MisundersTour – un racconto

Oggi accendo il computer e come doodle di google trovo Nelson Mandela. Non so cosa ricorra e manco vado a verificare. Rispetto il personaggio più per gli anni di galera fatti, meno per essere stato uomo politico, che io gli uomini politici li guardo tutti con sospetto senza discriminazione. Poi per il fatto di essere stato pretesto per gruppi rock ruffiani non diamo la colpa a lui. E possiamo anche pensare che senza Mandela oggi in gruppo non ci sarebbe la MTN. Però oggi sono i 100 anni dalla nascita di Bartali. E allora, a supplire alle mancanze di google, metto qui un raccontino pubblicato altrove nell’estate del 2011, e scritto poco prima della grande fuga con annessa vittoria al Galibier di Andy Schleck. L’unico periodo coraggioso dell’allora pupillo di Alessandra De Stefano. Si, il racconto parla dei fratelloni lussemburghesi allora in auge. E allora che c’entra Bartali? Un po’ di pazienza: compare alla fine, quasi in un cameo.

Il destino tragico dei fratelli Schleck.

Al Tour de France del 2012 successe che gli organizzatori pensarono bene che, se la selezione non riusciva a farla il percorso, la si poteva benissimo fare in altra maniera, ad esempio incentivando l’investimento dei concorrenti da parte di auto e moto al seguito, già sperimentato con successo l’anno precedente. In quel Tour del ’12 i fratelli Schleck avevano ottenuto una speciale deroga per poter correre in tandem, alternandosi alla guida, anche durante la stessa tappa. Inutile dire che quel loro veicolo più lungo degli altri era un bersaglio troppo facile e appetibile per piloti e motociclisti. A travolgere il tandem lussemburghese fu un SUV, ufficialmente adibito al trasporto dei VIP a cui non frega niente della corsa, ma data la sua importanza vogliono presenziare per farsi un altro po’ di pubblicità, un’altra quindicina di minutini di fama, che non guasta mai. E così, contrariamente alle più rosee delle nere previsioni, furono le Massime Autorità, più Massime di tutte, a dividere definitivamente e irrevocabilmente gli inseparabili fratelli. Frank, reo, tra le tante accuse, di frequentazioni col malefico Dottor Fuentes e di aver corso una cronometro in Francia con un body carenato non regolamentare, finì nell’Inferno dei ciclisti, invero affollatissimo, come, del resto, era facile prevedere. C’era quell’adultero di Coppi, quel donnaiolo di Pellissier, quel #§#*! di Pantani, e tanti fiamminghi, che in vita e in gara avevano commesso tante scorrettezze nelle loro acerrime rivalità. Qui organizzavano corse che finivano sistematicamente in cadute, risse e squalifiche a pioggia, facevano baldoria, e la sera si raccontavano cosa era veramente successo quella volta che. E tutti pensavano come ci divertiremo quando, da qui a cent’anni, ci raggiungerà lo zar Alexandre. Andy, invece, la fece franca: chi può dire se meritatamente o ingannando Le Pur Onniscienti Autorità con quel suo volto angelico. E quindi si ritrovò nel Paradiso dei ciclisti, tra pochi colleghi, il religiosissimo Bartali, quel martire di Bottecchia e un altro sparuto gruppetto. Qui Andy si sentì solo, smarrito, senza il fratellone. Agli inizi si guardava intorno, come se Frank potesse raggiungerlo da un momento all’altro, insomma come accadeva in tutte le gare che poi i due finivano sempre per perdere. Pensò anche di fare ricorso al TAS, ma qualcuno gli replicò che forse gli sfuggiva qualcosa. Poi, si sa, la vita dopo la morte continua, Andy si abituò all’idea, si ambientò e, quando arrivò il giorno della sua prima corsa celeste, sarà che la concorrenza era poca, sarà che finalmente non doveva più voltarsi a cercare il fratello per i loro classici attacchi congiunti e perdenti, al momento opportuno scattò decisissimo, continuò ancora più deciso, senza mai voltarsi, senza il pesante fardello del fratello, fuggì come mai aveva fatto prima, tagliò per primo il traguardo e ancora continuò a correre e correre e correre. Fu allora che Bartali, che, in quel luogo mondato da miserie e scempiaggini terrene e dalle loro conseguenze, aveva ritrovato la sua chiara voce da ragazzo, commentò: ma allora quello lì l’è proprio un bischero.

gino doodle

Il doodle perduto