diventata Visma ha fatto coincidere il secondo campeggio con l’altrettanto pericolosa gara di Zonhoven con ripide discese sulla sabbia, mica scemi. Se la cosa può lasciare indifferente Van Aert di sicuro fa piacere a Fem Van Empel, che ha mostrato sempre più insicurezze causate da (o causa di) varie cadute in cui ha sempre picchiato le ginocchia, e insomma sembrava una schiacciasassi ma tentare di schiacciare i sassi con le ginocchia è sconsigliato da tutti gli ortopedici dei Paesi Bassi e forse anche da quelli italiani, ma su questi ultimi non ci giurerei. Quando è in gara come a Koksijde cade ma poi in genere si rialza e vince, però se l’ostacolo è la discesona di Zonhoven, che non è come quella di Raymond Carver che alla fine imbucava una lettera dove c’era scritto solo colibrì e poi per fortuna hanno inventato whatsapp, meglio saltarlo a piè pari per evitare di cascare di nuovo. Chi invece gli ostacoli li salta in bici è Puck Pieterse che vince soprattutto in Coppa, anche se a Zonhoven ha forato in partenza e sembrava ci fosse via libera per Lucinda Brand, ma la veterana uscita illesa dalle discese è caduta quasi in piano e ha sbattuto il naso. E la cosa strana è che una ciclista esperta assistita da qualche medico facesse la cosa sbagliata, cioè piegare la testa all’indietro per fermare il sangue: ma ora vi ci mettete pure voi del Benelux?

Fem Van Empel sembra condizionata dalle cadute, potrebbe aver bisogno di uno psicologo, o forse basterebbero delle ginocchiere come per le pallavoliste.

Namur toujours

Quest’anno, più che nel recente passato, dopo aver visto gareggiare gli specialisti del ciclocross si pensava o almeno si sperava che potessero competere alla pari e insomma battere almeno qualche volta i tre grandi part-time, che quest’anno correranno ancora meno per preparare la disgrazia olimpica. Qualche vittoria di Iserbyt e compagni, cui si sono aggiunti dei nomi nuovi, sarebbe un bene per il ciclocross perché rivaluterebbe tutte le gare senza quelli là, e inoltre l’eventuale specialista che battesse i tre grandi non rischierebbe di essere portato via dalle altre specialità perché tutti, tranne il troppo giovane Nys, ci hanno già provato con la strada e anche con la mtb e non gli è andata benissimo. Ma quel momento non è ancora arrivato, anzi. Wout Van Aert, cui piace vincere facile, anche perché quando è difficile è più facile che arrivi secondo, non so se mi sono spiegato, ha esordito in una gara minore con avversari minori e ha vinto con un distacco maggiore, poi è andato in campeggio con la squadra e non ha corso neanche sabato a Herentals, suo natìo borgo selvaggio dove faceva tappa la challenge dei bagni con anche il ritorno delle paperelle giganti. E lì ha esordito proprio l’arcirivale Mathieu Van Der Poel che ha preso la testa alla prima curva ed è rimasto solo soletto davanti, che lui c’è quasi rimasto pure male a correre un’ora da solo. Secondo manco a dirlo è arrivato il terzo, nel senso di terzo fenomeno, Tom Pidcock, il quale ha dichiarato che si trova più a suo agio nel secondo giorno di gara. Pensavate fosse una guasconata? No, tanto più che il secondo giorno si gareggiava a Namur, nel cross della Cittadella che costituisce quasi un paradosso perché questa gara vallone è una delle più belle e dure di uno sport fiammingo. E con le salite e discese è congeniale al piccolo Tom che infatti su strada va meglio nelle vallonate corse valloni che nelle gare sul pavé come in genere gli altri crossisti. E però Tommasino non sembrava a suo agio, qualche contrattempo, i primi giri passati a scuotere la testa, mentre rimontava posizioni, poi le perdeva, poi le recuperava con gli interessi e alla fine ha vinto. Sabato ad Anversa spareggio provvisorio con tutti e tre i fenomeni, è gradita la partecipazione anche degli altri.

La paperella gialla come mascotte di una ditta di arredobagno dimostra che i belgi sono bambinoni, capaci qualche tempo fa di stare più di un anno senza governo: altro che premierato forte.

In campo femminile va molto meglio perché le dominatrici della scorsa annata hanno dimostrato di non essere imbattibili e c’è più spettacolo. Fem Van Empel ha dimostrato di essere battibile proprio quando ha conservato l’imbattibilità stagionale, perché a Herentals Lucinda Brand ha perso solo in volata. Però le scelte di Fem sono incomprensibili, passa da una challenge all’altra e sembra che faccia tutto il possibile per non lottare per nessuna classifica, confusa e precoce perché a 22 anni fa come è stata costretta a fare la capitana Marianna a 35 anni ma solo a causa dell’età. Corre molto di più Ceylin Del Carmen Alvarado, ma anche se lei è nata a Cabrera, nella Repubblica Dominicana, e a Rotterdam, almeno secondo internet, non è così ubiqua da gareggiare proprio dappertutto: salta le paperelle e corre nel Superprestige e in Coppa. E a Namur ha fatto uno dei suoi capolavori, mentre dietro la veterana Brand si è fatta infilare all’ultima curva dalla giovane Puck Pieterse come se quest’ultima fosse la più esperta, e quarta è arrivata Sara Casasola con una grande rimonta come Pidcock lei che è minuta come Pidcock. Ceylin Alvarado ha 25 anni, è forte in una specialità che non entrerà mai nel programma olimpico, non si impegna molto nella mtb, dove pure andava benino da under, e su strada se la cavicchia ma non ha ancora vinto. Nei Paesi Bassi la concorrenza è altissima in qualsiasi disciplina e a meno che un giorno non decida di correre per il paese natale, improbabile dopo tante competizioni in arancione e anche per la conseguente necessità di fare punteggio, è molto difficile che un giorno partecipi alle Olimpiadi, ma in tal caso non sarebbe un problema suo ma delle Olimpiadi.

Dopo la gara un sorso di birra ci sta, il problema è che la quantità offerta è proporzionale al piazzamento.

L’avanspettacolo della neve

Per il terzo anno c’è questa cosa strana e bisogna parlarne bene, primo perché si valorizza la filiera italiana della neve, genuina fatta secondo le tradizioni nostrane, e poi perché qualcuno ancora si illude che il ciclocross possa entrare nel programma olimpico anche se dalla porta di servizio, cioè nel programma delle olimpiadi del ghiaccio e della neve. Strano che quello che più di tutti avrebbe voluto il ciclocross alle olimpiadi, cioè Sven Nys, non porti la squadra a Vermiglio. O meglio, della sua squadra è venuto solo Joris Niewenhuis e ha vinto lui, dominando una gara noiosa in cui un po’ di brio lo metteva solo Niels Vandeputte con le sue whippate. Chi vince a Vermiglio ne parla bene, a meno che l’anno dopo non rischi di sfracellarsi, come Fem Van Empel che quest’anno è rimasta a casa. In realtà le assenze sono state molte, soprattutto tra le donne, un po’ di volume l’hanno fatto gli italiani, anzi massa critica, perché la situazione del cross italiano è proprio critica, i giovani vanno bene ma poi si perdono, tra le donne c’è più ricambio, tra gli uomini ormai sono quasi solo bikers che in inverno si sgranchiscono un po’ le gambe, tutti condizionati dalle olimpiadi che non ricambiano nemmeno perché al ciclismo danno ben poco: alcune specialità sono sparite e il numero di partecipanti viene ridotto per far spazio a discipline circensi come il free-style, mentre altri sport come atletica e nuoto possono allargarsi quanto vogliono. E dicevo gli italiani, ormai qui non è raro vedere gare con solo una decina di uomini élite alla partenza, e a Vermiglio hanno occupato tutte le ultime posizioni.

Multidisciplina? L’ex stradista Niewenhuis dice che per la sicurezza nella guida gli ha giovato l’aver corso in bmx.

Al contrario le italiane in top ten sono state tre e la prima, cioè la sesta, Valentina Corvi fino a pochi mesi fa era junior, poi Francesca Baroni che ha scelto di correre per un club belga e infine Sara Casasola vincitrice venerdì a Faé di Oderzo e prossima a laurearsi in matematica, come del resto quasi tutti gli sportivi italiani che vanno sulle prime pagine dei giornali. Eppure la RAI che continua la linea sciovinista continua pure a dare più spazio alle gare maschili, come venerdì con la diretta della gara uomini del Ciclocross del Ponte seguita da una sintesi di un paio di minuti di quella femminile che dava pure fastidio perché c’era da intervistare il decaduto Corné Van Kessel che ha dato un minimo tocco di internazionalità alla prova. A Vermiglio sono andate forte quelle che hanno più dimestichezza con la neve: canadesi, ceche, maestre di sci (la veterana Anna Oberparleiter) e dominicane. E proprio Ceylin Del Carmen Alvarado sembrava avviata a vincere ma era convalescente, c’ha avuto ‘a malattia, e la possente Manon Bakker l’ha superata e, come Niewenhuis, ha vinto la sua prima gara di Coppa e non poteva crederci. Ma se l’è dovuta sudare, sia perché non faceva tanto freddo e infatti gli atleti non erano vestiti da milanesi, sia perché, come ha detto il commentatore Enrico Martello, Alvarado “non la dà vinta”, solo che, come se fosse avanspettacolo, ha iniziato a balbettare e si è inceppato a ripetere “non la dà”, ma saranno pure fatti suoi e semmai del fidanzato, un ex ciclista che già immagino a cantare “Io, mammeta e tu”. Insomma non so se c’è stato lo spettacolo della neve di per sé ma spettacolo ciclistico poco, la turnazione delle assenze ha raggiunto il massimo, tanti hanno preferito correre altrove in Francia in Belgio e anche in Italia, come Filippo Fontana che dopo la vittoria di venerdì ha scelto la gara di Vittorio Veneto infilata al sabato con un discutibile senso dell’opportunità (non è solo il calendario internazionale che va rivisto). C’è stato anche il rientro del primo dei tre grandi, Wout Van Aert, il quale ha preferito gareggiare sabato a Essen e arrivare tutto sporco di fango, piuttosto che lindo e pinto sulla neve che, a differenza dell’anno scorso, non si è ghiacciata, ma proprio quest’anno che i ciclisti cercavano solchi canale e canaline abbiamo avuto la conferma che Martello ha abolito dal suo vocabolario la parola “canala” che tanto gli piaceva: vi avrà forse scorto un doppio senso degno dell’avanspettacolo?

Manon incredula e Ceylin intirizzita

Le terze vie

In Italia da quando qualcuno ha creduto di aver instaurato il bipartitismo è iniziata la ricerca della terza via, spesso con risultati pittoreschi ma premesse idem. In Campania qualche giorno fa è stato presentato un partito dei pensionati e dei lavoratori, quindi già in potenza rappresentativo di una minoranza, che aspira a essere la terza via, e una sua rappresentante ha parlato un paio di volte di “partite IVE”, una terza via del plurale che potrebbe denunciare una sua scarsa dimestichezza con la grammatica o forse solo con l’economia. E la seconda ipotesi sarebbe comprensibile perché le materie economiche sono poco attraenti e, come alcuni credono di atteggiarsi ad anarcoidi e artistoidi vantandosi che a scuola non andavano bene in matematica, io modestamente posso vantarmi, o forse no, di aver preso proprio in economia politica il voto più basso all’università. Certo ci sono anche quelli cui piace l’economia e pure la finanza e in camera hanno il poster dell’indice Dow Jones, ma non è il caso del commentatore Enrico Martello che ieri, ricordando la scorsa stagione campestre, ha parlato di monopolio di due cicliste, ma dato che le due (Van Empel e Pieterse) non erano in società ma anzi rivali, forse era un caso di duopolio. A Martello, che è anche disegnatore di percorsi di mtb, oltre all’economia non piaceva neanche il percorso di Coppa di Flamanville, diceva che se non fosse stato per il fango sarebbe stato facilissimo, il più facile, praticamente un circuito stradale, anzi ancora più facile, un ciclocross italiano. E invece aveva proprio tutto quello che in Italia manca: scalinate rampe contropendenze e un bel contesto, dato che si correva tra un castello medievale un boschetto e un laghetto. In Italia ci vantiamo di colline e borghi ma poi si finisce a correre intorno a ippodromi e velodromi fino al caso aberrante di un arrivo in volata sulla pista di San Francesco al Campo. E poi c’è l’estremo opposto della prova di Coppa del Mondo sulla neve che quest’anno arriverà puntuale (la neve) altrimenti Vermiglio sarebbe stata presa a cannonate (sempre di neve) e non c’è una terza via, fa eccezione solo Brugherio che non a caso la RAI ha ripreso a ignorare. E Vermiglio incombe, è in programma il prossimo weekend e chi salterà il turno non avrà la comprensione di Monsieur Le Président ma sappia che avrà la mia solidarietà. In ogni caso è difficile che si faccia caso alle assenze dato che quest’anno, anche per la spada di Damocle olimpica, si sono cronicizzate, altro che monopolio di due, è come se fosse intervenuto il garante della concorrenza, di sicuro è intervenuto il medico della Alvarado che era ammalata ed è rimasta a casa con la madre. E così il sabato a Boom nel Superprestige la monopolista Van Empel ha battuto l’altra monopolista Pieterse e tra gli uomini il ritornante Niewenhuis ha battuto lo stakanovista Iserbyt che non si prende un giorno di ferie. Poi la domenica in Coppa con altri interpreti ha vinto Brand mentre la compagna di squadra Van Anrooij appena rientrata ci ha ricordato che l’anno scorso lei era la terza monopolista. In campo maschile infine è stato premiato proprio lo stakanovista che ha fatto un capolavoro: attardato alla partenza il gatto Iserbyt ha recuperato posizioni su posizioni fino a trovarsi stretto tra due compagni del fuggitivo Ronhaar, ma se ne è liberato, ha raggiunto la testa della corsa e al primo errore di Ronhaar se n’è andato su quel percorso che non piaceva a Martello ma a lui sì perché esaltava la sua agilità felina. Insomma una cosa degna della Liegi 1997 di Bartoli 1 contro 2 e della Het Nieuwsblad 2015 di Stannard 1 contro 3 anzi 2 + 1 pir… presuntuoso (Boonen). Eli Iserbyt è abile nella guida e scattante ma soprattutto è tenace, testardo come le due papere che a un certo punto si sono piazzate in una curva del percorso e nonostante il continuo passaggio dei ciclisti non si sono mosse manco fossero presidenti federali.

In fiammingo Kwik, Kwek e Kwak sono HueyDewey e Louie (cioè Qui, Quo e Qua)

Vengo anch’io? No, Lei no.

Più cognomen omen di così era difficile. Se i Disney Italia avessero creato il personaggio di un ciclista capace di vincere velocità e km da fermo alle Olimpiadi di Roma l’avrebbero chiamato Gaiardo, anzi di più, visto che nell’occasione stabiliva pure i primati mondiali delle due specialità l’avrebbero chiamato Gaiardoni, proprio come Sante che per di più, passato al professionismo, fu uno dei pochi a battere Maspes in un Mondiale. Ma nella vita uno si può prendere anche altre soddisfazioni. Per esempio, Sante Gaiardoni non era romano, altrimenti si sarebbe chiamato Gajardoni, era nato nella campagna veronese e il primo giorno di scuola il maestro se ne accorse e per punizione (del fatto di essere contadino) lo spedì all’ultimo banco. Poi, quando Gaiardoni tornò al paese con i due ori olimpici e tutti i compaesani gli fecero festa e volevano abbracciarlo, pure il maestro tomo tomo cacchio cacchio si fece avanti ma Sante disse: No, lei no.

Come si può vedere dalla testata, nel 1960 i grafici italiani non erano ancora stati avvisati che il fascismo era caduto.