Siamo vinti il Giro d’Italia

Sinite parvulos

Chiedono cos’ha il Tour che il Giro non abbia e poi lo scimmiottano. Non è obbligatorio finire nella capitale 1 o nella capitale 2, però vogliono fare come il Tour senza avere i Campi Elisi e in verità forse neanche i cittadini consenzienti, perché nelle grandi città è difficile distinguerli dai turisti. E vogliono anche disputare l’ultima tappa a migliaia di km di distanza dalla penultima senza avere il TGV. E quell’ultima tappa vogliono finirla al tramonto senza avere la certezza di stare entro i rigidi tempi della RAI. Quindi sabato siamo al confine e Pogacar chiama a raccolta i tifosi sloveni. Si scala due volte il Monte Grappa e quanto è dura la tappa ce lo spiega Giada Borgato dicendo che Gerainthomas compie 38 anni ma con una tappa così dura probabilmente ne compirà direttamente 40. Pogacar annuncia l’impresa e la squadra tiene a bada la fuga, al secondo Grappa a un certo punto il capitano parlotta col suo fido Majka e Cassani ci dice che Tadej ha chiesto a Rafal se ne aveva ancora per tirare, e i casi sono due: o Cassani ha letto il labiale, ma Pogi non parla italiano, oppure è lui che scrive i dialoghi del Giro. Qualsiasi cosa si siano detti Pogacar attacca, in poco tempo raggiunge l’ultimo fuggitivo, Pellizzari ancora tu? E da quel momento i suoi unici avversari saranno i tifosi. Lungo le salite di una sola tappa di un grande giro ci sono più esseri mostruosi, deficienti, esibizionisti e psicopatici che in intere annate delle trasmissioni di Paolo Bonolis, solo che quest’ultimo ha tutto l’agio di castigare ridendo la loro voglia di apparire e la loro presunzione, mentre Taddeo è istintivo e li manda direttamente a quel paese. In quel lombrosario c’è anche un tipo, visto pure gli anni scorsi, che corre a fianco o dietro ai corridori con in braccio una volpe che sembra più impagliata che finta e dubito sia un tifoso di Marianna Volpe. Quando il peggio è passato si verifica un episodio che ha suscitato commozione generale per tutti i gusti, una commozione spontanea per gli spettatori passionali e cerebrale per quelli freddi. Un bambino con la maglia degli astani corre a fianco di Pogacar, che già aveva dato un 5 a un altro bambino, e che ora si fa passare una borraccia per darla a quest’altro impiastro. Tadej avrà pensato coscienziosamente che era meglio se gliela dava lui una borraccia, perché se la chiedeva ai qazaqi poteva trovarci dentro la vodka, ma così ha anche coronato il sogno di quel bambino di avere tra 10 anni qualcosa da vendere su ebay. Taddeo all’arrivo di Bassano fa la passerella con inchino finale, le altre posizioni sono rimaste immutate per i primi 6 posti, tutto tranquillo, torniamo a casa, no, c’è Fabretti che si deve lamentare di Dani Martinez perché dice che non lo ha entusiasmato, non gli ha lasciato niente. Il colombiano, che è stato l’unico a provare a restare attaccato al dominatore quando scattava e che tre anni fa fu importantissimo per la vittoria di Bernal, per la prima volta sale su un grande podio, ma ha dimenticato di lasciare qualcosa a Fabretti: dài Dani, due euri bastano. Nel dopo gara è stato intervistato anche Majka e ha detto cose interessanti, prima esultando: “Siamo vinti il Giro d’Italia”, con ciò dimostrando di parlare italiano meglio di Garzelli, e poi rivelando che con Pogacar discutevano di come scremare il gruppo di testa, quindi non era come pensava Cassani, che nella sua seconda vita da commentatore si sta rovinando la reputazione. Bisogna dire che però Pogacar ha creato due pericolosi precedenti, perché possiamo immaginare che in futuro sulle salite sarà pieno di ragazzini che chiedono il cinque, la borraccia, gli occhiali, la maglia rosa, il casco, la sella, però non tutti sono come Taddeo e non sempre c’è un dominatore così netto che può permettersi di perdere tempo con i mocciosi. Roglic il cattivo, probabilmente, al suo posto in dialetto sloveno direbbe: Regazzi’, spostati, famme lavora’. Poi il cinque lasciatelo al fuoristrada, dove comunque lo si chiede anche in momenti inopportuni, come quando il crossista o il biker è impegnato in volata. Ma Pogi, che all’inizio era seccato da tutti gli obblighi legati alla maglia rosa, ha detto che quando tutto questo finirà gli mancherà.

Dai, si scherzava, lasciate pure che i pargoli vadano da Pogacar, piuttosto che dai preti pedofili.

Non c’è obiettività sugli obiettivi

Intanto, ora che è finito il Giro, a noi non mancheranno la sigla di Jovanotti, la cattiva letteratura dello scrittore buonista, le presentazioni e le lamentele di Fabretti e soprattutto le tante polemiche inopportune. I commentatori italiani cambiano parere a seconda della convenienza, basti pensare alla “giusta” dose di cronometro, quando c’era Indurain bisognava ridurle e vallonarle, ora che c’è Ganna, almeno per le vittorie di tappa, vanno allungate e appiattite. E c’è da sperare che Pogacar vinca pure il Tour così da non sentire più che l’ultima doppietta resta quella di Pantani, e viste le condizioni di Vingegaard dovrebbe essere meno difficile. Ma, a proposito proprio del danese che viene criticato perché si pone pochi obiettivi per stagione, i commentatori ondivaghi dovrebbero ricordarsi che il sempre elogiato e rimpianto Pantani, come Indurain Armstrong e Vingegaard e al contrario di Pogacar e Nibali, nelle classiche in linea non ha mai fatto granché. Ma poi anche questi distinguo sono una peculiarità del ciclismo: l’altra sera ho dato un’occhiata a un meeting della Diamond League e una ottocentista scozzese ha ottenuto un ottimo tempo. Franco Bragagna, quello che non volle seguire il ciclismo perché c’erano troppo casi di doping e preferisce sport pulitissimi come atletica e sci di fondo (che sembra una barzelletta), ha commentato che volendo cercare il pelo nell’uovo quel tempo è stato ottenuto troppo presto, intendendo rispetto alle olimpiadi. Insomma in altri sport è normale normalissimo anzi doveroso avere un solo obiettivo all’anno, o un obiettivo ogni 2/3 anni come il sempre incensato Marcell Jacobs, invece nel ciclismo se ne vinci uno e buono ti schifano. E allora via con l’ultima tappa, con la partenza dall’EUR dove c’è più spazio e sarebbe meglio mettere l’arrivo, c’è la spasserella con foto brindisi e presenzialisti di seconda fascia: il Sindaco dell’EUR e qualche ministrino, perché il Presidente era venuto l’anno scorso e ha già dato. Si va verso il mare a mostra’ le chiappe chiare, o abrase dalle scivolate, e poi si fa inversione e si torna in centro dove c’è una variazione sul tema: in genere al primo passaggio sul traguardo sfila in testa la squadra della maglia rosa (o gialla o rossa), ma quest’anno lasciano l’onore a Pozzovivo, 42 anni 19 giri 178 fratture, e ciò significa che per lui è davvero l’ultimo e siamo contenti, come già per Van Vleuten che lasciò alla stessa età e con altrettante fratture, perché ha smesso di sfracellarsi. Poi la solita gara, fuga disperata, ricongiungimento, e il colpo di scena con Milan che ai meno 9 ha un problema meccanico e perde tempo ad aspettare l’ammiraglia bloccata nel traffico capitolino. Milan rimonta dietro le macchine, ben inquadrato dal regista delle jene, e il primo compagno che trova è l’infaticabile Ghebreigzabhier, che è andato in fuga sulle salite e ha tirato in pianura, eppure il suo rinnovo è stato l’ultimissimo movimento del mercato della sua squadra, che non a caso si è lasciata scappare Elisa 1. Milan ritorna davanti in tempo per lo sprint, l’impressione è che la squadra faccia confusione, ma la volata sui sampietrini è l’ideale per Tim Merlier, che ha vinto la Nokere Koerse con volata finale sul pavé praticamente per distacco, e che porta a tre le sue vittorie e a quattro quelle della squadra di Lefevere, che sembrava in crisi e invece l’unico team che ha vinto più tappe è stato Pogacar. Milan è stato sfortunato e Fabretti, convinto che senza quel problema avrebbe vinto, di sua iniziativa gli assegna mezza vittoria, ma poteva andargli meglio perché in passato Beppeconti assegnava le vittorie morali, si vede che stavolta non ne aveva in dotazione. Chissà che l’incidente di Milan e quello precedente di Storer che ha rischiato il decimo posto in classifica non facciano cambiare idea agli organizzatori sull’idea fissa della tappa romana fissa, e sì, è suggestivo il percorso, con il Circo Massimo dove, come ci tiene a ricordarci Cassani, ci sarà un concerto di Attila Jovanotti, ma si rischia. Gran finale con premiazioni sullo sfondo di quello che resta del Colosseo saccheggiato dai Cardinali, e, per la giornata mondiale dei bambini, sul podio il terzo Gerainthomas porta la figlia mentre a Martinez secondo ne spettano due. E in contemporanea elogi senza freni, la discussione oziosa per eccellenza è stata quella sul paragone tra Pogacar e Merckx, e l’esuberante Cassani supera tutti paragonando il vincitore a Merckx Gimondi Hinault e Nibali. Alla fine resta da consegnare il trofeo senza fine ma si attende, si vede Pogacar che allarga le braccia come a chiedere cosa aspettano, e dopo un po’ a consegnare il trofeo a Tadej detto Tadej arriva nientemeno Giorgia detta Giorgia nota anche per la sua puntualità. Chiude lo scrittore parlante ricordando che quando era bambino e finiva il giro lo zio per consolarlo del grave lutto gli portava un gelato da un chilo, oggi che i tempi sono cambiati gli spettatori stappano lo spumante.  

E’ stata solo una corsa di bici, se vi è piaciuta bene, altrimenti sul 64 c’è il padel e sul 151 l’ippica. La Zeriba Illustrata plaude a tutti, compreso l’ultimo Alan Riou. Ma una piccola delusione è stato Roel van Sintmaartensdijk, da cui ci aspettavamo almeno una fuga, ma dalla partenza, in modo che tutti fossero costretti a pronunciarne il nome, compreso Andrea De Luca per il quale sembra che la corretta pronuncia di un cognome sia una resa agli intellettuali radical chic.