Sole, mari e colline

Una settimana da Remco

Sono anni di grandi classiche e di grandi Grandi giri, mentre le piccole corse a tappe dipende. Se gareggia Pogacar o Vingegaard alla prima salita utile ammazza la corsetta, come è successo alla Tirreno-Adriatico con il danese, ma se non c’è nessuno dei due bisogna accontentarsi delle punzecchiature tra Evenepoel e Roglic, e se i due eccedono in tatticismi e a fargli perdere secondi ci si mette pure una cronosquadre discutibile, va a finire che vince un altro, molto probabilmente un altro della Visma, che alla Parigi-Nizza era l’americano Matteo Jorgenson. Bimbo Remco fa buon viso a cattivo gioco e dice che voleva solo vincere una tappa, e gli riesce solo all’ultima, e durante la settimana ha passato il tempo criticando Roglic che non aveva risposto ai suoi scatti (forse si è sentito snobbato?), poi l’ex compagno De Clerq che avrebbe rallentato la sua squadra nella cronometro manco guidasse uno spazzaneve, poi le tattiche dell’UAE, anche l’UCI perché ha proibito il suo optional da casco preferito e infine la tattica dell’AG2R. Il giorno che non era in vena di polemiche ci ha pensato il suo boss a criticare il trasferimento di Roglic alla Bora, svelando al mondo che il secondo sloveno avrebbe pagato la sua vecchia squadra per lasciarlo libero, tipo cauzione. Nelle prime tappe la maglia di leader l’aveva presa il giovane australiano Luke Plapp, il quale ha dichiarato che se corre è per merito di Richie Porte e che sarebbe contento se facesse la metà della sua carriera, ma dovrebbe piuttosto cercare di non fare neanche la metà delle sue cadute. Comunque la Corsa verso il Sole e la Corsa dei due Mari, che fungono anche da preparazione alla Classicissima di Primavera, hanno incontrato freddo e in Francia pure la neve, e curiosamente tra quelli che hanno sofferto il freddo ci sono stati il russo Vlasov (si può dire “russo”?) e l’ex saltatore con gli sci Roglic. A Nizza, dicevo, ha vinto Evenepoel e sul traguardo ha di nuovo mimato una telefonata riattaccata.

La proprietà transitiva delle monumento

Ma non c’è solo il clima, ci sono pure i paesaggi. In Francia si attraversano boschi, grandi campagne, caratteristici paesini, invece nel paese più bello del mondo si sfiorano periferie, stradoni pieni zeppi di cartelloni e lungomari desolati, già si era visto l’altra domenica con le donne a Montignoso e la Tirreno Adriatico l’ha confermato, una desolazione degna del Drenthe dove il pubblico della Ronde era composto sì e no da trentatrè drenthini. In settimana era stato presentato il Trofeo Binda e gli organizzatori hanno ricordato che la loro corsa non ha una versione maschile, che secondo me è una cosa da tenere sempre presente, perché una storia del ciclismo femminile deve tenere conto del suo specifico e non essere ricalcata su quella maschile. Prima durante e dopo Le Strade Bianche c’è stata tutta una discussione sul fatto che possa diventare una corsa monumento, ma per le gare delle donne non se ne parla molto e pare che, per la proprietà transitiva delle monumento, esse siano le versioni femminili di Fiandre Roubaix e Liegi aspettando Sanremo e Lombardia. Ma per anni il calendario del World Tour o quello che era è stato tenuto su da corse che erano solo per donne, come il Binda o il defunto Vårgårda, o che erano affiancate da una corsa maschile di categoria inferiore, come la Ronde Van Drenthe. Per dirne una a caso, Marianne Vos nella prima fase della carriera ha vinto il Fiandre, ma Liegi e Roubaix sono state organizzate solo a partire dagli anni del suo lunghissimo declino, per cui la Liegi non fa più per lei e di Roubaix ne ha buttata via una ma non le restano ancora molte occasioni. Però le altre, che erano le più importanti ai suoi (primi) tempi, le ha vinte e rivinte, 4 Binda, 3 Drenthe e 3 Vårgårda più uno dominato in cui fu squalificata per tre secondi in posizione vietata. E, incredibile ma vero, uno di questi record ieri è stato battuto: la utrechtina Lorena Wiebes ha vinto per la quarta volta consecutiva la corsa desolata e ha festeggiato mimando una schitarrata. Ma bisogna dire che l’hanno portata in carrozza non solo le fortissime compagne, tra cui la veterana lussemburghese Majerus, ma anche le avversarie che hanno fatto una gara noiosa. Sul VAMberg, la collinetta compostata che sembra non attirare famigliole e gitanti, l’unica che ci ha provato con convinzione è stata la fuoristradista Puck Pieterse, ma forse anche lei ha sbagliato a insistere quando ha selezionato un gruppetto in cui c’erano le più veloci del plotone. Alla fine una trentina di cicliste si sono giocate la vittoria sulla salitella finale in pavé e, quando Majerus ha tirato per Wiebes, alle due è rimasta attaccata solo Elisa Balsamo che poi non ha avuta energie per sprintare. Si è rivista anche Letizia Paternoster, sia nella sua specialità che è quella della caduta, rimanendo in piedi per miracolo, sia con il quarto posto finale che dimostra il suo potenziale quando riesce a non cadere: se si corresse con le rotelline laterali sarebbe un fenomeno.