Romanzo recriminale

23 giorni sono lunghi e possono succedere tante cose. Tanti girini sono tornati a casa per malattie varie o per infortuni, ma una cosa del genere può capitare anche a qualcuno del seguito. Giovedì, per esempio, mi sono chiesto se il regista della trasmissione, che ora non si capisce cosa dipende dalla società che produce le immagini e cosa dalla subregia RAI, fosse lo stesso degli altri giorni o non fosse stato sostituito dal regista delle jene o di qualche altro programma dello stesso (basso) livello. Il francese Thomas Champion – nomen non omen – doveva buttare la borraccia e ha cercato di farla rotolare piano per terra verso alcuni spettatori, ma in quel momento sopraggiungeva Luke Plapp che l’ha presa sotto la ruota e ha rischiato di cadere, ma è rimasto in piedi nel senso delle ruote, Champion si è scusato, può succedere, nessuno si è fatto male, chiusa lì. No, perché la regia ha mandato quasi in loop le immagini del (mancato) incidente e addirittura una moto ripresa ha facilmente raggiunto Champion che era in coda al gruppo, l’ha inquadrato e in sovrimpressione è comparso il suo nome. Quando il francese se n’è accorto si è piacevolmente meravigliato: “che bello – avrà pensato – non ho avuto risultati ma si sono ricordati di me”, e ha salutato sorridendo, ma non sapeva che in realtà la regia lo stava mettendo alla gogna mediatica. E questo è stato l’episodio più elettrizzante della tappa, in cui c’è stata la solita scaletta fuga-ricongiungimento-volatona. Ha vinto Tim Merlier, che per la prima volta ha vinto due tappe in un grande giro nonostante in inverno abbia corso 4 cross oltre alle gare sulla spiaggia, ma poi qualcuno dirà che lui non rischia di essere selezionato per mondiali e olimpiadi e può sprecare energie con le multidiscipline, e la cosa curiosa è che tutti, gli sconfitti e pure il vincitore, hanno recriminato per qualcosa: chi è partito troppo tardi, chi è partito troppo presto, chi è partito dal lato sbagliato, chi non è proprio partito, chi ha perso i compagni di squadra, chi ha perso la bicicletta, chi ha perso la cognizione del tempo, chi non sapeva dove si trovasse. Beh, si trovava a Prato della Valle, la piazza di Padova di cui si è parlato qualche tempo fa anche per la faccenda delle 78 statue che raffigurano solo uomini, ma niente paura, perché se vogliono rispettare le quote rosa ed erigere qualche statua a illustri concittadine possono iniziare da Giada Borgato, che è stata salutata da tanti cartelli. E’ vero che c’erano pure quelli per lo scrittore parlante e, contro tutti i pronostici, pure elogiativi (speriamo che vengano identificati gli autori), semmai il problema deve porselo Stefano Rizzato, che nonostante sia pure lui padovano non ha trovato neanche un cartellino, neanche uno indiretto con la scritta: “Stefano, per piacere, puoi prendere il microfono di Genovesi e strada facendo buttarlo in qualche scarpata?”

ça va, Champion?

Ma torniamo a Champion, anzi alle squadre francesi, che sono criticate perché vengono al giro ma solo per obbligo, non gliene frega niente, e meno male altrimenti chissà quante altre tappe avrebbero vinto. Eppure ingaggiano quei ciclisti italiani che qui hanno difficoltà a passare professionisti, oppure li portano nel world tour. E’ il caso di Andrea Vendrame, passato prof grazie a una segnalazione di Cassani che poi si è dovuto correggere e darne il merito a Michele Bartoli, risorsa sprecata del ciclismo italiano. Vendrame ieri è tornato a vincere una tappa dopo 3 anni, ma quando era dilettante non si trovava nessuno che volesse investire su di lui, a parte le auto. In un incidente sfondò il vetro di un’auto ed ebbe decine di punti di sutura in faccia per cui lo chiamano Joker. Purtroppo la sua vittoria è arrivata in una di quelle giornate in cui Fabretti si gasa da solo e, con la caratteristica proprietà di linguaggio della RAI, il conduttore ha detto che Vendrame fu sfigurato, ma era ancora niente in confronto a quello che toccava a Gerainthomas. Il vecchio gallese, che in carriera è caduto spesso e volentieri, a 6 km dall’arrivo si è girato e ha urtato la ruota di Tiberi che gli era davanti ed è caduto. Lui stesso l’ha definito un errore stupido, ma Fabretti ha detto che per un corridore esperto è un errore imperdonabile, Garzelli cercava di calmarlo dicendo che può succedere, ma lui incalzava aggiungendo che poteva far cadere Tiberi, poteva fargli male, poteva troncargli la carriera, e se non ci fossero state interviste da fare, la caduta di Thomas avrebbe potuto pure scatenare un conflitto mondiale. Ieri si è arrivati a Sappada e si è ricordato per l’ennesima volta il “tradimento” di Roche ai danni di Visentini, ma si è anche riproposto il paradosso di Manzoni, perché erano 27 anni dalla caduta di Pantani a causa di un gatto e quindi quella volta le attenzioni erano tutte per Pantani mentre Mario Manzoni vinceva la tappa, per cui quella sarebbe stata una delle vittorie più ignorate nella storia del giro. Solo che, tra quelle recenti, la vittoria di Nicola Boem la ricorda solo Marangoni, quella di Marco Canola la dimenticò per prima la sua squadra che non lo confermò per l’anno successivo, e pure quella rocambolesca di Damiano Cima già nessuno la ricorda più, ma quella di Manzoni ce la ricordano continuamente quando ci dicono che nessuno se ne ricorda, e questo perché gran parte del giornalismo è fatto della stessa materia di cui è fatta la più famosa opera di Manzoni quello vero, Piero.