La banalità del banale

Eravamo stati avvisati: la RAI e RCS ci tenevano a farci sapere che la presentazione del Giro d’Italia 2019 avveniva nello studio dove va in onda il programma di Fazio, quindi nel Tempio del Banale. E a confermare i sospetti ecco come cerimoniere Alessandro Fabretti, e già a quel punto, mentre anche i ciclisti più scapoloni avranno nella circostanza invidiato il Piccioncino di Maastricht e gli altri colleghi che in questi giorni si sono sposati e sono lontani mille miglia da questo posto, i più socievoli tra gli spettatori avranno spulciato tutti i social a disposizione per vedere se ci fosse il funerale di qualche amico o conoscente, che sarebbe stato più interessante, ma qualcuno avrà pensato che sarebbe stato preferibile anche avere un negozio qualunque e ascoltare l’out out dolcetto o scherzetto da bambini instupiditi manovrati da mamme stupide, come mi hanno raccontato succedesse in quelle ore nelle vie dello shopping casertano. Chi invece è rimasto davanti alla tivvù si è sorbito la passerella di presidenti, direttori, amministratori, sottosegretari, nessuno dei quali ha detto niente di rilevante, mancava solo qualche banchiere. A quel punto era una boccata d’ossigeno anche l’arrivo di AdS, che è dotata di questa empatia con i ciclisti che ha qualcosa di soprannaturale. Poi si è passati alla presentazione del percorso che manterrà la vocazione didattico-celebrativa del Giro, che infatti omaggerà i grandi personaggi nazional-popolari: Montanelli, definito il più grande giornalista italiano e figuriamoci il più piccolo, Coppi, Padre Pio, Gioacchino Rossini, Claudio Villa, sia il cantante che il fumettista, Garibaldi, Pippo Baudo, Peppone e Don Camillo, Renzo e Lucia, ma soprattutto il più mitico di tutti, Leonardo Da Vinci, che nei suoi disegni anticipò tutto, soprattutto su quei fogli sui quali incollò altri disegni con il nastro biadesivo, un’altra delle sue fantastiche invenzioni. Tra i progetti di Leonardo infatti ci sono quelli della bicicletta, dei freni a disco, del cambio automatico,  della borraccia biodegradabile, dell’ammiraglia e ovviamente anche della retropoussette. Con la tappa di Pinerolo si ricorderanno i 70 anni della più leggendaria impresa di Fausto Coppi e con la tappa de L’Aquila si ricorderanno i 9 anni della più clamorosa fuga bidone del ciclismo moderno. Tra gli spettatori c’era Davide Cassani, forse perché non c’erano partite di calcio da commentare, ma diciamo che le ricognizioni delle tappe di Marco Saligari sono più divertenti delle ricognisssioni che faceva il cittì. E tra i superospiti c’era Froome, al quale inevitabilmente si faceva l’imbarazzante domanda sulla sua partecipazione al Giro. E’ chiaro che certe cose verranno decise più in là quando si programmerà la stagione, però credo che qualche possibilità ci sia, anche perché il percorso del Tour a Froome non è piaciuto molto, con poche cronometro e quelle tappe brevi, un percorso disegnato per favorire i francesi ma che calza a pennello al gemello Simone più che a Gerainthomas, il quale ultimo dice che prima o poi vorrà correre il Giro, sì, ma quando, quando lo chiameremo Geronthomas?

Da Vinci progettò anche una macchina volante per le riprese aeree.

La Zeriba Suonata – canzoni nella voliera

Aviary non è la famigerata malattia da noi nota come aviaria, ma la voliera, ed è anche il titolo del nuovo album di Julia Holter, appena pubblicato dalla Domino. E non è un disco di canzoni che voi vi mettete lì nella doccia e le canticchiate, oppure le ascoltate nella cuffia mentre camminate o state su un mezzo e mugolate e la gente vi prende per scemi, no, non è proprio un disco di canzoni facili, che qui si tirano in ballo come influenze tipo Laurie Anderson, Robert Wyatt e cose così. E poi io questa Julia Holter non la conosco nemmeno, cioè so poco su di lei, che è californiana, che ha fatto molti o pochi dischi, dipende, e che quei due che ho comprato, Have You In My Wilderness, che già vi segnalai anche se in ritardo, e appunto Aviary, se fossi il tipo che fa le classifiche di fine anno li metterei tranquillamente nei primi 10, anzi facciamo nei primi 5. Anzi, forse Have You In My Wilderness l’avrei messo nei primi 1, comunque non importa. Dicevo le influenze o ispirazioni, c’è questo brano I Shall Love 2 per esempio, che parte come Annette Peacock e finisce come i Velvet Underground. Ah, il disco è doppio, per cui se riuscite a canticchiarlo, tutto, dovete prendere almeno tre mezzi, o in alternativa il Frecciargento.

La Zeriba Suonata – 40 anni ma nessuno ce lo dice

Pensate forse che i belgi siano bravi solo a fare i ciclisti? O i ciclocrossisti? O i pittori paesaggisti o pazzi o entrambe le cose? O i fumettisti che poi non si capisce quali sono i fumettisti francesi e quali i belgi? O gli scrittori scomodi che non ci si può sedere sopra? O le scrittrici vissute in Giappone? O i registi che fanno film di scottata attualità, perché siccome la lavorazione di un film richiede anni nel frattempo l’attualità da scottante è diventata scottata? No, vi sbagliate, i belgi sanno fare pure i musicisti, non solo funk e dance come ho già raccontato, ma anche la musica per chi non sa farla, cioè il punk. Però in quest’anno in cui si è celebrato il quarantennale di tante cose, anche il quarantennale del decennale del 68, nessuno ci ha detto che 40 anni fa uscì il primo album di The Kids, il primo gruppo punk belga, formatosi già nel 1976, in linea con gli altri paesi avanzati. The Kids a volte suonavano e posavano come i Ramones e dicevano: Never Mind The Pistols Here’s The Kids, ma altre volte si capiva che solo qualche annetto prima ascoltavano quel rock’n’roll boogie glam che si sentiva nei primi 70 e che qualche altro annetto prima niente, data l’età forse ascoltavano le canzoncine per bambini. The Kids ce l’avevano con tutti, con i nazisti, i fascisti, i poliziotti fascisti, e pure con la monarchia, che in un paese dove c’è il Re non è buona educazione, ma fa tanto punk. E pure il titolo del brano I Don’t Care, dal primo album intitolato senza stare tanto a pensarci The Kids, fa tanto punk, ma non è la canzone dei Ramones.

 

La Zeriba Suonata – elastici

Uno dei gruppi più inutili del brit-pop anni 90 sono stati gli (o le) Elastica, che non a caso hanno inciso solo un disco più un altro, che non è lo stesso che dire due. Nel 1995 esordirono con l’album Elastica che conteneva il loro maggior successo Waking Up, qui eseguito a Top Of The Pops con Damon Albarn, all’epoca fidanzato con la cantante chitarrista elastica Justin Frischmann, il quale suona il piano facendo lo scemo, cosa che a quei gruppi riusciva molto bene, e già si esercita a fare il prezzemolino per gli anni a venire. Il pezzo comincia uguale sputato a No More Heroes degli Stranglers, e l’etichetta di quest’ultimi farà causa a quei primi vedendosi riconosciuti crediti e percentuale di royalties.

Già da anni nell’hip hop si citava, campionava e plagiava alla grande, eppure capitavano di queste cose, o meglio di queste cause, come quella più clamorosa e onerosa che vide i Rolling Stones contro i Verve che per la famosa Bitter Sweet Symphony avevano preso, chiedendo prima il permesso, alcune note di una versione orchestrale di un pezzo del grupposauro. Solo pare che ne avevano preso un po’ troppo e poi  agli esosi mammuth del rock si aggiunse il direttore di quell’orchestra e alla fine si presero il 100% delle royalties, mentre gli strangolatori si accontentarono del 40%. Ma forse sarebbe il caso di dire l’etichetta degli Stranglers, perché il bassista J.J. Burnell disse che lui non ci aveva dato peso e che, a meno di non vivere nel vuoto, queste cose capitano, mentre il batterista Jet Black ringraziò le Elastica per aver riportato l’attenzione sul suo ex gruppo, e insomma rispetto alla più famosa band di arteriosclerock del mondo, alla quale purtroppo nessun vecchio bluesman nero mi risulta abbia mai chiesto niente, gli Stranglers si dimostrarono più elastici, e più punk.

La Zeriba Suonata – altre scarpe da guardare

Sentivate il bisogno di un altro gruppo shoegaze e pure un poco lo-fi? Eccovi i californiani Ian Sweet capitanati da Jillian Medford, che ho scoperto per caso mentre sono già al loro secondo quasi terzo album, Crush Crusher, da cui vi faccio ascoltare Hiding, e lo scrivo come se poi ci fossero tanti altri video disponibili e invece no. Nella loro musica c’è un bel po’ di riverbero, però non vi aspettate gli eredi delle Warpaint, che, finché abbiamo le originali, neanche ne sentiamo il bisogno.