Esangue merengue

Non ho perso il piacere di disegnare in maniera tradizionale ma da un po’ mi diverto anche a realizzare immagini modificando e sovrapponendo delle icone tratte dai programmi di scrittura. Io li chiamo “icomix”, fusione di “icon” e “comics”. E allora in questa lieta circostanza vogliate gradire questa danza spettrale.

Bunny is a rider

Quando pochi giorni prima dell’avvento del Covid la dominatrice dell’annata Annemarie Worst e la più ostica, ma spesso battuta, delle avversarie Ceylin del Carmen Alvarado si contesero il mondiale del ciclocross fecero uno sprint intensissimo come se fosse stato l’ultimo della carriera se non del mondo. E quasi quasi fu così, ma non per colpa del covid. Oltre ai rispettivi problemi fisici, prima ci si misero le due veterane, Brand al culmine della sua maturazione e Vos che da tempo non si impegnava nel cross con tanta determinazione, e poi arrivarono le tre ragazze prodigiose. Ora che a crossare full-time è rimasta la sola Fem Van Empel, le due giovani veterane sono in agguato pronte a sfruttare l’occasione, e la semi-dominacana, che quel mondiale pre-covid lo vinse, la coglie volentieri, soprattutto nel Superprestige, la seconda challenge per importanza. Però la ragazza non vuol lasciare nulla di intentato e ha pensato di imparare il bunny hop, il salto con la bici sulle tavole di 40 cm che quasi tutte le ragazze passano scendendo dal mezzo, così da guadagnare qualche secondino prezioso. Ma, sorpresa, pure la Fem l’ha adottato e lo svantaggio ha azzerato. E poi cosa dovrebbero dire in campo maschile gli specialisti Iserbyt Van Der Haar Vanthourenhout e Sweeck con il pericolo sempre incombente dei tre fenomeni, che al mondiale almeno uno se lo ritrovano tra i pedali. E non bastassero loro, è arrivato pure il prodigioso figlio d’arte Thibaut Nys che sale le scalinatelle in bicicletta. Più di tutti Lars Van Der Haar, che quando Nys padre era prossimo alla pensione e Stybar sulla strada di concentrarsi solo sulla strada, non so se mi sono spiegato, dicevo, Van Der Haar era il predestinato alla successione al trono campestre, ma poi arrivarono altri predestinati più predestinati di lui. Ma quest’anno, intanto che i fenomeni si riposano, Nys figlio dimostra di non essere (ancora) imbattibile, e a Maaasmechelen, sempre in Belgio, il pre-predestinato Van Der Haar, che a causa della sua statura il saltino a volte lo saltava, torna a vincere in Coppa.

Caroline Polachek – Bunny Is A Rider

Hop!

Un altro minutino di paura

La settimana scorsa ho proposto un tentativo di raccontino di paura, ma in realtà di idee me ne erano venute ben due, e per non buttare via niente oggi posto il secondo racconto pauroso. E poi basta.

La casa bruttastregata

La Signora Muffin raccomandava sempre a suo figlio Rollo e ai suoi amichetti di non avvicinarsi alla vecchia casa della vecchia Signora Mortimer perché quella era una brutta strega solitaria che neanche più i nipoti andavano a trovare, forse perché pure loro ne avevano paura. Ma i ragazzi ad ogni Halloween c’erano andati a fare dolcetto o scherzetto e lei gli aveva sempre dato dei dolcetti. Pure il Reverendo Turpin diceva che la Signora Mortimer era una degna persona. La vecchia aveva il diabete, vedeva pochissimo e non potendo mangiare dolci li regalava volentieri ai ragazzi. Quei dolci glieli portavano i nipoti quando andavano a trovarla, ma ormai erano passati tre anni dall’ultima volta che si erano fatti vivi, da quando il Reverendo Turpin aveva convinto la vecchia a fare testamento e lasciare alla Chiesa la casa e il terreno dove viveva. Anche quell’anno Rollo e i suoi amici bussarono alla porta della Signora Mortimer gridando “Dolcetto o scherzetto” e la vecchia aiutandosi con il bastone arrivò alla vecchia credenza, prese dei dolci da una confezione e li regalò ai bambini, i quali li mangiarono di nascosto dalle madri. Ma la notte Rollo ebbe un forte mal di pancia e fu costretto a confessare di aver mangiato un dolcetto datogli dalla Mortimer. La mattina dopo, mentre il Signor Muffin chiamava un dottore, la Signora Muffin prese un forcone comprato all’emporio cinese e si diresse alla casa della vecchiaccia. Arrivata a quella vecchia stamberga bussò e, quando la Mortimer aprì, lei, agitando minacciosamente il manico del forcone cinese che per strada aveva perduto i rebbi, spostò la vecchia strega e si diresse verso la cucina gridando: “Cosa hai dato a mio figlio, eh? Cosa nascondi nella credenza?” Ma quando aprì quel vecchio mobile che cadeva a pezzi e tirò fuori la confezione di dolci non ancora terminata sopra vi lesse qualcosa di così terribile che le fece accapponare la pelle e strabuzzare gli occhi: i dolci erano scaduti da tre anni.

La Zeriba Suonata – Beautiful

Karen Mantler sarebbe adatta a uno di quei giochini enigmistici in cui bisogna accoppiare dei personaggi con caratteristiche tagliate con l’accetta. Ad esempio, accoppiate ogni figlia con la rispettiva madre, ma con quel caschetto biondo di chi può essere figlia Karen Mantler? Esatto.

Però andrebbe bene anche come personaggio di una di quelle soap operas centenarie in cui tutte si sposano con tutti tradendoli con tutti e viceversa, e i cui autori immagino dovranno avere un enorme tabellone con tutte le relazioni ad evitare che ci scappi quella incestuosa. Dovete sapere, se non lo sapete già, che Lovella May Borg sposò Paul Bley assumendo per sé il nome di Carla Bley, mentre Annette il-cui-cognome-originale-non-si-sa-che-non-lo-riportano-manco-le-biografie sposò Gary Peacock. Poi Paul Bley che suonava insieme a Gary Peacock si mise con Annette e Carla Bley con Michael Mantler. Da questa unione nacque Karen Mantler. Quando nel 2002 l’Orchestra di Carla Bley e il suo caschetto venne a suonare al Teano Jazz Festival c’era il suo compagno di allora, il bassista Steve Swallow, e in un angolo al piano c’era Karen. Sembrava come se la madre, dovendo andare a suonare, non sapesse a chi lasciarla e se la fosse portata dietro e le avesse detto mettiti lì e gioca col piano. Ma in realtà Karen aveva già 36 anni e la sua carriera ne aveva 30, avendo iniziato a cantare a 6 anni. Karen Mantler ha pubblicato dischi a suo nome, ha collaborato con molti musicisti tra cui Robert Wyatt (o viceversa, vista la vocazione prezzemolina di quest’ultimo) e non si limita a suonare il piano, ma suona anche l’armonica e canta. E a sentirla cantare sapete chi mi ricorda? Beh, quella sua vocina mi ricorda un po’ quella di Annette Peacock. Alla fine chi ci guadagna sono gli avvocati, a poterseli permettere.

I Cant’ Afford My Lawyer

Un’altra persona importante nella vita di Karen è stato il suo gatto Arnold, che fu anche contitolare di un disco.

La Zeriba Suonata – Lou Reed

Quando 10 anni fa è morto Lou Reed questo blog non esisteva e vi siete risparmiati un pezzo che pubblicai su una mia minifanzine. Purtroppo ho pensato di riproporlo qui tale e quale senza stare a scervellarmi se cambiare qualche cosa.

A me se mi chiedessero – solo che non so perché dovrebbero chiedermelo – un nome emblematico del rock adulto, maturo, io gli direi Lou Reed. E questo lo penso dai tempi di New York. Rock adulto, però, da non confondere con quella robaccia che chiamano AOR, che poi secondo me quelli che gli piace questo rock adultorientato, tipo i Foreigner, i Journey ecc., beh, questi gruppi secondo me, facendo anche un po’ di conti con l’età sia dei musicisti che dei fan e tenendo conto degli anni in cui erano in auge, insomma questi gruppi gli piacevano quando erano ragazzini; e allora come la mettiamo con la storia del rock adulto?
E se mi chiedessero un nome emblematico del rock, del Rock e basta, io non direi Iggy Pop né tantomeno Elvis, no, io direi sempre Lou Reed. Ma comunque non me l’hanno chiesto.
Se poi mi chiedessero un rocker antipatico, io sempre Lou Reed gli direi. Ma poi che ne so, mica ci ho mai avuto a che fare con quello.
Dice che, siccome c’aveva tendenze bisessuali, a 14 anni a Lou Reed gli fecero l’elettroshock. Ecco forse cosa manca nei talent show. Non è provata una relazione tra il fatto che a Lou Reed gli hanno fatto l’elettroshock e le cose che poi ha fatto nella musica, però tentare non costa niente. Si potrebbe provare a fare l’elettroshock a quelli là che vogliono cantare, e poi si vede se non ne esce qualcosa di un po’ meglio da questi talent show come X Factor. Poi se l’elettroshock non da risultati, come non detto, non è successo niente.
Lou Reed ha formato i Velvet Underground insieme a John Cale, un violoncellista gallese che è stato allievo di LaMonte Young e John Cage, ma poi dopo, per fortuna, s’è messo a scrivere canzoni.
Io ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto trovare un carillon che come musichetta suonasse Sunday Morning. Forse non da sempre, ma perlomeno da molto tempo prima che Sunday Morning venisse usata come musica per quello spot dell’energia.
Nel 73 ero ragazzino e mi piaceva molto Crocodile Rock di Elton John, e poi i Rubettes e poi Suzi Quatro, la mia prima vera fissa musicale; insomma mi piaceva quella roba che anni dopo avrei scoperto che si chiamava il glam rock, ma ne ascoltavo la parte più facile, più leggera, mica ascoltavo Berlin. Ma quando anni dopo ho saputo che quel disco là, Berlin, quando è uscito la critica l’aveva stroncato, io non ci potevo credere. Io davo come per scontato che quel disco fosse stato accolto con entusiasmo e da subito ritenuto una pietra miliare, da subito catalogato tra le Sacre scritture del Rock, e invece non era stato così. Ma come era possibile che Berlin l’avevano stroncato? Ma allora vi meritavate i Rolling Stones!
Pure Coney Islands Baby mi è piaciuto molto, che dicevano che era un disco minore, ma se quello è un disco minore figuriamoci i maggiori, che poi i maggiori, Berlin, li avevano pure stroncati. Coney Island Baby secondo me poteva essere la colonna sonora ideale per una cosa visiva su NY, un film, un documentario, una proiezione di diapositive, che era una cosa brutta e pallosa che si usava in quegli anni, ma poi che ne so, mica sono stato a NY. E poi dentro Coney Island Baby c’è quel pezzo, Kicks, che è uno dei miei preferiti di Reed solista, così velvettiano.

Lou Reed – Kicks

A Lou Reed i punk ci portavano rispetto. Almeno credo. Per esempio su youtube ho trovato un video di Siouxsie che cantava Caroline Says II, e cantava It’s So Cold in Alaska con quella sua maglietta fina tanto stretta e trasparente al punto che non c’era più niente da immaginare, si vedevano le tettine di Siouxsie, sex symbol, icona dei punk e dei dark e dei newwavers, e però se fa così freddo in Alaska forse era meglio mettersi qualcosa di più pesante; poi il sex symbol magari lo poteva fare un’altra volta.
Lou Reed a un certo punto gli venne l’idea di fare un’opera di musica elettronica, tutta rumori, feedback e cacofonie, Metal Machine Music. Io, dopo tanti tentennamenti, mi sono deciso a comprare il disco, ho detto ma sì, lo voglio ascoltare. Beh, è più inascoltabile di quello che pensavo. E non penso che lo ascolterò più. Un po’ come un disco di John Cage che mi è venuto in mente di comprare di recente, che tu ascolti rumori, fischi, versi animali, e poi dici ma poi ci sarà qualche canzone? No, non c’è. E poi non c’è neanche 4’33”, che è un pezzo dove i musicisti non suonano niente, ma non si deve sentire il silenzio, si devono sentire i suoni e i rumori nell’ambiente. E’ come se fosse The Texas Campfire Tapes senza le canzoni di Michelle Shocked. Questa Michelle era una freakkettona che viveva in un barcone, e una sera, quando non aveva ancora fatto nessun disco, durante un festival folk, si mise a cantare le sue canzoni in un campo e qualcuno le registrò con un walkman e poi ne fece un disco con quella registrazione tale e quale, e nel disco si potevano sentire i rumori in quel campo, i grilli, i camion che passavano. E quel disco è stata una delle tante cose significative degli anni 80 che, non date retta alle chiacchiere, sono stati anni belli, intensi, con tanta bella musica e di tutti i generi, e sono stati belli anche perché c’erano tanti gruppi influenzati dai Velvet Underground. E, dicevo, se in quel cd di John Cage ci fosse stato 4’33”, perlomeno, durante quel pezzo, una persona che si fosse trovata casualmente in quell’ambiente della mia stanza, per esempio io, poteva casualmente prendere un dischetto dei Buzzcocks e metterlo nello stereo, in un altro stereo ovviamente, e così casualmente poteva succedere che durante 4’33”, nell’ambiente dove si eseguiva 4’33” si sentivano casualmente un paio di canzoni dei Buzzcocks, che in 4 minuti e mezzo ci dovrebbero entrare, e allora così era bello, veniva una bella esecuzione.
Una cosa che non ci posso credere, era il 1993, e a distanza di tanti anni ancora non ci posso credere, che voi potreste dire che ci sono cose più importanti nella vita, più serie, ma che volete farci, io non ci posso pensare lo stesso, i Velvet Underground si riformano, vanno in tournée e almeno in un caso aprono il concerto degli U2, cioè fanno da spalla a quei tromboni presuntuosi. Ma io a quello lì, al cantante pacifista, Bono Vox, io non gli avrei fatto neanche portare la viola a John Cale, altro che farsi aprire i concerti dai VU, ma neanche le bacchette a Moe Tucker gli avrei fatto portare, stai fermo con quelle manacce, sai!, gli avrei detto io al cantante pacifista. Non me ne frega niente se gli U2 hanno venduto più dei VU, se hanno cantato Satellite Of Love insieme a Lou Reed. Io questa cosa ancora non ci posso pensare. E se me lo chiedete tra 10/15 anni, uguale, non ci potrò pensare nemmeno allora. Sicuro; lo giuro sulla testa di Bono: se non sarà così che un commando di pacifisti gli possa mettere una bomba sotto la macchina.
Nel 2000 il Concertone del Primo Maggio, la famosa manifestazione romana all’insegna di musica impegno e ruffianeria, era dedicato anche al Giubileo del Papa. Tra gli artisti invitati c’era Lou Reed, e quel fetente non si mette a cantare le sue canzoni più viziose? E poi ha detto che di questo aspetto religioso del concerto non gliene importava niente. Chissà se qualcuno non ha poi pensato No. A questo qui non lo invitiamo più.
Ora dire che Lou Reed era meglio se moriva prima di fare il disco con quell’altro gruppo odioso, i Metallica, è una cosa brutta a dirsi. Diciamo allora che era meglio se quel disco lo faceva dopo morto.
Quando Lou Reed è morto, il giorno dopo tutti i giornali hanno scritto il poeta maledetto. Maledetto è probabile: chissà quante maledizioni gli hanno tirato quand’era vivo. Poeta forse si, perché mi pare che ha scritto pure delle poesie, potrei andare a controllare, ma il fatto è che so che non vogliono dire quello; quando dicono poeta si riferiscono alle canzoni. Cioè per molti dire che uno che scrive le canzoni è un poeta è un modo di fargli un complimento, per dire che fa qualcosa che vale più di una canzone. Non lo so, io per me ho sempre pensato che quelli lì, quelli che dicono che uno che scrive le canzoni, uno che scrive i pezzi rock, è un poeta, beh, secondo me a quelli lì non gli piace molto il rock’n’roll. Però poi dopo ho letto che anche John Cale ha detto che è morto un poeta, e allora vabbe’, dite quello che vi pare, fate come volete voi, io ci rinuncio.

Lou Reed – Vicious (Roma, 01/05/2000)

La Zeriba Suonata – Tanto gentile e tanto onesta

Scopro Loraine James quando è già al terzo album. Facendo un gentile confronto tra gli album precedenti di ambient elettronico e il nuovo Gentle Confrontation (Hyperdub, 2023), quest’ultimo suona più vario spaziando nell’arco costituzionale della musica elettronica di questi anni da Burial a Holly Herndon passando per Koreless e Tirzah, poi quando rallenta sembra trip-hop e quando accelera sembra drum’n’bass. I suoi testi sono spesso autobiografici, come in 2003 in cui parla della morte del padre avvenuta quando lei aveva sei anni, niente retorica ma poche oneste parole. Un altro dei miei dischi dell’anno.

2003

I DM U

La Zeriba Suonata – Senso

E’ uscito Falling Or Flying, il nuovo disco di Jorja Smith, mi piace ma non mi viene da scrivere niente. Un recensore ha scritto che Jorja non esce dalla sua comfort-zone e non capisco perché il Governo di alto profilo, che per tagliare le tasse ai ricchi si trova a corto di entrate, per fare cassa non decreti una sostanziosa sanzione amministrativa per chi usa questa espressione che non se ne può più. Potrei provare a cercare un senso nel nuovo disco della sensuale cantante westmidlandese, intanto ho trovato 16 belle canzoni su 16, una buona media direi, rispetto ai molti dischi che fanno senso.

Make Sense

Falling Or Flying

A casa dalle madri

Ben venga l’internazionalizzazione del ciclocross che tra tutte è la specialità più concentrata in pochi paesi, tanto meno vorrei fare come certi della RAI che sputano nel piatto dove mangiano, sul microfono col quale commentano e pure sulla professionalità. Però il ciclocross in Belgio è un’altra cosa, per i percorsi il meteo e quel clima di festa nei campi come ai tempi dei pittori fiamminghi. Parte il Superprestige che accoglie il figliol prodigo Druivencross di Overijse, nel Brabante, che per tre anni è stato tappa della Coppa del Mondo, una classica definita la Madre di tutti i Cross, e non è un caso che vincano gli specialisti puri. Torniamo a vedere anche la Signora Alvarado che non avevamo intravisto a Waterloo quella negli USA, meno male perché stavamo in pensiero. Ma la Alvarado madre non deve forzare cordoni né prendere a borsettate il servizio d’ordine, perché ha un ruolo nello staff della figlia Ceylin Del Carmen. E ieri, in attesa che l’ormai ritrovata (in senso atletico) figliola arrivasse seconda, avrà sicuramente avuto uno sguardo materno anche per quella vincitrice con la faccia da bambina, l’implacabile Fem Van Empel rimasta momentaneamente senza compagne di giochi. E già, perché le due coetanee co-dominatrici della passata stagione hanno trovato la loro strada, Pieterse nella mtb e Van Anrooij proprio su strada, e per questo disputeranno meno gare. Tra i maschi è successo di tutto, alla fine stava per spuntarla Thibaut Nys ma è caduto in una delle ultime curve ed Eli Iserbyt non ha potuto evitare la sua bicicletta, ma se anche avesse potuto una ammaccatina alla bici avversaria non faceva male alla sua causa. E nel prossimo weekend è festa doppia con Superprestige e Coppa del Mondo.

Un tranquillo minuto di paura

Per Halloween le edizioni Feltrinelli hanno ristampato Storie del terrore da un minuto, che in Italia fu inizialmente proposto da Mondadori e, tra una ristampa e una traduzione, per l’originale arriviamo al 2010. Il libro comprende racconti brevi di genere “de paura”, alcuni illustrati o a fumetti, e sono quelli che preferisco, mentre gli altri per lo più non fanno una buona pubblicità ai loro autori pure famosi, da Neil Gaiman a Pseudonymous Bosch passando per Margaret Atwood, e mi viene da pensare che il libro illustrato di Chris Raschka intitolato Sotto lo stesso tetto (qui) se l’avessi acquistato dopo aver letto il raccontino dell’autore incluso in questa antologia forse non l’avrei comprato, ma per attuare questo paradosso temporale non so se bisognava viaggiare avanti o indietro nel tempo. Comunque è andata bene così, ma quello a cui volevo arrivare è che, dopo essere stato tentato in passato da altre pubblicazioni antologiche a realizzare una mia versione di Paperino (non sul blog ma su una fanzinina) e di Groucho, pure stavolta ho voluto provare a scrivere anch’io un mini racconto sul genere. E il brutto è che l’ho scritto davvero ed eccovelo qui (paura, eh?).

Sotto il letto
Il Professor Genjo era uno studioso di lingue europee e traduceva molti libri di narrativa dall’inglese e dal tedesco. Al figlio Totoya piaceva molto leggere le traduzioni del padre, in particolare si divertiva a leggere racconti horror, ma poi la notte, impressionato da quelle storie, non riusciva ad addormentarsi e vedeva ombre e mostri dappertutto. Una notte iniziò a gridare di aver visto qualcuno vicino alla finestra, i genitori accorsero nella sua stanza con una torcia, aprirono la finestra, fecero luce all’esterno e Genjo disse: “Fuori non c’è nessuno. Te lo sei sognato.” La notte successiva Totoya si mise a urlare che c’era qualcuno nell’armadio, i genitori accorsero, Genjo aprì l‘armadio e disse: “Lo vedi che qui non c’è nessuno? Ora dormi.” La terza notte Totoya gridò: “C’è qualcuno sotto il letto!”, la madre non si mosse, solo Genjo con calma si alzò, entrò nella stanza del figlio e scocciato mormorò: ”Quale letto? Tu dormi sul futon, scemo.”