La leggenda del bevitore di vinsanto

Sulle rive del fiume Merse senza la ypsilon c’era molta gente: chi si tuffava, chi pescava, chi prendeva il sole, chi aspettava di veder passare il cadavere del suo nemico. E sotto i ponti del fiume Merse senza la ypsilon c’erano i senza tetto, i senza documenti, i barboni, gli straccioni, gli zozzoni, i rifiuti umani, gli ubriaconi. Tra loro si aggirava un uomo paffuto ben curato e ben vestito, completamente fuori dal suo mondo, e quando il suo sguardo incrociò quello del noto ubriacone Gian Andrea Cartacci – noto perlomeno nel suo ambiente di beoni – gli si mise davanti come a volerlo bloccare. Cartacci gli chiese se era della polizia, e l’uomo pingue sorrise come a rassicurarlo e chiese a sua volta: Immagino che lei abbia bisogno di soldi. Mi dica di quanto ha bisogno. E l’ubriacone che non seguiva l’attualità e non sapeva niente del continuo aumento del costo della vita, anche perché beveva a scrocco, pensò una cifra senza capirne il potere d’acquisto e disse: Beh, penso che 100 euri potrebbero farmi comodo. E il grassone senza esitare tirò fuori dal portafoglio due banconote da 100 euro e le porse al barbone esclamando: Prendili, oggi è il mio giorno fortunato. Cartacci era abituato ad avere le idee confuse, purtuttavia si accorse che qualcosa non quadrava: Il suo giorno fortunato? Semmai è il mio, o c’è qualcosa che mi sfugge? E poi io, se non ricordo male, io sono un uomo d’onore e non so come restituirglieli. Mi dica come si chiama, dove abita. Il riccone si chiamava Gian Dante Grassocci, ma preferiva rimanere nell’anonimato, anche se la sua faccia rubiconda era difficile da dimenticare, e rispose al derelitto: Non si preoccupi, io sono stato toccato, colpito dalla grazia… . Ah, mi dispiace – lo interruppe Cartacci guardandolo bene in volto a cercare tracce di una ferita o di una contusione. Ma che cosa ha capito? – riprese Grassocci – ho avuto una visione, mi sono convertito, e se un giorno dovesse avere quella cifra la restituisca piuttosto alla cappella della Madonna sul Monte Santa Maria. E detto ciò svanì nella nebbia, anche se era una bella e ventilata giornata di sole. A Cartacci vennero velocemente in mente mille cose, no, sono troppe, facciamo 200 cose che avrebbe potuto fare con quei soldi, per cui si diede una rapida ripulita e andò in città. E quando arrivò in piazza e vide il Bar del Cencio e alcuni suoi amici cenciosi, sventolando una banconota, li invitò tutti a bere. Il suo miglior amico di bevute Gian Gustavo Tecci, non avendo mai visto tanti soldi tutti insieme, diede di gomito al suo compare Gian Cantuccio Borracci e alludendo all’inatteso benefattore disse: Abbiamo una banca! E quella volta non si festeggiò con cartoni di vino, ma con bottiglie di vinsanto, e si bevve fino a che il barista non cacciò tutti fuori a calci. Nell’aria fresca della notte ognuno si congedò frettolosamente e tornò sotto al suo ponte sul fiume Merse senza la ypsilon, solo Cartacci, rimasto solo e senza occhi interessati attorno, volle vedere quanti soldi gli rimanevano, ma era così ubriaco che vedeva doppio e invece di una banconota da 100 ne vedeva ancora due e pensò che quel bar era davvero economico. Poi si ricordò della promessa e pensò che quello che doveva fare, cioè una bella bevuta, l’aveva fatto e ora nulla gli impediva di riportare i soldi alla cappella di Maria. Così prese una bicicletta mezza rotta e arrugginita abbandonata vicino a un muro e barcollando zigzagando cadendo e rialzandosi pedalò sulle strade sterrate fino al Monte Santa Maria. Lì cercò la cappella della Madonna ma era ancora così ubriaco da vederla doppia, e si chiese a quale delle due doveva lasciare i soldi ma si rispose che in fondo era uguale. Il giorno dopo raccontò a tutti delle due cappelle a Nostra Signora e da allora quel luogo fu chiamato Monte Sante Marie.