La Zeriba Suonata – Più di 50

Dopo la collaborazione con gli Orbital, gli Sleaford Mods sono tornati a incazzarsi in proprio pubblicando l’album UK Grim, nel cui titolo voleva esserci un riferimento al genere dance britannico, che a suo tempo fu omaggiato pure dall’ex Signora Musk nella scelta del suo nome d’arte, solo che Claire Boucher ci aggiunse una “esse” finale perché poteva permetterselo mentre i due veteropunk, che hanno superato entrambi i 50 anni, hanno risparmiato pure la “e”, e giocando con le parole hanno conclamato la cupezza del Regno Unito. E i testi sono duri come loro solito, così dicono quelli che capiscono l’inglese, tra cui il recensore di Rumore che ha contato più di 50 “fuck” in tutto il disco, mentre nella musica di nuovo si sentono sonorità dark e jungle, e sembrerebbe tutto ok, ma alla fine dopo qualche ascolto la sensazione è che se vengono dalle vostre parti, alla festa patronale o alla sagra dei fish & chips o più probabilmente a qualche festival, può valere la pena di andarli a sentire, ma con i dischi degli Sleaford Mods ormai può bastare così, grazie.

ft. Florence Shaw – Force 10 From Navarone

Perline di sport – Il mondo vecchio

La memoria non mi aiuta, più volte mi sono chiesto cosa succedeva nei pomeriggi delle domeniche prima dell’invenzione della Coppa del Mondo e della conseguente scoperta di un mondo nuovo, quello della coppa medesima. Qualcosa ricordavo vagamente e poi ho capito che c’erano solo piccole intrusioni di 5 minuti o di 5 km all’interno di programmoni importantoni. E tra questi programmi c’era quello del giornalista che dicono ha cambiato il linguaggio televisivo ma a me pare che ha solo inventato il selfie, e intervistava tutti i personaggi importanti: il cubano che gestiva una dittatura ben avviata, lo scrittore colombiano amico del cubano, il calciatore quadrupede pure lui amico del cubano, ciclisti no, ma ognuno ha i suoi gusti quindi non disputiamo. Certo non sarebbe stata un’impresa intervistare quel ciclista di Bruxelles educato e disponibile, ma lui non era amico del cubano, solo di telaisti e forse del re ufficiale del Belgio, o forse era il Re che era amico suo. E poi quel giornalista intervistava solo i potentissimi primissimi, sembrava dire Beati i primi perché saranno i primi, mentre nel ciclismo c’è sempre stata attenzione anche per quelli che arrancano, quelli che non vincono mai, gli eterni secondi o gli eterni ultimi, con maglia nera o senza, e anche Het Nieuwsblad sta dedicando una rubrica agli ultimi nell’ordine d’arrivo delle grandi classiche. Poi ci sono le sorprese, i vincitori occasionali, quelli che sporcano l’albo d’oro, come René Martens che, dopo i problemi meccanici del campione del mondo in carica Freddy Maertens (aggiunta o sottrazione di vocale a seconda del punto di vista) vinse il Giro delle Fiandre 1982, una di quelle corse che la RAI non trasmise perché c’era un importante programma filo-cubano.

Ronde Van Vlaanderen 1982

Però almeno un’intervista alla cubana Arlenis Sierra si poteva fare, se era Cuba il problema.

Fake Bike

Rubrica a cura della redazione di Het Fakenieuwsblad

Mercoledì 22 marzo. Se il calcio è la continuazione della guerra con altri mezzi, il ciclismo al contrario lancia messaggi di pace, anche i ciclisti quando non sono troppo impegnati a prendersi a spallate, a stringersi alle transenne o a tirarsi le borracce. Prima ci fu l’ormai famoso ciclista sanmarinese che invitò gli appassionati di armi a non fare la guerra ma a sparare ai gatti. Mercoledì lo starter della Brugge De Panne è stato ancora più radicale perché la sua pistola non ha sparato e ai ciclisti perplessi ha dato a voce il permesso di partire.

Domenica 26 marzo. Stiamo vivendo mesi che potrebbero rimanere nella storia e nella memoria, se l’umanità avesse un futuro. Da dicembre a gennaio nel ciclocross è stata una continua e spettacolare battaglia tra i tre grandi, anche se Pidcock a un certo punto è caduto e ha smesso con il cross anzitempo, anche per preparare la stagione delle classiche, nella quale è caduto e ha smesso anzitempo. Ma gli altri giganti superbig tenori e chi più ne ha più ne spari, finora hanno battagliato tra loro con l’apoteosi provvisoria all’E3Prijs in cui, sotto lo sguardo attento delle paperelle gialle, Van Aert ha battuto in volata Van Der Poel e Pogacar.

Ma al fiammingo si chiedono le vittorie importantissime, tipo il Fiandre, e nel frattempo alla Wevelgem si è ritrovato di nuovo in testa alla corsa col fido Laporte. Successe già un anno fa proprio all’E3Prijs e Van Aert ringraziò pubblicamente il compagno ma intanto passò per primo sul traguardo. Stavolta Wout ha lasciato la vittoria al francese così sono pari, anche se viene da pensare che se fossero stati rivali il belga l’avrebbe seminato. I due jumbi hanno parlottato parecchio negli ultimi km e i commentatori si chiedevano che cosa si stessero dicendo. E’ semplice, Van Aert diceva a Laporte: Vedi, io ti faccio vincere, non so se Van Baarle (altro jumbo, NdZ.) avrebbe fatto lo stesso. Perciò al Fiandre non fate i scemi e aiutate me, non Van Baarle.

Laporte in leggerissima difficoltà a tenere il ritmo di Van Aert.

Domenica 26 marzo bis. Prima o poi doveva succedere ed è successo alla Wevelgem femminile. Prima o poi doveva succedere che la forte passistona svizzera Marlen Reusser, che finora in carriera ha vinto soprattutto a cronometro, andasse in fuga da sola in qualche classica e non la riprendessero più. Forte anche della squadra fortissima che ha marcato le avversarie, o così dicono, ha accumulato un tale vantaggio che nel finale aveva sbagliato percorso ma non avendo motivo di farsi prendere dal panico è tornata sulla retta via senza bestemmiare. Sembra che a farle sbagliare strada siano stati degli hackers analogici filo-russi.

Apologo – Del proselitismo

Appena fuori dal ghetto di Bragow c’era il Bar Mitzvah dove ministri di varie religioni si ritrovavano a fare baldoria a bere e a giocare a carte. Solo il lunedì scendeva il silenzio sul locale, quando tutti trepidavano in attesa di Célestine, l’ex suora francese che, dopo essersi lasciata sedurre dall’Abate George di Cluny, si spogliò dell’abito monacale e, fuggita lontano per la vergogna, ripeté il gesto di spogliarsi della tonaca più volte a settimana nei locali dell’Europa dell’Est. Il lunedì toccava al Bar Mitzvah dove scendeva un tale silenzio che si poteva sentire volare una mosca a Mosca, cosa che comunque non interessava a nessuno perché le mosche non hanno il potere di scatenare terremoti come le farfalle. Ma il silenzio durava fino a quando Célestine appariva sul palco e allora iniziavano gli ululati del pubblico. Due dei più assidui frequentatori del bar erano il Prete Gorny e il Rabbino Kramer, accaniti giocatori di poker. I due puntavano le offerte dei fedeli, dicevano di volerle moltiplicare, tentativo di un miracolo laico che non convinceva nessuno. Il rabbino era molto bravo ma col prete non riusciva mai a spuntarla, al punto che iniziava a sospettare che barasse. Poi una sera mentre giocavano Kramer calò un tris d’assi e già si beava convinto di avere finalmente battuto il rivale, ma Gorny replicò serenamente: Poker di Donne, con una tale sicumera che non guardò neanche le sue carte. Ma gli altri le guardarono ed erano scandalizzati. Tra i vari curiosi che oziavano attorno al tavolo a seguire le partite c’era il sacrestano Kamut che esclamò: Sacrilegio!, ma Kramer beffardo disse: Ma quale sacrilegio? Il tuo prete è un baro! e scrollando l’ampia manica sinistra (quella del Diavolo) del saio del prete ne fece cadere un bel mazzetto di carte e di santini. Era successo che Gorny aveva in mano tre donne e una Madonna e subito Kramer aveva capito che il prete nascondeva nella manica sia i santini per il proselitismo selvaggio per il quale andava famoso sia carte da gioco per barare, ma quella volta gli era andata male perché aveva sbagliato a tirar fuori la carta giusta e si era tradito. Il prete, come se niente fosse successo, rispose che Kramer faceva storie per non perdere i soldi perché era un rabbino, e poi precisò che intendeva “rabbino” nel senso di tirchio, ma Kramer offeso replicò che gli avrebbe dato uno schiaffo morale e, afferrata una costosa bottiglia di vodka, lo schiaffo restò morale però la bottigliata in testa al prete fu molto materiale. Si scatenò la rissa generale in cui tutto fungeva da oggetto contundente, bottiglie candelabri aspersori e catene di oro massiccio, molto massiccio. Il proprietario del bar, il giovane vecchio (non si capiva quanti anni aveva) Jonas Mitzvah, non riusciva a fermare i predicatori di pace e urlava: Maledetti, Dio vi punirà! All’improvviso entrò nel locale Célestine tutta vestita, passò tra religiosi che si azzuffavano e sedie che volavano come se nulla stesse accadendo, raggiunse Jonas cui diede un bacio sulla guancia e disse che aveva voluto salutarlo prima di andare via per sempre, perché si spogliava dell’abito da spogliarellista e si sposava con il capitano Korkowsky, adieu! La furia si placò, Mitzvah crollò su una sedia e rivolto ai presenti disse: Ecco la punizione divina. Però è arrivata prima di quanto pensassi. E sul locale scese un silenzio cupo, definitivo.

Biliardi

Un ex laureato in sociologia, avendo studiato quella roba lì anche se in altra epoca, dovrebbe capirne qualcosa dell’aspetto sociale dello sport, e invece in merito io ho le idee confuse se non addirittura errate. Ad esempio pensavo che, insieme all’ippica, nel senso delle puntate, il biliardo fosse lo sport preferito dai fannulloni, da quelli che si arrangiano, dai percettori, dai grand’affratellati, e che di conseguenza la RAI ritenesse opportuno trasmetterlo in notturna o di mattina, quando il nullafacente non è ancora sceso al bar sotto casa. Invece la RAI il biliardo lo piazza, non nei suoi uffici perché non sono più quei tempi ma non usciamo fuori tema, ma in prima serata, il che vuol dire che interessa gente che lavora produce e la mattina dopo deve svegliarsi presto. Non parliamo poi del ciclismo, ero convinto che fosse ancora uno sport popolare come quando non ero ancora nato, e come è tuttora in Francia e nel Benelux dove migliaia milioni miliardi biliardi di persone aspettano il passaggio delle corse, ma in Italia di sicuro non lo era già più quando studiavo quelle materie là. E quindi la RAI manda le gare su pista di mattina e quelle su strada verso mezzanotte, segno che questo sport interessa solo ai pensionati e agli sfaccendati. Del resto basta vedere lo scarso spazio riservatogli dai media, tivvù manco a parlarne, sono lontani i tempi in cui la Mediaset, o Fininvest o come cavolo si chiamava allora, comprò i diritti delle corse rosate per poi pentirsene, né prime pagine dei giornali su cui vanno solo gli sport fighetti. Eppure c’è appena stata una edizione storica e clamorosa della Sanremo con un ordine d’arrivo spaziale, altro che quelle edizioncelle in cui vincevano Cipollini e Petacchi battendo dei velocisti occasionali, gente più portata per tirare la volata ad altri. E se la volessimo mettere sul nazionalismo medaglioforo, ci sono le ragazze che vincono carrette di medaglie che le fighette degli sport fighetti se le sognano, il loro unico torto è quello di non essere antipatiche come certe divine. Il paradosso è che una ex ciclista, nazionale italiana negli anni in cui il ciclismo femminile era invisibile, è diventata più popolare, nel senso pettegolo, delle varie Elise e Marte in attività, e non per aver vinto un mondiale master o aver battuto qualche primato ma per essere la nuova compagna di Francesco Moser. Sì, ma chi è questo Francesco Moser? Semplice, è il padre di Ignazio, quello che sta con la sorella di Belen.

Ma se le compagne possono cambiare la nemesi rimane sempre la stessa e sempre in agguato. E dato che il ciclismo va in prima pagina solo per storie di doping, vanno bene pure quelle di quaranta anni fa, ecco che provvede Saronni, e mi fa specie che uno come lui che si crede un furbacchione, e in corsa lo era, e che sta sempre a lamentarsi dello stato dell’attuale ciclismo italiano, sia caduto nella trappola dell’acchiappafantasmi del corrierone.

Il povero Pie…montesi

Domenico Piemontesi era un ciclista piemontese che correva ai tempi di Belloni Binda Girardengo e Guerra e spesso gli arrivava subito dietro. Infatti è nell’ordine d’arrivo del mondiale del 1927, il primo per i professionisti e anche il più gradito ai tifosi italiani: primo Binda secondo Girardengo terzo Piemontesi quarto Belloni. Tra le sue vittorie due Giri di Lombardia, anzi uno perché l’altro gli fu tolto per una squalifica discussa. A leggere la sua storia si direbbe che la sua carriera sia stata un po’ sfortunata per cadute e incidenti meccanici in momenti poco opportuni, oggi semmai dei ciclisti che collezionano cadute si pensa che non siano bravi a guidare ma non so se sia lecito pensare lo stesso per altri tempi con altre strade e altri mezzi. Di certo non aiuta a capire le sue sfortune, compresa la squalifica lombarda, la lettura del libro Domenico Piemontesi. Il ciclone perché scritto da parenti e compaesani, tra cui preferisco Giada Ottone che ha realizzato le illustrazioni, e mi viene il dubbio che non ci sia stato neanche un archivio personale cui attingere, come si usa in questi casi. Arrivato alla fine della lettura ho guardato bene se ci fosse il patrocinio dell’Amministrazione provinciale o della Pro Loco, no, anzi il libro è stato pubblicato da Il Convivio, editore che ha sede all’altro capo della Italia (Catania), perché dopo il capitolo sulla carriera del ciclista ci sono quelli dedicati ai luoghi di Piemontesi e agli altri ciclisti della zona, e da quasi biografia diventa una tipica pubblicazione prolocale. Piemontesi in questo è stato sicuramente sfortunato, il racconto, o meglio il resoconto dei suoi risultati, in cui tutte le corse sembrano uguali e si ricorda pure il decimo posto al circuito della sagra paesana, anche se si accenna a qualche aneddoto, è comunque meno appassionante di un verbale dei carabinieri, e poi, dato che il sottotitolo del libro è Un grande campione una splendida persona, leggiamo aspettando di sapere perché, ma mentre aspettiamo il libro devia per il paese e finisce lì, niente sull’uomo Piemontesi. Solo all’inizio c’è un accenno al fatto che egli ritrovò il corpo di un giovane partigiano ammazzato e lo ripulì lo rivestì e lo consegnò alla famiglia, fatto meritorio e degno di nota in un paese, nel senso dell’Italia, in cui ha sempre prevalso il voltagabbanesimo, dai repubblichini fino ai serracchiani. Ma forse è anche il caso di darsi una regolata, perché di questo passo, tra Bottecchia Guerra Bartali il partigiano Martini e ora anche Piemontesi, finirà che ci diranno che se non fosse stato per i ciclisti italiani la guerra l’avrebbero vinta i nazifascisti. Comunque consiglierei la lettura di questo volumetto agli appassionati, che possono anche trovare uno spunto di riflessione sul confronto tra il ciclismo cosiddetto eroico e quello attuale, perché, tra i pochi dati extra-piemontesi, quelli sul Giro d’Italia del 1934 sono molto significativi: 105 partecipanti di cui 18 stranieri. Viene da pensare che se le percentuali fossero rimaste invariate fino ai giri attuali, ciclisti come Pozzovivo Caruso e Ciccone sarebbero diventati dei campioni leggendari.