Addio Super Tuck

Come era stato annunciato da tempo, terminano oggi le avventure di Super Tuck, il supereroe che non potendo gettare il cuore oltre l’ostacolo perché attaccato al cardiofrequenzimetro getta lo sterno oltre il manubrio. Il primo a interpretare Super Tuck è stato Matej Mohoric, seguito da Michal Kwiatkowski e Peter Sagan, ma la maggiore popolarità l’ha avuta con l’interpretazione di Chris Froome, a cui sono seguiti tanti altri, anche semplici caratteristi. Super Tuck è stato sconfitto dal suo acerrimo nemico, il villain David Lappartient nei panni di Monsieur Le Président, che l’ha messo in condizione di non nuocere, non tanto ai professionisti , ché di incidenti causati da quella postura non se ne ricordano, quanto ai giovani che lo emulano. Ed è qui che a guisa di fagiano parte la domanda: si tratta del solito autolesionismo del ciclismo (che sarebbe più corretto definire bicilesionismo) o è solo il suo pubblico a essere psicolabile e facilmente suggestionabile? Perché diversamente anche nell’automobilismo e nel motociclismo, per evitare emulazioni, dovrebbero mettere un limite di velocità di 70 km orari, anche 50 nei centri abitati come nel G.P. di Monaco. In realtà c’è pure un’altra cosa che mi chiedo: se Evenepoel fosse stato accucciato in quella posizione scendendo dalla Colma di Sormano sarebbe volato oltre il muretto?

La Zeriba Suonata – Jorja on my mind

La scena musicale odierna è deprimente, lo dicono in tanti e non posso smentirli io che non ne capisco. Sono andati per sempre i bei tempi di quando i mulini erano bianchi e i vinili erano neri. E meno male direi, perché ci sono talmente tante cose interessanti che non riesco a seguire tutto. A volte qualche nome mi sembra meritevole di attenzione ma faccio finta di niente, però prima o poi in un modo o nell’altro capita l’occasione, è successo di recente con gli Sleaford Moods e ora con Jorja Smith.

The One

Jorja Smith è inglese di padre giamaicano, il suo nome non è un vezzo tutto suo perché scopro che ci sono altre Jorje in giro per il mondo. Lei fa soul corretto con altri generi. Dice che era ossessionata da Amy Winehouse, ma dichiara anche altre passioni, oltre ad aver avuto una formazione classica, e come potete sentire è una cantante straordinaria.

Goodbyes

Poi non so se è una coincidenza o l’ha fatto apposta pensando al titolo del classico di Hoagy Carmichael famoso nell’interpretazione di Ray Charles, fatto sta che ha composto una canzone intitolata On My Mind, e avrei voluto proporvela in un’altra versione, perché in questo, che è il video originale, è circondata da brutti ceffì e si sente puzza di fumo anche attraverso lo schermo, ma pare che si tratta dei musicisti.

On My Mind

Abbinamenti

Ieri ho voluto comprare un fumettino di Zerocalcare di appena 20 pagine, ma il fascicoletto era un inserto de L’Espresso, settimanale illeggibile nel quale tocca vedere pure che l’ultima pagina che fu del placido Umberto Eco è ora affidata a una scrittrice odiatrice ma che sta dalla parte giusta quindi nessuno se ne lamenta. Pazienza, però nel cellophane c’è pure un libercolo di poesie di Pasolini, ve le leggete voi, ma non è ancora finita perché, non so se la domenica funziona così, in abbinamento c’è l’altrettanto illeggibile quotidiano La Repubblica, sul qualche ci sono 4 righe 4 sul ciclismo e il cruciverba di Bartezzaghi che se si risparmiava le definizioni sui capigruppo del PD era meglio, poi nient’altro da segnalare. Sono sprechi che forse possono permettersi perché hanno aiuti dallo Stato questi giornali che predicano in coro i tagli alla spesa pubblica. E forse predicano anche la riduzione degli imballaggi e delle confezione degli alimenti, per cui la carta dei giornali si può sprecare così ma se fai la spesa devi portare a casa biscotti o fette biscottate già sbriciolati. Poi ci sono abbinamenti come quelli che si sono verificati negli ultimi due weekend di corse del World Tour che fanno piacere perché vengono premiati quei team che hanno sia la squadra maschile che quella femminile: la settimana scorsa in Italia doppia vittoria della Trek-Segafredo e ieri alla Ghent-Wevelgem doppietta della Jumbo-Visma con Wout Van Aert, che ha battuto tre italiani che non hanno voluto azzardare il colpaccio da finisseur, e Marianne Vos nella cui collezione mancava questa corsa.

Racconti occulti – il Caffè letterario

Oggi si conclude la seconda stagione di racconti domenicali illustrati. Non voglio esagerare né scrivere niente di forzato e non posso dire se ci sarà una nuova stagione ma confido che manco me l’avreste chiesto.

Luc Cucul oltre che un nome palindromo era un giovane senza arte, ma con una parte che poi vedremo, cui piacevano le storie di artisti scrittori e poeti che facevano vita bohémien e si riunivano nei caffè e gli sarebbe piaciuto fare una vita del genere ma appunto non aveva arte, non era portato né per scrivere né per dipingere, però aveva una parte, o meglio l’ebbe quando morì il padre Merlot che aveva una bettola in cui si riunivano gli ubriaconi del quartiere e la ereditò come unico superstite della famiglia, dato che la madre Marsanne era morta di cirrosi epatica e la sorella Castagnette era fuggita in America con un hippy per vivere in una comunità di vegetariani. Luc appena entrò in possesso del locale ne chiuse le porte in faccia agli ubriaconi e lo rinnovò, perché se non era in grado di fare l’artista poeta scrittore avrebbe almeno creato un luogo in cui accogliere e frequentare quelli che lo erano, il fior fiore della cultura cittadina, e si immaginava che un giorno gli storici delle Lettere e delle Arti avrebbero raccontato la fervente attività in quel caffè, dove si declamavano poesie, si redigevano manifesti di rivoluzionarie avanguardie, si scrivevano versi o spartiti pure su tovaglioli nell’urgenza del momento, e per questo lui comprava tovaglie di carta buona anche per scriverci sopra. Col passaparola gli artisti o aspiranti tali si ritrovarono in quel caffè grazie anche all’ospitalità del proprietario che a volte offriva lui stesso da bere. C’era l’esule romanziere Dupov che stava scrivendo una saga familiare, un secolo intero visto attraverso le vicende di una famiglia di nobili decaduti, e diceva che gli mancavano solo 19 lustri per completarla. C’era il pittore Vidocchio che era molto religioso e diceva che con le sue opere voleva magnificare la bellezza del creato che per lui si manifestava soprattutto nelle donne nude, ma non aveva soldi per pagarsi le modelle, e poi c’era l’attore performer Slapesticq che voleva rompere con il teatro della parola, basta monologhi e dialoghi, cercava una fusione tra la danza e l’arte dei saltimbanchi che andava nobilitata, però ogni volta che entrava nel locale inciampava nel gradino all’ingresso, e si mostrava ben più atletica la cameriera Colombine che lo scansava facilmente quando lui cercava goffamente di saltarle addosso. Un po’ alla volta Cucul si accorse che i frequentatori del suo locale erano cialtroni debosciati fanfaroni fannulloni invidiosi millantatori pettegoli permalosi pervertiti presuntuosi sciagurati ubriaconi vanitosi ma soprattutto squattrinati: chi diceva di segnare anche se non aveva aperto un conto, chi prometteva di pagare ai primi incassi, chi pretendeva di pagare con una sua opera per la quale non si trovava un acquirente manco a pagarlo. In poco tempo Cucul andò in perdita e fu costretto a chiudere, senza rimpiangere la frequentazione di quei personaggi. Però gli venne un’idea per ricavare qualcosa da quell’esperienza, scrisse un libro di memorie in cui descriveva i vari personaggi le loro velleità e le loro meschinità, e quando lo completò lo propose a vari editori ma nessuno era interessato a pubblicarlo. Un giorno, uscendo dall’ennesimo editore, incontrò Colombine, la cameriera che aveva dovuto licenziare e che aveva lavorato in quel locale già con suo padre, e le chiese, dato che ai tempi non se n’era mai interessato, come facesse il vecchio Merlot a tirare avanti con quella attività, e Colombine gli rispose che gli ubriaconi clienti di suo padre pagavano, anzi a volte facevano a gara a chi dovesse offrire per tutti, per loro era una soddisfazione, un motivo d’orgoglio. Così Cucul la riassunse e trasformò il locale in una bettola dove accoglieva i clienti a parolacce ma quelli non facevano storie, semmai le raccontavano, delle balle clamorose e divertenti, che a lui sembravano migliori di quelle degli artisti, chissà se perché era davvero così o per reazione alla delusione che quelli gli avevano dato. Ma la sua vecchia aspirazione non era scomparsa e così gli venne l’idea di scrivere un libro su questi altri personaggi e le storie che raccontavano e quando lo finì iniziò di nuovo ad andare in giro per editori

Non era la Slovenia

Dopo il Tour dell’anno scorso conteso da due sloveni tutti esaltavano la Slovenia e Saronni che c’era stato diceva che lì ci sono gli investimenti e già dalla scuola vedono i ragazzi per quale disciplina sono portati. Chissà se si faceva così già quando a scuola ci andava Roglic perché il forte ciclista ha iniziato facendo salto con gli sci. E poi oltre Pogacar chi altro c’è? Giovani promettenti non mi pare, un talento inconcludente come Mohoric famoso più per un modo di andare in discesa che a giorni sarà bandito e qualche onesto ciclista che ogni tanto riesce pure a vincere. Ma non era la Slovenia che dovevano osservare, bisognava andare a vedere cosa succede in Danimarca, perché ormai ogni giorno c’è un danese che vince, a volte due, come pochi mesi fa quando due Pedersen vinsero due classiche nello stesso giorno. E vincono classiche e tappe, per ora non ancora i Grandi Giri ma per quelli potrebbe candidarsi il giovane Jonas Vingegaard che sta vincendo alla Coppi e Bartali. Può darsi che ora, come è già successo qualche anno fa con il boom degli inglesi, escano fuori i sospettoni che avranno pure la battuta troppo facile: c’è del marcio in Danimarca, contenti loro. Intanto ieri Kasper Asgreen, che non a caso è pure campione nazionale, ha fatto un’impresona all’E3 Prijs andando due volte in fuga e vincendo sulle stesse strade del Giro delle Fiandre, unica differenza oltre al chilometraggio è il fatto che qui affrontano prima il più breve Paterberg e poi il buon Vecchio Kwaremont, e secondo me è più micidiale la sequenza inversa.

Dante

Quest’anno si festeggiano i 700 anni dalla morte di Dante e ieri si è celebrato il Dantedì, per il quale non è stata scelta la data appunto della sua morte, che sarebbe stato troppo facile e banale tanto più per un paese rappresentato da un Presidente frizzante e sempre imprevedibile nei suoi discorsi, ma si è pensato alla data in cui secondo gli studiosi sarebbe iniziato il viaggio agli inferi, e diciamo che qui agli intellettuali e ai politici della cultura non manca la fantasia, casomai manca il senso del ridicolo. E mi chiedevo quanto conta il nome nella fortuna di un artista. Penso che per essere ricordato nei secoli e diventare “Sommo” un nome breve e facile da ricordare aiuta e Dante sta già messo meglio di Shakespeare per non parlare di Cervantes Saavedra, ma credo che sarebbe stato un problema se si fosse presentato come Alighieri Durante. Quel nome lì non so, mi sembra più adatto al teatro di rivista o all’avanspettacolo che però, essendo quelli tempi bui, non esistevano ancora.

Gemelli diversificati (mai in the sky)

I gemelli Adam e Simon Yates non si riesce a distinguerli, qualcuno scherzando diceva che nelle corse a tappe un giorno correva uno e un giorno l’altro, ma è capitato spesso che fossero impegnati in corse diverse. Eppure un modo per distinguerli c’era ed era facile, bastava che uno dei due cambiasse squadra ed è proprio quello che è successo quest’anno. Simon è rimasto nella Bike Exchange ex Mitchelton e Adam è andato a correre nella Ineos ex Sky. Eppure quando erano giovani e più promettenti i due britannici dicevano di non voler correre nel grande squadrone britannico, ma la Ineos avrà fatto un’offerta di quelle che non si possono rifiutare, e hanno ingaggiato il più concreto dei due mentre il più sbruffone è rimasto dov’era, e alla prima occasione in cui hanno corso l’uno contro l’altro, alla Volta a Catalunya, ha vinto Adam.

mix al quadrato

Il musicista Thurston Moore nel 2004 pubblicò un libro sui mixtape che nel 2008 fu tradotto in Italia da Isbn col titolo Mix Tape. L’arte della cultura delle musicassette. Il libro lo comprai perché mi incuriosiva e perché era un bell’oggetto, ma lo misi lì, in attesa di essere letto come tanti altri, e nelle mie letture non si rispetta la fila perché ci sono libri che arrivano freschi freschi e scavalcano tutti gli altri ma nessuno gli dice niente. Comunque al tempo le cassette già non le consideravo più e ancora oggi stento a capire la nostalgia verso questi oggettini precari, forse in realtà è più verso l’atto della diciamo creazione di compilazioni spesso realizzate con secondi fini, e, dicevo, già mi erano rimaste pochissime musicassette, e quelle che non mi riusciva di trovare in originale su cd me le feci riversare, e i mixtapes, quasi soltanto registrazioni dalla radio, erano già andati. Poi di recente c’è stato un post sul blog myspiace che ne affrontava l’aspetto grafologico e che mi ha fatto ricordare di quel libro neanche nascosto o sepolto sotto altri, poi ho riascoltato un po’ di cose della gioventù sonica, e qui apro una parentesi veloce: mi chiedo cosa ascoltavano prima quelli che hanno avuto una Rivelazione con i Nirvana, forse lo Zecchino d’Oro, chiusa parentesi. Insomma mi sono letto il libro che non ci vuole neanche molto, di cui Thurston Moore ha scritto l’introduzione e un breve elogio dell’analogico, per il resto ci sono interventi di vari artisti e musicisti con le foto e brevi ricordi di cassette scambiate, per cui si può dire che anche il libro è un mix. Trattandosi di artisti poi capitava che le copertine fossero illustrate. Anche Moore e i suoi amici compilatori, come pure Paolo Plinio Albera su myspiace, dicono che spesso le cassette erano un mezzo, spesso miserello e destinato all’insuccesso, per tentare di conquistare qualcuno/a ma erano anche strumento di scambio di informazioni tra appassionati, e alla fine viene fuori soprattutto la passione per la musica, e a vedere le liste di brani dei vari mixtapes si nota la quantità e la varietà dei nomi, e dato che sono soprattutto americani e inglesi più qualche tedesco o australiano i personaggi coinvolti mi ha sorpreso trovarvi anche una canzone di Claudio Rocchi. E secondo me proprio per questo motivo il libro dovrebbero leggerlo quelli per i quali sembra che la storia della musica sia stata fatta solo da una decina di nomi, geni veri o presunti, e tutti gli altri fanno massa degna neanche di considerazione, e ce ne sono persone che la pensano così, tra i bloggers e nei giornali di rock classico, e probabilmente non si sognerebbero mai di mettere in quell’Olimpo il nome che invece più ricorre in quelle tracklist, da solo o con il suo gruppo, cioè ??? .

La Zeriba Suonata – ne vale la pena

Qualche settimana fa a proposito della casuale scoperta di Mitski scrissi che in realtà cercavo notizie su Frances Forever e che ne avrei parlato se ritenevo che ne valesse la pena. Anche se FF si è accasata con l’etichetta Mom+Pop non si parla ancora di un disco d’esordio, ma dato che da quei pochi pezzi che si possono ascoltare in giro su internet direi che ne vale la pena eccome, ve la propongo subito senza perdere tempo ad aspettare altro. Frances Forever è la ventenne Frances Garrett dal Massachusetts circondata da musicisti e coriste sciagurati come lei, fa una musica poppissima, tipo gli Stereolab senza la parte motorika, sembra il ritorno dei favolosi anni zero di quei gruppi casinisti e scanzonati e pure poco attenti al look che facevano un pop tutto loro e dei bei video anche animati ma con un’animazione non sofisticata, insomma gente come Architecture in Helsinki, Tilly And The Wall, The Pipettes o Peter Bjorn & John, che incidevano per etichette raggruppate sotto la sigla Coop poi PIAS e che sembravano interessati soprattutto a fare la loro cosa divertendosi. Ma non sono questi i suoi riferimenti, perché il nome d’arte scelto è proprio derivato dalla canzone Francis Forever di Mitski, ma lei ritiene troppo complessa la musica della cantante nippoamericana, e però non è una dilettante, avendo studiato canto corale. E proprio i coretti sono uno dei punti forti di Frances Forever come si può sentire nella versione live di Space Girl, nella quale in versione acustica non perdono niente e sono bravissime anche le due coriste che all’inizio sembra che stiano lì per decorazione. Ma di questo brano vi consiglio anche il video ufficiale dove i colori primari risaltano sul bianco della neve. Frances dice di scrivere canzoni anche per terapia, i testi sono tristi o ironici, ad esempio nella canzone della ragazza spaziale lei che si definisce pansessuale prende in giro i queer che su internet sembrano pensare solo in termini astrologici, ma la musica è sempre allegra, anche quando piangono in auto o mandano qualcuno a fare in cuore, come direbbero i ligabovari.

Umarell part-time

Non c’è bisogno di essere vecchi per fare gli umarell. C’è un giornalista televisivo che ha scritto un libro in cui dice che in Italia ci sono 5 milioni di italiani che lavorano e tirano la carretta e gli altri sono scrocconi, cioè prendono bonus e sussidi vari, e come esempio di poca voglia di lavorare ha parlato di un posto di responsabile di stalla a 3.000 euro al mese che nessuno vuole, ma qui la colpa è della scuola che insegna Dante invece della cura di equini e bovini. Dai calcoli l’autore dice di aver tolto soltanto gli under 20 e gli over 65, quindi tra gli scrocconi ha contato pure gli invalidi, pure quelli che stanno attaccati ai macchinari. La prima impressione è che questa indagine farebbe rivalutare pure gli studi della CGIA di Mestre che sono leggerissimamente di parte, ma almeno di questo il telegiornalista non può essere accusato, perché lavora per una tivvù che si augura che ci siano molti sfaccendati  che abbiano tempo da perdere a guardare altri sfaccendati più o meno VIP, accasati o isolati.