La Festa della Divisione

Quando c’è un giorno di festa non guardo per il sottile, la cosa più importante è che non si lavora e mi dispiace per chi non può partecipare, come i dipendenti dei musei che devono sostenere le meravigliose sorti e progressive della gloriosa filiera ristoratrice-lavatrice-turistico-alberghiera, e non sarà un caso che non c’è più nessuno che si lamenta dei ponti e del calo di produzione o brunettate simili. Però della festa odierna mi chiedo che senso abbia ormai: con un governo non antifascista e le pattuite ingerenze nelle cose italiane di un paese estero ma non abbastanza, non capisco da chi ci saremmo liberati. E mi sembrano assurdi i discorsi su una ipotetica memoria condivisa, come se un gruppo di esperti dovesse decidere che cosa la gente deve ricordare; e allora dovremmo auspicare anche una memoria condivisa tra ladro e derubato e tra violentata e stupratore e tra cadavere e assassino? Ma neanche tra chi paga le tasse e chi le rottama o le evade o rottama quel poco che non è riuscito a evadere. Non bastasse il politicamente corretto ora si è aggiunta la paranoia sulle scelte e le altre cosucce cosiddette divisive. Si dice che ormai diamo per scontate cose come libertà e democrazia che non lo erano, non lo sono in altri paesi, e potrebbero non esserlo più neanche qui, e il brutto è che la volta in cui mi sembra che siamo stati più vicini a qualcosa che ricorda la dittatura non è stato in occasione di maldestre censure all’intellettuale spocchioso e vittim(ist)a di turno, tanto più ora che il divieto di esprimere un parere diverso o di esistere se si viene dal paese sbagliato è applicato dovunque dalle università ai luoghi di lavoro, ma quando è stato chiuso in casa tutto il paese, è stata imposta una misura sanitaria pena il licenziamento, e l’atteggiamento di molte persone ha fatto pensare che in Italia la STASI avrebbe reclutato molte più spie che nella DDR.