Aria fresca di montagna

I principali investimenti nel ciclismo sono quelli effettuati dagli automobilisti, e non solo in Italia. Forse mi sbaglio ma il futuro di questo sport lo vedo soprattutto nel fuoristrada, meno nei velodromi perché lì non si rischia di finire sotto un’auto ma sotto una catasta di biciclette sì. E forse continuo a sbagliarmi ma il ciclismo su strade asfaltate un giorno potrebbe diventare una specie di sport estremo. Però già ora allargare lo sguardo a tutte le specialità del ciclismo potrebbe fare bene a tutti quegli italiani che seguono solo uomini su strada e non vedendo risultati dei connazionali bofonchiano sui social e dicono che il ciclismo in Italia è finito, basta, non ne parliamo più.

Anche nel fuoristrada ci sono scelte discutibili dell’UCI, per esempio quest’anno in tre weekend consecutivi, in pratica due settimane, si disputano Europei, Mondiali e prova finale di Coppa del Mondo. Non so come l’abbiano presa i bikers, insomma ognuno a modo suo, qualcuno avrà gradito per programmare un unico picco di forma, qualcun altro ha saltato gli europei. Nella mtb, almeno nelle grandi manifestazioni, si vedono scene che non si vedono negli altri sport, e neanche nelle altre discipline in bicicletta. Nella discesa (downhill) i tre provvisoriamente in testa si siedono sulla hot-seat ma fungono anche da comitato d’accoglienza per quelli che scendono successivamente e a ogni nuovo arrivo saltano giù dal podio e vanno a congratularsi a prescindere dal risultato. Nel cross country invece all’arrivo festeggiano tutti o quasi, non si sbattono i pugni sul manubrio, non si mette il dito davanti alla bocca a zittire chissà chi. E ciò non è dovuto solo all’aria fresca di montagna che ripulisce il cervello, accade anche quando il circuito è cittadino come al Parco di Monaco.

I mondiali quest’anno si sono disputati a Les Gets che nella stagione fredda funge da stazione sciistica, insomma i residenti vivono perennemente con qualcuno che gli sfreccia sotto il naso, come la giovane austriaca Valentina Höll e il giovane veterano francese Loïc Bruni che hanno vinto nel downhill, mentre Pauline Ferrand-Prévot ha dominato sia nella nuova specialità dello short track che nel più prestigioso cross country, quello diciamo olimpico. In questi giorni di matrimoni divini possiamo dire che altri sport non solo alimentano il gossip, ma vedono psicodrammi causati da relazioni sentimentali o familiari, come la vicenda del saltatore con mezza barba che non voleva più essere allenato dal padre. Paolina invece l’anno scorso si è lasciata con Julien Absalon, con cui aveva perfino prospettato il matrimonio, ma è rimasta tranquillamente nella sua squadra, e del resto l’ex campione dove la trova un’altra così? A 22-23 anni sembrava destinata a diventare una quasi-Vos, contemporaneamente iridata nella mtb nel ciclocross e su strada, le mancava solo la pista, ma anche lei ha avuto vari problemi fisici e ha progressivamente abbandonato prima la strada, in cui si contendeva con Lizzie Deignan il titolo di treccina più forte del gruppo, e poi il ciclocross dopo un infortunio causatole dall’allora pasticciona Jolanda Neff, la quale è stata seconda in questo mondiale ma più spettacolare in gara. In queste settimane concentrate si è scatenata, ha perso l’Europeo solo per un problema meccanico e ha prestato il titolo di Regina a Loana Lecomte, ma dopo una settimana se lo è ripreso. E così solo nel cross country ha vinto finora 4 mondiali cui aggiungere quello nello short track e uno in passato nella marathon, ché lei non discrimina i chilometraggi.

Lo storico e più giovane rivale di Absalon, lo svizzero Nino Schurter, è ancora in sella, di titoli mondiali ne ha vinti 9, ma ora è finita la pacchia perché c’è il fenomeno. E sì, il guascone Tom Pidcock quest’anno si è posto l’obiettivo di vincere tre mondiali come Pauline, quello del ciclocross è già fatto, e alcuni commentatori parlavano come se ci fosse solo da attendere, e del resto se il fenomeno si è posto questo obiettivo lo centrerà. Così, fidando solo sulla sua fenomenologia, avendo gareggiato poco e ottenuto pochi punti, Pidcock parte dalle ultime file e consuma molte energie per riportarsi in testa alla corsa, ma a un certo punto inizia a pagare lo sforzo e inoltre si fissa con un albero lungo il percorso, come se volesse spostarlo, e lì perde secondi. Schurter non si scompone, lui avrebbe potuto fare il fenomeno, quando si è improvvisato stradista è andato discretamente, ma parliamo di “fenomeno” come lo intendono gli “stradacentrici”, perché, se vogliamo andare a sottilizzare, su strada è facile – si fa per dire – impennare in salita quando si è staccati, ma mettersi a whippare quando si corre per la medaglia, come hanno fatto Nino e Luca Braidot, non è da tutti, e poi lui si è concentrato sulla mtb e conosce tutti i trucchi del mestiere, e a Les Gets riesce a stroncare anche il resistente spagnolo Valero Serrano che, arrivato secondo al traguardo, fa segno al vincitore che non ne aveva più e forse aggiunge te possino ammazza’. Da parte sua Schurter festeggia come un ragazzino e, nonostante i precedenti 9 titoli, sembra non riuscire a credere a quello che fatto, e in fondo è la prima volta che vince il decimo mondiale.

Per il ciclismo italiano, che fuori dalle strade asfaltate non è finito, è stata un’importante edizione dei campionati, con l’oro di Simone Avondetto tra gli under 23, un argento nella staffetta e due bronzi con Luca Braidot (finalmente) e il discesista under 23 Cappello, ma è stata anche la prima volta senza Eva Lechner. La 37enne altoatesina non è stata convocata ma non si è persa d’animo, si è buttata su una novità (relativa) del fuoristrada partecipando a una prova di qualificazione per il primo mondiale gravel (cioè sugli sterrati) e ha vinto, e dire che c’è gente della sua età che usa l’espressione “ai miei tempi”.

Dopo le polemiche olimpiche Jolanda e Pauline riconciliate.