Perline di sport – Crossista per caso

A 85 anni è morto Renato Longo che vinse 5 mondiali di ciclocross, cioè quanti ad oggi ne ha vinti Mathieu Van Der Poel, e anche 2 gare su strada, una più di Sven Nys. Longo raccontava che si era tesserato a ottobre e a quel punto della stagione le prime corse in cui poter gareggiare erano in mezzo ai campi. Ho cercato qualche video ma non pensavo di trovarne uno ancora in buono stato come questo relativo al suo primo titolo mondiale.

Mondiale 1959

Un dio

Fino a poche settimane fa per me Giovanni Testori era uno scrittore, soprattutto di teatro, religioso o interessato alla religione, boh, non sapevo altro. Poi ho letto che Elisa Balsamo, campionessa italiana ed ex campionessa del mondo, si è laureata in Lettere con una tesi sul linguaggio de ll Dio di Roserio, e allora mi sono incuriosito e ho cercato il libro. Si tratta di un racconto, ristampato da Feltrinelli nella versione originale del 1954, in cui abbondano parolacce e riferimenti al sesso e c’è anche un’imprecazione. Il Dio del titolo è un dio molto laico, è un giovane dilettante molto promettente ma con un segreto che deve restare tale, ed è un dio per il presidente della sua squadra: non è difficile diventare un dio.

Presidenti in giro

Marginal Games

Gli aspiranti Omèri del pc, alla fine di un Giro poco combattuto dai big, per avere qualcosa di epico da scrivere attendevano ormai solo il tappone con l’arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, troppa montagna pregna di troppa epica, qualcosa accadrà. La fuga dei peones e semipeones va lo stesso perché i big alla tappa non ci tengono, vince il redivivo/recidivo Santiago Buitrago, e dietro proprio negli ultimi km Primoz Roglic fa un attacchino ma Gerainthomas risponde e fa un rilancino, però Roglic fa un recuperino e guadagna 3 secondini. Delusi? Ma questi due hanno 34 e 37 anni, sono stati sempre dei regolaristi e corrono come gli conviene, sono gli altri che dovrebbero tentare sfracelli. Dove sono i giovani? Già, Evenepoel è a casa, Hart ancora in ospedale, Almeida non è ancora pronto se mai lo sarà e Dunbar è quasi sicuro che mai lo sarà. Speranze per il futuro possono essere Arensman gregario di Thomas e Leknessund a cui l’anno prossimo nessuno gli lascerà più prendere la maglia. Vabbe’, l’ultimissima speranza per gli Ariosti di provincia è la discussa cronoscalata di Monte Lussari. Una mulattiera lastricata di cemento non continuo ma interrotto dalle canaline per far scorrere l’acqua, anche i Cantastorie del ciclismo che non seguono la mtb se la faranno piacere. Chi invece la definisce una farsa è il boss Lefevere, e subito l’accusano di volersi rifare della vicenda del suo pupillo Evenepoel, ma bisognerebbe ricordare che la sua squadra negli anni 10 vinceva la Paris-Tours ma da quando nel percorso hanno inserito gli chemins de vigne la squadra non l’ha più mandata nonostante avesse elementi in grado di vincere ancora, quindi non è una posizione nuova, solo ci sarebbe da chiedergli: e allora la Roubaix e tutte le altre corse sul pavé? Lefevere dice che il sindacato avrebbe dovuto opporsi perché la presenza di una moto al posto dell’ammiraglia non è un buono standard professionale, e infatti un meccanico ha detto che sperava di non colpire nessuno con la bici di riserva. E poi nessuno ha pensato a un altro aspetto: nelle crono ai ciclisti superati da qualche avversario è proibito prenderne la scia, ma in una strada così stretta come si fa a stare dall’altra parte della carreggiata? Essendo il percorso diviso in due con una prima parte piattissima e la seconda su per la mulattiera con l’ultimo km tipo ottovolante, il cambio di bici a metà percorso diventava praticamente obbligato, ma a quel punto sembrava proprio di vedere un altro sport, tipo duathlon se non Giochi senza frontiere. E alcuni hanno affrontato la gara con spirito giocoso, da Gloag che chiamava la standing ovation a Rex che impennava mentre Cavendish, pur venendo dalla pista e non dalla mtb, dava il 5 al pubblico come se fosse davvero fuoristrada. Ma chi puntava alla vittoria non si poteva distrarre, e in un ciclismo in cui si può vincere per meno di un secondo le squadre più ricche, manco a farlo apposta quelle dei due contendenti, lavorano molto sui cosiddetti “marginal gains” cioè i vantaggi derivanti dai dettagli, come l’alimentazione o tutti i componenti della bici e delle divise, e in gara c’è stato anche chi, come Thomas, ha cambiato il casco insieme alla bici per togliere quello aerodinamico e mettere quello normale più leggero e quindi più adatto alla salita.

Non a caso il suo sponsor principale si chiama “Circus”.

With A Little Help From My Friends

Se avessi dovuto simpatizzare per uno dei due avrei avuto difficoltà, troppe sfortune per entrambi, troppi infortuni, qualcuno dovuto a loro errori qualcun altro assurdo come la borraccia che alla partenza della prima tappa del Giro 2020 scappò a un ciclista e rotolò fino alla ruota di Thomas, e poi questa potrebbe essere la loro ultima occasione di vincere un grande giro, forse questo vale soprattutto per il 37enne gallese perché il 34enne sloveno ha ancora tempo. Rogla il tempo può averlo tanto più perché alla fine vince lui, nonostante un problema e anche un falso allarme. Prima c’è il panico seminato da Petacchi perché da buon commentatore RAI non conosce il regolamento e non sa (lo sapevo io che non sono del mestiere) che la posizione con gli avambracci sul manubrio, quella che l’anno scorso costò una squalifica alla Vos in una gara dominata, è vietata solo per le gare in linea e non per le cronometro, e quando Roglic, che proprio di Marianna è compagno di team, per pochi secondi assume quello posizione, Petacchi si desta dal suo torpore e fa notare la “posizione vietata”. Che occhio di lince, strano che non abbia notato, né lui né gli altri della RAI, due bidon collé di Zana nella tappa da lui vinta. E secondo me se chiamavano Giada Borgato lei avrebbe saputo la risposta, ma hanno raccolto informazioni nei dintorni e hanno fatto finta che si tratti di una “posizione tollerata” dall’UCI. La trasmissione tivvù in generale è stata un vero disastro, funestata da scelte registiche infelici e continue interruzioni pubblicitarie, ma neanche di riferimenti cronometrici ce n’erano molti, e solo a pochi km dall’arrivo, dopo che Roglic ha avuto un problema meccanico, si è saputo che era in vantaggio. In quel momento c’è stata l’ennesima gaffe della Jumbo perché il meccanico è corso con la bici in spalla e ha colpito Roglic mentre gli dava una spinta, ma per fortuna a quello ha provveduto uno spettatore che poi L’Equipe ha riconosciuto come un suo compagno di squadra, ma dei tempi in cui faceva salto con gli sci.

“Anche tu da queste parti?”

Però lo sloveno non è andato nel pallone come al Tour del 2020 e ha ripreso a pedalare fitto fitto col suo rapportino, mentre Thomas col rapportone era in evidente difficoltà. Alla fine Roglic ha scavalcato l’avversario di 14 secondi, un vantaggio risicato ma che non costituisce il record. C’è poco da fare, questa non è stata un’edizione da record. O forse no, perché c’è pur sempre quello dei ritiri: 51 ritirati su 176 partenti (29 per cento), rispetto ai 44 su 180 del 2001 (24%) e ai 58 ma su 198 del 2002 (29idem%). Ma conoscendo i precedenti dei primi due in classifica con la loro propensione a cadere, non si può pensare che il Giro sia chiuso quando l’ultima tappa, passerella per modo di dire, si corre a Roma. Milano, con il sindaco che pianta grane ma non alberi, non è più interessata, già ha delocalizzato la partenza della Sanremo, ma a Roma si va a finire sempre nel centro storico con i sanpietrini. Eppure c’è l’EUR, un quartiere che ha strade ampie e serve a poco, e servirà ancora a meno quando i Direttori e Presidenti si renderanno conto dei mille benefici dello smartworking. Certo che la scenografia è quello che è, può piacere oppure no, un po’ di pompa magna fascista, ma in futuro con questo governo potrebbe essere gradita se non obbligata. Dicono che questo paese è il più bello del mondo, e volendo di lungomari ne abbiamo tanti, ma gli Champs-Elisées non ce li abbiamo, però in compenso c’è il Colosseo, questo maestoso rudere a perenne ricordo dell’avidità dei cardinali che l’usavano come magazzino di materiali per le loro sfarzose dimore e per le chiese.

E un arrivo sotto i pini della Cristoforo Colombo no?

Alla fine il percorso non fa troppi danni, qualche foratura, una caduta nella volata finale, ma ancora una volta gli occhi di lince vedono ma non capiscono. Cercano le imprese epiche ma anche le storie cosiddette “da libro Cuore”, ma se non gliele spiegano con i disegnini non se ne accorgono. Succede che a 2 km dalla fine Gerainthomas si mette in testa a tirare e in RAI si chiedono se non sta cercando di creare un buco per recuperare il distacco e ribaltare il Giro. Sì, come no, un buco di 14 secondi in 2 km. Invece il capitano della Ineos quando passa in testa fa un cenno al capitano dell’Astana, Thomas allunga il gruppo e lascia Cavendish in buona posizione, poi da vecchio pistard Cav riesce a cavarsela da solo e vince per distacco, e ringrazia tutti i compagni di squadra facendo i loro nomi e i vecchi amici, e finalmente anche in RAI capiscono, dài che non era difficile.

Il momento in cui Thomas si porta dietro gli Astani.

Intanto sulla città si è posato uno stormo di Presidenti, quello della Repubblica, quello della FCI, quello di RCS, ma la scena se la prende Monsieur Le Président. Lappartient con le sue parole dimostra il suo spessore intellettuale, perché afferma che Roma è una bella città e che questa è la festa del ciclismo, neanche Fabretti e Genovesi messi insieme. Finisce così un Giro che forse è stato più duro da seguire che da correre, Pancani a volte diceva “apriamo una finestra” ma in realtà era la corsa una finestra o solo una finestrella aperta sporadicamente in una lunga sequenza di spot di ogni genere, turistici, istituzionali, politici, amministrativi e soprattutto commerciali. Ed è quindi un sollievo sapere che da oggi non ci sarà più lo spot dell’auto fatta apposta per me, non ci saranno più commenti spenti, scrittori parlanti, cantanti irritanti e altre cose che ho già rimosso.

E in attesa del prossimo giro trasmettiamo musica da ballo

Kahimi Karie – Una giapponese a Roma

La polizia non sta a guardare, anzi sì

Pensavano di farla franca, ma le forze dell’ordine non stanno ferme a guardare, o meglio, prima guardano le immagini e poi sparano, cioè non proprio, schiaffano tutti in galera, neanche, insomma comminano delle sanzioni. Sembra niente, ma era in gioco l’immagine del Paese, quello più duro del mondo, no, più dura è la corsa, quello più bello, questi slogan ti confondono, soprattutto quando non corrispondono alla realtà. Insomma in Belgio, per dire, non avevano insistito sul cane, randagio solo presunto, che aveva fatto cadere Evenepoel, anzi hanno ricordato i precedenti, ma quello che ha indignato è che qualcuno abbia sfilato la borraccia a Remco mentre era per terra. Ebbene, nel giorno del secondo riposo dei girini è arrivata la notizia che il qualcuno era stato identificato, e hanno preso due piccioni con una fava perché si trattava proprio del proprietario del cagnolino che quindi era un randagio part-time. Un’altra immagine che aveva dato fastidio è stata quella di un tifoso che a Bergamo agitava un fumogeno in faccia ai ciclisti in salita. Il Giro è una grande vetrina in cui ogni città mette in mostra le proprie specialità, e la mezza capitale culturale d’Italia ha una lunga tradizione di teppismo ultras. Ma sempre nel giorno di riposo è arrivata la notizia che gli inflessibili tutori della legge hanno identificato il tifoso e gli hanno comminato un DASPO per le manifestazioni sportive in particolare ciclistiche, e il tifoso è rimasto contento perché già ne aveva uno per le manifestazioni calcistiche, ora gli auguriamo di fare tris con uno per le manifestazioni pugilistiche, in tal caso sarei curioso di vedere le reazioni dei pugilatori infastiditi. Poi parte la terza settimana tra i mugugni degli spettatori e si affronta il Tappone del Monte Bondone che però si rivela il tappino del monte Bondino, perché vince Almeida guadagnando qualche secondino mentre Roglic perde qualcosina ma niente di che. E subito tutti iniziano a tifare per Almeida, il nuovo che avanza, con i suoi tempi ma avanza, sembrerebbe risultare più simpatico dei vecchi babbioni, ma non sprizza certo allegria e in più con quei baffetti sembra lo zio di sé stesso, mentre Thomas e Roglic almeno hanno un po’ di sense of humour che non guasta. A seguire c’è la tappa in discesa verso Caorle, tappa veloce ma senza fine come il trofeo omonimo, noiosa e non finisce mai, e alla fine la spunta Dainese, fornendo altri argomenti di polemica a due tipologie di criticoni, quelli che ce l’hanno con i ciclisti che si sono ritirati, perché per contro Dainese nei giorni precedenti ha avuto febbre tosse bronchite disturbi gastrointestinali e non si sa come ha resistito, e quelli vittimisti perché queste squadre straniere non danno mai spazio agli italiani, ma in realtà Dainese aveva già avuto un’occasione e in quel caso è stato retrocesso, e poi basterebbe guardare la tappa successiva a Val di Zoldo, e ora mi spiego. Se nella squadra arabo-australiana Filippo Zana fosse stato in lotta per il podio e il compagno Dunbar fosse stato in fuga, tutti (gli italiani) avrebbero criticato la squadra perché il compagno avrebbe pensato a sé stesso invece che al capitano. Invece la situazione era l’opposto, Zana è stato lasciato libero di fare la sua corsa, Dunbar se l’è cavata da solo, Zana per fortuna ha vinto battendo Pinot che stavolta non ha avuto una crisi isterica, e tutti (gli italiani) hanno elogiato la squadra che ha lasciato libero il campione italiano di fare la sua corsa, poi una vittoria di tappa nessuno la butta via, ma avrei voluto vedere se fosse stato il contrario. Per la classifica Almeida, tanto atteso perché sembra stare molto bene e non è più quello degli anni passati che in salita si difendeva, in salita si è difeso per quello che poteva e ha perso altri secondini niente di ché. Comunque il finale del Giro potrà essere incerto ma rimane il complesso di inferiorità, è una corsa minore, ma basterebbe guardare i partecipanti del passato per rendersi conto che era quasi una corsa provinciale, e poi dicono che perde importanza, e non sa farsi rispettare, basti pensare al caso della tappa accorciata. E quella tappa fa ancora notizia. La Valle d’Aosta aveva schierato forze dell’ordine e volontari e solo meno di un’ora prima hanno saputo che di là non passava più nessuno, e ora chiedono un risarcimento “sportivo”, che non so in cosa potrebbe consistere, forse la grande partenza, l’ultima tappa, o semplicemente un’altra tappa da quelle parti, ovviamente a rischio cancellazione. Eppure è proprio il clamore di quel pasticcio che dimostra l’importanza della corsa rosata, in Belgio e in Olanda si cancellano corse e nessuno protesta, ieri è stata cancellata la tappa del Giro di Albania e nessuno ha detto niente. Poi la cosa è finita in barzelletta perché sull’accaduto ha detto la sua anche il noto entertainer di montagna Mauro Corona che ha postato una foto di un ciclista nella neve e ha scritto: Questo è ciclismo, fighetti a casa. Ora speriamo di sentire la sua opinione anche su altri sport.

Non metterti la maglia ché fa freddo

Stanno ancora tutti lì a lamentarsi che al Giro mancano le azioni eroiche, e quelli che raccontano la corsa hanno ragione perché con gli attacchi sotto le intemperie verrebbe tutto più facile, sono bravi tutti, è raccontare l’infraordinario ciclistico, tipo Perec, che è difficile. E pure il pubblico si lamenta ma nessuno ne trae le conseguenze, nessuno si suicida, nessuno si alza dal divano e, approfittando del fatto che questa corsa non gli piace, prende una vanga e un paio di stivaloni e va a fare l’eroe in prima persona andando a spalare fango in Romagna, no, perché il problema del pubblico lamentoso è che vuole vedere gli altri fare quelle cose straordinarie che lui, il pubblico, mai si sognerebbe di fare, e il fango anziché spalarlo preferisce buttarlo addosso a qualcuno. E se si parla a vanvera arriva Cipollone, il precoce umarell del ciclismo, che finge di dare un modesto consiglio ai ciclisti ma in realtà attacca il capo del sindacato. Lui ha qualche problema con gli australiani, già l’anno scorso criticò Hindley solo perché si era lamentato di non aver visto i genitori per più di due anni a causa del covid, forse si ricorda ancora delle volate contro Mc Ewen che ha vinto un po’ di meno, era meno possente, ma era molto più spettacolare. A Cipollone non piace l’Australia, non capisce neanche come mai non cadono nel vuoto visto che stanno sottosopra. E ora invita i giovani a non dare retta a chi viene da lontano dove non c’è cultura ciclistica, cioè un paese che ha una squadra in prima serie mentre l’Italia no, ed è senza palmarès, che tradotto significa non date retta a un milionario che invece di starsene a casa a contare i soldi ha terminato 20 grandi giri consecutivi, e non pagava il biglietto per fare il passeggero ma stava in testa al gruppo a tirare, e una volta gli è sfuggito pure di vincere una tappa, ma ascoltate piuttosto chi non ha mai concluso un Tour perché dopo aver vinto le prime tappe se ne andava al mare, oppure chi vinceva i Giri piallati dal Sergente Torriani.

Garzelli è un altro che dice ai miei tempi, beh, di quanto corresse ho già scritto qui, ma aggiungiamo che in questo secolo solo due edizioni del giro hanno visto più ritirati, almeno per ora perché in quelle edizioni c’erano più partenti e alla fine calcolerò le percentuali, cioè quelle del 2001 e del 2002, in cui correva pure Garzelli, e i ciclisti andavano a casa per positività non al covid ma al doping, pure Garzelli, quindi questo è il suo ai miei tempi. Intanto si corre ancora sotto la pioggia, anzi sabato è una delle giornate peggiori e il belga Rex mima una nuotata, e vince ancora Nicodenz, ma esulta troppo presto, vince lo stesso ma alzando il braccio dà una manata a Gee, e non si capisce se vince al fotofinish o per K.O.T.. Bettiol arriva terzo e dice aver lanciato presto la volata perché il computerino diceva che era a 200 metri dal traguardo e invece era a 300, e non ha pensato di dare un’occhiata ai cartelli analogici che scandiscono l’ultimo km. Il giorno prima c’era stata la protesta perché le app preannunciavano un brutto tempo che poi non c’è stato, insomma i ciclisti sono vittime delle fake news. Però se lo spettacolino ha accontentato i criticonzi, comunque c’è stato spazio per un altro scandalo: tra i fuggitivi il migliore in classifica era Bruno Armirail e il gruppo dei big gli ha lasciato un vantaggio sufficiente a prendersi la maglia rosa e con essa tutte le interviste i protocolli e le perdite di tempo supplementari, che per un mezzo miracolato come Armirail, ottimo cronoman e basta, non sono un problema, quando gli capiterà più, ma per uno che punta alla classifica significano andare ai massaggi e al riposo molto più tardi e stare più tempo al freddo, e al Giro vale il contrario: per non prendere freddo non bisogna mettersi la maglia (rosa). Però così si configura il reato di “lesa maglia rosa” e anche chi non vuole farne un (melo)dramma trova strano che si lasci la maglia a poche tappe dalla fine.

La successiva tappa bergamasca riserva un’altra sorpresa: il sole, chi ci sperava più. Si fa il solito percorso con il pavé di Porta Garibaldi la salita della Boccola e la discesa fino all’arrivo, e si scatena Ben Healy. Il ciclista disegnato male si inserisce nella fuga, fa a spallate pure per i GPM, anche se nel caso di un ciclista storto come lui è difficile capire se davvero fa a spallate o è soltanto inclinato, nel finale si trova in testa con Brandon Mc Nulty e l’emergente Marco Frigo e perde dall’americano. Dietro i big si controllano e Armirail conserva la rosa.

In conclusione la Zeriba Illustrata vuole rendere un servizio al Giro, perché è meglio prevenire che lamentare. Se il problema di avere la maglia rosa sono le interviste e i protocolli bisognerebbe snellire la parte burocratica e non perdere tempo con le interviste, tanto più che le domande e le risposte sono sempre le stesse. Quindi, non potendo intervenire sulla parte procedurale, questo blog mette a disposizione un’intervista standard che si può sottoporre all’intervistato che si limita a sottoscriverla per la diffusione senza perdere ulteriore tempo. Ecco quindi l’intervista precompilata.

-Cosa provi?

-Sono molto contento.

-Hai realizzato cosa hai fatto?

-Ancora non mi rendo conto di quello che ho fatto, forse domani.

-Vuoi ringraziare qualcuno?

-Sì, voglio ringraziare la squadra, la mia famiglia e tutti quelli che mi sostengono.

Sventurato lo sport che ha bisogno di eroi

Il giro arriva a Rivoli, col solito grappolo di ritirati e con una tappa intermedia, di quelle che a metà giro va via la fuga e arriva così sicuro che ci si può pure scommettere. Sì, però ci si mettono in trenta come se qualcuno avesse detto Avanti c’è posto e infatti alla fine il vincitore Nico Denz, tedesco il cui cognome tradisce le origini lucane, non le tradisce? vabbe’, allora le tradisce il nome che sarebbe diminutivo di Domenico, dicevo che Nicodenz dice che alcuni non volevano tirare ma volevano fare i passeggeri, ma trenta fuggitivi è difficile farli andare d’accordo. Però la successiva fuga dalla fuga non è partita con scatti e controscatti ma con un’inconsapevole fagianata, a una rotonda in sei si erano trovati davanti di qualche metro senza accorgersene, poi quando se ne sono accorti hanno tirato dritto, e alla fine sono rimasti in tre e se la sono giocata loro la tappa, e per fortuna dei cronisti ha vinto questo tedesco col cognome facile, perché l’alternativa sarebbe stata il lettone Toms Skujins (al netto di segni grafici inattesi e misteriosi) che in carriera ha avuto tre fasi, quella in cui lo chiamavano Skùgins, poi la fase Squìnc e ora la fase Skùins. Nella fuga c’erano pure Bettiol e Formolo, ma come spesso gli accade stanno sempre a tirare o scattare per fare un’ulteriore selezione, poi litigano, poi attaccano di nuovo, ma quando parte la fuga giusta stanno sempre altrove. Altrove ma da quelle parti c’è il primo museo italiano di arte contemporanea, che non poteva sfuggire al servizio per il doposcuola, e hanno mostrato la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, e pensavo che quando, in linea con le politiche dell’attuale governo ma anche di quelli passati, ai poveri vorranno togliere pure l’arte povera per darla ai ricchi, che comunque ce l’hanno già, quell’installazione sarà ribattezzata Venere degli abiti vintage. E a proposito di Pistoletto, sul percorso sono comparsi tre pistola, tre attivisti climatizzati che non potendo buttare sostanze biologiche a km zero nelle fontane pregiate si sdraiano sul percorso di una corsa ciclistica. Già si è visto che personalizzare certe proteste, come nel caso di Greta, rende più agevole la propaganda a favore della tesi opposta, basta attaccare il personaggio cercando errori o ipotizzando manovratori, ma con questi individui mi verrebbe da fare il complottista e pensare che siano manovrati da chi vuole mettere in cattiva luce la causa ambientalista, perché mi sembrano molto stupide oltre che controproducenti queste azioni. Comunque gli darei lo stesso un consiglio: inutile fare azioni di protesta durante una corsa ciclistica che non la vede nessuno, sdraiatevi piuttosto su un circuito automobilistico durante un GP di Formula 1, e se le auto non riusciranno a frenare pazienza, anzi meglio, diventerete dei martiri dell’ecologismo e vi faranno pure un monumento, ovviamente biodegradabile.

E poi, sempre per gli attivisti sdraiati, si informino bene sui percorsi, che rischiano di rimanere in mezzo alla strada come dei pirla (dite che già lo sono?) in attesa di una corsa che non passerà mai, e se tutto andrà bene gli passerà addosso solo qualche motorhome. E’ quello che è successo nella successiva tappa di Crans Montana. I ciclisti dicono che la discesa dalla Croix de Coeur è pericolosa e appellandosi al weather protocol chiedono di evitarla prendendo la scorciatoia dopo il Gran San Bernardo. Vegni fa una controproposta: sopprimiamo il Gran San Bernardo e facciamo solo la Croix de Coeur e i ciclisti accettano convinti di aver fatto un affare. Apriti cielo (non nel senso meteorologico): non potendo disporre di una tappa epica i giornalisti la buttano sul melodrammatico e si strappano i capelli, soprattutto Fabretti che ne approfitta per ribadire che il prodotto che lui propone è una schifezza e all’arrivo dice che ha perso il ciclismo, però non dice contro chi giocava. E’ tutto un pianto e un’indignazione generale, dicono che al Tour non sarebbe successo, è vero, se ricordassero la tappa in cui Bernal praticamente vinse la corsa ebbene quella non fu segata prima ma durante, quando si resero conto che andavano a finire in una strada allagata. C’è sempre quel complesso di inferiorità, quella rivalità coi cugini transalpini, eppure l’Italia merita rispetto, se non altro per la faccenda dei bidet, che all’estero non ce l’hanno e noi siamo più civili e puliti, e il bidet dovrebbero metterlo pure sulla bandiera lì dove prima c’era lo stemma sabaudo, è uguale, anche se all’estero potrebbero cambiare discorso e parlare del water turistico-alberghiero che ha trovato Gerainthomas, ma noi in Italia non ci facciamo caso, niente che non si veda in bagni pubblici, stazioni, uffici e locali. E dicono che il ciclismo è uno sport da veri uomini, eppure immagino che la maggioranza di quelli che dicono queste cose nella vita vadano al lavoro, se lavorano, rigorosamente con l’auto privata e non prendano in considerazione nessun luogo che non sia dotato di ampio parcheggio e che vadano a prendere i figli a scuola entrando in aula con l’auto. E dicono che il ciclismo è così, con freddo pioggia neve terremoti e ossa rotte, ma sventurato lo sport che ha bisogno di eroi, pensate il calcio dove i tifosi sono i primi a dire che con il campo acquitrinoso bisogna sospendere la partita, soprattutto se stanno vincendo gli avversari, o il tennis dove nessuno si scandalizza se si smette di giocare con poche gocce di pioggia, che non sia mai si creano delle pozzanghere rischia di sporcarsi il completino.

Pare che Vegni abbia patteggiato una tappa breve purché si dessero battaglia, e invece manco quello, anzi il risultato è stata la dimostrazione che non è detto che le tappe brevi assicurano lo spettacolo. Gli uomini di classifica arrivano in gruppo, o gregge a seconda dei gusti, e un po’ di spettacolo lo fanno i fuggitivi, se non altro per i litigi tra Pinot e Cepeda. Pinot scatta e poi si lamenta che Cepeda non collabora, Cepeda fa finta di niente, mille attacchi mille battibecchi, Pinot dice, chissà in quale lingua, se non vinco io non vinci neanche tu, Cepeda continua a fare finta di niente e continua a succhiare le ruote a Pinot, ma a sua volta Einer Rubio succhia le ruote del succhiaruote, e quando i due litiganti attaccano lui perde terreno arranca e poi recupera, e nel km finale scatta Cepeda e mentre Pinot sta per rispondere Einer Rubio li passa in tromba e vince. Il colombiano ha fatto l’apprendistato a Benevento e da under 23 era una promessa, vinse pure il G.P. di Capodarco che si corre il 16 agosto. E la corsa agostana mi fa venire in mente l’estate ciclistica italiana, tutti stanno a lamentarsi quando si applica il weather protocol ma nessuno ne contesta l’applicazione preventiva organizzativa, cioè nessuno eccepisce niente sul fatto che in Italia non ci sono corse per professionisti a febbraio, che spesso è più mite di maggio, e a luglio e agosto manco a parlarne, corrono solo i dilettanti.

In conclusione, se molti sono delusi dal taglio della tappa, pure io sono deluso, perché giornalisti commentatori e tifosi l’hanno fatta così grave che mi aspettavo che qualcuno si suicidasse, buttandosi dalla Cima Coppi o sdraiandosi sui binari quando passa il treno rosa, invece niente, che vili.

Quel che resta del giro

La gente vuole capire, però quello che ha già capito. La gente vuole sapere, però quello che già sa. E’ così anche per il “caso” Evenepoel, e se dicono che il modo in cui si sono svolti i fatti è sospetto vuol dire che mentono sapendo di mentire (o sapendo di mentina se si sono profumati l’alito) perché loro hanno già capito tutto: è una messinscena, un complotto ma soprattutto una mancanza di rispetto per la corsa, quel ciclista è stato accolto benissimo, l’avrebbero pure ben pagato, ma quando ha visto di non riuscire a distanziare gli avversari come si aspettava ha presentato il certificato medico e se n’è scappato, salpando all’alba manco avesse rubato il trofeosenzafine nascondendolo nella valigia, ma chi se lo comprerebbe? E finché queste cose le scrivono sui social niente di significativo, ma il punto è che ci si mettono pure le parti in causa, da una parte il giornale fiancheggiatore dell’organizzazione ha scritto più o meno quelle stesse cose, dall’altra il boss dei soudal-quick-step-e-pure-wolfpack ha accusato l’organizzazione di scarsa organizzazione ricordando la conferenza di presentazione tutti stretti in pochi metri quadrati. Strano però che nessuno abbia ricordato che il golden boy, che non è più il quasi minorenne degli esordi e al Giro ci sono ciclisti più giovani di lui, è sempre accompagnato dalla sua corte: Golden Lady, Golden Mother e Golden Father (saranno tutti percettori del reddito di cittadinanza fiammingo?) i quali durante la gara stavano in mezzo al pubblico, non il massimo della prevenzione. Comunque sia, forse i sospetti sono stati agevolati dal fatto che Remco è stato uno dei primi positivi, ma poi ci sono stati altri casi, e proprio della Soudal sono rimasti solo tre. Qualcuno dice che piove e fa freddo e ci sta che i ciclisti si ammalano, però nel 2020, in pieno covid, si corse a ottobre con freddo e pioggia e terminarono la corsa in 133, mentre quest’anno a metà giro sono rimasti in 140. E’ vero che si sono aggiunti i numerosi infortunati, tra cui anche Tao Hart che in una caduta che ha coinvolto i primi tre della classifica ha avuto la peggio, per non dire la pessima, peccato perché sembrava ormai il favorito, e di sicuro con il suo ritorno ad alto livello ha fatto rivalutare quel Giro 2020 che sembrava giocato tra due miracolati, e già l’altro protagonista, Hindley, ha vinto l’anno scorso. Ma l’incidente più assurdo è stato quello di martedì in cui un’ammiraglia ha colpito dei ciclisti, da un auto è sceso un meccanico per assistere uno dei caduti e stava attraversando la strada senza guardare, ma quando ha visto un corridore che arrivava a tutta velocità è rimasto pietrificato in mezzo alla carreggiata, e infatti quel corridore era Bettiol che ha il potere di trasformare pure gli incidenti seri in momenti slapstick e ha preso in pieno il meccanico e poi si è messo a sbraitargli contro. Però la giuria ha ritenuto quel meccanico incapace di intendere e di volere perché ha multato il direttore sportivo che gli ha incautamente aperto la portiera. In tutto questo ci sarebbero pure dei vincitori di tappa. Martedì ha vinto la volatina dei fuggitivi il baffo danese Cort Nielsen che così è entrato in quello che tutti, chissà perché, definiscono il “club” esclusivo dei ciclisti che hanno vinto tappe in tutti e tre i grandi giri, ma ormai i membri sono diventati talmente tanti che più che un clubbino questa compagnia può diventare una potente lobby. Mercoledì c’è stata una volata tra pochi intimi sopravvissuti, al punto che è tornato a vincere Pascalone Ackermann superando la concorrenza quasi agguerrita del vecchio Cavendish, terzo, e dell’ancora inesperto Milan, arrivato secondo dopo aver iniziato la volata in 141esima posizione sui 140 arrivati di cui sopra.

Il golden boy

Avevamo lasciato Lefevere, il boss della Soudalquickstep, intento a contare i cani randagi, ma nel frattempo quel capo di stato straniero che la domenica con molta umiltà invita a turisti a pregare per lui aveva rimproverato una donna perché chiedeva la benedizione per il suo cagnolino invece di pensare a tutti i bambini che muoiono di fame. Allora colpito da questa parole Lefevere ha lasciato stare i cani e ha iniziato a contare i bambini randagi. Intanto al Giro si continua a discutere della noiosa tappa di Campo Imperatore, un fatto gravissimo, e se un giorno la gente non scenderà più in strada a veder passare la corsa, se la RAI rinuncerà a trasmettere il Giro, se nessuno lo organizzerà più, se il ciclismo in Italia finirà e centinaia e migliaia di famiglie di ciclisti dièsse meccanici massaggiatori e preparatori faranno la fame la colpa sarà della tappa di Campo Imperatore, dove c’era questo bell’altipiano in mezzo al niente adattissimo agli attacchi contro vento e contro senso ma nessuno si è voluto sacrificare. C’è lo scrittore parlante che piange perché così non può scrivere la poesia, e se Damiano Caruso, che è sempre elogiato e da sempre stimato per l’esperienza e la professionalità, dice che contro vento non era il caso di attaccare, tutti dicono che sono scuse e tra lui e lo scrittore danno ragione allo scrittore. Vabbe’, c’è la tappa successiva da Terni ai famosi muri marchigiani. Stavolta la fuga è più nutrita e ci sono dentro Valentin Paret-Peintre, fratello di Aurélien che ha vinto la quarta tappa, e Mattia Bais, fratello di Davide fresco vincitore sul Gran Sasso, entrambi ben consapevoli che in Italia è un periodo favorevole ai Fratelli ma anche ai cognati. Quando il gruppo di testa si sfoltisce Zana inizia a litigare proprio con Bais perché non tira, e così in soli due giorni sembra completamente cambiata la reputazione dei fratelli Bais prima applauditi perché generosi fuggitivi seriali e poi criticati perché in quelle fughe starebbero sempre a ruota. A una cinquantina di km dal traguardo Zana tenta un attacco e tutti quelli che lamentano il poco spettacolo dicono che è presto per attaccare, chissà qual’è la loro idea di spettacolo, ma un secondo dopo parte Ben Healy, il ciclista disegnato male, e non lo vedranno più, forse non era poi così presto. Nel gruppo dei big tirano i jumbi ma poi si fermano per consentire a Roglic un pipì-stop, strana pretattica o solo coincidenza, perché nei km finali Roglic attacca, Evenepoel tenta di seguirlo per verificare se è davvero nervoso come gli era parso ma scoppia e solo Coso Hart e Gerainthomas riescono a raggiungere lo sloveno e guadagnare secondi sul divetto belga, che all’arrivo ha l’ennesima crisi isterica e allontana bruscamente un cameraman randagio, ma nessun problema perché lui è tranquillo, anzi ammette pure di aver sbagliato a seguire subito Roglic e di avere imparato una grande lezione, e ormai sembra un cosplayer del manga Golden Boy che a ogni fine puntata correva in bici e gridava: Imparo! Imparo! Imparo! Ora se per Remco l’imminente ritorno in testa alla classifica generale non sembra più tanto sicuro, per la classifica della simpatia non dovrebbe avere avversari perché il suo agguerrito rivale Ganna si è ritirato per covid. Ma chi non segue la corsa si chiederà perché si attendeva il ritorno di Evenepoel in maglia rosa. Semplice, la domenica c’è la lunga crono romagnola. E Remco vince e prende la maglia rosa ma non è contento perché gli avversari non hanno perso, perlomeno non quanto lui si augurava. I veri sconfitti sono i tanti saputoni del ciclismo che subito dopo la presentazione delle tappe avevano detto in coro che Evenepoel in questa crono avrebbe dato due minuti a tutti e ucciso il Giro, mancava solo che lo scrivessero pure sul Garibaldi, il famoso manuale con le istruzioni per la corsa. Invece il vecchio Gerainthomas ha perso per meno di un secondo, Coso Hart è arrivato a 2 secondi e sono ben 30 i primi dell’ordine d’arrivo compresi entro i 2 minuti. Però Golden Boy continua a imparare perché dice di essere partito troppo forte, altro errore altra lezione, ma non è l’unico a farlo perché pure la tivvù sta imparando. In RAI dicevano che per rendere più spettacolare la corsa bisogna “guardare” (questa si rivelerà la parola giusta) cosa si è fatto negli altri sport come la pallavolo, ed ecco che quando Evenepoel arriva al traguardo ed entra nel recinto degli addetti ai lavori spunta l’inseparabile Oumi e il cameraman alle sue spalle subito abbassa l’inquadratura in modo da mostrare diciamo il pantalone che la Signora indossa.

A sinistra Ben Healy il ciclista disegnato male (stavolta da me), a destra Remco Evenepoel il golden boy del ciclismo fiammingo.