La Zeriba Suonata – Auguri suonati

Questo blog non lo legge nessuno, quindi non c’è niente di strano se faccio gli auguri a una persona che non lo legge e se anche lo leggesse non capirebbe niente perché dubito che conosca l’italiano. Oggi Marianne Vos compie 37 anni, è ancora in ottima forma e continua a vincere, per cui faccio un augurio che dovrebbe stare bene a entrambi, cioè che in pensione ci vada prima io. L’augurio è sonorizzato con un brano di Solex alias Elisabeth Esselink, apprezzata musicista (o collagista di suoni) di Amsterdam, che nel 2013 percorse via fiume le 12 province dei Paesi Bassi registrando gruppi locali e poi dalle registrazioni trasse l’album Solex Ahoy! The Sound Map Of The Netherlands che potremmo definire una via (fluviale) di mezzo tra Alan Lomax e DJ Shadow. Eccovi quindi il brano del Brabante Settentrionale, nel cui capoluogo ‘s-Hertogenbosch nacque Marianna.

Solex Ahoy – Noord Brabant

Caravaggio e Duchamp al Giro d’Italia

Galeotta fu la Zeriba

Eravamo rimasti alla tappa con protagonisti i pistard, ma non era finita. Nella loro categoria ci sono quelli che su strada diventano bravi cronomen o lanciano le volate agli altri, come Simone Consonni, e quelli che le volate le vincono, come Elia Viviani, il quale nel suo girovagare tra varie squadre nel 2021 era alla Cofidis e vinse 7 corse ma il suo boss era deluso, si aspettava di più. E ci sono quelli che in pista guadagnano giri su giri, vincono volate su volate ma su strada poco o nulla, come Benjamin Thomas della Cofidis. E quest’anno non è solo Beniamino a non aver vinto niente, ma tutta la squadra, sia maschile che femminile, unico caso nel world tour. E poi i casi della vita e del ciclismo, nello stesso giorno Hannah Ludwig vince la corsa di Pamplona e proprio Thomas si inserisce nella fuga di mezza giornata, o seconda fuga del giorno, e vince, anche grazie al fatto che i fuggitivi erano più freschi perché non erano davanti dalla mattina, quelli li avevano già ripresi, e i commentatori italiani hanno criticato gli alpecini che si erano adoperati per acciuffarli, come se dovessero lavorare per il velocista italiano di un’altra squadra, e neanche hanno pensato che criticando quel team si danneggia la filiera dello shampoo italiano. Tornando a Benjamin, lui è uno dei tanti che fa coppia con una collega e poiché nel ciclismo le unioni miste non sono proibite quella collega è italiana. Probabilmente galeotta fu la zeriba, non quella illustrata, proprio quella vera dei velodromi, dove si ritrovano la nazionale francese con Thomas e quella italiana con Martina Alzini. Due anni fa Martina ha vinto la sua prima e finora unica corsa su strada, mentre in pista vanta un bel gruzzolo di medaglie soprattutto nell’inseguimento. Ultimamente sembra un po’ calata, o sono Balsamo Guazzini e compagnia che vanno più forte, e ci si potrebbe chiedere se lei viene convocata dal cittì femminile Marco Villa per correre nel quartetto o dal cittì maschile Marco Villa per distrarre quel pericoloso avversario.

A noi ci ha rovinato Caravaggio

Molti giornalisti dicono che i ciclisti di oggi sono puliti, non come quelli degli anni 90, e tutti i ciclisti degli anni 90 nei paraggi concordano. La tappa vinta da Thomas arrivava a Lucca e qualcuno si è molto dispiaciuto che alle manifestazioni per l’occasione non sia stato invitato il più famoso, o famigerato, ciclista del luogo, Cipollone, forse escluso per una faccenduola di tribunali, roba di impicci, di avvocati, di violenzucce, ma una tappa del Giro senza Cipollone è come il Festival di Cannes senza Depardieu, come la cerimonia degli Oscar senza Weinstein. Come ciclista non mi pare sia stato esemplare, si sussurra che raggiungesse bei livelli di ematocrito, gli uomini del suo treno si beccavano squalifiche per ostacolare i suoi avversari, ha vinto il mondiale più brutto della storia, eppure oggi i commentatori gradiscono le sue polemiche da umarell, come quando dipinse Jay Hindley come un ingrato perché, invece di ringraziare di girare il mondo, si era lamentato di non aver potuto vedere i suoi genitori per appena due anni e mezzo a causa del covid, e nessuno fu capace di ricordargli che non ha mai concluso un Tour per correre al mare. Comunque io penso sempre che se volevo giudicare gli uomini studiavo legge, invece ho studiato le cosiddette scienze umane, poco scienze e poco umane a giudicare dal cinismo degli esperimenti, e sulla carta avrei dovuto capirli gli uomini, ma modestamente non ci capisco niente. E in generale si dice che bisogna distinguere la persona da quello che realizza, e si cita sempre quel farabutto attaccabrighe assassino di Caravaggio che ha creato un precedente, e sia, ma oggi non so se lo inviterebbero a fare il commentatore alla Biennale di Venezia. E, sarà un mio limite, continuo a trovare più simpatiche brave persone come Wout Van Aert, non a caso il ciclista più criticato del mondo.

Dissing

Ma ci troviamo a Lucca non passiamo per gli sterrati senesi? Dai, che se no pare brutto, e così la tappa successiva passa per le famose crete senesi e di nuovo arriva la fuga. Stavolta c’è dentro Alaphilippe e a bordo strada si vede il suo manager che gli dà un bidone, nel senso del bidon , la borraccia, e tutti i commentatori apprezzano sorpresi. A parte il fatto che di borracce il boss ne aveva più di una, quindi non era solo per il francese, la cosa poteva meravigliare perché tra Papa Lefevere e DJ Alan Philippe c’era stato un dissing, e il boss, che diceva di non voler fare beneficenza allestendo una squadra femminile salvo poi comprarne una usata ed è stato condannato dall’UCI per commenti sessisti, tra le altre cose ha attaccato Marion Rousse, moglie di Julian, dicendo che lo distrae e gli fa bere troppo champagne, e allora potremo sospettare che volesse solo assicurarsi che la borraccia contenesse davvero acqua senza bollicine. La sua squadra era detta il branco di lupi, ma poi causa il budget ridotto e il cambio di destinazione d’uso persisi dietro Bimbo Remco, si è indebolita, come pure la Movistar che non ha trovato l’erede di Valverde e pure è diretta da una vecchia gloria, Eusebio Unzué, che però è un placido educato signore a suo modo filosofeggiante. Ed è stato proprio un movistar a beffare Alaphilippe, il giovane Pelayo Sanchez che è stato furbo e lesto a far lanciare la volata al vecchio lupo per batterlo. Un giovane promettente che batte una vecchia volpe? Ce l’ho: Filippo Casagrande che in una tappa del Giro del 1996 batté Rolf Sorensen e tutti pensavano che sarebbe diventato più forte del fratello Francesco. Poi l’anno dopo Sorensen vinse il Fiandre e Casagrandino non vinse più niente. Auguriamo al giovane spagnolo di avere più fortuna e che, insieme a Oier Lazkano, risollevino la squadra spagnola, ché se aspettano Enric Mas i velocisti spuntati o il vecchio indio Quintana stanno freschi. Intanto a sminuire Pelayo ci pensa Fabretti ricordando che ha vinto solo 3 corse: ma ha 24 anni, in Italia i ciclisti di 24 anni sono ancora under 23. Sulla tappa sterrata la mia impressione è che il Giro continui a inserire tratti di sterrato ricordando la tappaccia vinta da Evans nel 2010 e il Tour a inserire il pavé sul quale Nibali vinse il Tour 2014 immaginando una tappa spettacolare e decisiva, ma ormai gli uomini di classifica hanno sviluppato gli anticorpi e lasciano andare i fuggitivi di giornata badando solo a uscirne vivi.

Un giorno normale

A un certo punto c’è la cronometro e si spera che continui la festa dei pistard, con Filippone Ganna che è il più titolato ciclista italiano in attività. Ma forse, per non dare l’impressione di favorire troppo il ciclista di casa, gli organizzatori hanno inserito una salita nel finale, e alla fine è finita che Ganna è stato in testa fino all’ultimo partente, che era Pogacar, e che era in ritardo, ma la salita è stata sufficiente a capovolgere il risultato e consolidare la maglia rosa, e in fondo è tutto normale. Si arrivava a Perugia e un sito (nazional)popolare in una rubrica di curiosità sui luoghi delle tappe ha ricordato tutti i ciclisti umbri, ma poiché la rubrica è tenuta da un vecchio giornalista, per il quale forse le donne sono solo un elemento decorativo, ho notato con raccapriccio che è stata dimenticata l’indimenticabile Monia Baccaille, atleta decorativa ma anche decorata, due volte campionessa italiana su strada e più volte su pista, fondamentale nel secondo mondiale di Giorgia Bronzini che pure a volte batteva in volata. Avesse praticato un altro sport l’avrebbero cercata per spot e programmi tv, invece oggi è tecnico regionale della pista, e anche questo è nella normalità perché nelle regioni confinanti un vecchio velodromo scoperto lo si trova sempre.

Monia Baccaille con la maglia tricolore e Tatiana Guderzo in maglia iridata.

Le cronometro sono anche l’occasione per scoprire l’ultimo grido in materia di materiali e Ganna ha provato un novità per il cambio, ma quello che più colpisce visivamente sono i caschi: c’è chi usa un casco spaziale, chi uno scolapasta, Cian Uijtdebroeks indossava la fontana di Duchamp.

Sciopero

I giornalisti RAI, come pure i loro colleghi di altre testate, quando c’è uno sciopero, in particolare dei trasporti, a stento ne leggono le motivazioni, a loro interessa solo mostrare i disagi intervistando gli utenti, e non sempre la gente ne esce bene. Non c’è mai nessuno che dica: sapevo che c’era sciopero ma c’ho provato lo stesso, tutti che invece cadono dalle nuvole, non si informano sulle cose che li riguardano, ma penso che se gli chiedessero quanti e quali sponsor ha perso la Ferragna saprebbero rispondere. Quando invece c’è uno sciopero dei telegiornalisti stessi, si leggono comunicati lunghissimi in cui si difende la libertà di espressione e cose simili, e del resto disagi da documentare non ce ne sono. Solo ieri con la rassegna stampa ho saputo che TG1 e TG2 sono andati in onda lo stesso, del Giro invece hanno mostrato solo le immagini della corsa, e niente interviste, ma non ci siamo persi niente visto che è passata l’era di Sagan, che era sempre originale e prendeva pure in giro gli intervistatori, nonostante Peter oggi parta al Giro di Ungheria ma solo per prepararsi alla mtb. Oggi, tranne rare eccezioni, come De Marchi Mohoric o alcune donne, sono tutti diplomatici e concentrati sulla corsa, battutine e scherzi li riservano ai social. Una cosa del genere era già successa, se non ricordo male era la Milano Sanremo del 1994, e non si sentì la mancanza di cronache e commenti. L’oscuramento totale ci fu 11 anni dopo quando per la morte del Papa il lutto fu esteso anche alle colonie e le tivvù non trasmisero programmi blasfemi e ridanciani come il Giro delle Fiandre. E ieri forse i nuovi spettatori si sono trovati in difficoltà, ma gli altri hanno potuto fare a meno di Pancani De Luca Cassani Petacchi Garzelli Beppeconti lo scrittore parlante Fabretti Martini e Rizzato (quanti sono!), e salvo solo Giada Borgato che è la più in gamba della compagnìa, oltre che per la mia vecchia profezia. La tappa del lunedì era adatta ai velocisti, e dopo due giornate tiratissime era lecito attendersi un armistizio e medie basse e pace in gruppo agli uomini di buona volontà. E così si erano messe le cose, ma con il ciclismo non si può mai dire: c’èra il traguardo volante, tutti gli sprinter e i loro lanciatori di fiducia hanno accelerato per contendersi i punticini ciclamino, e dopo la volatina si sono accorti di avere guadagnato un po’ di secondini su un plotone di scioperati. A quel punto, incitati soprattutto da Filippo Fiorelli, ci hanno dato dentro, e così i velocisti che avrebbero dovuto preservarsi nella pancia del gruppo e conservare le energie per la volata finale, sono andati in fuga. Sarebbe stato bello se fossero arrivati, ci sarebbero stati certamente scatti dei meno veloci, o ci sarebbe stata una curiosa volata tra pochi intimi, ma sono stati tutti ripresi. E non era finita, perché nel finale c’erano dei rettilinei in salita con una curva a U che ricordavano l’arrivo della Coppa Sabatini, e lì è partito Frolich Honoré, un danese che vive in Italia e che scoprimmo alla Coppi e Bartali del 2021 insieme a un suo connazionale oggi famosissimo. Allora Vingegaard si accontentò della classifica e lasciò la vittoria di tappa a Michelino, oggi che quando si presenta alle brevi corse a tappe ne vince almeno due o tre, non so se Jonas farebbe lo stesso. Di sicuro Pogacar che si trovava causalmente nei paraggi non ci ha pensato due volte, ha ripreso e staccato Frolich, che avrà imparato anche a bestemmiare in italiano, e dietro gli è andato il solo Gerainthomas che pensava: Che pazienza che ci vuole con questo qui. Li hanno ripresi solo nel rettilineo finale e ha vinto Tim Merlier, che ha dato una sberla non ai battuti di giornata, ma a tutti quelli e quelle che è l’anno olimpico e non voglio sprecare energie col ciclocross. Merlier infatti il ciclocross non lo ha abbandonato completamente ma in inverno si diverte soprattutto con la beach race, specialità di cui è campione nazionale. Ma l’attenzione di tutti i commentatori era sulla bravata di Pogacar. Dicono l’I.A., ma se in ammiraglia, invece del domestico e del maggiordomo di Tadej, ci fosse un qualunque software, un cazziatone glielo avrebbe fatto. Energie sprecate, tanto più perché dovrà bissare al Tour, nuovi nemici in gruppo per di più in una squadra di guastatori come la EF, non ci si comporta così con gli avversari, ma anche spettacolo, e lui con la sua faccia da angioletto che dice di essersi divertito come quando era ragazzino e quasi gli si crede. In realtà in questi giudizi contano molto le simpatie o il tifo sfegatato, Primoz Roglic, che non è cattivo, lo disegnano così, come Borzov negli anni 70, ma è un tipo spiritoso, per aver ripreso Gino Mader buonanima alla Parigi-Nizza fu quasi lapidato, fatica pure superflua perché a incocciare le pietre è capace da solo, e io personalmente capisco che ci sono dinamiche nel gruppo e che è opportuno cercare alleanze che possono sempre servire, ma allo stesso modo mi chiedo perché alcuni traguardi dovrebbero essere raggiunti con gli avversari che si fanno da parte, che gusto e sportività c’è? Non ho mai capito quelle classifiche parziali che dopo un po’ vengono lasciate al primo che ne ha fatto richiesta, come la maglia a pois di Ciccone al Tour scorso che per gli altri sembrava diventata una maglia a puah, ma andando più indietro ricordo Chiappucci che protestava contro il giovane Bettini che osava contendergli i GPM. E soprattutto cosa potrei opporre al famelico Pogi se una delle imprese più incredibili per me è stata la rimonta supersonica di una Marianne Vos, che già non aveva più bisogno di niente, ai danni della povera Lucy Kennedy? E poi, è criticabile una impietosa rimonta solo se è opera di un singolo? Non ci sono colpevoli quando è il gruppo compatto, la folla urlante e pedalante, che supera il fuggitivo di giornata, il Martin o la Kiesenhofer di turno, a pochi metri dal traguardo? Comunque, dopo una tappa pazza, in Liguria c’è stata una tappa in stile tradizionale in cui i protagonisti sono stati i campioni olimpici dell’inseguimento a squadre. Ganna ha fatto quello che un inseguitore DEVE fare: l’attacco da finisseur, e da buon pistard ha fatto anche un po’ di dietro moto, poi Consonni ha tirato la volata a Milan che ha vinto. Alla fine la conferma che le interviste sono inutili con Ganna che risponde a sbuffi e monosillabi, e poi gli intervistati non dicono il vero. Prendete Biniam Girmay: dopo il sorprendente 2022 e il deludente 2023 sembrava ritornato e ha detto che il riferimento per gli eritrei è stato Teklehaymanot che fu il primo del paese nel world tour, ma Bini ha una preoccupante tendenza a cadere e ieri lo ha fatto due volte e si è ritirato, e allora viene il dubbio che i suoi riferimenti erano ben altri: Porte Gesink e Pozzovivo.

Il commento di Pancani in sciopero all’attacco pazzo del suo idolo con il ciuffettino.

Perplessità

Dei tanti giri che ho visto quelli che più mi hanno lasciato perplesso sono stati quello del 2006, vinto da Basso davanti al Bufalo poco prima che entrambi venissero coinvolti nell’Operacion Puerto, e quello del 1999, con uno scalatore che era diventato forte anche in volata e a cronometro e aveva vinto quattro tappe ed era primo in tutte le classifiche e poi si è visto come andò a finire, un giro di cui non ricordo nulla perché nulla mi sembrava memorabile, neanche la rimonta di Oropa. Per chi se la fosse risparmiata, nella tappa che arrivava al Santuario di Oropa a Pantani cadde la catena, la rimise a posto, rimontò i ciclisti che aveva davanti e che qualcuno si prese la briga di contare, erano 49, e vinse senza neanche sapere se li aveva ripresi tutti. Ieri si arrivava di nuovo a Oropa e quell’impresa è stata riproposta e ricordata fino allo sfinimento, non bastassero le ruote che girano di Jovanotti. Non si sa se perché Pogacar è il tipo che vuole battere i record o perché molti gli augurano un incidente, ma non per cattiveria, solo per lo spettacolo, ha forato all’inizio della salita, è scivolato per non essersi fermato, ha rischiato di essere investito dall’ammiraglia, ma poi ha preso la bici nuova e con la squadra è rientrato in gruppo e si è riportato in testa, e non so quanti erano quelli che ha superato, sicuramente più di 49: record battuto. Poi ha pure vinto la tappa ma questo era quasi ovvio. E quando alla fine gli hanno chiesto di Pantani, lui che è nato pochi mesi prima di quella tappa, non sembrava molto contento della domanda e se l’è cavata diplomaticamente, perché lui giù dalla bici è un furbacchione, in bici non tanto. E se quello del ciclismo non fosse un ambiente ancora maschilista, Taddeo, anziché a Merckx, potrebbe essere accostato a Annemiek Van Vleuten, che era così forte da vincere nonostante gli errori e gli attacchi scriteriati. Pogi quest’anno vuole correre, e ovviamente vincere, Giro e Tour e molti temevano che lui si facesse prendere dalla sua voglia di strafare, e infatti già sabato sulla prima salita della prima tappa del primo giro c’erano i suoi compagni di squadra, con la lingua di fuori letteralmente, a fare selezione, e non so se era il caso. Poi ha staccato quasi tutti, tranne il più veloce dei selezionati, l’ecuadoriano Narvaez che ha vinto la volata anche perché Tadej l’ha lanciata troppo presto. Ma tornando agli incidenti, ci sono gli specialisti delle cadute: il vecchio Robert Gesink già alla prima tappa si è rotto la mano e l’ancor più vecchio Pozzovivo è caduto in entrambe le tappe. Possiamo apprezzare la loro tenacia, la loro longevità atletica eccetera, ma ci lasciano perplessi quando dichiarano che con la loro esperienza insegnano il mestiere ai giovani: non so cosa gli insegnano, di certo non a evitare le cadute.

Questo non ricordo di averlo mai visto fare ai ciclisti uomini: rischiare di finire oltre il guard-rail, fermarsi in equilibrio sopra e ritornare sulla sede stradale. L’acrobata, cui forse ha giovato la bassa statura, è la neozelandese Niamh Fisher Black.

C’è una ciclista molto promettente fino all’anno scorso, un po’ meno da quest’anno, Gaia Realini, che per il fisico minuto mi ricordava Pozzovivo, e ora me lo ricorda anche per una preoccupante tendenza a cadere, che nel suo caso è più grave perché viene dal ciclocross e sarebbe opportuno ci ritornasse per un corso di aggiornamento. Realini è caduta più volte fino a doversi ritirare dalla Vuelta vinta da Demi Vollering, che nelle corse a tappe si può definire l’erede della sua nemica Van Vleuten, mentre continua il famoso lento lentissimo lungo lunghissimo declino di Marianne Vos che ha vinto due tappe e la classifica a punti. E il Giro è il Giro ma … rianne è un’altra cosa e mi mette di buonumore.

Demi Vollering vince l’ultima tappa e festeggia come i fuoristradisti.

Tifiamo bidone

Oggi parte il Giro d’Italia. Se Pogacar non c’era non andava bene perché snobbava il Grande Giro nel Grande Paese Più Bello del Mondo con la Grande Bellezza e pure la Grande Pizza. Invece Pogacar c’è ma neanche va bene perché partecipando uccide il Giro non avendo avversari all’altezza, e chi dice che sarà una noia e chi dice diamogli subito il Trofeo e arrivederci Roma. Eppure queste critiche vengono spesso da persone che seguono il ciclismo da tempo, e la storia del ciclismo dovrebbe insegnare che non si può mai dire e che non è mai finita fino a dopo che è davvero finita e hanno guardato bene pure il fotofinish e smontato il palco delle premiazioni. Ma se anche qualcuno, per motivi anagrafici o per interesse tardivo o per essere appena ritornato da una gita nello spazio profondo, avesse iniziato a seguire il ciclismo a fine marzo, dovrebbe ricordarsi delle due impreviste maxicadute che circa un mese fa nelle Fiandre e nei Paesi Baschi hanno mandato all’ospedale quasi tutti i big. Però se si vuole un po’ di spettacolo non è il caso di augurare incidenti ai favoriti, tantomeno a quelli che si accontentano di partecipare ma questo è un altro discorso, e allora non ci resta che sperare in una fuga bidone, di quelle che li lasciamo andare tanto poi li riprendiamo. -Ah, li riprendete? -Chi noi? No, noi no, a noi che ce frega? -Ah, quand’è così neanche a noi interessa, vadano pure. E che dentro al gruppo in fuga si nasconda un Clerici, un Walkowiak, ma va bene pure un Arroyo, per dare modo ai grandissimi favoritissimi di impegnarsi almeno in una rimonta, se poi ci riescono.

Il Giro è anche un grande spettacolo televisivo e chi può scappi dalla RAI, meglio pure la diretta in inglese o in fiammingo. Nei giorni scorsi si è discusso del passaggio di Amadeus a un’altra emittente come se fosse uno dei principali problemi del paese, ma io non seguo molto la tivvù e non ho idea di quali siano i meriti di quel conduttore. Alcuni hanno temuto che la RAI “perdesse” pure Fiorello, un altro di cui mi sfuggono i pregi, come del resto di Cattelan, che già il cognome non mi garba, e dell’intervistatrice Fagnani, che sono talmente popolari che pure a me ne arriva notizia. Purtroppo Jovanotti nessuno lo vuole e gli hanno commissionato la sigla del Giro RAI, che ovviamente è uno strazio senza mezzi termini. Per quanto riguarda la diretta e i commenti aumenterà la percentuale di retorica perché è confermato lo scrittore parlante e a dargli manforte c’è il ritorno dell’ex supercittì Davide Cassani. Come cittì non poteva vincere un mondiale senza la materia prima, ché a stento aveva la materia seconda, però ebbe il merito di sviluppare l’idea del suo predecessore Bettini di far correre a destra e a manca una composita nazionale italiana. Ma la cosa non stava bene alle squadre che, infatti, senza la nazionale in gara ugualmente non vincono, e al nuovo Presidente Imprenditore si dice che non stesse bene neanche l’impegno di Cassani a trovare sponsor, per cui senza tanti complimenti l’hanno mandato a casa per sostituirlo con un amico di Jovanotti. Però quando Cassani ha cercato sponsor per formare una squadra di prima fascia, ma va bene pure di seconda, non ne ha più trovati, e ha rinunciato anche a questo progetto, e ora eccolo qua. Il mio coetaneo è competente e appassionato e di sicuro non causerà abbiocchi, e dovrà pure destare l’interesse dei tifosi sciovinisti cui interessano solo le vittorie azzurre in un momento in cui il ciclismo italiano (maschile su strada) non è in buona salute, anzi è più pozzo che vivo. Ma il Davide nazionale ha una certa tendenza alla retorica, e immagino che, a beneficio dei più giovani, tornerà a raccontare la sua prima volta, la prima volta che è salito su una bici, la prima volta che ha assistito al passaggio del Giro, la prima gara, il primo Giro, la prima vittoria, ometterà solo la prima volta che ha letto negli ordini di arrivo un cognome inquietante: Van Sintmaartensdijk, e si sarà augurato che quello lì non facesse strada, per non parlare della prima volta che ha scoperto che in realtà sono due i fratelli Van Sintcoso. Ma prima o poi doveva succedere, e per una serie di sfortunati eventi, anzi di infortunati eventi, la Intermarché porterà al giro Roel van Sintmaartensdijk. A questo punto, piuttosto che augurarsi che si ritiri alla prima tappa, perché comunque dovranno darne notizia, o che faccia una corsa anonima, sarebbe opportuno che una persona sveglia, cioè Giada Borgato, vada a chiedere al diretto interessato, e le consiglierei di essere precisa e domandargli come si pronuncia il suo nome a beneficio del pubblico italiano, perché se gli chiede semplicemente come si chiama, il ragazzo di fronte a una tale richiesta da parte di una motocommentatrice di bella presenza potrebbe equivocare, ma poi in fondo questi non sarebbero affari nostri. Comunque possiamo concludere che l’olandese Van Sintmaartensdijk, anche se è arrivato nel World Tour, ha sbagliato mestiere, perché se era un eurocandidato poteva precisare “detto Roel” (“Giorgia” è già riservato).

Le diciottenni

Mentre i ciclisti sopravvissuti all’epidemia primaverile di cadute si preparano a cadere correre il Giro, le cicliste stanno disputando la Vuelta. La cronosquadre iniziale è stata vinta dalla Lidl-Trek nonostante una caduta che è stata la vera presentazione della squadra. Infatti nelle tappe successive, delle due capitane Elisa Longo Borghini ha dimostrato di sapersela cavare da sola mentre Gaia Realini avrebbe bisogno di aiuto, ma il problema è che pure le sue esperte compagne di squadra avrebbe bisogno di un tutore, dato che cadono spesso, e poi nella tappa ventosa di ieri non hanno neanche pensato di infilare delle pietre nelle tasche della minuta ciclista, che è già tanto che il vento non se la sia portata. Ma pure la SD Worx, lo squadrone più ricco e più forte e più bello, ha raccolto poco, beffate due volte dalle ragazze povere della EF. La EF femminile non è collegata alla squadra maschile che ha lo stesso nome, gli stessi colori, lo stesso modo di correre cioè all’attacco, anche senza criterio ma all’attacco, però gli uomini sono nel world tour e le donne no ma, coerentemente col fatto di essere la stessa squadra ma anche no, sono capaci di vincere tutto e il contrario di tutto. Ieri è toccato a Kristen Faulkner, la più costante della squadra, una 31enne arrivata al ciclismo di vertice con calma, e lunedì aveva vinto quella Alison Jackson che dopo improvvisa balletti esagitati, e ogni (rara) volta che vince ti chiedi come mai non l’ha fatto più spesso. Forse è giovane, una diciottenne? No, lei di diciottenni ne vale due, se non altro perché ha 36 anni. Infine martedì ha vinto una ciclista del Brabante a caso, nella volata finale la tivvù restringeva l’inquadratura frontale sulla favorita Charlotte Kool ma a entrambe sfuggiva Marianne Vos che è partita a razzo come fosse una fresca diciottenne. E in un certo senso compiva davvero 18 anni, 18 anni precisi dalla prima vittoria da élite su strada quando aveva 18 anni e nel ciclocross era già campionessa del mondo. Poi ieri, più che per vincere la tappa, ha corso per prendersi la maglia rossa di leader, pur sapendo che da oggi ci saranno le salite e dovrà lasciarla perché per lei le salite sono gare in salita, non sono più i tempi dei duelli con Emma Pooley e Mara Abbott, però lei è fatta così, vuol provare tutte le maglie, col rosso sta meglio, poi ritornerà al verde della classifica a punti, solo quella bianca delle giovani le è negata per una stupida formalità burocratica: l’età riportata sui documenti.

Il parente povero

Quando in una famiglia ci sono problemi non si pensa ad aiutare il parente povero, casomai ci si sfoga su di lui. Nei giorni scorsi è stato pubblicato il calendario della prossima Coppa del Mondo di ciclocross e si può dire che ormai è stato abbandonato il tentativo di inserire il cross nel programma delle olimpiadi fredde, perché è stata cancellata l’assurda e pericolosa prova di Vermiglio e in Italia non si correrà su un percorso collaudato, e ce ne sono di validi come Brugherio, ma a Oristano: boh. Ma il fatto è che Monsieur Le Président parla e tuona ma fuori dal suo mondo non conta niente, il comitato olimpico gli taglia prima il numero di gare e poi quello dei partecipanti, al contrario di quello che accade per atletica e nuoto, tanto che il cittì del suo paese Thomas Voeckler ha detto che a Parigi sarà una corsa diversa da tutte le altre (non sappiamo se dicendolo ha fatto pure le faccine buffe), quindi figuriamoci se si può pensare di aiutare il ciclocross. Però gli organizzatori della Coppa hanno rinunciato anche ai soldi: c’erano le gare negli USA che erano osteggiate dagli europei perché costituivano una trasferta costosa, così le hanno ridotte a due, poi a una, ora hanno eliminato pure quella vicino allo stabilimento della Trek e, curiosa coincidenza, la Trek ha annunciato che non sponsorizzerà più la squadra di Sven Nys. Però dicono che il ciclismo è in crisi, spariscono squadre e corse, ma le gare abbondano, al punto che, appena finite le classiche del nord, in questo weekend solo nella categoria élite ci sono state contemporaneamente cinque gare maschili e quattro femminili, e a una certa età è un problema raccapezzarvicisi, che già è un problema coniugare il verbo raccapezzarsi. Ma questo giovane Frank van den Broek dove ha vinto, in Turchia o nella Asturie? No, nelle Asturie hanno vinto quelli dell’UAE. Ah, ma non stavano correndo in Romandia? No, là ci stavano quelli più forti e infatti hanno perso. Ecco. Alla fine ci saranno pure tanti grandi campioni ma riescono a fare in modo di rimandare sempre il confronto diretto, e quando il mese scorso finalmente non potevano più evitarlo due maxicadute in pochi giorni hanno risolto il problema per quelle corse e per le successive. Ma, e qui torniamo al parente povero, Monsieur Le Président mai ha detto che bisogna fare in modo che tutti i big stradisti insieme appassionatamente corrano tutte le corse più importanti, invece quelli del ciclocross voleva precettarli. Quindi i multispecialisti devono riflettere sul loro futuro, perché nel ciclocross potrebbero avere il programma presidenziale obbligatorio e su strada correre dove ç@##o  gli pare.

Lotte Kopecky gioca al biliardo: si riposa dal ciclismo, spinge oltre la multidisciplinarietà o prevede che il biliardo nel programma olimpico sostituirà il ciclismo con la benedizione di Auro Bulbarelli?

Penuria di volpi

La Liegi-Bastogne-Liegi insieme al Lombardia è la classica più congeniale agli scalatori: dicono che sono le più dure ma Fiandre e Roubaix lo sono di più, solo che gli italiani hanno il mito degli scalatori e preferiscono le corse con le salite, anche se ormai di scalatori puri non ce ne sono più tanti, soprattutto in Italia, e infatti l’ultimo italiano a vincere la Liegi è stato Di Luca nel 2007. Poi ci sono i rimpianti per il secondo posto di Nibali nel 2012, alludendo al fatto che a batterlo, quando sembrava già vincitore, fu il meno scarso dei fratelli Iglinsky, che qualche anno dopo, quando di Nibali era compagno di squadra, fu trovato positivo. Ma allora mettiamoci d’accordo, perché anche il vincitore italiano del 2007 era un tipo molto positivo. E quindi c’è penuria di scalatori, ma neanche di volpi ce ne sono tante, Marianne lo è di nome e di fatto ma non è una scalatrice, quindi a Liegi c’è penuria di furbizia. Prendete la Israel: ha un problema diciamo di immagine, chi vorrebbe che fosse cassata come la Gazprom, chi ne omette il nome, chi spara minacce, dovrebbe cercare di rendersi simpatica, e invece a 100 km dal traguardo in una strada stretta cade una moto, il grosso del gruppo rimane bloccato per un minuto, e loro che si trovano in testa si mettono a tirare come se fossero all’ultimo km, spalleggiati dagli emiratini di Pogacar. Così le due più valide alternative allo sloveno, Van Der Poel e Pidcock, sono costretti a spendere energie nell’inseguimento, mentre Taddeo ha anche il vantaggio che il punto in cui è previsto il suo attacco è sulla Redoute a soli 35 km dall’arrivo, non a 80 come alle Strade Bianche. Il copione viene rispettato e la corsa praticamente finisce lì, cerca di seguirlo solo Carapaz, che a volte somiglia anche tatticamente a Chiappucci (e sappiamo che tattica e Chiappucci sono due termini in contraddizione), ma l’ecuadoriano rincula, e si trova anche il passaporto cambiato da quelli della RAI che gli fanno prendere d’ufficio la cittadinanza colombiana. Finisce così una stagione di classiche con troppi monologhi, in cui alla fine la più spettacolare, almeno nel finale, è stata la Città di Partenza di Turno-Sanremo.

Almeno nessuno si è fatto male.

Nella gara femminile la rivalità tra Lidl Trek e SD Worx finisce ancora una volta per condizionare la gara. Le due vincibili armate si guardano aspettando la mossa delle rivali, mettono due subcapitane nella fuga da lontano, una ex campionessa del mondo di ciclocross e la campionessa europea su strada in carica, che saranno le terzultime a staccarsi, mentre dietro nessuna si prende la responsabilità di fare la corsa. Solo gli scatti continui di Elisa Longo Borghini fanno rientrare le prime tre inseguitrici sulle prime tre fuggitive, ma questo avviene quando non ci sono più salite per provare a staccarle, e non è detto che ci sarebbero riuscite. E con “Miss Un Milione di Euro” Demi Vollering che non prende iniziative e Elisa 1 che insegue tutte quelle che ci provano, alla fine la volata la vince una fuggitiva della prima ora, la superpassistona australiana Grace Brown che qui aveva ottenuto già due secondi posti e aveva quasi vinto due anni fa, solo che allora davanti c’era Annemiek. Il ciclismo femminile finora si era distinto per maggiore spettacolarità ma, complice anche la serrata rivalità tra le due squadre più forti, di recente prevale sempre più il tatticismo. Demi Vollering difficilmente sarà l’erede di Van der Breggen o di Van Vleuten, ha scelto il momento sbagliato per chiedere quella cifra, e ha anche margini di peggioramento, mentre quelli di miglioramento li hanno Lotte Kopecky, soprattutto se si toglie la grande amica Demi dalle scatole, e Lorena Wiebes che l’altra domenica ha imparato una importante lezione. Longo Borghini è migliorata in volata ma non deve pensare di essere diventata la Wiebes, e infine c’è la Volpe, per la quale tutto quello che viene dovrebbe essere un di più, ma bisognerebbe sapere cosa ne pensa il suo Dio calvinista che le ha dato il dono.   

Grace Brown nel finale sbaglia una curva e calpesta un’aiuola, e in RAI dicono che è conseguenza della stanchezza: infatti.

La leggenda del bevitore di vinsanto

Sulle rive del fiume Merse senza la ypsilon c’era molta gente: chi si tuffava, chi pescava, chi prendeva il sole, chi aspettava di veder passare il cadavere del suo nemico. E sotto i ponti del fiume Merse senza la ypsilon c’erano i senza tetto, i senza documenti, i barboni, gli straccioni, gli zozzoni, i rifiuti umani, gli ubriaconi. Tra loro si aggirava un uomo paffuto ben curato e ben vestito, completamente fuori dal suo mondo, e quando il suo sguardo incrociò quello del noto ubriacone Gian Andrea Cartacci – noto perlomeno nel suo ambiente di beoni – gli si mise davanti come a volerlo bloccare. Cartacci gli chiese se era della polizia, e l’uomo pingue sorrise come a rassicurarlo e chiese a sua volta: Immagino che lei abbia bisogno di soldi. Mi dica di quanto ha bisogno. E l’ubriacone che non seguiva l’attualità e non sapeva niente del continuo aumento del costo della vita, anche perché beveva a scrocco, pensò una cifra senza capirne il potere d’acquisto e disse: Beh, penso che 100 euri potrebbero farmi comodo. E il grassone senza esitare tirò fuori dal portafoglio due banconote da 100 euro e le porse al barbone esclamando: Prendili, oggi è il mio giorno fortunato. Cartacci era abituato ad avere le idee confuse, purtuttavia si accorse che qualcosa non quadrava: Il suo giorno fortunato? Semmai è il mio, o c’è qualcosa che mi sfugge? E poi io, se non ricordo male, io sono un uomo d’onore e non so come restituirglieli. Mi dica come si chiama, dove abita. Il riccone si chiamava Gian Dante Grassocci, ma preferiva rimanere nell’anonimato, anche se la sua faccia rubiconda era difficile da dimenticare, e rispose al derelitto: Non si preoccupi, io sono stato toccato, colpito dalla grazia… . Ah, mi dispiace – lo interruppe Cartacci guardandolo bene in volto a cercare tracce di una ferita o di una contusione. Ma che cosa ha capito? – riprese Grassocci – ho avuto una visione, mi sono convertito, e se un giorno dovesse avere quella cifra la restituisca piuttosto alla cappella della Madonna sul Monte Santa Maria. E detto ciò svanì nella nebbia, anche se era una bella e ventilata giornata di sole. A Cartacci vennero velocemente in mente mille cose, no, sono troppe, facciamo 200 cose che avrebbe potuto fare con quei soldi, per cui si diede una rapida ripulita e andò in città. E quando arrivò in piazza e vide il Bar del Cencio e alcuni suoi amici cenciosi, sventolando una banconota, li invitò tutti a bere. Il suo miglior amico di bevute Gian Gustavo Tecci, non avendo mai visto tanti soldi tutti insieme, diede di gomito al suo compare Gian Cantuccio Borracci e alludendo all’inatteso benefattore disse: Abbiamo una banca! E quella volta non si festeggiò con cartoni di vino, ma con bottiglie di vinsanto, e si bevve fino a che il barista non cacciò tutti fuori a calci. Nell’aria fresca della notte ognuno si congedò frettolosamente e tornò sotto al suo ponte sul fiume Merse senza la ypsilon, solo Cartacci, rimasto solo e senza occhi interessati attorno, volle vedere quanti soldi gli rimanevano, ma era così ubriaco che vedeva doppio e invece di una banconota da 100 ne vedeva ancora due e pensò che quel bar era davvero economico. Poi si ricordò della promessa e pensò che quello che doveva fare, cioè una bella bevuta, l’aveva fatto e ora nulla gli impediva di riportare i soldi alla cappella di Maria. Così prese una bicicletta mezza rotta e arrugginita abbandonata vicino a un muro e barcollando zigzagando cadendo e rialzandosi pedalò sulle strade sterrate fino al Monte Santa Maria. Lì cercò la cappella della Madonna ma era ancora così ubriaco da vederla doppia, e si chiese a quale delle due doveva lasciare i soldi ma si rispose che in fondo era uguale. Il giorno dopo raccontò a tutti delle due cappelle a Nostra Signora e da allora quel luogo fu chiamato Monte Sante Marie.