A 60 anni suonati e soprattutto cantati Beth Gibbons pubblica Lives Outgrown, il suo primo disco solista. Dipendesse dalla frequenza delle sue uscite, l’industria discografica sarebbe fallita da un pezzo, e se fosse ciclismo sarebbe criticatissima, come se corresse e però vincesse un Tour ogni morte di Papa. Sono passati 5 anni dalle allegre canzoni tristi di Henryk Górecki e 22 dal disco con Rustin Man, quello cui il nuovo più si avvicina con un folk cupo e meditabondo suonato anche con strumenti desueti, ma non è musica immediata per feste di piazza con ubriaconi, il suo fascino aumenta con l’ascolto, e se fosse un ciclista sarebbe di quelli che vanno forte nella terza settimana. Qualche recensore scrive che, arrivata a questa età, Beth Gibbons è consapevole che la sua vita non può più essere come nella giovinezza colorata spensierata e spregiudicata, non lo metto in dubbio ma mi sorprende, vorrebbe dire che mi sarei perso un disco di salsa e merengue dei Portishead o una collaborazione balneare con l’Orchestra Bagutti, o forse Beth nella vita non era come nelle canzoni, forse suonava il citofono di Tricky e scappava facendolo arrabbiare come una bestia, oppure faceva scoppiare il palloncino della bambina di Banksy, chissà.
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