Bicilesionismo

A ora di pranzo ho sentito mezzo TG5 (facciamo TG 2,5) in cui hanno mandato un servizio su una rassegna di street art in Molise. Già in passato si sono occupati di Endless, lo street artist più innocuo del mondo, per non parlare di Jorit, quello che ha ritratto il calciatore innominabile per cui meglio non parlarne. E allora ho pensato che se ne parlano al TG5 anche la street art è ormai istituzionalizzata. Poi hanno celebrato un tuffatore 15enne che ha vinto l’argento ai mondiali. Ricordo minorenni celebrati anche in altri sport acquatici o presunti artistici, e calciatori diciottenni in nazionale, e nessuno ci ha mai trovato niente di strano, poi arriva un ciclista 18enne belga che vince tra gli élite, però l’anno dopo a 19 anni, e crea dubbi e polemiche e scombussola tutti, nella migliore delle ipotesi si discute del modo opportuno di far crescere i giovani ciclisti. E poi ogni piccola notizia su metodi di allenamento o attrezzature scatena polemiche e sospetti. E’ vero che i media generalisti danno spazio ai tuffi che non so quanto seguito abbiano e ignorano la partenza quasi simultanea di Giro Donne e Tour Uomini, ma il mondo del ciclismo è autolesionista, al punto che viene spontaneo il facilissimo gioco di parole e dire che è bicilesionista. Quest’anno i giudici francesi non hanno nemmeno aspettato le grand départ del Tour per scatenare sospetti, disponendo ulteriori ispezioni alla solita Bahrain financo delegando la polizia danese. L’anno scorso non hanno quagliato niente, quest’anno non hanno sequestrato niente, poi a me sembra che nessuno dei ciclisti passati per questa squadra abbia avuto una mutazione come quella di Bjarne Riis oltre 25 anni fa, e allora bene farebbe il Re del Bahrain a tagliare pure lui il petrolio alla Francia. Però nessuno ricorda mai le cose positive del ciclismo, ad esempio la promozione di una mobilità ecologica, a patto che il lavoratore che si sposta in bicicletta non pretenda di essere seguito dall’ammiraglia, e le vite salvate, tutti gli atleti strappati al calcio, Evelyn Stevens che lavorava per i fratelli Lehmann, e ora una storia quasi analoga, quella di un’altra statunitense, Kristen Faulkner dall’Alaska che faceva la promotrice finanziaria, ma poi ha lasciato tutto e dopo aver sfiorato la vittoria al Giro di Svizzera ha vinto oggi il cronoprologo del Giro d’Italia. In passato aveva fatto kayak, no canottaggio, no canottaggio indoor, non è chiaro, né è chiaro dove si svolga il canottaggio indoor: in un palazzetto enorme o direttamente nelle fogne? Ha corso presto per cui le è toccato rimanere un’ora e mezza cronometrata sulla hot seat riservata alla prima provvisoria, un’attività che non si può svolgere in smartworking, ma è stata tutto il tempo a sorridere diventando subito popolare. E’ una mattacchiona, forse pure più della Stevens, e dopo la gara è andata a tuffarsi in mare con la maglia rosa. Si è corso vicino al mare di Cagliari, 31 gradi e forte vento, qualcuno indossava un copricapo da cammelliere ma per la maggior parte degli italo-cittadini un clima così è perfino da invidiare. Per la vicinanza del Tour femminile la SDWorx non ha portato il podio dell’anno scorso, o meglio la vincitrice c’è ma è in ammiraglia, Moolman e Vollering non ci sono e nel caso della sudafricana è stato un grave sbaglio perché è una scalatrice e le montagne del Giro non le troverà al Tour. Però ci sono le due vecchiette (non che la Moolman sia giovanissima, anzi è al suo ultimo anno) ma non fanno più sfracelli come una volta. Nel cronoprologo di Caserta 8 anni fa Van Vleuten e Vos furono prima e seconda, oggi sesta e tredicesima. Della brabantina che ha avuto il dono da Dio ci hanno detto che prima della gara, ridendo e scherzando con le compagne, ha mangiato un panino con prosciutto e formaggio ma non ci hanno detto se prima ha recitato una preghiera di ringraziamento.

Kristen Faulkner prima era nervosa in attesa della fine, poi ha fatto splash.

La Zeriba Suonata – Scene da due matrimoni

Potrei cavarmela dicendo che l’estate è la stagione delle repliche e quindi tutti sono legittimati alla riproposizione sfrenata, ma i due brani di oggi, due canzoni che non mi stancherei mai di ascoltare e che ho già postato singolarmente anni fa, li propongo in maniera diversa mettendoli a confronto perché si tratta di due proposte più o meno di matrimonio.

Bid dei Monochrome Set è onesto perché avverte la sua fidanzata che gli dovrà radere i baffi, preparare la colazione che non lo soddisferà mai, che i loro figli saranno spesso puniti e altre cose del genere, ma non le ha mai detto che sarebbe stato divertente. Si tratta di tipica autoironia inglese o è lo sguardo distaccato sullo stile di vita brit di un autore che inglese-inglese non è perché – autentico precursore dell’indie-rock – era originario delle lontane Indie?

Monochrome Set – Bliss

Annie Clark chiede a un certo John di sposarla. E’ una ragazza carina, dall’aspetto tranquillo, perché John non accetta? Forse ha capito che a Annie piacciono le donne e che a volte si trasforma in St. Vincent, scosciata scollata e sfrontata (una vera sfront-woman), polistrumentista ma soprattutto chitarrista folle. Però anche lei è stata onesta perché dice che se la sposa poi non si accorgerà che è andata da un’altra parte, semmai nelle braccia di qualcun altro. Ma St. Vincent è così anche musicalmente, la vedi lì e un momento dopo è già altrove. Annie Clark invece no, e Carrie Brownstein, chitarrista delle Sleater-Kinney passata alla regia (e visto l’esito della reunion del suo gruppo direi che ha fatto bene), ha realizzato il documentario The Nowhere Inn in cui vuole mostrare che Annie Clark è una persona perfino noiosa, ben diversa dal personaggio St. Vincent. La quale, nonostante abbia collaborato alla sceneggiatura del film, non vi si riconosce completamente. E grazie, sfuggente com’è non si riconoscerebbe neanche allo specchio.

St. Vincent – Marry Me

Belle cose passate

Sono nato nel 1960 e quando nel 2014 ho iniziato a bloggare pensavo di essere già troppo vecchio in questo ambiente, poi invece ho scoperto che ci sono anche bloggers più anziani, anzi, direi che l’età media è alta, e penso sia quasi inevitabile che spesso i post rivelino rimpianti per i bei tempi passati che non ritornano più, quando si stava meglio, praticamente l’età dell’oro. Ma ammettiamolo che si può fare il “giovane” fino a un certo punto, ci si può sforzare di apprezzare le cose presenti, ma poi si finisce col ricordare con nostalgia quelle belle cose del nostro passato che erano oggettivamente migliori. E allora, in barba (ops) a quel bastian contrario di Aure70 che ci propone i suoi ricordi di diciamo ristrettezze economiche, eccovi una mia rassegna, parziale, di belle cose che purtroppo non ritornano più, preparate i fazzoletti ché verrà la lacrimuccia anche a voi.

Il surrogato di cioccolato, per gli intolleranti all’agiatezza, non so cosa ci fosse dentro, ricordo solo quelle tavolette piccole e sottili e quella scritta.

Il bustone gigante di patatine sul bancone della salumeria. La pasta venduta sfusa non l’ho vista, ma le patatine sì, potrà sembrare una pratica poco igienica, ma rafforzava il sistema immunitario, non come oggi che basta una piccola pandemia per ammalarsi.

La bella scuola classista di una volta, che non faceva discriminazioni, aveva un occhio di riguardo sia per il figlio del notaio che per il figlio del ricco commerciante del centro, a preservare l’attualità del libro Cuore.

Il sano realismo delle classi differenziali, che non metteva grilli nel piccolo cervello minorato di deficienti e handicappati, inutile illuderli, per loro non era possibile una vita come quella delle persone normali, ma un posto in prima fila nelle manifestazioni religiose nessuno glielo avrebbe negato.

L’insegnamento dei Valori, ad esempio l’amore per la Patria, col ricordo delle imprese eroiche dei nostri militari, come quelli che con i loro superbi aerei combatterono in Africa contro quei primitivi neri con le loro ridicole lance.

I giocattoli pubblicizzati sulle pagine di Topolino o del Corriere dei piccoli che lì rimanevano, ma durava poco, il tempo di crescere e iniziavi a pensare che pure Paola Pitagora rimaneva sulla carta.

I fumetti che alternavano due pagine a colori e due in bianco e nero, per combattere lo spreco ed evitare che i bambini si abituassero troppo bene.

Le casalinghe: in 13 anni di scuola dell’obbligo ricordo un compagno che aveva la madre insegnante, gli altri tutti figli di casalinghe, non perché mancasse il lavoro ma perché non rientrava nella mentalità diffusa.

Il riformatorio, pardon l’orfanotrofio religioso, in cui non tutti erano orfani, mica si era nei cartoni giapponesi, ma c’era anche qualche figlio di genitore indecentemente indigente. Tutti vestiti uguale, e meno di quanto avrebbe richiesto il clima per meglio temprarsi, ma amorevolmente seguiti sia dal prete quasi come se fossero suoi figli (nonostante avesse già i suoi due da mantenere), sia dagli insegnanti. Infatti frequentavano la scuola statale e nella mia classe in prima media dei 10 ai blocchi di partenza ne furono promossi ben 3.

Le assemblee studentesche in cui avevano diritto di parola tutti quelli che la pensavano allo stesso modo.

Gli studenti armati di manganello, e quelli politicamente più preparati anche con coltelli e pistole, che si affrontavano in nome dei loro ideali, altro che edonistici gavettoni. E a questo proposito voglio rivolgere un pensiero a quelli che non hanno potuto vedere realizzato il loro sogno rivoluzionario perché finiti ingabbiati in condizioni penose, costretti a fare il medico, l’avvocato, il banchiere o il giornalista.

L’ideologia che tutti i cervelli si porta via, così comoda perché dentro c’era già tutto pensato. Ma sono crollate davvero tutte le ideologie? No, c’è rimasta la religione, vuol gradire? No, grazie, come se avessi accettato.

Studenti e operai uniti nella lotta, bastava solo che gli studenti capissero che gli operai non erano quelli color verde fosforescente con le orecchie a punta e il più era fatto.

I cantau… cough… dicevo, i cantaut… etciù! Scusate, mi è stata diagnosticata un’allergia a quelli là.

I politici di una volta, capaci di virtuosismi linguistici che legittimavano tutto senza sbilanciarsi. Emblematiche le “convergenze parallele” di Aldo Moro che hanno fatto scuola, basti vedere l’attuale governo “vengo anch’io” e la scissione del M5S con una parte che sta con Draghi e l’altra che appoggia il governo.

I “liberi” di Skorpio e Lanciostory, ai quali avrebbe dovuto riservare tutta la sua arte Roberto Recchioni invece di toccare Dylan Dog: Vade retro, Xabaras!

La diretta degli ultimi 5 km della Parigi-Roubaix, scelta felice perché iniziando la trasmissione quando non c’erano più tratti di pavé da percorrere si evitava al pubblico che gli venisse il mal di mare e che si annoiasse con una lunga diretta.

Il lavoratore sporco

I vecchi tromboni del ciclismo, tra i meriti di Fiorenzo Magni, ricordano sempre che fu il primo nel mondo a cercare sponsor non legati alle biciclette, trovandolo nella crema Nivea. Ma, nonostante siano loro stessi a dircelo, come se in tutti questi anni si fossero mantenuti nivei, sembrano non capire cosa influenza certe scelte e ancora ci vengono a propinare discorsi a base di sciovinismo. E sicuramente continueranno, anche se quello che è successo in questi giorni potrebbe zittirli definitivamente. Ci sono state tante polemiche sugli italiani non selezionati per il Giro dai team stranieri, ora le stesse squadre portano molti italiani al massimo appuntamento, cioè il Tour checché ne dicano i girofili. E non tutte queste scelte erano ovvie, dal velocista Dainese che doppia dopo il Giro a Bagioli che la Quickstep preferisce addirittura al campione del mondo, il francese Alaphilippe. Del resto se il Tour parte dalla Danimarca, lo squadrone belga seleziona ben tre danesi, uno per tappa, e lascia a casa anche il campione francese Florian Sénéchal. Insomma i due big francesi non selezionati per il massimo evento sportivo francese. O almeno così doveva essere. Poi c’è stato il provvidenziale intervento di Tim De Clercq suo malgrado. Il belga vanta zero vittorie in carriera, in inverno non è riuscito a vincere neanche il titolo nazionale di corsa sulla spiaggia, ma a tirare in testa al gruppo, altro che giro di Francia, avrà fatto più volte il giro del mondo, non a caso lo chiamano il trattore. Insomma fa sempre il lavoro sporco per gli altri e anche stavolta lo ha fatto per i dirigenti della squadra dimezzandone la scelta impopolare: a distanza di pochi mesi si è ribeccato il covid e lascia il posto a Sénéchal.

Ma l’uomo di fatica ha comunque trovato il tempo (per la precisione 14 anni) per laurearsi.

La seconda vita di Giovannino Perdicorse

Giovanni Visconti avrebbe dovuto chiudere la carriera a fine anno con la Bardiani ma per problemi fisici si è ritirato in anticipo. La RAI lo ha ingaggiato come commentatore e la collaborazione è iniziata proprio con il campionato italiano che Visconti ha vinto tre volte. Il toscopalermitano nato a Torino da madre napoletana si è subito dimostrato più vivace e aggiornato dei suoi ectoplasmatici colleghi, anche se ha esordito con la frase: “Il gruppo ha perso un attimino l’attimo”. Nel finale sono rimasti in testa 4 ciclisti tra cui il giovane Filippo Zana che fino a pochi mesi fa era compagno di squadra di Giovanni, però questi ha detto che non tifava per nessuno, ma quando poi Zana ha vinto Giovannino Perdicorse ha perso pure l’imparzialità e ha gridato ed è corso ad abbracciare il vincitore. La Bardiani quest’anno ha cambiato approccio ed è tornata a essere vincente come non accadeva da anni, e in più, essendo una squadra formata quasi solo da italiani, era la più numerosa alla partenza. Invece in campo femminile, con le migliori atlete sottratte ai team dai corpi militari, Elisa Balsamo ha corso da sola ma ha vinto lo stesso, a 10 anni di distanza dalla vittoria della Borgato che correva anch’essa in “abiti civili”.

Dato che in RAI il ciclismo ha avuto poco spazio per la concorrenza dei mondiali di nuoto, i Bardianis hanno cercato di guadagnare un po’ di visibilità buttando Zana in una piscina.

L’America in ginocchio

Prima della partenza del campionato USA le cicliste si sono inginocchiate per protestare contro la decisione della Corte suprema sul diritto di abortire. Non ce ne da notizia la Gazzetta né Tuttobiciweb né l’Osservatore Romano, ma l’insostituibile Het Nieuwsblad.

Perline di sport – Decennali

Domani a San Felice sul Panaro si disputa il campionato italiano femminile. La sede è stata scelta per ricordare il terremoto di dieci anni fa. Ma quest’anno ricorre anche il decennale della più grande impresa di una delle cicliste italiane più popolari, Giada Borgato che proprio al campionato nazionale ottenne la sua più importante vittoria, anche perché è rimasta l’unica. Aveva da pochi giorni compiuto 23 anni e correva per la Diadora Pasta Zara, era abile ma non arruolata per cui correva in borghese e riuscì a beffare gli squadroni delle varie armi, lasciando perplesso pure il supercittì Salvoldi. Ma partire all’inseguimento di una passistona come Silvia Valsecchi, raggiungerla e staccarla non fu certo un gioco da ragazze. Però se quella corsa mostrava il suo potenziale ciclistico, forse attenuato dalla poca voglia di fare sacrifici, l’intervista finale col senno di poi rivela le sue doti da commentatrice.

Campionato italiano 2012

La Zeriba Suonata – Stavolta l’hanno fatta grossa

I Beach House sono epigoni di quel dream-pop che ormai ha una quarantina di anni, ma non rischiano di essere confusi con qualcuno dei tanti i gruppi che si sono succeduti nel tempo in questo genere musicale. Il duo di Baltimora ha il suo stile che impasta Cocteau Twins e My Bloody Valentine, Smiths e Sundays, Stereolab synth-pop e forse pure un po’ di cinetrip-hop, semmai più Hooverphonic che Portishead. Di recente Victoria Legrand e Alex Scally, che sarebbero i due che compongono il duo, hanno pubblicato il loro nuovo album intitolato Once Twice Melody, non facilmente databile perché sulle piattaforme è uscito in 4 puntate e da pochi giorni è disponibile anche in doppio cd con una confezione in cartoncino, che occupa meno spazio del vecchio jewel case, e purtroppo anche nell’ingombrante versione in 4 vinili che invece ha un impatto devastante sull’ambiente.

Beach House – Many Nights